VERMIGLI, Piero Mariano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 98 (2020)

VERMIGLI, Piero Mariano (in religione Pietro Martire)

Michele Camaioni

– Nacque a Firenze l’8 settembre 1500. Fu il maggiore dei tre figli di Stefano, un agiato artigiano membro della corporazione o arte dei calzaiuoli, e di Maria Fumanti. Ebbe una sorella, Felicita, nata nel 1501, e un fratello, Antonio, nato nel 1504.

La madre possedeva una buona cultura e prima della morte nel 1511 lo avviò allo studio del latino, poi proseguito sotto la guida di Marcello Virgilio Adriani. Alla scuola dell’illustre umanista legato a Niccolò Machiavelli, Vermigli ebbe per compagni diversi futuri protagonisti della scena politica e letteraria fiorentina, quali Francesco de’ Medici, Alessandro Capponi, Francesco e Raffaello Ricci, Pier Vettori e Pandolfo della Stufa (Simler, 1563, c. 2v; McNair, 1967, trad. it. 1971, p. 84).

Le prospettive di una vita dedita ai negozi politici o alla giurisprudenza, come avrebbe desiderato il padre, sfumarono tuttavia per la scelta del giovane di intraprendere il cammino religioso, sulla base di una vocazione di cui si scorge la prima traccia documentaria nell’appellativo di «chierico» con cui nel 1511 è ricordato nel testamento paterno. Pochi anni più tardi, nell’estate del 1514, fece il suo ingresso come novizio nella badia di S. Bartolomeo di Fiesole, retta dai canonici regolari lateranensi di s. Agostino, mutando il nome in Pietro Martire. Nel medesimo anno, forse dietro suo consiglio, la sorella entrò nel locale monastero domenicano, dedicato proprio a s. Pietro Martire.

A detta del suo primo biografo, il teologo e umanista svizzero Josias Simler che di Vermigli fu uno degli allievi più cari, a indirizzare il giovane verso la Congregazione lateranense furono il rigore con cui vi si osservava la disciplina regolare e la possibilità di dedicarsi allo studio delle Sacre Scritture. La badia fiesolana, che nel Quattrocento era stata uno dei centri dell’umanesimo fiorentino, era nota per la ricchezza della sua biblioteca che ospitava testi di teologia scolastica oltre a scritti di autori classici e dei Padri della Chiesa. Su di essi avvenne la prima formazione di Vermigli, durante il noviziato che si concluse nel marzo del 1518 con la professione religiosa (McNair, 1967, trad. it. 1971, p. 106).

Assecondandone le attitudini, i superiori lo inviarono allora a Padova per compiere gli studi di filosofia e teologia. Dal 1518 al 1526 risiedette nel convento di S. Pietro di Verdara, frequentando la celebre università patavina dove, nonostante le difficoltà provocate dalla guerra della Lega di Cambrai, era ancora viva l’eco degli insegnamenti di Pietro Pomponazzi e dove la locale scuola filosofica restava un prestigioso centro di studi aristotelici e averroisti. A essi Vermigli rimase a lungo interessato, come dimostra il fatto che al momento della morte (1562) stesse attendendo a un commento all’Etica nicomachea, pubblicato postumo insieme ad altri scritti inediti. Proprio il desiderio di leggere Aristotele in lingua originale lo condusse a intraprendere – da autodidatta, vista la contingente carenza di maestri – lo studio del greco, di cui sarebbe diventato uno dei massimi esperti europei nel campo dell’esegesi veterotestamentaria. Profondo fu inoltre, in questa fase, l’influsso della teologia tomistica. A essa Vermigli aderì per poi distaccarsene negli anni seguenti, quando i suoi interessi si indirizzarono verso lo studio dei Padri e della teologia della Riforma, con cui peraltro dovette avere un primo contatto proprio a Padova, attraverso la mediazione dei numerosi studenti di ‘nazione tedesca’ che giungevano in città per motivi di studio.

