PIANIFICAZIONE

Enciclopedia Italiana - III Appendice (1961)

PIANIFICAZIONE

Gennaro CARFORA
Florio GRADI

. A cominciare dalla fine del secondo conflitto mondiale, l'attività di pianificazione politico-economica è andata estendendosi dai paesi a regime collettivistico ad alcuni paesi ad economia libera e ad alcuni organismi internazionali (v. piano economico, in App. II, 11, p. 537). Nel decennio 1950-60 tale attività si è ulteriormente intensificata, tanto che si può dire che non vi sia più alcuna parte del mondo ove l'economia non sia in qualche modo regolata e indirizzata, per quanto in misura variabile da zona a zona, verso gli obiettivi previsti da un piano.

Questa attività di p. è in realtà di natura quanto mai varia, e risponde a caratteristiche differenti a seconda degli scopi che intende perseguire. Una particolare categoria di piani economici è quella che persegue l'obiettivo della cooperazione economica e della progressiva eliminazione delle barriere doganali all'interno di un determinato gruppo di paesi, appartenenti per lo più a una medesima area geografica. Detti piani comportano, generalmente, la costituzione di organismi internazionali i quali oltre che coordinare, finanziare e controllare l'attuazione dei piani da parte dei paesi membri, tendono anche a obiettivi, oltre che economici, politici.

Vogliamo ricordare in proposito, che il 28 novembre 1950 fu firmato in Colombo (Ceylon) il "Colombo Plan for Cooperative Economic Development in South and South-East Asia". Tale piano, conosciuto come "Piano Colombo", ,entrò in vigore il 1° luglio 1951 e prevedeva il coordinamento dei piani di sviluppo predisposti dai paesi membri, nonché la cooperazione tecnica fra gli stessi e l'assistenza economica da parte del Regno Unito. Al Piano aderirono, dall'origine Australia, Canada, Ceylon, India, Malesia, Nuova Zelanda, Pakistan, Gran Bretagna, Borneo Sett. e Singapore; ancora nel 1950 ne divennero membri Vietnam, Cambogia e Laos; la Birmania e il Nepal ne divennero membri nel 1952, l'Indonesia nel 1953, il Giappone, le Filippine e la Tailandia nel 1954. Il Comitato per l'attuazione del Piano mantiene contatti con gli S. U. A., con la BIRS e con la Economic Commission for Asia and Far East (ECAFE).

Diamo qui di seguito l'ammontare delle spese per lo sviluppo economico sostenute, negli ultimi cinque anni. dai paesi aderenti al Piano Colombo (in milioni di sterline):

Altri piani di cooperazione economica internazionale sono quelli predisposti dalle Comunità europee. e precisamente: dalla Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA); dalla Comunità europea dell'energia atomica (EURATOM); dalla Comunità economica europea (CEE); dall'Area europea di libero scambio (EFTA) (Vedi singole voci, in questa App.). Merita altresì di essere menzionato il programma di collaborazione continentale sottoscritto dai paesi dell'America latina alla Conferenza di Punta del Este (Uruguay) tenutasi dal 5 al 17 agosto 1961; tale programma, che si riallaccia al messaggio del 13 marzo 1961 del presidente Kennedy circa la "alleanza per il progresso", prevede, per il prossimo decennio, investimenti pubblici e privati per un ammontare di 20 miliardi di dollari, in parte a carico degli Stati Uniti.

Passando a illustrare i piani nazionali di sviluppo, vogliamo ricordare in primo luogo quelli predisposti dai paesi sottosviluppati dell'Asia e dell'Africa, i quali, con l'aiuto tecnico od economico dei paesi progrediti, percorrono ora faticosamente la via del loro sviluppo economico.

