Piangere

Enciclopedia Dantesca (1970)

piangere (piagnere; solo in poesia, accanto ai più diffusi pianga, piange, piangi, e salvo in un caso sempre in rima, si hanno piagna di Pg XV 48, piagne (per es. in Pg VI 112) e piagni, per es. in Rime C 22; pianghe, nel Fiore, cong. pres. II singol.)

Domenico Consoli

Commentando il passo Con piangere e con lutto, / spirito maladetto, ti rimani (If VIII 37), il Boccaccio crede opportuno avvertire come nel termine volgare p. confluiscano i valori semantici propri di diversi verbi latini: flere, che è p. " versando abondantissime lagrime "; plorare, che è p. " con mandar fuori alcuna boce "; lugere, che è quello " che con miserabili parole e detti si fa "; eiulare, ugualmente " piagnere con alte boci "; gemere, cioè " quel che si fa singhiozzando "; ululare, che vuol indicare quella specie di pianto " che fanno le femine quando gridando piangono ".

Queste sfumature si combinano in vario modo nei luoghi danteschi in cui il verbo ricorre in senso proprio come intransitivo, spesso unito a un avverbio o a un'espressione avverbiale che ne sottolinea i modi e l'intensità.

Particolare frequenza ha l'uso di p. (con l'alternativa ‛ lagrimare ') nelle Rime e nella Vita Nuova, dove l'eco delle consuetudini amorose cortesi, per le quali Amore era soprattutto pena (giusta l'affermazione che apre il trattato di Andrea Cappellano), arrivava addolcita dalla spiritualità stilnovistica. E certo, tra le varie fenomenologie dell'amore che si succedono nelle opere giovanili di D., il pianto ha forte prevalenza, sia quando è attribuito allegoricamente, ma con rilievo realistico, a personificazioni e simboli, sia quando è espresso direttamente dal protagonista e autore. Già nel sogno che sorprende D. dopo il dolce salutare di Beatrice, Amore piangendo, si ricogliea questa donna ne le sue braccia (Vn III 7; appresso gir lo ne vedea piangendo nella rielaborazione poetica [§ 12 14]). Amore piange ancora, con funzione allusiva, in Vn VIII 4 1 (e cfr. § 7, seconda e terza occorrenza), XII 4 (due volte). Con Amore piangono i suoi fedeli in Vn VIII 4 1 (anticipato al § 3 e ripreso al § 7, prima occorrenza).

La pena d'amore si traduce più comunemente nel pianto di D., come in Rime LXXI 14 non pianger più, tu se' già tutto sfatto (parlano alcune donne commosse al dolore del poeta); Vn VIII 2, XIII 8 6, XIV 9 ritornai ne la camera de le lagrime; ne la quale, piangendo e vergognandomi, fra me stesso dicea, ecc.; XXII 6, XXIII 6 Allora cominciai a piangere molto pietosamente; e non solamente piangea ne la imaginazione, ma piangea con li occhi, bagnandoli di vere lagrime, 11 lo mio piangere (l'infinito sostantivato si ripete in Vn XXIII 13, If VIII 37, Pg XIX 91 e 140, XXIII 87, XXXI 46), e 12; XXX 1, 9 12 e 14 54, XXXV 3 senti' allora cominciare li miei occhi a volere piangere (situazione non rara, in cui invece del pianto si mette in luce il desiderio di esso, che è già in certo modo un p.; v. XXXVI 5 11, XXXIX 4 e 9 5-6 dove peraltro il verbo è ‛ lagrimare '); XXXVII 2, XXXIX 9 7.

Ricordiamo poi alcune occorrenze (Rime CXVI 4, Vn XXIII 10, XXXI 17 71) che alludono al travaglio amoroso come motivo poetico e invito a uno stile dolente.

Beatrice, piangendo lamentosamente per la morte del padre (Vn XXII 3, due volte), provoca a sua volta il pianto delle donne che l'assistono e del poeta stesso: Vn XXII 10 12 Io veggio li occhi vostri c'hanno pianto; XXII 14 5 e 7, e 15 9 E perché piangi tu sì coralmente, / che fai di te pietà venire altrui? / Vedestù pianger lei, che tu non pui / punto celar la dolorosa mente? / Lascia piangere noi, ecc. (la prima e la terza occorrenza riprese al § 17).