Non è dato tuttavia sapere se e quale influsso tali dottrine producessero allora sul giovane canonico, così come scarse sono le notizie sul rapporto con i confratelli residenti a Padova e in particolare con il predicatore antiluterano Serafino Aceti de’ Porti da Fermo, autore di opere ispirate alla controversa spiritualità mistica di Battista da Crema. Risale invece con certezza a questo periodo la conoscenza con Benedetto Cusano da Vercelli – l’amico più fedele («integerrimus», cit. in Simler, 1563, c. 8r) avuto in Italia, che lo avrebbe seguito anche a Spoleto e Napoli – e con Pietro Bembo, frequentatore di S. Giovanni di Verdara insieme con il giovane aristocratico inglese e futuro cardinale Reginald Pole, anch’egli «intimo amico» (c. 12v) di Vermigli.

Ricevuti l’ordinazione sacerdotale (23 settembre 1525) e il dottorato, il 29 aprile 1526 Vermigli veniva eletto predicatore nel capitolo generale del suo Ordine tenuto a Piacenza. Grazie alla limpida eloquenza unita a una non comune sapienza teologica, divenne in breve tempo uno degli oratori più apprezzati nell’Italia centrosettentrionale. Predicò a Brescia nell’avvento del 1526, a Bologna durante il capitolo che nel 1528 lo confermò nell’ufficio di predicatore, poi a Roma, Fermo, Pisa, Venezia, Mantova, Bergamo e Casale, alternando l’apostolato dal pulpito all’insegnamento della filosofia e della Sacra Scrittura per i confratelli di Padova, Ravenna, Vercelli – dove tenne delle lezioni su Omero – e Bologna, dove dal 1530 fu per un triennio vicario del priore del convento di S. Salvatore. Fu in questo periodo che, sotto la guida di un medico di nome Isacco, iniziò a studiare l’ebraico, di cui avrebbe raggiunto negli anni una padronanza tale da suscitare l’ammirazione di umanisti e teologi di tutta Europa.

Con la nomina ad abate di S. Giuliano a Spoleto, ricevuta nel capitolo tenuto il 4 maggio 1533 a Ravenna, si trovò per la prima volta a toccare con mano, in un ruolo di responsabilità, le problematiche legate all’attesa riforma della Chiesa, che il diffondersi della Riforma protestante ed eventi traumatici come il sacco di Roma del 1527 avevano reso ormai improcrastinabile. Nel suo triennio di governo, si dedicò alla restaurazione della disciplina monastica all’interno delle due case maschili e degli altrettanti conventi di religiose affidati alla sua guida, svolgendo anche un ruolo di mediazione nel conflitto fazionario che agitava la città di Spoleto. Concluso l’incarico, dovette attendere circa un anno prima di ricevere una nuova nomina ed è possibile che trascorresse alcuni mesi a Roma, entrando in contatto con Gasparo Contarini e con gli altri prelati aperti alle idee del cosiddetto evangelismo, che nel febbraio del 1537 presentarono al papa Paolo III il documento noto come Consilium de emendanda Ecclesia (McNair, 1967, trad. it. 1971, pp. 158-165).

Fu in ogni caso a Napoli, dove giunse nell’estate del 1537 in qualità di nuovo abate di S. Pietro ad Aram, che Vermigli maturò una lucida consapevolezza della crisi della Chiesa e, anche in seguito alla lettura degli scritti di Erasmo e dei riformatori Martin Butzer e Huldreich Zwingli (cfr. Simler, 1563, cc. 6v-7r), si convinse della bontà di alcuni principi della Riforma: su tutti, quello della giustificazione per sola fede, cui nel periodo precedente al Concilio di Trento (1545-63) aderirono diversi esponenti del movimento riformatore interno al mondo cattolico con i quali ebbe modo di relazionarsi. Tra questi lo spagnolo Juan de Valdés, che aveva riunito a Napoli un circolo spirituale di prelati, aristocratici e nobildonne interessati alla sua concezione gradualistica della fede, originale prodotto della fusione del misticismo illuminativo ed esoterico degli alumbrados di Spagna con l’idea luterana della fede giustificante, nel quadro di una formale adesione alla Chiesa romana che legittimava il nicodemismo, ovvero la prassi della dissimulazione religiosa.