Accenneremo innanzi tutto al piano quinquennale di sviluppo economico del Marocco, 1960-64, il quale prevede per il quinquennio un complesso di investimenti netti per 6.600 milioni di dirham (pari a 1.304 milioni di dollari S. U. A.), dei quali il 39,3% verrà erogato dallo Stato, il 6% dalle collettività locali, il 2,3% dagli organismi semi-pubblici e il rimanente 52,4% dal settore privato. Gli investimenti saranno così ripartiti fra i varî settori economici: agricoltura. 2.054 milioni, di cui 831 forniti dallo stato e 1.223 dai privati; industria, 1.874 milioni di cui 300 erogati dallo stato; altri settori (trasporti, comunicazioni, ecc.), 2.672 milioni. Il Governo marocchino conta così di accrescere il prodotto nazionale lordo dai 7.100 milioni di dirham del 1959 a 10 mila milioni nel 1965, con un tasso annuo d'aumento del 7%.

Nel novembre 1960 fu varato il Piano per lo sviluppo della provincia egiziana della Repubblica Araba Unita, che prevedeva la pianificazione integrale dell'economia del Paese, nell'intento di aumentare la produzione ed elevare il tenore di vita della popolazione. L'esecuzione del piano di sviluppo era affidata, nella RAU, ad un apposito ministero della P., assistito da un comitato della P., il quale preparava il piano generale. Presso tutti i ministeri e gli enti pubblici erano costituiti appositi comitati di p., aventi il compito di predisporre il piano per il settore, pubblico e privato. di propria competenza.

Particolare interesse rivestono i piani quinquennali attuati in India. Il primo (1951-55) fu essenzialmente diretto all'aumento della produzione agricola e, nel settore industriale, dell'energia elettrica. I risultati non furono del tutto confortevoli (la produzione di cereali passò, infatti, da 42 a 57,5 milioni di tonnellate), ma nel campo industriale furono fatti i primi passi verso la installazione di industrie, specie meccaniche. Gli obiettivi del secondo piano (1956-60) furono raggiunti in misura più elevata; la produzione agricola si incrementò del 15% e del 6% quella industriale. Il piano era articolato in quattro punti: a) aumento del 25% del reddito nazionale; b) rapida industrializzaziorie; c) eliminazione di parte della disoccupazione; d) redistribuzione dei redditi della ricchezza. Se si tiene conto che il fabbisogno di cereali è pari a 110 milioni di tonnellate e che con il secondo piano si ottenne una produzione di 71 milioni, risulta evidente che il problema della nutrizione è tuttora aperto. Il terzo piano (1961-65) dovrebbe appunto essere indirizzato in tal senso. Esso prevede investimenti per complessivi 100 miliardi di rupie di cui 59,5 nel settore pubblico e i rimanenti 40,5 miliardi in quello privato. È previsto anche l'assorbimento di 12 milioni di disoccupati. Si è a conoscenza che la BIRS, approvato il piano, ha concesso un prestito di 32 miliardi di rupie e che gli S. U. A. doneranno 16 milioni di tonnellate di cereali e concederanno prestiti ai quali, nel quadro dello "Aid to India Club" parteciperà anche l'Italia.

Anche Ceylon ha predisposto un piano di sviluppo economico e industriale a carattere nazionale. Esso prevede investimenti per 135 milioni di dollari nel settore industriale. L'attuazione del piano risulterà facilitata da provvedimenti di natura fiscale e controlli sulle importazioni tendenti a ridurre il deficit nazionale pari, nel 1960-61, a oltre 150 milioni di dollari. Sono in corso inoltre negoziazioni, anche con esponenti del governo italiano, per la concessione di prestiti esteri destinati al finanziamento di singole opere. La principale riguarda la creazione del complesso idroelettrico di Norton-Bridge, al cui finanziamento si provvederà con un prestito BIRS di 15 milioni di dollari.

Altri piani coordinati di sviluppo economico sono in corso di attuazione in Libia, in Tunisia e, sia pure con caratteristiche diverse, dato lo stato di dipendenza dalla Francia, in Algeria.