Ma p. come parola chiave torna insistente lungo tutta l'operetta (VIII 1, XXII 16 14, XXIII 5, 11 (seconda occorrenza), 17 6 e 18 8, XXXI 11 37) sino all'episodio della morte di Beatrice sulla quale il poeta vorrebbe far scendere anche il dolore dei pellegrini che transitano per Firenze: Se io li potesse tenere alquanto, io li pur farei piangere anzi ch'elli uscissero... però che io direi parole le quali farebbero piangere chiunque le intendesse (XL 4); venite voi da sì lontana gente / ... che non piangete quando voi passate / per lo suo mezzo la città dolente, ecc. (§ 9 5); Ell'ha perduto la sua beatrice [soggetto è Firenze]; / e le parole ch'om di lei pò dire / hanno vertù di far piangere altrui (§ 10 14).

Casi più generici in Rime LXXIII 12 Piange la madre, c'ha più d'una doglia (oscillante tra il valore proprio e quello di " rammaricarsi "); CIV 41, dove Drittura personificata si mostra di pianger pronta, e 66, CV 1, Cv I XI 10.

In altro campo figurativo il pianto è elemento inseparabile dalla condizione dei dannati, anche per il suggerimento di una ripetuta formula evangelica che si prestava a un'interpretazione letterale: " ibi erit fletus et stridor dentium " (Matt. 8, 12; 13, 42 e 50; 24, 51; Luc. 13, 28).

A prescindere da locuzioni sinonimiche, p. in senso proprio, indicativo dei ‛ martiri ', ha largo impiego nell'Inferno ma in genere al livello di termine " tecnicizzato... tale da non suscitare una risonanza sentimentale " (M. Fubini, Lect. Scaligera I 1008). Così le ombre presso l'Acheronte si ritraggono tutte insieme forte piangendo, a la riva malvagia (III 107); le molte gregge dei violenti piangean tutte assai miseramente (XIV 20); la gente dipinta in cui D. ravvisa gl'ipocriti giva intorno assai con lenti passi, / piangendo e nel sembiante stanca e vinta (XXIII 60); dinanzi al visitatore terreno sen va piangendo Alì (XXVIII 32); piangendo risponde a Virgilio l'alchimista guasto dalla scabbia (XXIX 92); e, a sintesi e suggello dell'eterno dolore, con sei occhi ‛ piange ' Lucifero (XXXIV 53). Fuori dall'uso comune, per le rotture sanguinenti provocate dalle nere cagne ‛ piange ' infine il cespuglio in cui si cela l'anima di un suicida fiorentino (XIII 131).

Riflessi affettivi più sensibili ha invece il pianto dei dannati quando venga sommosso da ragioni contingenti legate al viaggio di D.: così accade per Francesca (V 126: occorrenza piuttosto sfumata, al limite dei valori figurati; ma cfr. XXXIII 9) e per Paolo (V 140), così per Cavalcante Cavalcanti (X 58) e Bocca degli Abati (XXXII 79). Anch'essa stimolata da una domanda del poeta è l'onda di commozione che percorre il canto XXXIII, dove Ugolino rievoca il suo dramma di padre: pianger senti' fra 'l sonno i miei figliuoli (v. 38);. e se non piangi, di che pianger suoli? (v. 42); Io non piangëa, sì dentro impetrai: / piangevan elli, ecc. (vv. 49 e 50). In tali casi il pianto sembra ancora segno di una superstite sensibilità umana, capace d'insinuare una nota pietosa nell'orrore dell'Inferno e tentare l'animo dantesco (cfr. XX 25 e XXIX 3). Ma il p. si trasforma a sua volta in strumento di tortura per i traditori degli ospiti; sugli occhi di quelli le lagrime si ghiacciano al gelo del Cocito e impediscono alle altre di sgorgare, aumentando il tormento: Lo pianto stesso lì pianger non lascia, / e 'l duol che truova in su li occhi rintoppo, / si volge in entro a far crescer l'ambascia (XXXIII 94).

