BONFANTE, Pietro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 12 (1971)

BONFANTE, Pietro

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Nacque il 29 giugno 1864 a Poggio Mirteto (Rieti) da Innocenzo e da Nevilla Monteneri. Terminati gli studi liceali, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell'università di Roma. Gli furono maestri tra gli altri il Filomusi-Guelfi, lo Schupfer e lo Scialoja; sotto la guida di quest'ultimo si laureò il 7 luglio 1887 discutendo una tesi sulla distinzione tra res mancipi e res nec mancipi.

Da questo tema nacque il primo lavoro importante del B., che venne poi pubblicato a Roma in due parti nel 1888 e nel 1889(Res mancipi e res nec mancipi). Il collegamento ivi effettuato fra il problema della struttura della proprietà privata e quello dell'organizzazione della famiglia romana arcaica non costituiva di per sé stesso una tesi innovativa (Orlando, pp. 408ss.); quel che vi era di nuovo e di suggestivo era la ricchezza dei riferimenti culturali a cui nel corso della ricerca il B. approdava e che consentiva tra l'altro a questa prima ipotesi generale di ricerca di precisarsi in soluzioni specifiche originali, destinate a rimanere un punto di riferimento per la dottrina e la storiografia posteriore. Prendendo le mosse dalle teorie elaborate in Germania soprattutto dal Voigt, circa il carattere unitario dei poteri del pater familias, il B. se ne staccava decisamente qualificando la potestà del pater in modo diverso, a seconda che gravasse sulla moglie, sui figli, o sulle res, onde la distinzione tra manus e mancipium volta a mostrare "come già in epoca assai remota i due poteri, patrimoniale e personale, fossero distinti...". Proprio in questa distinzione doveva quindi collocarsi chiaramente la distinzione tra res mancipi e nec mancipi a seconda della rilevanza dell'interesse sociale o individuale delle due categorie di res "inun'antitesi di beni propri dell'individuo e beni propri di uno o altro gruppo sociale, proprietà individuale e proprietà sociale". Come ha notato il Capogrossi, "proprio nell'ambito di tale impostazione veniva quindi elaborata e inquadrata la teoria bonfantiana sugli ordinamenti familiari e gentilizi come organismi politici precivici", e ciò naturalmente anticipando il momento genetico della distinzione tra res mancipi e nec mancipi in un'epoca anteriore al formarsi dell'ordinamento cittadino.

La nozione di un contrapposto interesse sociale e individuale, come premessa più o meno diretta del regime giuridico dei beni, era stato il punto di approdo e di chiarificazione per un complesso di suggestioni metodiche e di concrete ricerche analitiche che il B. aveva avuto il merito non solo di raccogliere, ma anche di legare in una solida ed organica veste scientifica.

L'esperienza del B. sul tema della res mancipi e nec mancipi non segna forse soltanto un momento decisivo nella sua formazione di storico e di giurista, ma, più in generale, un punto di maturazione importante nella tradizione culturale della scienza romanistica. In modo più ricco e sfumato che non, ad esempio, in Scialoja, si riproponeva nel lavoro del B. il problema d'una recezione di temi positivistici e di elaborazioni sociologiche della coeva cultura europea. Anche se non sembra molto attendibile la tesi del Voci d'un collegamento tra le tesi del B. sulla famiglia arcaica romana e il Durkheim, né sostanzialmente accertabile la conoscenza, da parte del B., del dibattito socialista in corso sulle tesi engelsiane sull'origine della famiglia e dello Stato, per lo più mutuate da Morgan, nella sua ricerca si possono cogliere, oltre un generico richiamo agli schemi darwinisti e spenceriani allora così in voga evidenti derivazioni dalle teorie del Summer-Maine e del Laveleye, cui il B. fa del resto esplicito riferimento.

Ma l'indagine socionaturalistica si presenta allo storico del diritto necessariamente in termini diversi che allo studioso di scienze sociali: l'analisi del dato etnico, sociale od economico trova sempre un preciso punto di riferimento ricostruttivo nell'istituto giuridico di cui si indaga la genesi, e ulteriormente addirittura nella più larga fenomenologia dell'intero ordinamento; di qui il problema ricorrente di comporre l'analisi storica con la sistemazione dogmatica e i relativi sviluppi logico-formali. Da quest'angolo di visuale non vi è dubbio che la lezione "storiconaturalistica" dello Jehring, specie quella del primo Jehring col suo sbocco organicistico e sistematico, influenzò a fondo il B. e costituì un punto di riferimento costante della sua attività di ricerca storico-dogmatica.