Valdés esercitò un influsso significativo su Vermigli, che a sua volta divenne presto un riferimento per molti valdesiani. Tra questi, gli umanisti Marcantonio Flaminio e Giovanni Francesco Anisio, il fiorentino Pietro Carnesecchi e il marchese di Vico Galeazzo Caracciolo, futuro capo della Chiesa calvinista italiana di Ginevra, i quali, insieme con molti altri, tra la fine del 1539 e i primi mesi del 1540 iniziarono a frequentare le lezioni sulla prima lettera di s. Paolo ai Corinzi, da lui tenute in S. Pietro. L’iniziativa attirò tuttavia i sospetti degli intransigenti teatini guidati da Gaetano Thiene, che denunciarono Vermigli come eretico al viceré Pedro de Toledo, ottenendone la temporanea sospensione. Appellandosi a Roma, dove poteva contare sulla protezione dei cardinali Contarini, Pole, Bembo e Federico Fregoso, che sembra intercedettero per lui presso il pontefice e il protettore dei canonici lateranensi Ercole Gonzaga, fu presto riabilitato, ma poco dopo cadde preda di una malattia (probabilmente la malaria). Ripresosi con fatica, a differenza dell’amico Cusano che non sopravvisse, lasciò Napoli nella primavera del 1540, in seguito alla nomina a visitatore della Congregazione.

In tale veste, dopo esser stato in procinto di affiancare Contarini come consulente teologico ai colloqui di religione tra cattolici e protestanti in programma a Worms, poi rinviati, nel novembre del 1540 visitò il monastero di S. Frediano di Lucca, di cui nel maggio seguente fu eletto priore. Ancor più che a Napoli, a Lucca Vermigli trovò le condizioni ideali per l’attuazione dei suoi programmi di evangelizzazione e riforma religiosa, ormai orientati in senso filoprotestante.

Sin dalla metà degli anni Venti, infatti, tra il popolo e la vivace oligarchia mercantile della Repubblica toscana circolavano le idee e i libri della Riforma, condotti in città dagli intraprendenti mercanti e agenti lucchesi che operavano nelle grandi piazze finanziarie del continente, da Anversa a Lione a Ginevra e alla Germania imperiale.

Fu anche grazie al sostegno dei settori della borghesia e del patriziato più sensibili alle istanze riformatrici d’Oltralpe, dunque, che in pochi mesi Vermigli riuscì a fare di S. Frediano la prima (e unica) «scuola teologica riformata d’Italia» del periodo pretridentino (Campi, 2011, p. 154; cfr. McNair, 1967, trad. it. 1971, p. 155). A tal fine, si circondò di validi collaboratori come i confratelli Paolo Lazise e Massimiliano Celso Martinengo, cui affidò le lezioni di latino e greco, mentre il convertito ferrarese Emanuele Tremellio fu deputato all’insegnamento dell’ebraico. Egli stesso si dedicò a una predicazione quotidiana su s. Paolo e sui Salmi che attirò a S. Frediano i principali esponenti del dissenso religioso cittadino, come l’umanista Celio Secondo Curione e quei membri dell’oligarchia cittadina di simpatie riformate – da Filippo Calandrini a Matteo Gigli, da Cristoforo Trenta a Francesco Micheli, Niccolò Diodati e Francesco Cattani – che sotto la sua guida diedero luogo alla cosiddetta Ecclesia lucensis, alimentando poi nei decenni seguenti, sotto la spinta della repressione inquisitoriale, un costante flusso migratorio verso Ginevra e le terre della Riforma.

Tra i primi a prendere da Lucca la via dell’esilio vi fu proprio Vermigli, protagonista nell’agosto del 1542, all’indomani della costituzione del tribunale romano del S. Uffizio, di una celebre fuga religionis causa insieme con un altro grande predicatore del tempo, il cappuccino Bernardino Ochino. La clamorosa determinazione, nel caso di Vermigli pianificata con cura, fu il risultato di una profonda quanto indecifrabile crisi interiore così come di una serie di fattori contingenti, tra i quali l’attenzione specifica dell’Inquisizione romana per la situazione lucchese e le ostilità che, all’interno della Congregazione lateranense, iniziavano a manifestarsi nei confronti del suo rigore morale e delle sue idee eterodosse (Simler, 1563, c. 9v, scrive di un capitolo straordinario convocato a Genova nell’estate del 1542, cui preferì sottrarsi per evitare lo scontro con gli avversari).