Sempre nella prima cantica qualche luogo è controverso. Filippo Argenti, alla domanda di D. (ma tu chi se', che sì se' fatto brutto?), risponde Vedi che son un che piango (VIII 36), al che D. ribatte: Con piangere e con lutto, / spirito maladetto, ti rimani (v. 37). La difficoltà consiste nell'intendere il tono della prima battuta (in G. Cavalcanti il verso iniziale di una ballata, simile per struttura [" vedete ch'i' son un che vo piangendo "] mira a destar pietà) e il senso del gioco verbale su cui D. costruisce la replica. Per il Buti il termine è usato realisticamente e indica un vero e proprio pianto: " L'A. rappresenta la condizione dell'iroso che è impaziente quando s'ode biasimare, come ora costui che D. dice che è brutto: e non potendosi altrimenti vendicare, piagne ". Mentre molti commentatori non si pronunciano, il Porena scorge nel verbo il senso del latino plango (" percuoto "): " L'Argenti percuote lì, come soleva fare in terra quando era adirato ". L'opinione più vulgata è però che il peccatore lasci trasparire nelle sue parole, insieme con l'intento di non svelare il proprio nome, un'allusione stizzosa alla condanna subita, cui D. fa eco, una volta riconosciuto il dannato, condensando nella coppia verbale p. e ‛ lutto ' il sentimento della giustizia soddisfatta: piango equivarrebbe dunque a " espio " (cfr. U. Bosco, D. vicino, Caltanissetta-Roma 1966, 299; e v. più oltre esempi simili).

Anche per Aletto che piange dal destro canto (IX 47) si è pensato, sul suggerimento dei vv. 49-50 Con l'unghie si fendea ciascuna il petto; / battiensi a palme, a un p. come " percuotere ", " tirare colpi " (cfr. Pagliaro, Ulisse 262). L'ipotesi, debole per il luogo ora citato (Aletto è luctifica in Aen. VII 324), si fa più consistente riguardo a XIX 45 quel che si piangeva con la zanca, dove il pianto e il dimenar le gambe potrebbero certo fondersi in una raffigurazione canzonatoria (" strano modo di piangere: ma poiché si piange col capo, qui il capo è la zanca ", Mattalia; e di un " pianto disumanizzato " parla L. Spitzer: cfr. Lett. dant. 243), ma il verbo potrebbe anche limitarsi a indicare il movimento delle gambe: dava sfogo al dolore dimenando le gambe: " Ubi autem alii plangunt cum manibus, idest percutiendo manus; isti cum pedibus se percutiunt et cruciant " (Serravalle; e cfr. ancora Pagliaro, Ulisse 262).

Il pianto delle anime penitenti ha, com'è comprensibile, carattere meno tragico, anche quando è causato da una forte pena fisica (Pg X 139) o da una macerante memoria (XIV 103 e 125). Rientra nell'apparato esortativo (esempi di ira mala) l'apparizione alla fantasia dantesca di Lavinia che piangendo forte (XVII 35: contestualmente il gerundio ha valore di participio) ricorda il suicidio della madre, ma è già elemento della pena redentrice il pianto dei due accidiosi che gridano esempi di sollecitudine (XVIII 99), quello degli avari e prodighi proni a terra (XIX 71, 91 e 140; XX 18) e dei golosi intenti a cantare tra le lagrime versetti biblici allusivi alla loro colpa e al loro desiderio di purificazione (XXIII 10 e 64).

La commozione e il turbamento di D. alla scomparsa di Virgilio provocano l'intervento di Beatrice, insistente sul tema del pianto: Dante, perché Virgilio se ne vada, / non pianger anco, non piangere ancora; / ché pianger ti conven per altra spada (XXX 56 e 57). In effetti le parole della donna, unite al compatimento degli angeli, trasformano in spirito e acqua (v. 98) il gelo addensatosi in un primo momento nel cuore del poeta, definito poco dopo colui che di là piagne (v. 107), e il pianto si rinnova quando egli è spinto a confessare il suo terreno smarrimento (XXXI 34), finché Beatrice stessa non lo invita a por giù il seme del piangere (v. 46: le lagrime, cioè, come intende il Buti rifacendosi a Ps. 125, 5, o il dolore che sforza a p., come propone il Daniello con molti dei moderni commentatori) e ascoltare con animo disteso le sue parole. Ma la femminile sollecitudine della donna per ‛ quei che l'amò tanto ' traluce nel ricordo dell'accorata preghiera a Virgilio: a colui che l'ha qua sù condotto, / li preghi miei, piangendo, furon porti (Pg XXX 141: cfr. If II 115 Poscia che m'ebbe ragionato questo, / li occhi lucenti lagrimando volse).