Mentre i paesi di cui ora si è fatto cenno hanno predisposto, e in parte attuato, dei piani di sviluppo integrale, molti altri paesi afro-asiatici hanno predisposto piani di sviluppo settoriali, ovvero diretti a promuovere lo sviluppo di singoli settori dell'economia locale. o addirittura di singole opere, considerate d'importanza vitale per il paese. Si riporta qui di seguito l'ammontare degli investimenti, con la ripartizione percentuale per settori economici, previsti dai piani di sviluppo dei principali paesi africani (in milioni di sterline, salvo diversa indicazione).

Vale la pena di ricordare che soprattutto per il finanziamento dei piani di sviluppo, anche mediante l'utilizzo degli aiuti esteri, sono sorti nei paesi sottosviluppati dei tipi particolari di istituti creditizî, denominati "banche per lo sviluppo" (Development banks), che sono collegate con la BIRS.

Valore e significato diverso hanno, com'è noto, i piani dei paesi a economia collettivista, intesa a regolare secondo schemi ben determinati tutta l'attività del paese, sostituendo alle scelte degli imprenditori e dei consumatori quelle dello stato.

Ricordiamo, innanzi tutto, i piani dell'URSS (v. URSS: Finanze, in questa App.), che hanno reso possibile in questo paese un sensibile aumento del reddito nazionale. Nel decennio più recente il governo sovietico ha impostato due piani quinquennali (1951-56 e 1956-60) e un piano settennale (1959-1965) il quale ha sostituito il sesto piano quinquennale abbandonato alla fine del 1958. e che, nel 1965, dovrebbe portare l'URSS sullo stesso livello economico degli S. U. A. Il piano settennale 1959-65 prevede investimenti per 1.940 e 1.970 miliardi di rubli (181-185% in più del settennio 1951-58). che dovrebbero diventare circa 3.000 miliardi con l'aggiunta degli investimenti degli enti privati e delle cooperative. Per effetto di questi investimenti, alla fine del 1965 il reddito nazionale dovrebbe aumentare, rispetto al 1958, di cirea il 65% e i redditi di lavoro, in media, del 40%. Nell'estate 1961 il Governo sovietico ha approntato un nuovo progetto di pianificazione ventennale.

In Albania, il primo piano quinquennale (1951-55) prevedeva per il 1955 investimenti per 21 miliardi di leks; il secondo piano quinquennale (1956-60) prevede investimenti per 22 miliardi di leks. Gli investimenti attuali si aggirano sui 17 miliardi. In Bulgaria, alla fine dell'aprile 1953 fu annunciato che il primo piano quinquennale (1949-53) era stato completato alla fine del 1952; nel febbraio 1954 furono approvate le direttive per il secondo piano quinquennale (1953-57) e nel giugno 1958 fu approvato il terzo piano quinquennale (1958-62). Nella Cina comunista, un primo e un secondo piano quinquennale (quest'ultimo in corso di attuazione) furono annunciati rispettivamente nel dicembre 1952 e nel settembre 1956. Caratteristiche e durata non molto dissimili da quelle ora enunciate hanno i piani degli altri paesi del blocco comunista; maggiori dettagli si vedano nelle voci relative ai singoli paesi.

Esempî di pianificazione, per lo più a livello settoriale o locale, si sono avuti in Francia, in Gran Bretagna, e in altri paesi del mondo occidentale. Anche in Italia l'attività di p. ha fatto notevoli progressi negli ultimi anni.

Oltre al primo esempio di p. integrale, lo schema decennale di sviluppo dell'occupazione e del reddito (detto Piano Vanoni: v. italia: Economia e finanze; Vanoni, in questa App.), si è avuto, nel trascorso decennio, un importante piano settoriale, quello per l'incremento della occupazione operaia mediante la costruzione di case per lavoratori (Piano Fanfani-INA-Casa). Approvato con la legge 14 febbraio 1949, n. 43, il piano prevedeva un programma di costruzioni di alloggi per il settennio 1949-1956, programma che fu prorogato per un altro settennio con legge 26 novembre 1955. n. 1148. Al 31 dicembre 1960 il Piano ha permesso la costruzione di 241.000 alloggi. per 1.269.000 vani, con una spesa di 574 miliardi, su un totale di investimenti programmati per 828 miliardi di lire. Alla sua scadenza prevista per il 1963, il Piano INA-Casa sarà sostituito da un nuovo Piano decennale per la costruzione di case per lavoratori, il cui disegno di legge è già stato approvato dal Governo.