La ricerca sulla res mancipi e nec mancipi aprì fra l'altro al B. le porte della carriera accademica. Chiamato a ricoprire, nell'anno accademico 1889-90, la cattedra di materie romanistiche all'università di Camerino, l'anno seguente passava a quella di istituzioni di diritto romano a Macerata, e il medesimo insegnamento ricopriva poi a Messina dal 1891 al 1894 e ancora a Parma dal '94 al 1901 (ove tenne anche per incarico la filosofia del diritto) e a Torino dal 1901 al 1904. In quell'anno veniva chiamato a Pavia, ove succedeva al Ferrini nella cattedra di diritto e di storia del diritto romano; nel 1917 diveniva titolare degli stessi insegnamenti nell'ateneo romano. Fin dal 1906 aveva tenuto un corso di storia del commercio presso l'università commerciale L. Bocconi, e nell'anno accademico 1915-16 ne era stato anche rettore.

Molta dell'attività scientifica del B. corre parallela al suo insegnamento universitario. Già nel 1896 uscirono a Firenze le sue Istituzioni di diritto romano, manuale scolastico che realizzava una felice fusione della costruzione dogmatica e dello svolgimento storico degli istituti giuridici, ebbe numerosissime edizioni italiane e traduzioni in altre lingue e divenne presto, assieme alla Storia del diritto romano (Minano 1902), opera classica della scienza romanistica, già preludente al più tardo Corso di diritto romano, in quattro volumi, punto di arrivo delle ricerche storico-giuridiche del Bonfante. E vanno inoltre. ricordati i corsi universitari poi non rielaborati nel suo Corso, come la Teoria del possesso e istituti possessori (Pavia 1905-1906), Delle obbligazioni (ibid. 1906-1907), Le obbligazioni (ibid. 1912); Lucri a causa di morte (ibid. 1914-15) e ancora Le obbligazioni (Roma 1918-19). Non vanno neppure dimenticate, le traduzioni con le quali il B. rese note in Italia alcune opere fondamentali, come il Disegno storico del diritto pubblico romano del Mommsen (Milano 1907), la Giurisprudenza emologica del Post (traduz. compiuta in coll. con C. Longo, ibid. 1906-08), nonché la traduzione di più parti del Commentario alle Pandette del Glück, che corredò inoltre di numerose "note" ed "appendici", e del Diritto delle Pandette del Windscheid, lasciata interrotta da C. Fadda e P. E. Bensa e portata a termine dal B. in collaborazione col Maroi (IV-V, Torino 1926).

Il B. non mancò anche di far sentire la sua voce nelle polemiche propriamente storiografiche e nel più ampio dibattito culturale circa i criteri e principî della metodologia storica. Con un articolo del 1908 sulla Rivista italiana di sociologia (XII, 2, pp. 219 ss.), dal titolo Tendenze e metodi recenti negli studi storici, entrava, in polemica con Gaetano De Sanctis in occasione della pubblicazione del I volume della Storia dei Romani (Torino 1907) di quest'ultimo, opponendogli la tesi del Pais circa l'origine sabellica della città e le fasi successive della sua espansione militare e civile. Queste critiche gli procurarono una lunga e documentata risposta del De Sanctis sulla stessa rivista (Per rintuzzare l'acrisia, in Riv. it. di soc., XII[1908], 12, e ristampata in Per la scienza dell'antichità..., Torino 1909, pp. 349-460), che investiva lo stesso terreno della ricostruzione degli istituti giuridici in tema di rapporti tra diritti greci e diritto romano, e circa il carattere tecnico formale nella puntualizzazione di temi come quello del testamento, della dote, delle servitù e dell'usucapione.

Uno scritto del B. del 1917, Il metodo naturalistico della storia del diritto, oggetto della prolusione ai suoi corsi romani tenuta il 20 gennaio dello stesso anno, pubblicato nella Rivista italiana di sociologia, XXI, pp. 53 ss., fu all'origine di un'altra lunga polemica con il Gentile e il Croce. Il B. sottolineava con chiarezza quello che era il punto di vista dello studioso di storia del diritto rispetto al complesso delle fonti extragiuridiche quando affermava che "il movimento degli istituti giuridici è un perenne adattamento della struttura a nuove funzioni...: vieti istituti periscono per il cessare delle funzioni che essi adempivano e nuove funzioni possono dar vita a nuovi istituti: istituti di origine straniera possono essere trasportati in un nuovo ambiente sociale, adattandosi e acclimatandosi ad esso". Non mancavano qui gli echi della tradizione metodologica positivistica. Il B. stesso tentò di segnare le differenze che intercorrevano tra il punto di vista storico-giuridico tradizionale rappresentato dalla scuola storica e quello del pensiero positivistico. Egli notava come prima della recezione del pensiero di Spencer "la scienza giuridica era quasi da mezzo secolo piantata su quelle basi". "Solo l'acquisizione piena del "metodo organico e naturalistico" segnava "la definitiva acquisizione scientifica e l'autonomia della storia giuridica e insieme... della scienza del diritto". Ma in realtà qui la sua polemica "antimetafisica" si risolveva nella facile e troppo elementare proposizione dei consueti schemi positivistici.