Nel giro di un'affettuosa corrispondenza spirituale si collocano le lagrime di D. innanzi al viso sfigurato dell'amico Forese (Pg XXIII 56) eil pianger dirotto (v. 87: dolor vivo e preghiera compassionevole misti insieme) della vedovella sua.

Per le prime due cantiche del poema si vedano ancora le occorrenze di If XIV 102 e Pg XVI 87.

Nel Fiore il vocabolo ha senso proprio quattro volte (LIII 7, LXIV 3 e 4, CXLV 3).

Per estensione, accanto al p. vero e proprio, figura un p. interno che può avere come soggetto l'anima, lo spirito, il cuore (secondo le sottili divisioni psicologiche dello Stil nuovo) e costituisce una generica, stilizzata indicazione di sofferenza amorosa: Io sento pianger l'anima nel core (Rime dubbie XII 1); Innamorata se ne va piangendo / fora di questa vita/ la sconsolata [l'anima], ché la caccia Amore (Rime LXVII 29); li spiriti che piangon tuttavia (v. 41); sì che piangendo [la virtù intellettiva] disse a l'altre poi, ecc. (v. 79); Allor comincia a pianger dentro al core / lo spirito vezzoso de la vita (Rime dubbie XI 12); similmente ‛ piange ' o ‛ piangono ' il cuore (Rime dubbie XIII 10), lo spirito naturale (Vn II 6, due volte), Amore (XXIII 21 31, XLI 10 4), i sospiri (XXXIV 10 9, anticipato al § 4), l'anima (Cv II Voi che 'ntendendo 11 [ripreso in VI 6] e 30, ripreso in IX 2 e XV 6). Al medesimo grado semantico, con soggetto personale, si hanno le locuzioni ‛ p. ne la immaginazione ' (Vn XXIII 6, già citato), p. fra sé stesso ' (XXIII 3), ‛ p. in tutti i propri pensieri (If I 57).

Metaforicamente p. vale in genere " soffrire " e di solito si riallaccia a una pena umana, circoscritta alla terra, più volte dipendente da ragioni politiche: l'umana generazione non cesserà di piangere(Cv IV XII 7; da Boezio Cons. phil. II m. II 7-8 " humanum miseras haud ideo genus / cesset fiere querelas "); come che di ciò pianga o che n'aonti (If VI 72); Vieni a veder la tua Roma che piagne (Pg VI 112); Guiglielmo marchese, / per cui e Alessandria e la sua guerra / fa pianger Monferrato e Canavese (VII 136); Molte fïate già pianger li figli / per la colpa del padre (Pd VI 109); piange / per grave giogo Nocera con Gualdo (XI 47); vid'io Fiorenza in sì fatto riposo, / che non avea cagione onde piangesse (XVI 150); Quivi si vive e gode del tesoro / che s'acquistò piangendo ne lo essilio / di Babillòn (XXIII 134); v. anche If XI 45, Pg III 120 (dove denota penitenza), XVIII 122 (qui " pagare il fio ") e, per il sintagma ‛ andar piangendo ', che esprime uno stato di dolore continuato, Rime LXXXVII 24, Vn XXXV 8 14, Rime dubbie XIII 2.

Poco comune il costrutto intransitivo per denotare l'eterna dannazione: E non pur io qui piango bolognese (If XVIII 58), con allusione alla condanna e alla pena e si ricordi il già citato luogo di VIII 36.

A una tradizione generatasi negli ambienti mistici (la Vita s. Francisci di s. Bonaventura, l'Arbor vitae crucifixae di Ubertino da Casale, il Sacrum commercium, gli Actus beati Francisci) risale l'immagine della povertà dolorante sulla croce con Cristo (Pd XI 72; per le ragioni che inducono a scartare la diffusissima variante salse, v. Petrocchi, ad l.).