Varî altri piani settoriali, comportanti impegni pluriennali dello Stato per investimenti, sono stati predisposti negli anni più recenti; alcuni di essi sono stati approvati con legge, altri sono all'esame del Parlamento. Fra i primi ricordiamo il "Piano verde", che prevede una spesa a carico dello Stato di 550 miliardi in cinque anni a favore dell'agricoltura; il Piano di costruzioni stradali e autostradali, che prevede una spesa per il decennio 1961-1971, di 1.100 miliardi per la costruzione di autostrade e superstrade; il Piano decennale per la costruzione di case per i lavoratori agricoli. Fra i piani all'esame del Parlamento, ricordiamo quello per il risanamento delle ferrovie, quello per la sistemazione dei fiumi, il piano decennale della seuola, ecc. Sono inoltre allo studio vari piani regionali di sviluppo fra i quali merita un cenno particolare il Piano per la rinascita della Sardegna, di imminente attuazione, il quale prevede una serie di interventi a favore di vari settori dell'economia sarda da attuarsi in 15 anni, per una spesa complessiva di 400 miliardi di lire.

Con decreto del presidente del Consiglio dei ministri 25 agosto 1961, è stata istituita in seno al CIR una Commissione interministeriale avente il compito di coordinare l'esecuzione dei piani e programmi pluriennali approvati dal Parlamento, in modo da conseguire il più efficace risultato ai fini dell'armonico sviluppo dell'economia e della società nazionale.

Bibl.: A. G. Hart, Anticipations, uncertainly and dynamic planning, New York 1951; Government of India, The five-year plan. A short introduction, Delhi 1951; P. A. Baran, National economic planning, in A survey of contemporary economics, II, Homwood (Illinois, SUA), 1952; G. Festa, Regimi valutarî e pianificazione in Europa, Roma 1954; J. Marczewski, Planification et croissance économiques des démocraties populaires, Parigi 1956; N. Bulganin, Il sesto piano quinquennale dell'Unione Sovietica, Roma 1956; K. N. Raj, Employment aspects of planning in underdeveloped economies, Cairo 1957; B. Niculescus, Colonial planning, Londra 1958; Colombo Plan Bureau, The seventh year progress of the Colombo plan, Colombo 1958; id., The Colombo plan. Questions and answers, ivi 1958; id., Change in Asia: The Colombo plan, ivi 1959; N. S. Chruščev, Il piano settennale (tesi del rapporto al XXI congresso del PCUS), Roma 1959; Associazione Italia-URSS, Un dibattito sul piano settennale sovietico, in Rassegna sovietica, n. 2, 1959; Nazioni Unite, Department of economic and social affairs, Economic survey of Africa since 1950, New York 1959; C. Bobrowski, La formazione del sistema di pianificazione sovietico, Milano 1960; B. Nicosia, Sviluppo economico e capitali esteri nei paesi africani, in Bancaria, luglio 1961.

Pianificazione regionale.

La p. economica al livello regionale si pone come elemento di dettaglio nel quadro più ampio della p. su scala nazionale e come elemento autonomo di un orientamento politico e di uno sforzo produttivo concertato per rimuovere condizioni di svantaggio strutturale e congiunturale localizzate in determinate regioni, province e comuni. Sotto quest'ultimo aspetto il fenomeno regionale è alquanto recente, ma attorno ad esso si sono già costituiti nuclei importanti di ricerche teoriche e di esperienze pratiche in numerosi paesi, in particolare nei paesi industrializzati, i quali presentano situazioni locali di squilibrio più o meno accentuate anche quando l'intero sistema economico si può ritenere operante a regime di piena occupazione.

