CAPPONI, Piero

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 19 (1976)

CAPPONI, Piero

Michael Mallett

Nacque il 18 ag. 1446 da Gino di Neri di Gino e Maddalena di Raimondo Mannelli. Esperto come il padre negli affari, curò le fortune commerciali della famiglia negli ultimi anni del sec. XV. È rimasto tuttavia più famoso nella storia fiorentina per il ruolo da lui avuto nelle imprese militari della città in quel periodo e per lo scontro con Carlo VIII nel novembre del 1494. Sulle orme del bisnonno Gino e del nonno Neri il C. continuò quindi la tradizione familiare che assicurava un'efficace guida alla Repubblica.

Il C. era quasi coetaneo di Lorenzo de' Medici ed è uno dei problemi della sua carriera stabilire quali furono esattamente i suoi rapporti col Magnifico. Il 5luglio del 1466 sposò Nicolosa di Luigi Guicciardini, appartenente ad una delle principali famiglie filomedicee, che gli portò una dote di 1500 fiorini. Prese parte alla famosa giostra di Lorenzo del 1469 e non vi è dubbio che i due avessero molti interessi in comune. Nonostante l'affermazione di F. Guicciardini nel Reggimento secondo cui il C. sarebbe stato un illetterato, sembra probabile che la sua educazione fosse almeno in parte umanistica. Fu un appassionato patrono delle arti ed intrattenne amichevoli relazioni con molti dei principali letterati del tempo. È certo comunque che la sua educazione comportò l'acquisizione delle esperienze necessarie alla professione di mercante ed uomo d'affari cui il padre voleva avviarlo. Secondo una voce corrente quest'ultimo, avvertito da un astrologo che il figlio sarebbe morto per un colpo alla testa, avrebbe cercato di tenerlo lontano dagli interessi politici e militari dei suoi antenati. In realtà, se si tiene conto della dedizione di Gino agli affari e l'estensione delle imprese commerciali da lui create, non sembra necessario cercare ulteriori spiegazioni al suo desiderio di far seguire al figlio le proprie orme. Intorno al 1460 il principale banco della famiglia Capponi portava il nome di Piero di Gino Capponi e compagni, e il C. ne assunse la guida in giovane età. Nel 1476 era armatore di una delle galee mercantili fiorentine che commerciavano con la Sicilia e la Catalogna e s'interessava particolarmente ai progetti di estrazione dell'allume di Volterra e Campiglia. La sua fu una delle prime compagnie a ricercare l'allume nel Volterrano nel 1469-70 e nel febbraio del 1481 il C. ed Andrea Giugni s'impegnarono a fornire 250.000libbre di allume in tre anni all'arte della lana. Il contratto fu annullato su iniziativa del Giugni, ma nel 1484 il C. partecipava con Lorenzo de' Medici allo sfruttamento dell'allume di Campiglia. Insieme col fratello Neri, che dirigeva la filiale di Lione dell'azienda familiare, prese nel 1490 l'iniziativa di trasportare via mare l'allume in Inghilterra.

Fino alla guerra seguita alla congiura dei Pazzi il C. non ebbe un ruolo significativo nelle vicende politiche. Nell'ottobre 1478 Lorenzo de' Medici lo inviò come oratore a Lucca. Il compito affidatogli era quello di mettere in guardia i Lucchesi contro i pericoli delle attività svolte dagli esuli milanesi e genovesi in Lunigiana e soprattutto di tenere Lucca fuori della guerra. Ma a Lucca la sua vita fu messa in pericolo dalla folla che dimostrava contro le incursioni delle truppe fiorentine nel contado lucchese ed il C. dovette fuggire dalla porta posteriore del palazzo in cui risiedeva. Dopo aver lasciato Lucca nella primavera del 1479, rimase coinvolto negli avvenimenti bellici nella zona. Per un certo periodo fu commissario di guerra a Pisa ed in settembre fu nominato capitano delle Montagne Pistoiesi, ancora col compito di sorvegliare il confine tra il territorio fiorentino e la Lunigiana. La carica comportava anche il reclutamento ed il pagamento di truppe, nonché un'attenta sorveglianza sulle vicende politiche lucchesi. Il comandante in capo con cui collaborò era il condottiero Marco Pio da Carpi. Nal 1480 si trasferì a Pisa in qualità di castellano della Rocca Nuova.

