GIUSTINIANI, Pier Candiano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 57 (2001)

GIUSTINIANI, Pier Candiano

Andrea Locatelli

Nacque il 30 maggio 1900 a San Miniato, cittadina situata tra Pisa e Firenze, da Aldo e da Eugenia Zagaglia.

Laureatosi in ingegneria presso il Politecnico di Napoli, dopo una breve esperienza nella Società meridionale di elettricità (SME), entrò nel 1924 alla Società chimica Montecatini - alle cui vicende fu strettamente legata tutta la sua carriera - partecipando a importanti progetti tecnici (procedimenti Montecatini-Fauser per la produzione dell'azoto) e, nel contempo, occupandosi di questioni organizzative. Dopo solo cinque anni, nel 1930, l'apprezzamento generale per le sue capacità professionali ne favorì la nomina a procuratore e a segretario del presidente G. Donegani, alla cui scuola si formò, come tutto il vertice dell'azienda destinato a guidarla dopo la seconda guerra mondiale.

Nel 1933 divenne condirettore tecnico e nel 1935 condirettore centrale. Nel 1936 fu nominato direttore generale delle Aziende chimiche nazionali associate (ACNA), comparto della Montecatini, acquisito nel 1931 e impegnato nella produzione di coloranti; passando poi, nel 1940, sempre come direttore generale, ad altre società controllate: Farmitalia e Società dinamite Nobel.

Tornato alla Montecatini nel 1941 come direttore centrale, quando, il 31 dic. 1941, dopo cinquant'anni, il direttore generale G. Galletti lasciò l'incarico, il G. gli subentrò, assumendo la responsabilità della gestione aziendale insieme con A. Cucchini, C. Faina e D.F. Rebua. In particolare la coppia Faina - G. ebbe il compito di delineare gli indirizzi generali.

Finita la guerra, nel 1945 Donegani fu allontanato dalla presidenza perché compromesso con il regime fascista. Ma anche il G. e il Cucchini, furono colpiti da provvedimenti di epurazione, anche per la forte pressione esercitata dal movimento dei consigli di gestione.

Il G., dopo una breve esperienza alla Terni, nel 1949 rientrò alla Montecatini come amministratore delegato, in un momento in cui si doveva definire la nuova linea aziendale, nello specifico riconquistare quote di mercato per i concimi fosfatici, gli azotati e quelli complessi, che richiedevano una tecnologia più evoluta.

La stentata ripresa dell'agricoltura italiana non favoriva la Montecatini nella commercializzazione dei suoi concimi ma un aiuto arrivò dalla politica economica del governo che, dal 1948, prese a promuovere una legislazione di supporto. In particolare, i ministri dell'Agricoltura A. Segni e A. Fanfani, succedutisi dal 1946 al 1953, vararono un insieme assai ampio di provvedimenti a favore delle imprese agricole e dei consorzi agrari, alimentando la domanda di prodotti per l'agricoltura fra i quali i concimi chimici; inoltre i prezzi dei fertilizzanti, stabiliti dal Comitato interministeriale prezzi (CIP), garantivano una buona remunerazione alle imprese produttrici.

Soddisfazioni anche maggiori, sull'onda della buona affermazione dei manufatti tessili, dettero i prodotti chimici per l'industria, pur trattandosi di una congiuntura fondata essenzialmente sulla momentanea assenza dell'industria tedesca. Infatti il G., dopo gli accordi di Annecy del 1949, dovette confrontarsi con la graduale rinnovata presenza sui mercati esteri delle imprese tedesche, da sempre all'avanguardia nel settore chimico; insieme con lui tutta la dirigenza della Montecatini individuò come unica strategia la richiesta di interventi protezionistici da parte del governo.

La chimica organica derivata dagli idrocarburi, quali il petrolio e il metano, si dimostrò, nel dopoguerra, un'altra opportunità produttiva di rilievo. Questa nuova prospettiva implicava, però, in vario modo, la risoluzione di nodi economici e legislativi nei quali era ampiamente coinvolto il settore pubblico. In particolare, i rapporti con lo Stato si articolarono intorno alla funzione e all'assetto giuridico dell'Azienda nazionale idrogenazione combustibili (ANIC), e sui problemi relativi ai diritti di prospezione e coltivazione degli idrocarburi in Italia.