Il progresso e le modalità stesse del divenire economico hanno contribuito a diversificare il grado di sviluppo delle economie regionali all'interno dei varî paesi, spesso acuendo le disparità iniziali. Le manifestazioni evidenti di un tale processo consistono nell'accentramento delle strutture industriali (e quindi dei servizî amministrativi e tecnici) presso i grossi agglomerati urbani e nella formazione di economie monolitiche circoscritte a certe zone (e perciò più esposte agli alti e bassi del ciclo economico), mentre altre segnano il passo o regrediscono irrimediabilmente in conseguenza dell'esaurimento delle materie prime in loco, del progresso tecnico e dell'emigrazione di manodopera. Tutto ciò ha condotto ad una visione più ravvicinata ed attenta dei problemi inerenti ai singoli settori produttivi e a determinate aree del territorio nazionale, e quindi ad un indirizzo decisamente "spaziale" dei problemi dello sviluppo economico nella consapevolezza che questo possa essere perseguito in modo armonico e bilanciato tenendo conto della situazione esistente in tutto il paese. Sul piano procedurale e su quello degli interventi, il mutamento di prospettiva dal piano nazionale a quello regionale ha comportato modalità diverse di programmazione e di intese, nonché una strumentazione in parte nuova e in qualche caso rivoluzionaria.

L'impostazione dei piani regionali differisce ovviamente a seconda del carattere dei problemi da risolvere, delle condizioni ambientali di base e dell'orientamento che s'intende dare all'espansione economica delle regioni interessate. Nel caso di regioni congestionate, ad alto livello di concentrazione industriale, l'imperativo politico e programmatico consiste nel ridurre al minimo i nuovi insediamenti di complessi industriali, a meno che non si debba rimuovere una accentuata dipendenza dell'economia locale da una sola industria. Inoltre si tratta di smantellare le imprese esistenti per trasferirle in altre zone del paese distanti dai vecchi agglomerati. Nel caso di regioni ritardate, la cui economia è basata su di un'unica attività industriale ormai in stato di vecchiezza funzionale o che lascia un ampio margine di manodopera locale disoccupata, le iniziative sono rivolte alla riconversione industriale e al parallelo sviluppo di nuove unità produttive operanti in settori diversi. Nel caso di regioni depresse, che siano inadatte alla localizzazione industriale a causa di fattori naturali sfavorevoli (come la scarsezza di materie prime e di manodopera qualificata, l'eccentricità rispetto ai grandi centri di produzione e di consumo, le difficoltà di trasporto, ecc.), occorre spianare la via all'insediamento di nuove industrie attraverso la creazione delle infrastrutture necessarie e la formazione di zone industriali (i cosiddetti poli di crescenza).

Lo schema di p. regionale comprende due parti principali: la diagnosi dei problemi che si pongono in relazione agli obiettivi da perseguire e le misure che s'intendono attuare per la realizzazione delle iniziative nei singoli settori di attività economica.

Presupposto essenziale per la redazione dei piani è lo studio dettagliato dell'ambiente economico e sociale in cui i piani sono destinati ad operare e delle attitudini naturali delle varie regioni verso un certo "asse" di espansione economica. Una volta che quelle circostanze sono chiarite e definite, il piano precisa le realizzazioni concrete che a seconda degli obiettivi prefissi devono essere effettuate, siano queste a carico delle varie amministrazioni pubbliche oppure a carico delle imprese private. In quest'ultimo caso vengono indicati anche gli aiuti finanziarî che possono essere accordati per facilitarne il compimento. Nel piano sono inoltre specificati i tempi di esecuzione delle iniziative, secondo una scala di priorità che consenta una progressione costante delle opere progettate senza incagli o battute d'arresto.