Lorenzo doveva essere chiaramente soddisfatto del comportamento del C. in questo periodo se, allo scoppio della guerra di Ferrara, l'inviò a Napoli come oratore presso re Ferrante (aprile 1482). In un momento in cui a Firenze gli incarichi di ambasciatore venivano riservati ad un ristretto gruppo di espertissimi diplomatici (Guidantonio Vespucci, Pierfilippo Pandolfini, Bernardo Rucellai, Antonio Ridolfi, ecc.) la scelta del C. fu sorprendente e probabilmente dovuta allo stesso Lorenzo. In effetti il C. non diede prova di eccezionali capacità diplomatiche, dato il suo carattere troppo sincero e trasparente. Ma a Napoli c'era bisogno di una persona come lui, che riuscisse a far muovere rapidamente verso nord l'esercito napoletano al comando del duca di Calabria e forzasse re Ferrante a dare il suo atteso contributo ad una guerra che spesso dimostrava di gradire assai poco.

Il C. rimase a Napoli un anno prima di esser richiamato nell'aprile del 1483. Tornò a Firenze con una bella scuderia di cavalli napoletani e per qualche mese ricoprì cariche civiche. Sedette tra gli Otto di custodia e nel settembre-ottobre fu per l'unica volta priore. Nel 1485 fu uno dei consoli della Zecca, ma è significativo che in questo periodo non occupasse dei posti-chiave nel governo fiorentino. Non era infatti ancora membro del Consiglio dei settanta né sedette mai tra gli Otto di pratica o tra i funzionari del Monte. Si occupò soprattutto dell'esercito in qualità di commissario.

Nel dicembre 1484 si recò di nuovo a Pisa e a Livorno come commissario per la guerra contro Genova. Collaborò con gli esuli genovesi a riunire una flotta di galee catalane per attaccare Genova e, nonostante le difficili trattative con gli ammiragli catalani Requesens e Villamarina, egli riuscì ad organizzare la spedizione; ma una tempesta costrinse la flotta a tornare a Livorno.

Prima che potessero essere tentate altre mosse gli avvenimenti dello Stato pontificio e del Regno richiamarono a sud l'attenzione di Firenze. Negli ultimi mesi del 1485 l'esercito della lega, guidato dal duca di Calabria, era stato messo malamente fuori causa, insieme con gli Orsini, a nord di Roma dall'esercito pontificio al comando di Roberto da Sanseverino. Alfonso duca di Calabria si era rifugiato a Montepulciano ed aveva chiesto aiuto a Firenze e Milano. Il C. lo raggiunse il 21 genn. 1486 con alcuni rinforzi fiorentini. Era l'inizio dei sei mesi più duri ma forse più ricchi di soddisfazioni della vita del Capponi. Nella sua qualità di commissario doveva pagare le truppe fiorentine, sovvenzionare il duca e soprattutto consigliarlo politicamente e spingerlo all'azione. Il territorio della Toscana meridionale non si prestava ad operazioni militari ed il tempo era pessimo. Alfonso non era propenso a correre rischi di fronte ad un generale esperto come il Sanseverino, e tuttavia doveva affrettarsi a riunirsi agli Orsini, rimasti isolati a Bracciano, se non voleva vederli passare dalla parte del pontefice. Il C. e i comandanti milanesi, particolarmente Giangiacomo Trivulzio, alternando lusinghe e minacce, riuscirono a convincere il duca a mettersi in moto. In marzo l'esercito era a Pitigliano ed il 7 maggio Roberto di Sanseverino fu colto in una posizione svantaggiosa a Montorio. In un rapido quanto decisivo scontro, descritto dal C. con toni vivaci ed ovviamente entusiasti, le forze papali furono sconfitte e la campagna si trasformò in una passeggiata. Per tutta l'estate il C. rimase con l'esercito, giungendo quasi fino alle mura di Roma e, una volta firmata la pace, tallonando il Sanseverino e le sue truppe fino al confine dello Stato pontificio.