L'ANIC era stata costituita a Roma il 17 febbr. 1936 con un capitale sociale suddiviso tra la Montecatini e due aziende pubbliche: l'Azienda generale italiana petroli (AGIP) e l'Azienda italiana petroli Albania (AIPA); suo compito era la gestione delle raffinerie di Bari e Livorno, che lavoravano oli minerali albanesi, balcanici e mediorientali mediante la raffinazione chimica e l'idrogenazione, al fine di produrre gas liquefatti e oli lubrificanti per il mercato interno. Nel dopoguerra l'ANIC rappresentava, in teoria, per la Montecatini una buona occasione nel campo della chimica organica, consentendo, contemporaneamente, di evitare che nella stessa impresa fossero avviati progetti in concorrenza per la maturazione del ciclo ammoniacale-fertilizzanti azotati, dove la Montecatini godeva di una posizione dominante. Il G. era ben consapevole dei due fattori aziendali concorrenti nell'operazione: la Edison, che intendeva impiegare le proprie rendite elettriche nel settore chimico, e, ancor più, l'AGIP di E. Mattei che, tramite l'ANIC, intendeva sia bloccare l'ingresso in Italia del colosso americano Standard Oil, sia crearsi le basi industriali per lo sfruttamento degli idrocarburi nella prospettiva di utilizzare i giacimenti della Valpadana.

Parimenti, gli interessi della Montecatini e dell'AGIP erano destinati a entrare in rotta di collisione sul fronte delle concessioni per la prospezione e lo sfruttamento dei giacimenti metaniferi, laddove la materia era regolata dalla legge mineraria del 1927, ritenuta poco applicabile alla ricerca degli idrocarburi e la cui revisione era richiesta da tutti gli interessati. Per evitare il pericolo che l'eventuale nuova legge si trasformasse nella legittimazione di un monopolio pubblico, il G. si fece promotore di un gruppo di pressione sul mondo politico, costituito dai maggiori imprenditori privati, a favore di un testo di legge, predisposto dal ministro dell'Industria del quinto governo De Gasperi, I.M. Lombardo (1949), che lasciava ampi spazi alla libera iniziativa.

L'attività dell'ANIC fu, comunque, il terreno precipuo dello scontro, cui parteciparono tutti i più diretti interessati: AGIP, Edison e Montecatini; nell'estate 1950, il G. si oppose all'acquisizione della Bianchi e dell'ACNA da parte dell'ANIC e, nel marzo 1951, al progetto di un grande stabilimento per la produzione di azoto e fertilizzanti azotati al quale avrebbero dovuto partecipare, insieme con l'ANIC, l'AGIP, la Federconsorzi e, forse, la Edison. Questo gruppo di aziende aveva, sulla carta, un congruo capitale finanziario mentre la Montecatini non poteva, al momento, impegnarsi in nuovi investimenti, dopo gli sforzi compiuti per gli impianti idroelettrici dei laghi Resia e nell'acquisizione di stabilimenti a Terni, Novara e Ferrara, fortemente voluti proprio dal Giustiniani. In quella circostanza la contromossa dell'AGIP fu l'invito a partecipare alla realizzazione dell'impianto che doveva essere messo in opera dall'ANIC a Ravenna, e che era stato approvato anche da alcuni dirigenti della Montecatini, come G. Fauser e L. Morandi, mentre il G. e Faina si dimostravano nettamente contrari.

Questi specifici sviluppi della strategia aziendale furono visti, in seguito, come il momento iniziale di una fase discendente della Montecatini, destinata a concludersi con la drammatica crisi dei primi anni Sessanta e con la fusione con la Edison; in particolare, furono imputate alla dirigenza Montecatini di quegli anni, di cui il G. fu magna pars, l'illusione di un ripensamento da parte degli altri concorrenti e un'eccessiva fiducia nell'autonomia tecnologica dell'azienda.