Sebbene la p. regionale nasca per iniziativa e con il concorso delle comunità interessate, essa deve essere integrata e coordinata al livello nazionale. Pertanto, una volta che le soluzioni possibili sono state definite in termini di realizzazioni concrete, esse dovranno essere esaminate alla luce degli orientamenti generali di politica economica e di quelli seguiti per le altre regioni, in specie quelle limitrofe. Da ciò la necessità del coordinamento fra i varî piani regionali, al fine: 1) di evitare conflitti ed eccessi, 2) di valutare nel complesso le prospettive di mercato che collegano le singole iniziative, 3) di commisurare e distribuire i mezzi pubblici destinati alla valorizzazione delle varie zone.

Il coordinamento dei piani regionali si attua in diverse direzioni e a vario livello: nell'ambito delle diverse amministrazioni pubbliche, ognuna per la parte di propria competenza, e tra queste e le iniziative private. Perciò, accanto agli organi periferici incaricati della prima stesura del piano regionale, si sono costituiti organismi centrali di coordinamento tecnico e finanziario, spesso affiancati da comitati di consulenza. A questi organismi spetta la decisione ultima e l'approvazione definitiva dei piani, anche se questi sono il risultato di studî fatti, di dati raccolti e di iniziative concordate nell'ambito regionale con la partecipazione degli enti locali e degli interessi privati.

Poiché i dispositivi di legge che prevedono l'intervento statale a favore delle economie regionali hanno portata generale, i piani tecnici-operativi devono essere integrati con il piano finanziario necessario per definire il contributo di capitale pubblico e di capitale privato necessario al completamento delle opere previste. In generale, il piano di finanziamento è concordato in sede di erogazione di fondi pubblici da parte dello stesso ente che amministra i provvedimenti statali predisposti per stimolare la valorizzazione delle singole regioni.

In ordine di tempo i primi provvedimenti a sfondo regionale sono stati presi nel Regno Unito all'epoca della grande crisi del 1929, la quale esercitò movimenti depressivi diversi per intensità e durata nelle varie regioni. Nel dicembre del 1934 furono adottate "misure per facilitare lo sviluppo economico e il risollevamento sociale di certe zone che erano state specialmente colpite dalla crisi industriale". Nell'immediato dopoguerra, la riconversione economica e lo smantellamento delle industrie statali create per lo sforzo bellico fornirono una nuova occasione per il rilancio della politica regionale. I relativi provvedimenti, noti sotto la denominazione di Distribution of industry acts, furono emanati nel 1945 e successivamente estesi nel 1950. Con essi l'azione statale fu notevolmente ingrandita a causa dei maggiori impegni assunti verso soluzioni più ampie che interessavano la distribuzione più opportuna da dare all'attività industriale (da cui il titolo delle nuove leggi) e lo spostamento della manodopera da una regione all'altra. Le iniziative sul piano nazionale sono concordate al centro dal Board of Trade attraverso contatti con le autorità locali (per quelle da realizzare a intero carico dello stato) e con gli imprenditori interessati. Le intese sono stabilite con la partecipazione del Tesoro, da cui dipende l'erogazione dei fondi pubblici sotto forma di contributi d'impianto e di prestiti a condizioni di favore. L'attività del Board of Trade a favore delle aree depresse si avvale di speciali organismi non aventi fini di lucro (trading e industrial estate companies). In tal caso sono questi organismi che provvedono direttamente alla costruzione e all'adattamento degli stabilimenti industriali che vengono poi ceduti in proprietà o in affitto a privati.