In questi avvenimenti il C. si dimostrò perfettamente a suo agio: apprezzava evidentemente molti aspetti pratici della vita militare. Capace amministratore, scrisse anche rapporti dettagliati e coloriti. Nonostante i frequenti litigi si guadagnò il profondo rispetto di Alfonso, che così scrisse di lui a Lorenzo: "...ancora che tra ipso et nui siano state alcune parolecte per le facende occorrevano, pur rendimo questo testimonio, et con verità, che in tucte le cose et occorrentie de la impresa... se è portato con quella sagacità, prudentia et integrità, che lo bisogno ha ricercato" (Pontieri, p. 233). Quando finalmente in settembre il C. lasciò il campo, Alfonso gli regalò due pregevoli cavalli da guerra.

Subito dopo il ritorno dallo Stato pontificio il C. fu di nuovo commissario, questa volta per la guerra di Sarzana. Si occupò, a Livorno nel 1487, del settore navale dell'impresa; il suo biografo Acciaiuoli ci informa che dopo la presa della città nel giugno 1487 sovrintese alla ricostruzione delle fortificazioni di Sarzana. Le fonti ufficiali non menzionano tuttavia questo particolare.

Dal 1487 al 1493 il C. condusse una vita tranquilla. Passò la maggior parte del tempo a Firenze, occupandosi probabilmente soprattutto di affari. Nel 1490 fu capitano di Cortona e nel 1492 podestà di Greve. Nel novembre del 1493 divenne gonfaloniere di giustizia. Subito dopo questa carica egli ricoprì quella di vicario di Valdarno inferiore. Nel frattempo era morto Lorenzo de' Medici. È difficile accertare quanto stretta fosse stata la collaborazione tra questo e il Capponi. Certamente Lorenzo tenne in gran rispetto certe sue qualità e ne fece anche buon uso, ma non ammise il C. nella cerchia dei suoi più stretti consiglieri. Evidentemente rimaneva tra le due famiglie una certa rivalità che rendeva difficile una totale fiducia. Non vi è comunque nessun motivo di supporre, come alcuni hanno pensato, che il C. abbia sempre segretamente avversato i Medici. Ciò che fece del C., e anche di molti altri autorevoli uomini politici fiorentini, un nemico dei Medici fu il comportamento di Piero di Lorenzo de' Medici.

Il giovane Piero infatti non solo si comportò in maniera sempre più arbitraria al fine di monopolizzare il potere a Firenze, ma diede anche l'impressione di condurre la Repubblica al disastro con una mal concepita politica estera. All'inizio del 1494 si approssimò la minaccia di un'invasione francese, diretta soprattutto contro Napoli, ma i cui effetti si sarebbero fatti sentire anche nei confronti degli altri Stati italiani. Nonostante la tradizionale alleanza con la Francia ed i forti interessi commerciali che legavano Firenze a quel paese, Piero si mantenne ostinatamente fedele all'alleanza napoletana che aveva ereditato dal padre. Nell'aprile 1494 egli cercò in qualche modo di ridurre i pericoli di questa politica mandando ambasciatori in Francia per spiegare il dilemma di Firenze a Carlo VIII e scoprire le esatte intenzioni del re di Francia.

Gli ambasciatori furono Guidantonio Vespucci, uno dei più esperti diplomatici fiorentini che era già stato ambasciatore in Francia, ed il Capponi. Quest'ultimo fu mandato probabilmente a causa della sua grande autorevolezza e del suo prestigio, ed anche perché la sua banca occupava un posto importante tra le aziende fiorentine operanti in Francia. L'ambasceria passò per Milano nel corso del viaggio verso la Francia e giunse alla corte francese alla fine di aprile. Gli ambasciatori furono accolti con freddezza da Carlo VIII e compresero subito che non sarebbero riusciti a stornare l'invasione se non avessero ottenuto il permesso di trattare con i Francesi. Chiesero quindi a Piero e alla Signoria che ai Francesi venisse offerto almeno il libero transito attraverso il territorio fiorentino. Descrissero anche dettagliatamente i temibili preparativi bellici francesi, ma senza ottenere l'effetto voluto: Piero rimase ostinatamente ancorato alla sua decisione e in giugno diede loro finalmente il permesso di tornare. Il Commyries riferisce che il C. stava già tramando contro Piero de' Medici e che aveva consigliato Carlo VIII di espellere dalla Francia tutti i mercanti fiorentini allo scopo di far sollevare contro i Medici i cittadini più influenti di Firenze. Lo stesso C. negò con vigore ogni accusa di tradimento in questo momento, ma non è impossibile che egli avesse già concluso che l'unica salvezza per Firenze consistesse nel liberarsi di Piero.