Si arrivò, sul momento, a un patto con l'AGIP, laddove più tardi (1955) il nuovo Ente nazionale idrocarburi (ENI), costituito nel 1953, realizzò da solo lo stabilimento di azotati e elastomeri a Ravenna, mentre l'Edison entrò nel settore con un proprio impianto. Inoltre le tecnologie autonomamente sperimentate dalla Montecatini a Ferrara, e più tardi, all'inizio degli anni Sessanta, a Brindisi, si rivelarono molto meno affidabili, mentre la conclusione dello scontro sull'ANIC portò, in definitiva, quest'ultima nell'orbita dell'AGIP.

Di fatto, le scelte di Faina e del G. rispecchiavano la mentalità di un'epoca passata, quando la presenza dello Stato nel sistema delle imprese non aveva costituito un fattore di turbativa. Viceversa, la tipologia dell'imprenditore pubblico, quale si andava configurando con uomini come Mattei, presentava connotati nuovi: meno rispetto delle posizioni acquisite dall'impresa privata e, in più, una forte autonomia operativa rispetto ai pur importanti referenti politici.

Contemporaneamente in campo finanziario, nei primi anni della ricostruzione, le ampie disponibilità di riserve, la ripresa tempestiva dell'autofinanziamento, la raccolta di capitali sul mercato non spinsero i dirigenti della Montecatini, e per primo il G., a richiedere l'approvazione di leggi che agevolassero il credito. Tanto più che, all'epoca, le aspre polemiche su eventuali nazionalizzazioni avevano aperto un fossato tra l'azienda e gli ambienti politici, per cui i vertici dell'impresa si preoccupavano per ogni operazione che potesse rendere più stretti i vincoli della Montecatini con lo Stato. Con il 1950 i rapporti con Roma cambiarono sulla base di un piano di investimenti, predisposto dal G., che prevedeva l'emissione di un prestito obbligazionario curato da Mediobanca, con la quale ebbe inizio una stretta collaborazione destinata a durare per anni.

L'azienda, per il suo sviluppo, puntava, in definitiva, su processi di produzione originali in campi come la petrolchimica, le materie plastiche, le fibre sintetiche e i fertilizzanti complessi, mentre si prevedeva un credito agevolato in dollari e sterline per acquisire macchinari all'estero. Il G. impegnava poi la Montecatini nella realizzazione di impianti industriali nel Mezzogiorno, avvalendosi dei benefici legislativi che erano stati introdotti.

Negli anni in cui il G. condivise la responsabilità della gestione del gruppo milanese la Montecatini contestò, quindi, l'attribuzione esclusiva all'AGIP dei giacimenti di metano in Valpadana e poi in tutta Italia; per difendersi dalla posizione dominante assunta dall'ente di Stato, il G. pensò di rilevare alcune piccole aziende produttrici di metano nelle province di Padova e Rovigo; ma il progetto venne accantonato per l'incertezza della politica governativa. Nel 1953, a questo riguardo, tutto si risolse con la nascita dell'ENI, mentre per la riforma della legge mineraria passarono ancora alcuni anni, durante i quali la Montecatini continuò senza esiti le ricerche di nuovi giacimenti nell'Italia centrale e in Sicilia, finendo per abbandonare una via autonoma e stipulare convenienti accordi con la stessa AGIP per la zona della Valpadana.

Sul piano dell'organizzazione interna dell'azienda, il G. spinse perché fosse rivalutato il ruolo decisionale del comitato direttivo quale organo ristretto, interprete della volontà del consiglio d'amministrazione, realizzando la concentrazione delle fondamentali funzioni di gestione nelle mani di pochi uomini: il presidente G. Mazzini, i due vicepresidenti Fauser e Morandi, gli amministrastori delegati, Faina e lo stesso G., i consiglieri T. Boeri, Rebua, e F. Guarneri unitamente ai sindaci L. Adamoli ed E. Fiorini.

Con ciò, secondo la lezione che era stata già di Donegani, si mirava a ottenere, nella Montecatini, una struttura decisionale accentuatamente centralizzata, sebbene tale configurazione non risultasse, poi, la più confacente all'elevata diversificazione produttiva.