Negli Stati Uniti, l'istanza regionale ha il suo esempio più noto e appariscente nell'attività della Tennessee Valley Authority, la cui costituzione risale al 1933 (v. tva, App. II, 11, p. 1052). Si tratta in realtà di un programma integrato di risanamento e di sviluppo economico affidato dallo stato ad un ente pubblico. A parte ciò, il governo federale ha compiuto in passato varî tentativi per assorbire l'eccedenza di manodopera in diverse zone del paese. Esistono attualmente diversi programmi il cui scopo è quello di recare sollievo alle zone depresse (labor surplus areas), ma manca ancora una legge organica che coordini l'azione locale. In attesa che questa venga approvata definitivamente, le iniziative più importanti a favore delle regioni sono state prese dagli stati membri dell'Unione e dalle comunità minori. Esse risalgono a questo dopoguerra e riguardano tutti gli stati (salvo due), dove esistono comitati ed enti incaricati di promuovere lo sviluppo economico (planning boards, industrial commissions, economic councils). Accanto alle centinaia di istituzioni pubbliche operano circa 2000 società e fondazioni private (development credit and industrial corporations) per lo sviluppo industriale, sovvenzionate dalle locali camere di commercio, da associazioni sindacali, da imprese e da privati cittadini. La funzione essenziale che queste istituzioni assolvono consiste nel rafforzare o nell'espandere la base economica delle rispettive comunità, creando incentivi per l'insediamento di nuove industrie, aiutando le industrie locali all'espansione delle loro operazioni e assistendo gli imprenditori locali nelle nuove iniziative.

In Francia la legislazione detta d'action régionale è di origine recente. Le leggi più importanti risalgono alla fine del 1954 e al 1955 anche se nel loro dispositivo incorporano principî affermati e norme attuate in precedenza. Già il Commissariat du Plan, J. Monnet, aveva puntualizzato fin dal 1947 il problema regionale, promuovendo inoltre un interesse di studî accademici e locali. Nelle varie regioni del paese già esistevano circa 70 comitati locali per la valorizzazione delle risorse economiche. In presenza delle iniziative in atto, si trattava: 1) di adattare l'apporto statale alle necessità di uno sviluppo circoscritto a certe regioni, trasformando i meccanismi d'intervento già esistenti e potenziando l'organizzazione regionale a carattere privato; 2) di creare nuovi strumenti di azione regionale al fine di promuovere l'avvento di mercati locali dei capitali.

In forza della legge dell'agosto 1954, con cui lo stato veniva autorizzato a costituire "un'organizzazione regionale, per dipartimenti e località, a cui doveva essere affidata la messa a punto dello sviluppo economico locale nel quadro del piano di equilibrio finanziario e di risollevamento economico e sociale", fu emanata nel 1955 una serie di provvedimenti per favorire la valorizzazione delle regioni sottoccupate o scarsamente sviluppate. Varie misure furono inoltre adottate per potenziare l'organizzazione finanziaria e tecnica delle varie regioni, promuovendo o favorendo l'istituzione di speciali organismi regionali di credito e di finanziamento (Sociétés de développement régional, Sociétés d'économie mixte, Groupements professionnels d'entreprises industrielles).

I piani regionali sono redatti sotto gli auspici del Commissariat du Plan da un "gruppo di sintesi", che riunisce le principali amministrazioni interessate, con la partecipazione dei comitati regionali di sviluppo (Comités régionaux d'expansion) e degli ispettori economici regionali (IGAME). Questi servono da intermediarî fra le istanze centrali, quelle locali e le imprese. Nei programmi di azione regionale sono indicati i lavori da compiere e le iniziative da prendere, con priorità per quelli più importanti ai fini dello sviluppo economico. I programmi sono quindi approvati con decreto interministeriale, sentito il Comitato di orientamento economico (Comité national d'orientation économique). All'esecuzione dei piani e al loro finanziamento sono impegnati i ministeri interessati, ognuno per le rispettive competenze e nella misura dei fondi di bilancio annualmente assegnati. In più, altri mezzi di finanziamento potranno essere ottenuti sotto forma di crediti dal FDES (Fonds de développement économique et social), cioè l'ente che amministra il concorso finanziario dello stato ai sensi delle leggi vigenti.

In Belgio la legislazione regionale di recente introdotta è giustificata dal carattere ciclico del disagio economico che si lamenta in alcune regioni del paese (bacini carboniferi) e dalla necessità d'irrobustire e di convertire la struttura industriale di alcune regioni in previsione della progressiva entrata in vigore del Mercato Comune. È da rilevare che i provvedimenti sono limitati nel tempo (3 anni) e nello spazio, nel senso che le regioni beneficiarie non potranno nel loro insieme contare per più del 15 per cento della popolazione complessiva. Strumenti caratteristici della legislazione belga (in corso di approvazione), che si avvicinano a quelli francesi, sono le Sociétés régionales d'investissement, società private di credito e di partecipazione che sono collegate in un sistema che fa capo ad un apposito istituto centrale a carattere semi-pubblico (Société nationale d'investissement).