Alla fine di ottobre il pericolo per Firenze si fece ancora più incombente: l'esercito francese si stava avvicinando al confine e Piero de' Medici partì in segreto per negoziare privatamente con Carlo VIII. La notizia che egli aveva consegnato all'invasore, senza sparare un colpo, le maggiori fortezze fiorentine, compresa Pisa, suscitò la generale indignazione. Alla seduta del 4 novembre del Consiglio dei settanta il C. prese le redini dell'opposizione affermando, che era "ora di uscire da quel governo di fanciulli". È verosimile che, più che i precedenti errori ed il comportamento arbitrario di Piero, sia stata l'umiliante resa finale ed offendere lo spirito militare del Capponi. Da questo momento in poi egli fu implacabile nemico dei Medici e figurò tra i protagonisti della rivoluzione che doveva seguire.

Su suggerimento del C. fu inviata a Carlo VIII una nuova ambasceria, di cui facevano parte lo stesso C. e, sempre dietro suo consiglio, il Savonarola. I rapporti del C. col frate e l'atteggiamento da lui tenuto nei suoi confronti restano poco chiari, ma certamente in questa fase il C. riconosceva il prestigio del Savonarola in città e la sua potenziale utilità nelle trattative con Carlo VIII. L'ambasceria incontrò Carlo a Pisa, ma ottenne poco. Piero, subito dopo il ritorno a Firenze, fu privato del potere, ed il C., sebbene non fosse in effetti presente in quel momento, al suo ritorno da Pisa apparve tra i capi della rivolta. Egli fu uno dei venti accoppiatori eletti per nominare i funzionari ad interim.

Carlo VIII entrò con l'esercito a Firenze il 17 nov. dopo aver passato, a quanto si dice, la notte precedente nella villa del C. a Legnaia. Dopo due ambascerie il C. era già ben noto al re, e di questo fatto bisogna tener conto per gli avvenimenti che seguirono. Egli fu tra i quattro fiorentini scelti per negoziare i termini dell'accordo conclusivo, e a questo punto ebbe luogo lo scontro rimasto tra gli episodi più famosi e popolari della storia fiorentina. I negoziatori fiorentini si trovarono di fronte a una serie di richieste estremamente pesanti da parte dei Francesi e fuproprio il C., a rompere le trattative dichiarando la determinazione di Firenze a resistere con la famosa sfida: "Poiché si domandano cose disoneste, voi sonerete le vostre trombe, e noi soneremo le nostre campane". Carlo, il quale non era disposto a rischiare una battaglia per le strade di Firenze, cedette: l'accordo fu raggiunto e i Francesi ripartirono in direzione di Napoli. Il C. fu l'eroe del momento, ma si può dubitare che agisse esclusivamente di sua iniziativa. Era infatti evidente che Firenze era pronta a resistere se necessario.

Partiti i Francesi, Firenze poté darsi un governo senza i Medici. Lo scopo immediato degli ottimati che avevano guidato la rivolta era il ritorno alla costituzione anteriore al 1434, che avrebbe consentito loro di monopolizzare il potere. Ma la volontà diffusa, e appoggiata dal Savonarola, di rendere più aperto il governo, li convinse della necessità di alcune radicali riforme. Nelle discussioni che ebbero luogo in dicembre il C. cercò di limitare queste riforme: si oppose ad un eccessivo allargamento del Consiglio Maggiore e sostenne l'opportunità, di rimandare la decisione relativa a una Signoria nominata per elezione. In seguito, in una famosa lettera scritta a Francesco Valori, egli espresse così la sua filosofia politica: "Io mi persuado che in Firenze non si possi governare se di consenso del popolo, non per legge, ma per sua tacita concessione, XXV o XXX uomini da bene, postposta ogni loro privata passione, ambizione e avarizia, non pigliono la cura d'attendere a quella povera città" (Acciaiuoli, pp. 59 s.). Ma l'opposizione contro simili atteggiamenti oligarchici stava crescendo e, una volta istituito il Consiglio Maggiore ed entrata in vigore la nuova costituzione, il C. dovette arrendersi. Nonostante l'iniziale impressione provocatagli dal Savonarola, il C. non può essere in alcun modo definito un piagnone. Egli non credeva negli ideali più o meno popolari della nuova costituzione ed appena ebbe inizio il dissidio tra il Savonarola ed il papa, fu tra i primi a ritenere che l'economia della città era più importante del benessere spirituale di Firenze, e che Roma doveva essere placata. Negli ultimi mesi della sua vita comunque non ebbe un ruolo importante nelle vicende politiche interne di Firenze.