Le ragioni industriali che spinsero verso un'organizzazione verticistica vanno cercate anche nei tempi e nei modi d'ingresso nella chimica del fattore petrolio - come accennato in precedenza, per le vicende collegate all'ANIC -, in un quadro economico che per la prima volta, dagli anni Venti, non vedeva l'azienda operare in una sicura posizione di dominanza.

La novità tecnologica all'origine dei nuovi sviluppi era il cracking, ovvero un processo che otteneva dal petrolio percentuali elevate di sottoprodotti gassosi, ricchi di idrocarburi molto utili per produrre materie plastiche, fibre sintetiche e vernici. Inoltre, la sintesi dell'ammoniaca dal metano apriva una strada fino allora sconosciuta, ed economica, per la produzione di concimi azotati rispetto ai processi di sintesi idrogeno-azoto adottati tra le due guerre in Europa.

La Montecatini già negli anni Quaranta, aveva intrapreso la strada della chimica derivata dagli idrocarburi con la gestione degli stabilimenti della Società gomma sintetica - controllata dall'Istituto per la ricostruzione industriale (IRI) e dalla Pirelli - localizzati a Terni e Ferrara. Dal 1952 il G. e Faina decisero di riorganizzarli: il primo per la produzione di cloruro di polivinile e il secondo per i fertilizzanti azotati, il polistirolo e altre materie plastiche. Un anno dopo il G. curò la realizzazione del metanodotto Bologna-Ferrara e il primo impianto di cracking superava, tre anni dopo, la fase di sperimentazione. Nel frattempo il comitato direttivo decideva di avviare la produzione di fertilizzanti composti sulla base di una domanda crescente in agricoltura peraltro in un regime di concorrenza accentuata.

Nel 1953 si era verificata, però, una riduzione del 2% del fatturato globale dell'azienda, rispetto all'anno precedente, che indusse ad avviare una revisione di strategia maturata, tra non pochi contrasti, solo nella seconda metà del decennio.

Le ragioni del rallentamento furono individuate nella necessità di ridimensionare alcune produzioni obsolete e negli effetti negativi, dal punto di vista dell'azienda, della politica di liberalizzazione degli scambi avviata tra il 1951 e il 1952 dal ministro del Commercio con l'estero U. La Malfa. Sebbene sopravvalutato dal gruppo dirigente della Montecatini, l'impatto negativo delle scelte commerciali nazionali segnalava l'urgenza, non pienamente compresa, di accelerare l'abbandono dei settori produttivi marginali per orientarsi verso una verticalizzazione dei cicli e lo sfruttamento di eventuali economie di scala. Si puntò piuttosto su un'indistinta riduzione delle spese, facendo affidamento sulla tradizionale posizione di netto predominio nel campo dei concimi fosfatici e azotati.

Di fatto, nella complessiva politica di assestamento degli investimenti attuata sotto la responsabilità del G., l'azienda operò unicamente a sviluppare il comparto delle fibre sintetiche, sottovalutando, invece, per quanto riguardava i concimi azotati, i programmi di ENI ed Edison.

Circa quest'ultima linea produttiva la Montecatini rimase ferma all'unità di Ferrara, peraltro di dimensioni ridotte rispetto alle concorrenti, con una tecnologia interna basata sui propri brevetti, in contrapposizione alle più efficaci tecnologie statunitensi in uso presso gli stabilimenti di ENI ed Edison, le quali portarono a un crollo dei prezzi rendendo obsoleti gli interventi del CIP e causando gravi perdite alla Montecatini. In questa contingenza, il gruppo dirigente dell'azienda per arginare la tendenza non riuscì a opporre misure tempestive ed efficaci se non una più accentuata pressione sul governo, la quale, tuttavia, non ebbe effetti sostanzialmente positivi, per il permanere di una reciproca diffidenza.

Nel 1955 Faina, in sintonia con il G., spinse l'azienda verso il pieno utilizzo del proprio patrimonio tecnologico, costituito grazie agli studi di Fauser e poi di G. Natta, con l'apertura di un impianto per la produzione di cloruro di polivinile, la Novamont, negli Stati Uniti.