Sta di fatto che il 12 agosto 1542 Vermigli lasciò Lucca insieme con Lazise, il confratello Teodosio Trebelli e il fidato famulus Giulio Santerenziano (più tardi li avrebbero raggiunti in terra riformata anche Martinengo, Tremellio e il promettente allievo Girolamo Zanchi). Le prime tappe furono Pisa – dove secondo Simler (1563, cc. 9v-10r) già celebrò la cena con rito riformato – e Firenze, dove sistemò alcuni affari familiari (erano infatti morti nel frattempo tanto i genitori quanto il fratello e la sorella) e, come poi si disse, incontrò Ochino in casa della duchessa Caterina Cibo, distogliendolo dal proposito di recarsi a Roma dove era convocato dal papa e inducendolo alla fuga. Scrisse inoltre tre lettere, di cui una sola conservata, rivolta ai canonici di S. Frediano ai quali indicò nel desiderio di non suscitare scandalo e nel non voler più «predicare il falso, né ingannare il populo» le ragioni della fuga (cit. in McNair, 1967, trad. it. 1971, p. 327). Delle altre due missive una, contenente le dimissioni, era indirizzata al rettore generale della Congregazione lateranense, Arcangelo Pelissoni, l’altra al cardinale Pole che, morto Valdés nel 1541, ne aveva riunito i discepoli a Viterbo assumendo con Flaminio la guida del movimento dei cosiddetti spirituali, alla cui rete Vermigli rimase legato fino al momento dell’apostasia.

Ne è prova tra l’altro l’impegno con cui, nel luglio del 1542, Contarini si adoperò per ottenerne l’assegnazione per la quaresima seguente alla città di Modena, il cui ordinario Giovanni Morone, da poco creato cardinale da Paolo III e impegnato in delicati negozi diplomatici presso l’imperatore, valutò per un momento di farsi sostituire al vertice della diocesi proprio da Vermigli. La fuga rese impraticabili tali soluzioni, segnando un distacco da parte del predicatore anche nei confronti delle strategie nicodemitiche degli spirituali e più in generale l’abbandono di ogni progetto di riforma della Chiesa di Roma dall’interno. Da quel momento in poi, il suo impegno si sarebbe rivolto alla costruzione di solide basi teologiche per il nuovo cristianesimo evangelico che andava prendendo forma nelle terre conquistate dalla Riforma.

Partito da Firenze il 25 agosto, sostò nei conventi lateranensi di Bologna e Ferrara per proseguire poi verso nord e giungere, per la via di Trento o quella della Valtellina, a Zurigo. Qui fu accolto benevolmente dal successore di Zwingli, Heinrich Bullinger, che lo raccomandò al teologo di Basilea Oswald Myconius. Questi a sua volta lo indirizzò verso Strasburgo, dove Butzer, intuendone le competenze, gli propose l’incarico di professore di Antico Testamento, la cui cattedra era stata a lungo occupata dal celebre ebraista Wolfgang Capitone. Vermigli accettò, intravedendo, come chiarì in una Epistola [...] Ecclesiae Lucensis fidelibus scritta il 25 dicembre 1542, l’opportunità di esercitare finalmente libero da cautele e infingimenti quel ministero della Parola che ormai gli sarebbe stato impossibile svolgere in Italia.

A Strasburgo sposò nel 1545 Catherine Dammartin, un’ex religiosa di Metz, e sostenne il programma di riforme ecclesiastiche di Butzer con l’insegnamento e con gli scritti: tra questi, le Preces sacrae, pubblicate postume a differenza della Semplice dichiaratione sopra gli XII articoli della fede christiana, un breve ‘catechismo’ composto prima della fuga (cfr. S. Adorni Braccesi, Un catechismo italiano della riforma..., in Pietro Martire Vermiglio (1499-1562)..., 2003, p. 124) che costituisce l’unica sua opera a stampa in lingua italiana di cui rimane traccia. Dopo essersi guadagnato la fama di raffinato erudito e rigoroso teologo anche tra i protestanti, lasciò la città alla fine del novembre 1547, in seguito alla sconfitta della Lega di Smalcalda cui Strasburgo aveva aderito per mano dell’imperatore Carlo V, per rispondere insieme con Ochino e lo stesso Butzer all’invito dell’arcivescovo di Canterbury, Thomas Cranmer, a trasferirsi in Inghilterra dove il sovrano Edoardo VI aveva avviato una riforma della Chiesa anglicana ispirata ai principi della Riforma.