Nel giugno 1495 fu nominato dalla nuova Repubblica capitano di Volterra, ma il problema che più lo interessava e che per natura era maggiormente atto ad affrontare era la riconquista di Pisa. Nell'agosto del 1495 fu inviato ad Asti presso Carlo VIII per fargli mantenere la promessa di restituire Pisa. Il re si disse d'accordo ed impartì le necessarie istruzioni, ma questa volta furono i Pisani a rifiutare di tornare sotto il dominio di Firenze: era l'inizio della lunga guerra di Pisa. Negli ultimi mesi di vita il C. fu ancora una volta commissario di guerra. Fu presente alla presa di Vaiana distinguendosi per coraggio, ma, mentre dirigeva il piazzamento dell'artiglieria per il bombardamento di Soiano, fu colpito alla testa da un colpo d'archibugio: "fine, per la ignobiltà del luogo e per la piccola importanza della cosa, non conveniente alle sue virtù" (Guicciardini, Storia d'Italia, I, p. 261). Morì il 21 sett. 1496 ed ebbe l'onore di un funerale di Stato in S. Spirito a Firenze.

Del C. il Guicciardini scrisse che era stato "uomo valentissimo, ed el quale fu di grandissimo ingegno, discorso e lingua, ma un poco vario e non molto fermo nelle deliberazioni sue" (Storiefiorentine, p.126). Questo giudizio coglie l'ingannevole instabilità che impedì al C. di occupare un posto più importante nelle vicende politiche fiorentine. Egli possedeva qualità specifiche di guida preziose per Firenze in certi momenti, ma non riuscì ad ottenere il costante appoggio né degli ottimati né del popolo, presso cui anzi cadde in disgrazia a causa della sua opposizione alla costituzione del 1494.

Sua moglie Nicolosa gli sopravvisse, morendo il 25 apr. 1530. Dei suoi otto figli Niccolò doveva occupare un ruolo ancora più importante di quello del padre come gonfaloniere durante l'ultima Repubblica, Giuliano divenne l'uomo d'affari della famiglia e Gino acquistò una certa notorietà come acceso fautore dei Medici. Le figlie sposarono membri delle principali famiglie fiorentine: Maddalena sposò Francesco Vettori, figlio del grande amico del C. Piero Vettori, e Camilla Lorenzo Segni (da quest'ultima unione nacque lo storico Bernardo).

Fonti e Bibl.: Una notevole fonte inedita per gli avvenimenti domestici dei primi anni di vita del C. è costituita dalle "Ricordanze di Piero Capponi, 1466-75", conservate a Firenze, Bibl. nazionale, Carte Ginori Conti, 18.Per molte lettere del C. v.: Archivio di Stato di Firenze, Signoria, Otto e Dieci, Legazioni e commissarie, 14 (lettere del 1479 da Lucca); Dieci di Balia, responsive, 33 e 36 (lettere del 1486); Archivio Mediceo avanti il Principato (cfr. Inventario, Roma 1951-1963, ad Indices:lettere del 1479, 1483, 1486 e 1494). Gli appunti del C. sulle riforme del 1494 si trovano nell'Arch. di Stato di Firenze, Carte Strozziane II, 95, nn. 12 e 19. Due importanti cronache manoscritte descrivono gli avvenimenti del 1494 in cui il C. ebbe una parte così importante. Si tratta delle cronache di B. Cerretani, Storia fiorentina, conservata a Firenze, Bibl. nazionale, II, III, 74, ff. 191 ss., e P. Parenti, Storia fiorentina, ibid., II, IV, 169, ff. 188 ss. Alcune parti della cronaca del Parenti sono state pubblicate da J. Schnitzer, Quellen und Forschungen zur Geschichte Savonarolas, Leipzig 1910, IV, ed un'edizione dell'intera opera è in corso di preparazione a cura di G. Pampaloni.