L'opzione americana era legata alla prospettiva di far quotare il titolo alla borsa di Nuova York, e alla valutazione positiva circa la domanda straniera per i brevetti Montecatini; tuttavia l'ambizioso progetto trovò oppositori anche all'interno della Montecatini, primo fra tutti il presidente Mazzini, e la sua attuazione ebbe vita travagliata.

L'abbandono della piazza newyorkese, all'inizio degli anni Sessanta, mise in luce uno stato di sofferenza dei conti aziendali generato dalla faticosa ricerca di un equilibrio tra l'urgenza di acquisire fondi per le nuove iniziative industriali e l'altrettanto impellente necessità di non ridurre oltremodo la redditività, appesantita sia dai crescenti costi per l'ingente dispersione produttiva sia dal numero eccessivo di impianti tecnologici superati e sottodimensionati.

Il G. fu il primo responsabile delle scelte produttive compiute nel tentativo di rilanciare la società e, nel settembre 1958, sua fu la firma del piano industriale incentrato su tre comparti produttivi: le materie plastiche - attraverso lo sfruttamento del moplen derivato dagli studi di G. Natta sui polimeri -, le fibre sintetiche e l'incremento della produzione degli elastomeri. Il piano prevedeva la creazione di un grande stabilimento petrolchimico a Brindisi, dove allocare diversi impianti di cracking e, in seguito, avviare su vasta scala la produzione di elastomeri. L'investimento necessario fu dapprima stimato in 40 miliardi (30 dei quali coperti con l'emissione di un prestito obbligazionario), diventati in poco tempo 90, per poi raggiungere quota 100.

Il piano, però, si fondava su previsioni errate sia a livello tecnico sia a livello industriale, e non solo per erronee prospezioni commerciali, comportando alla fine un aggravio dell'indebitamento. In attesa, poi, dell'avvio di Brindisi si continuarono gli investimenti su Ferrara, in una sorta di perenne rincorsa per recuperare un ritardo tecnico-organizzativo che aveva origini lontane; a ciò si aggiungeva una politica commerciale inadeguata che non prevedeva le necessarie campagne promozionali.

Ulteriori richieste di finanziamento, per sostenere la fase sperimentale dello stabilimento di Brindisi, portarono a una crisi all'interno del gruppo dirigente della Montecatini. Nella primavera 1962 il consiglio d'amministrazione chiese una sospensione alla politica di investimento provocando le dimissioni del G., che lasciò la Montecatini nel 1963.

In seguito, il G. fu nominato presidente del Comitato economico e sociale del Mercato comune europeo (MEC).

In quella sede promosse l'adozione di piani di sostegno per lo sviluppo della grande impresa con produzioni ad alto contenuto tecnologico; riteneva infatti che solo un adeguato sviluppo di holding industriali europee potesse reggere la concorrenza con la potenza economica degli Stati Uniti. Sempre in questa veste promosse studi mirati a favorire, nell'ambito della Comunità, la circolazione di capitali che garantissero gli ingenti investimenti necessari all'innovazione tecnologica e, precorrendo i tempi, pose la questione di un'armonizzazione fra i regimi fiscali dei vari paesi aderenti.

Il G. fu anche membro del comitato permanente per i problemi del Mezzogiorno e delle Isole presso la Confederazione generale dell'industria italiana (Confindustria) e amministratore delegato di società belghe e olandesi legate alla Montecatini: Ammoniaque synthétique et dérivés e Compagnie néerlandaise de l'azote; nonché presidente della Società Rhodiatoce, un'industria della plastica che produceva su brevetto italiano il rhodoide, elemento particolarmente resistente al fuoco.

Il G. morì a Sirmione, sulla sponda meridionale del lago di Garda, il 5 giugno 1988.

Fonti e Bibl.: Roma, Arch. stor. dei Cavalieri del lavoro, f. personale; Milano, Arch. storico-aziendale Montecatini, f. personale; Montecatini 1888-1966. Capitoli di storia di una grande impresa, a cura di F. Amatori - B. Bezza, Bologna 1990, ad indicem; F. Galimberti - L. Paolazzi, Il volo del calabrone, Firenze 1998, pp. 115-178; P. Rugafiori, Imprenditori e manager nella storia d'Italia, Bari 1999, ad indicem.

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