Nominato nella primavera del 1548 regius professor di teologia a Oxford, nell’intenso periodo inglese conclusosi nel 1553 con una nuova fuga determinata dall’ascesa al trono di Maria Tudor e con l’avvio dell’opera di ricattolicizzazione del Regno affidata al suo ex amico Pole, Vermigli si impegnò in complesse dispute accademiche sull’eucarestia da cui scaturirono due trattati destinati a larga circolazione, prese parte insieme con Butzer e Jan Łaski alla nota controversia sui paramenti ecclesiastici, influenzò la riforma delle discipline ecclesiastiche (Reformatio Legum Ecclesiasticarum) e contribuì all’inserimento di elementi di teologia riformata nei due testi fondamentali per la definizione della nuova dottrina anglicana, il secondo Book of Common Prayer (1552) e la versione riveduta dei XLII Articoli (1553).

Rientrato nel 1553 a Strasburgo, dove presto lo raggiunsero alcuni allievi inglesi, tra i quali John Jewel, trovò il nuovo indirizzo riformatore impresso dal luterano ortodosso Johann Marbach poco consono alle sue inclinazioni ireniche, che lo portavano a valutare negativamente le incipienti divisioni confessionali interne al protestantesimo e a mantenere aperto il dialogo, pur nella distanza delle rispettive posizioni, con gli esuli italiani religionis causa entrati in polemica con Giovanni Calvino e gli altri leader della cosiddetta Riforma magisteriale a causa delle loro idee radicali. Rimase comunque nella città alsaziana per circa tre anni, durante i quali tenne lezione sul libro dei Giudici, tornando a riflettere su temi già trattati nei primi anni dell’esilio quali l’impossibilità per il vero cristiano di convivere con gli idolatri, con la conseguente condanna del nicodemismo, e il diritto di resistenza all’autorità che si riveli tirannica, riservato però non ai singoli o al popolo, ma unicamente ai magistrati inferiori.

Non a proprio agio con il mutato clima politico cittadino, nel 1556 lasciò nuovamente Strasburgo per trasferirsi a Zurigo, dove prese il posto di Konrad Pellikan quale professore di Antico Testamento presso la Schola Tigurina. La nomina, patrocinata da Bullinger che lo stimava profondamente come teologo, ma anche come rappresentante di quella cultura repubblicana fiorentina che diverse affinità presentava con «la concezione democratica della politica zurighese» (Campi, 2011, p. 157), fornì a Vermigli la tranquillità necessaria per dedicarsi alla stesura di opere esegetiche e dottrinali di ampio respiro (tra queste i commentari ai libri della Genesi, di Samuele e dei Re), destinate a costituire per oltre un secolo un punto di riferimento imprescindibile per teologi e pastori riformati accanto ai celebri Loci communes, una raccolta antologica di brani tratti dalle sue opere e organizzati secondo la struttura della Istituzione della religione cristiana di Calvino dall’ugonotto francese Robert Masson, che conobbe ben quattordici edizioni tra il 1576 e il 1656. Negli stessi anni scrisse una nuova lettera ai fratres della Ecclesia Lucensis e diede alle stampe diversi trattati che riprendevano i temi delle dispute svolte in Inghilterra, tra cui una fondamentale Defensio doctrinae [...] de sacrosancto Eucharistiae sacramento, dedicata nel 1559 a Elisabetta I Tudor, che ricevette gli apprezzamenti di Calvino (di questo periodo sono anche gli inviti a trasferirsi a Ginevra e Heidelberg o a tornare a Oxford). D’intesa con Bullinger, contribuì inoltre alla redazione della Seconda confessione elvetica e si impegnò in una nuova controversia, stavolta di argomento cristologico, con il luterano Johannes Brenz.

Nel 1559 sposò in seconde nozze Caterina Merenda (la prima moglie era morta a Oxford nel febbraio del 1553). La fiducia nutrita nei suoi confronti da Bullinger era tale da farne il proprio inviato ai colloqui di religione tenuti nell’estate del 1561 a Poissy, in Francia.

Quando il 12 novembre 1562 si spense a Zurigo al termine di una lunga malattia, la città ne decretò la sepoltura nel chiostro del Grossmüster, tributandogli onori degni di un padre della Riforma europea.

