BERTACCHINI, Pietro

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 9 (1967)

BERTACCHINI, Pietro

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Nacque a Carpi il 26 nov. 1641 da GiovanniBattista e da Camilla Blesi. A nove anni iniziò lo studio dell'arciliuto con suo padre, esperto suonatore di questo strumento, della chitarra e della mandola. Dal 1651 fu allievo per il canto figurato di don Claudio Zucchi, maestro di cappella del duomo di Carpi. Alla morte del padre (1654) continuò lo studio della musica sotto la guida dello Zucchi, mentre fu autodidatta per l'arciliuto. Nel 1656 (forse dietro suggerimento o raccomandazioni dello Zucchi) fu chiamato a Modena da Benedetto Ferrari, maestro di cappella di Francesco d'Este, per cantare come secondo soprano nella cappella ducale. Nello stesso tempo si dedicò allo studio della tiorba, e fu operoso anche alla cappella del duomo, diretta allora da Marco Uccellini, in qualità di primo soprano. Sopraggiunta la muta della voce a diciotto anni, il B. cantò dapprima per sei mesi da contralto poi, lasciato il servizio modenese e tornato a Carpi, continuò come poté la sua prestazione canora, ormai da tenore, in qualche, chiesa. Nel 1664 riprese lo studio della chitarra, valendosi di un libro di sonate "battute con suo alfabetto", nel quale, cioè, i vari suoni (secondo il coevo sistema di notazione chiamato "intavolatura") erano rappresentati con lettere dell'alfabeto (o con cifre). Il B. pensò presto di applicare alla chitarra il metodo dell'arciliuto (la cui intavolatura era segnata con numeri) e tanto si appassionò a questo strumento da divenirne un "virtuoso". Da allora preferì a qualsiasi altra attività questa di chitarrista, che lo rese celebre e lo condusse quasi di continuo a percorrere l'Italia, artista conteso da principi e da signori.

Passando per Firenze, il B. giunse a Roma verso il 22 febbraio e vi si fermò fino al 10 dicembre. A Roma acquistò una chitarra dalla rosa para e non fonda da lui espressamente fatta costruire e pagata cinque doppie d'Italia. Poi fu di nuovo a Firenze, dal 22 al 24 dicembre, ospite della corte, e infine a Bologna, in casa di Angiolo Antonio Vivaldi, dove si trattenne due mesi (24 febbr. 1668).

Da Bologna passò a Mantova, presso il conte Marco Antonio Berni, coppiere dell'arciduchessa Anna Isabella Gonzaga-Guastalla, e poi a Goito, rimanendovi dall'agosto a tutto settembre 1668,gratificato dall'arciduchessa del "piatto nobile" nel quartiere dei cavalieri. Dopo una breve parentesi mantovana, il B. si recò a Viadana, desideroso di ottenere dal governatore Ferrante Agnelli Suardi Maffei un "sicuro imbarco" per Milano. Fu da lui trattenuto, invece, a Viadana, donde non si mosse che il 17 nov. 1669 per tornarsene inspiegabilmente a Carpi.

Alla fine del 1670 il B. decise di tentare la fortuna partendo alla volta di Genova, dove giunse il 18 genn. 1671. Due giorni dopo un'audizione di tiorba presso il nobiluomo Francesco Rebuffo gli procurò l'incarico di accompagnare con il suo strumento, al Teatro Falcone, L'Argia, opera di A. Cesti. Il B. ottenne un grande successo. A Genova diede anche lezioni di tiorba alla nobiltà ligure: fra i suoi numerosi allievi ebbe il figlio e la moglie del doge Alessandro Grimaldi - Giacomo e Alessandra - don Federico e Giacomino Doria, Maria Brigi da Spinola, Domenico Lercaro-Imperiali. Nel luglio 1673 ritornò a Carpi, dove contava di rimanere, ma, chiamato ad insegnare al Collegio dei nobili di Parma, ai primi di febbraio 1674 cominciò il suo nuovo magistero. Il 12 aprile, però, ritornava a Carpi e circa due anni dopo (9 genn.1676) partiva per Lucca, invitato da un suo ex allievo di Parma, Bernardino Orsetti. A Lucca il B. fu eletto, il 28 marzo 1679, benché non lucchese, maestro della cappella palatina con sei scudi d'argento al mese, aumentabili annualmente.