Particolari espressioni figurate si registrano in Rime C 22 l'aere s'attrista tutto e piagne, dove l'ultimo atto del processo meteorologico che porta alla pioggia si colora di riverberi sentimentali; Rime dubbie IV 1 e 4 Deh piangi meco tu, dogliosa petra / ... deh piangi meco tu che la tien morta!, detto alla pietra sepolcrale che racchiude la donna amata; Vn XXIII 5 le stelle si mostravano di colore ch'elle mi faceano giudicare che piangessero (un momento dell'erronea fantasia presaga della morte di Beatrice: v. anche XXIII 24 51); Pg VIII 6 squilla ... / che paia il giorno pianger che si more, aperto a una duplice esegesi, ammettendo a soggetto o il giorno morente che fa udire la sua voce estrema nel suono della campana, o la squilla che piange la morte del dì: in questo caso il verbo sarebbe transitivo (v. oltre).

La preposizione ‛ di ' o la particella enclitica ‛ ne ', che seguono il verbo, introducono più spesso complementi di causa, talora hanno la funzione di " riguardo a ", " per quanto concerne ": Pianger di doglia (Vn XXXI 15 57); di che pianger suoli (If XXXIII 42, già citato); la gloriosa donna di cui piangere solete (Vn XXXVII 2); tu già ten piagni (If XVI 75); se tu a ragion di lui ti piangi (XXXII 136: in questi ultimi due esempi si noti la costruzione intransitiva pronominale, e v. anche Vn XXXI 5; il costrutto di Pg XV 48 sembra invece impersonale); fé pianger di sé i folli e i savi (Pd V 71); Piangene ancor la trista Cleopatra (VI 76).

Come transitivo equivale innanzi tutto a " compiangere " e anche a " rimpiangere ": chi no la piange, quando ne ragiona, / core ha di pietra (Vn XXXI 11 32, anticipato in XXXI 6, dove il verbo ha una seconda presenza). Ma in unione all'oggetto può indicare la motivazione di un generico sentimento di dolore (p. una cosa come " dolersi a causa di essa "): Non piango tanto il non poter vedere / quella che di mia vita era nutrice (Rime dubbie XXVIII 1); Piangerà Feltro ancora la difalta / de l'empio suo pastor (Pd IX 52); il gran duca de' Greci, / onde pianse Efigènia il suo bel volto (V 70); Guiglielmo fu, cui quella terra plora / che piagne Carlo e Federigo vivo (XX 63: efficace il contrasto tra plora [" rimpiange "] e piagne [" deplora "]). Occorrenze simili in Rime LXVII 50, Rime dubbie XII 2, Vn XXXII 5 7 e 8, XXXIV 8 2, XXXVII 7 8, If XV 42, XXV 151.

P. i propri difetti (Cv I II 5) o i propri peccati (Pd XXII 107) reca implicito, specie nel Purgatorio, il desiderio di " espiarli " attraverso il pentimento e la sofferenza: v. per ciò XXII 53 io son tra quella gente stato / che piange l'avarizia (si libera, soffrendo, dell'inclinazione all'avarizia avuta in terra); e ancora XVII 125 Questo triforme amor qua giù di sotto / si piange, e 137 L'amor ch'ad esso troppo s'abbandona, / di sovr'a noi si piange per tre cerchi, col prolungamento nel simbolo di XIX 59 quell'antica strega [i beni terreni cui va la cupidigia dell'uomo] / che sola sovr'a noi omai si piange, esempi questi ultimi di p. reso passivo dalla particella ‛ si '.

Nell'Inferno invece p. transitivo (all'attivo o al passivo) allude alla punizione eterna del dannato in riferimento alla colpa commessa: Quivi si piangon li spietati danni (XII 106: si scontano i danni recati dai tiranni alle loro vittime; per qualche commentatore il ‛ si ' potrebbe qui essere pleonastico); credo ch'un spirto del mio sangue pianga / la colpa che là giù cotanto costa (XXIX 20); Piangevisi entro l'arte per che, morta, / Deïdamìa ancor si duol d'Achille (XXVI 61); El piange qui l'argento de' Franceschi (XXXII 115).