Opere. Prima edizione a stampa: Epistola [...] Ecclesiae Lucensis fidelibus..., Strasburgo, 25 dicembre 1542 (in Id., Loci communes, Tiguri 1580, cc. 564v-566v); Una semplice dichiaratione sopra gli XII articoli della fede christiana, Basilea, [J. Oporinus], 1544; Tractatio de sacramento Eucharistiae [...] Disputatio de eodem Eucharistiae sacramento..., Londinium, [R. Wolfe], 1549, riediti più volte con i titoli De sacramento eucharistiae in [...] schola Oxoniensi tractatio..., Tiguri, A. Geßner - R. Wyssenbach, 1552 e Disputatio de eucharistiae sacramento..., Tiguri, A. Geßner e R. Wyssenbach, 1552; In selectissimam d. Pauli priorem ad Corinthios Epistolam [...] Commentarii..., Tiguri, C. Froschauer, 1551; Epistola ad fratres Lucenses, Zurigo 1556 (trad. dall’orig. it. di T. Duno, in Loci communes, cit., cc. 561v-564r); In Epistolam s. Pauli ad Romanos [...] Commentarii..., Basileae, P. Perna, 1558; Defensio [...] ad Riccardi Smythaei Angli [...] duos libellos de caelibatu sacerdotum, et votis monasticis..., Basileae, P. Perna, 1559; Defensio doctrinae veteris et apostolicae de sacrosancto Eucharistiae sacramento [...] adversus Stephani Gardineri [...] librum..., Tiguri, C. Froschauer, 1559; Dialogus de utraque in Christo natura..., Tiguri, C. Froschauer, 1559; In librum Iudicum [...] Commentarii..., Tiguri, C. Froschauer, 1561 (di cui una parte era stata pubblicata con il titolo A Treatise of the cohabitacyon of the faithful with the unfaithfull..., [Strasbourg, W. Rihel], 1555); In primum, secundum et initium tertii libri Ethicorum Aristotelis ad Nicomachum Commentarius..., Tiguri, C. Froschauer, 1563; In duos libros Samuelis prophetae [...] Commentarii..., Tiguri, C. Froschauer, 1564; Lettres consolatoires [...] à madame la princesse de Condé..., s.l. 1564; Preces sacrae ex Psalmis Davidis..., Tiguri, C. Froschauer, 1564; Epistre à un sien amy grand seigneur, s.l. 1565; Melachim, id est, Regum libri duos posteriores cum Commentariis..., Tiguri, C. Froschauer, 1566; In primum librum Mosis, qui vulgo Genesis dicitur Commentarii, Tiguri, C. Froschauer, 1569; Trattato della vera chiesa catholica, et della necessità di viver in essa..., [Ginevra] 1573; Epistre [...] touchant leur abjuration et renoncemente de la verité, [Ginevra] 1574; [...] Loci communes..., Londini, J. Kingston, 1576 (altre edd., Zurigo 1580 e 1587; Basilea, I-III, 1580-1582; Londra 1583; Heidelberg 1593, 1603, 1613, 1622; Ginevra 1624, 1626, Amsterdam-Francoforte 1656); In Lamentationes ss.mi Jeremiae prophetae [...] Commentarium..., Tiguri, J.J. Bodmer, 1629. Per un quadro dei manoscritti, delle ristampe e delle traduzioni in lingua francese, inglese, italiana e tedesca delle diverse opere, cfr. M.W. Anderson, Peter Martyr. A reformer in exile (1542-1562). A chronology of biblical writings in England & Europe, Nieuwkoop 1975; J.P. Donnelly - R.M. Kingdon - M.W. Anderson, A bibliography of the works of Peter Martyr Vermigli [...] with a register of Vermigli’s correspondence, Kirksville (Miss.) 1990; A companion to Peter Martyr Vermigli, a cura di T. Kirby - E. Campi - F.A. James, III, Leiden-Boston 2009, pp. 499-503. Tra le edizioni in lingua italiana, si segnalano quelle del Credo e del Trattato della vera chiesa (Biblioteca della Riforma italiana, III-IV, Roma-Firenze 1883-1884). Si vedano inoltre le traduzioni in inglese raccolte nei nove volumi della Peter Martyr Library, curata fino al 2018 dalla Peter Martyr Society e poi dal Davenant Institute di Leesburg (USA). Lettere di o su Vermigli si trovano nelle corrispondenze edite dei principali riformatori, da Calvino a Théodore de Bèze, da Bullinger a Filippo Melantone.