L'ambiente così favorevole e il maggiore benessere lo indussero a crearsi una famiglia: il 26 apr. 1682 sposò Margherita Gatti. Dal matrimonio nacquero due figli, Giovanni Battista (1683) e Camilla (1684).

La felice esperienza lucchese sembrò per qualche tempo trattenere l'irrequieto B., ma infine, considerate e la benevolenza dei principi Cybo e la prospettiva di più lauti guadagni alla loro corte, egli rinunciò il 1° apr. 1685 al suo servizio, partendo con tutta la famiglia per Massa.

Intanto il duca di Modena aveva ordinato il rimpatrio di ogni suo suddito all'estero: il B., richiamato invano per tre volte, fu alla fine minacciato di "disgrazia sovrana" e di confisca dei beni, e, il 20 ott. 1686, egli fu così costretto a lasciare Massa; raggiunta Modena, oltre a presentare le commendatizie dei principi Cybo, fece omaggio al duca per ingraziarselo di una chitarra di marmo fabbricata dall'amico M. Grandi, che lo aveva accompagnato. Ma il B. non ottenne dal duca quei benefici che sperava, per cui il 16 dic. 1687 partì da Carpi per Venezia, nonostante che a Modena gli fosse offerto un posto di aiutante di camera dei duca. A Venezia il B. riuscì a raccogliere intorno a sé molti ammiratori e scolari e godé dell'amicizia e della stima di Giovanni Legrenzi, maestro di cappella a S. Marco, il quale lo invitò, come chitarrista, alle sue domestiche accademie musicali.

Nel carnevale 1689 il B. venne anche scritturato, quale accompagnatore, nelle opere teatrali rappresentate al Teatro S. Luca. Quale fosse il motivo che lo spinse poi ad allontanarsi da Venezia, il 10 giugno 1689, s'ignora: il 23 luglio, comunque, era di nuovo a Carpi, dove, presentatasi l'occasione, aprì una tintoria, senza, per altro, abbandonare l'attività musicale.

Per questa piccola industria della tintoria, coltivata con intelligenza e accuratezza, il B. scrisse anche un trattato (rimasto manoscritto e ormai smarrito), Opera di me P. B. per ammaestrare… a chi vorrà tingere in tina da guado et indico o indaco a suo volere e piacere, al quale premise una breve autobiografia.

Ancora nel luglio 1694 il B. dimorava a Carpi, ma questa è l'ultima sua notizia pervenutaci: restano sconosciuti il luogo e la data della sua morte.

Figura di valoroso strumentista, il B. dovette unire ad un notevole talento interpretativo anche una conoscenza perfetta, dominatrice dello strumento stesso. Sebbene non sia rimasta nessuna sua composizione, si può tuttavia pensare che avesse scritto alcune musiche. Ma un altro aspetto della personalità del B. va ricordato: egli fu un appassionato collezionista di strumenti musicali (arciliuti, tiorbe piccole e grandi, d'ebano e d'avorio, salteri, pandore, oggi perduti) e di musiche da luiraccolte e copiate, specialmente a Genova e a Lucca, disgraziatamente oggi perdute.

Bibl.: F. Caffi, Storia della musica sacra nella già cappella ducale di San Marco in Venezia dal 1318 al 1797, I, Venezia 1854, p. 314; L. Nerici, Storia della musica in Lucca, in Mem. e doc. per servire alla storia di Lucca, XII-XIV, Lucca 1880, p. 209; L. F. Valdrighi, P. B. e altri musicisti del sec. XVII, Modena 1881, pp. 4-17; A. Spinelli, Not. spettanti alla storia della musica in Carpi, in Mem. stor. e doc. sulla città e sull'antico principato di Carpi, V (1900), pp. 8-21; C.Schmidl, Diz. univ. dei musicisti, Suppl., p. 89.

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