Era sul terreno della ricerca e della ricostruzione storica degli istituti, più che nella elaborazione metodologica, che la vasta esperienza culturale del B. faceva sentire il suo peso. Basta fare riferimento a quella vasta messe di studi minori che egli prese a raccogliere in quattro volumi di Scritti giuridici vari (I, Famiglia e successione, Torino 1916; II, Proprietà e servitù, ibid. 1918; III, Obbligazioni e possesso, ibid. 1921;IV, Studi generali, Roma 1925).Ultimatane la raccolta, il B. prese a comporre la sua maggior opera sistematica, il Corso di diritto romano, il cui primo volume, sul diritto di famiglia, è del 1925. Seguì il secondo volume, diviso in due parti, sul diritto di proprietà, nonché il sesto sulle successioni; postumo doveva poi uscire il terzo volume sui diritti reali e il possesso.

Il riconoscimento attribuito alla sua opera, in Italia e all'estero, è attestato dai tre volumi di Studi che vennero raccolti in occasione del suo quarantesimo anno di insegnamento. Ebbe la laurea honoris causa a Parigi, Varsavia, Vilna; fu membro dell'Accademia dei Lincei, dell'Istituto lombardo, dell'Accademia delle scienze di Torino e di quella di Bologna e della Pontaniana di Napoli. Il 18 marzo 1929venne nominato membro dell'Accademia d'Italia ove, in seguito, tenne la vicepresidenza per la classe di scienze morali e storiche. Nazionalista, come testimoniano alcuni suoi scritti di occasione raccolti nel quarto volume degli Scritti vari, non ebbe né aspirò mai a una parte di qualche rilievo nella vita pubblica che non fosse quella dell'uomo di studi. La vicenda interventista lo vide partecipe in alcune polemiche giornalistiche e presidente a Milano del Comitato lombardo per la riscossa nazionale.

Il B. morì a Roma il 21 novembre 1932.

Bibl.: V. E. Orlando, rec. al n. 1 della Res mancipi e nec mancipi, in Archivio giuridico, XL (1888), pp. 408 ss.; S. Riccobono, P. B., in Ann. dell'Univ. di Roma, 1932-33, pp. 147 ss.; P. Rabel, P. B., in Zeitschrift der Savigny Stiftung, Röm., Abteil., LIII (1933), pp. 647 ss.; V. Scialoia, Un maestro: P. B., in L'Illustrazione italiana, 22 genn. 1933, p. 136; E. Albertario, P. B., in Archivio giuridico, XXV (1933), pp. 5-21 (con bibl. completa delle opere del B.); R. Volterra, P. B., in Genus, II (1937), pp. 371-378; N. Bobbio, La filosofia del diritto in Italia nella seconda metà del sec. XIX, in Boll. dell'Ist. di filos. del diritto dell'Univ. di Roma, III (1942), pp. 19 ss.; E.Betti, Ancora in difesa della congettura del B. sulla "Familia" romana arcaica, in Studia et Documenta Historiae Iuris, XVIII (1952), pp. 241-248; P. Voci, Esame delle tesi del B. su la famiglia romana arcaica, in Studi in onore di V. Arangio Ruiz, I, Napoli 1953, pp. 104 ss.; B. Paradisi, I nuovi orizz. della storia del diritto, in Studi in on. di P. Koschaker, II, Milano 1954, pp. 323, 354, 355 p. 3; L. Caiani, La filos. dei giuristi ital., Padova 1955, pp. 2 s., n. 2; L. Raggi, Materialismo storico e studio del diritto romano, in Riv. ital. per le scienze giuridiche, XC(1955-56), pp. 571 s.; M. Bretone, Il "Naturalismo" del B. e la critica idealistica, in Labeo, V (1959), pp. 275-283; G. Capogrossi Colognesi, Proprietà e "iura praediorum" nell'età repubblicana, Milano 1969, pp. 74-110.

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