Fonti e Bibl.: La bibliografia su Vermigli è ampia. Tra le prime fonti biografiche, cfr. almeno J. Simler, Oratio de vita et obitu clarissimi viri et praestantissimi theologi D. Petri Martyris Vermilii, Tiguri 1563; T. Bèze, Icones, Genevae 1580. Per un quadro degli studi, si rimanda a The Italian Reformation of the sixteenth century and the diffusion of Renaissance culture: a bibliography of the secondary literature (ca. 1750-1997), a cura di J. Tedeschi, Modena 2000, nn. 3481-3599, e A companion to Peter Martyr Vermigli, cit., pp. 503-518. Oltre alle ormai classiche monografie di Ph. McNair, Peter Martyr in Italy: an anatomy of apostasy, Oxford 1967 (trad. it. Napoli 1971, dove si veda alle pp. 343-346 un elenco delle fonti manoscritte), e di R.M. Kingdon, The political thought of Peter Martyr Vermigli, Genève 1980, ci si limita qui a indicare una selezione di studi recenti: Peter Martyr Vermigli: humanism, republicanism, reformation, a cura di E. Campi, Genève 2002; Pietro Martire Vermigli (1499-1562). Umanista, riformatore, pastore. Atti del Convegno..., Padova 1999, a cura di A. Olivieri, Roma 2003; Peter Martyr Vermigli and the European reformations..., a cura di F. James, Leiden-Boston 2004; L. Baschera, Predestinazione, libertà e reprobatio in Bernardino Ochino e Pietro Martire Vermigli, in Bollettino della Società di studi valdesi, 2005, n. 197, pp. 3-22; J.C. McLelland, Peter Martyr’s Loci communes: a literary history, Montreal 2007; M.A. Overell, Italian reform and English reformations..., Aldershot 2008, ad ind.; J. Heung Kim, Scripturae et Patrum Testimoniis [...] in Peter Martyr Vermigli’s two eucharistic treatises..., Apeldoorn 2009; E. Campi, Giovanni Calvino e Pier Martire Vermigli, in Dimensioni e problemi della ricerca storica, 2010, n. 2, pp. 69-87; M. Baumann, Petrus Martyr Vermigli in Zürich..., Zürich 2011; E. Campi, Pietro Martire Vermigli, in Fratelli d’Italia..., a cura di M. Biagioni - M. Duni - L. Felici, Torino 2011, pp. 153-160; S. Rehman, Moral philosophy and moral theology in Vermigli, in Church and school in early modern protestantism, a cura di J. Ballor - D. Sytsma - J. Zuidema, Leiden-Boston 2013, pp. 199-221; E. Campi, Shifting patterns of reformed tradition, Göttingen 2014 (dove sono raccolti i contributi: John Calvin and Peter Martyr Vermigli. A reassessment [...] (2011), pp. 123-140; Peter Martyr Vermigli, commentator on Genesis (2009), pp. 187-205; The Preces Sacrae [...] (1999), pp. 207-223; Catholicity, schism, and heresy in the ecclesiology of Peter Martyr Vermigli (inedito), pp. 225-237); T. Kirby, Peter Martyr Vermigli’s Epistle to the Princess Elizabeth..., in Following Zwingli..., a cura di L. Baschera - B. Gordon - C. Moser, Farnham 2014, pp. 107-120; M. Biagioni, The radical reformation and the making of modern Europe..., Leiden-Boston 2017, pp. X, 30, 32, 34-40; From Rome to Zurich..., a cura di K.M. Comerford - G.W. Jenkins - W.J.T. Kirby, Leiden-Boston 2017 (in partic. T. Kirby, Cognition and action: conversion and “Virtue Ethics” in the Loci communes..., pp. 163-179; E. Campi, Was Peter Martyr a grandfather of the Heidelberg Catechism?..., pp. 180-198); A. Overell, Nicodemites [...] between Italy and Tudor England, Leiden-Boston 2019, ad indicem.

TAG

Arcivescovo di canterbury

Marcello virgilio adriani

Pietro martire vermigli

Celio secondo curione

Book of common prayer