Nei Paesi Bassi i provvedimenti a carattere regionale furono adottati nel 1950 dopo un periodo di sperimentazione di un anno in una delle regioni meridionali del paese, dove l'esaurimento delle miniere di torba aveva creato uno stato di diffusa disoccupazione. L'intervento dello stato è previsto, inoltre, a favore di quelle regioni che presentano una emigrazione eccessiva di manodopera (le cosiddette regioni d'espulsione), ma che comunque hanno buone possibilità di sviluppo economico.

In Norvegia lo stato ha perseguito un'attiva politica regionale allo scopo di favorire la creazione di industrie pesanti nelle estreme regioni settentrionali.

In Danimarca una legge recente, denominata di sviluppo regionale, autorizza lo stato a garantire la costruzione di stabilimenti industriali nelle regioni sottosviluppate dello Jütland fino alla concorrenza del 90% del loro costo. Analoghe garanzie sono date alle spese per dotazioni industriali nella misura ridotta del 50% del costo relativo.

Anche nella Germania Occidentale diversi provvedimenti sono stati presi in favore di regioni tradizionalmente arretrate e di quelle che maggiormente hanno risentito delle vicende belliche. Le misure attuate consistono in agevolazioni tariffarie sui trasporti, in sgravî fiscali e in aiuti finanziarî. I singoli comuni, oltre alla dotazione di servizî e di opere pubbliche, hanno selezionato terreni industriali e li hanno ceduti a prezzi vantaggiosi alle industrie per indurle a stabilirsi nei loro territorî. Del pari essi hanno concesso contributi di primo impianto e generosi sgravî fiscali.

Speciali provvidenze sono state attuate per i territorî limitrofi alla Germania Orientale che hanno accolto un numero elevato di profughi. Le industrie ivi localizzate hanno beneficiato durante i primi anni della loro vita di crediti a lungo termine a tassi molto bassi e delle garanzie statali; e inoltre, di tariffe preferenziali per i trasporti e sgravî fiscali.

Bibl.: Da ricordare in particolar modo i Cahiers de l'Institut de Science économique appliquée (ISEA) di Parigi, per la varietà dei temi trattati e l'ampiezza dei riferimenti ad opere ed articoli specializzati; fra questi: J. R. Baudeville, L'économie régionale espace opérationnel (Cahier n. 3 - Serie L); M. Penouil, Note sur quelques aspects de la politique d'aménagement du territoire (Cahier n. 4 - Serie L). Si veda inoltre: E. C. E., Economic survey of Europe in 1954, Ginevra 1955; J. L. Fyot e J. Y. Calvez, Politique économique régionale en Grande Brétagne, Parigi 1956; M. J. Milhau, Les objectifs et les principes d'une politique des économies régionales, in Journal Officiel, 1957, n. 3; M. M. Byé, Les moyens d'une politique des économies régionales, in Journal Officiel, 1957, n. 12; J. L. Fyot, Crisis areas in the U. S. A.: problems of regional economy, in Économie appliquée, n. 4, ott.-dic. 1957; Federal assistance to labor surplus areas (Report of the Committee on Banking and Currency), 1957; W. Herrmann, La politique de localisation de l'industrie en Allemagne occidentale, in Revue des sciences économiques, marzo 1958; P. Romus, Expansion économique régionale et Communauté Européenne, Parigi 1958; L. Gorny, Les économies régionales en France, Parigi 1958; J. Lajugie, Les conditions d'une politique de développement régional puor les pays du marché commun, in Revue d'économie politique, maggio-giugno 1959; F. Vito, La théorie économique spatiale et les principes de la politique régionale, Parigi 1959.