Cfr. inoltre: G. Cambi, Istorie fiorentine, in Delizie degli eruditi toscani, XXI (1785), pp. 23, 76, 84, 97; Capitoli fatti dalla città di Firenze col re Carlo VIII (1494), a cura di G. Capponi, in Arch. stor. ital., I(1842), t. I. pp. 348-75; N. Machiavelli, Opere minori a cura di F. L. Polidori, Firenze 1852, p. 122; Id., Istorie fiorentine, a cura di F. Gaeta, Milano 1962, p. 534; V. Acciaiuoli, Vita di P. di Gino C., a cura di G. Aiazzi, in Arch. stor. ital., s. 1, IV (1853), 2, pp. 1-71; Négociations diplomatiques de la France avec la Toscane, a cura di G. Canestrini-A. Desjardins, I, Paris 1859, ad Indicem;F. de' Nerli, Commentari dei fatti civili occorsi dentro la città di Firenze dall'anno 1215 al 1537, I, Trieste 1859, p. 104; Ph. de Commynes, Mémoires, a cura di B. de Mandrot, Paris 1901-03, I. VII, cap. 6; L. Landucci, Dialogo fiorentino, a cura di I. del Badia, Firenze 1883, pp. 78, 80-85; B. Masi, Ricordanze, a cura di G. Corazzini, Firenze 1906, pp. 26 s.; F. Guicciardini, Storia d'Italia, a cura di C. Panigada, I, Bari 1930, pp. 94 s., 261; Id., Storie fiorentine, a cura di R. Palmarocchi, Bari 1931, ad Indicem;Id., Dialogo e discorsi del reggimento di Firenze, a cura di R. Palmarocchi, Bari 1932, ad Indicem; E. Pontieri, La dinastia aragonese di Napoli e la casa de' Medici di Firenze (Dal carteggio familiare), in Arch. stor. per le prov. napoletane, n. s., XXVII (1941), p. 233. V. inoltre: S. Ammirato, Istorie fiorentine, Firenze 1641-47, III, ad Ind.;C.Guasti, Delle relaz. diplom. fra la Toscana e la Francia, in Arch. stor. ital., n. s., XIV (1861), p. 43; G. Capponi, Storia della Repubblica di Firenze, II, Firenze 1875, ad Indicem;F.-T. Perrens, Histoire de Florence depuis la domination des Medici jusqu'à la chute de la républíque, Paris 1888-90, ad Indicem; P.Villari, N. Machiavelli e i suoi tempi, I, Milano 1895, pp. 253 s., 264; A. Anzilotti, La crisi costituzionale della Repubblica fiorentina, Firenze 1912, pp. 39-41; P. Villari, La storia di G. Savonarola e i suoi tempi, Firenze 1930, ad Indicem, ma particolarmente I, pp. 249 s.; R. Palmarocchi, La politica ital. di Lorenzo de' Medici, Firenze 1933, ad Indicem;E.Fiumi, L'impresa di Lorenzo de' Medici contro Volterra, Firenze 1948, pp. 34, 165; R. Ridolfi, Vita di G. Savonarola, I, Roma 1952, pp. 123, 130, 134; N. Rubinstein, Iprimi anni del Consiglio Maggiore aFirenze, in Arch. stor. ital., CXII(1954), pp. 155, 160, 223; Id., Politics and constitution in Florenceat the end of the Fifteenth century, in Italian Renaissance Studies, a cura di E. F. Jacob, London 1961, pp. 153, 160; R. Goldthwaite, PrivateWealth in Renaissance Florence, Princeton 1968, pp. 204 ss.; F. W. Kent, Ottimati Families inFlorentine Politics and Society, 1427-1530, università di Londra, tesi di laurea, anno acc. 1971, pp. 463, 526-534, 543.

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