PERUGIA

Enciclopedia dell' Arte Antica (1996)

Vedi PERUGIA dell'anno: 1965 - 1996

PERUGIA (v. vol. VI, p. 84)

S. Stopponi

Le scoperte dell'ultimo trentennio hanno messo in evidenza preesistenze che dilatano i limiti cronologici dell'arco di vita della città, delineano un più articolato profilo dell'agglomerato urbano e delle zone contermini destinate alle necropoli e indicano le modalità di occupazione del territorio.

Recenti acquisizioni riguardano infatti le fasi iniziali dell'insediamento: il rinvenimento a valle della collina perugina, lungo uno dei successivi tracciati viari verso Volsinii, di resti (buche per pali, assito ligneo, focolare) e di materiali assegnabili al Bronzo Finale-inizì dell'Età del Ferro ha consentito l'individuazione di un abitato protovillanoviano ubicato in zona paludosa (bonificata in età romana) e il riconoscimento di frammenti ceramici affini a quelli di siti dell'Etruria centromeridionale. Dall'opposto versante, gravitante sull'asse fluviale tiberino, proviene un'ascia ad alette del Bronzo Finale riferita al gruppo del Trasimeno: sebbene costituisca un elemento sporadico e decontestualizzato, la sua presenza è indicativa della frequentazione della zona, confermata peraltro da frustuli ceramici da Pieve di Campo e dal Palazzone, pertinenti ad abitati e di recente datati allo stesso periodo. Più consistenti sembrano le testimonianze dell'Età del Ferro: dalla spada ad antenne da Fontivegge ai fittili villanoviani recuperati sia alla sommità (Verzaro) e lungo il declivio occidentale dell'altura sede della città storica (Piaggia Colombata), sia nelle zone finitime poi destinate alle necropoli (Monteluce). I trovamenti alla Piaggia Colombaia (resti di intonaci, contenitori d'impasto, ceramiche figuline dipinte, oggetti destinati alla tessitura e scarti di fornace) testimoniano l'esistenza nell'VIII sec. a.C. di un abitato di capanne; quelli di Monteluce sono stati invece giudicati indicatori di un'area cimiteriale.

La matrice culturale cui afferiscono questi materiali si palesa dunque come etrusca; essa trova conferma nella pertinenza etnica attribuita a P. dalla tradizione antica (Serv., Aen., X, 198), che assegna la città alla originaria dodecapoli (App., Bell, civ., V, 49; Steph. Byz., s.v. Perrhaision): tradizione complessa e articolata che, ricordando il centro anche quale sede di Sarsinati (Serv., Aen., X, 201), ne riflette la collocazione geografica prossima agli Umbri e, menzionandone inoltre un'origine achea (lust., XX, 1, 11), allinea P. ai centri dell'Etruria settentrionale interna (Cortona, Chiusi) nella cui mitistoria è radicata la memoria di presenze pelasgiche e greche. Con i distretti etrusco-settentrionali e con quelli umbri contermini, P. condivide la tensione verso i comparti territoriali della Padania, secondo quanto adombrato dalle fonti stesse che imparentano l'ecista perugino al fondatore di Felsina e di Mantova (Sil. It., Pun., VIII, 599; Serv., Aen., X, 198).

Per la facies orientalizzante il quadro è più modesto: alla fine del VII sec. a.C. appartiene la stele vetuloniese dedicata ad Avele Feluske da un personaggio nel cui cognomen si è voluto ravvisare il nome etrusco di Perugia. La pressoché totale assenza di testimonianze del periodo riguarda anche il territorio dove, a prescindere dall'olla a tre anse proveniente da Pozzuolo e conservata a Firenze (inv. 78066), ricondotta a un nucleo di vasi policromi ancora adespoti e di supposta produzione vulcente, e dalla stele di Monte Gualandro, al confine con l'area cortonese, bisogna giungere intorno alla metà del VI sec. a.C. per rintracciare le emergenze relative ai nuclei gentilizi di Castel San Mariano, sulla via per Chiusi, e San Valentino di Marsciano, sulla via per Orvieto. Queste, nella composizione dei corredi funerari, riflettono modelli ideologici ormai desueti in Etruria e significativamente ancora riscontrabili nel vicino mondo italico (Todi, Monteleone di Spoleto), e al contempo rivelano l'inesistenza di poli di attrazione urbana e il persistere di piccoli potentati locali. Non a caso la neck-amphora con Teseo e il Minotauro, ascritta al gruppo di Londra Β 174, proviene ancora una volta da una località nei pressi di Marsciano, Villanova.

La formazione della città, in sintonia con quanto accade in altri centri dell'Etruria interna, è infatti fenomeno recente rispetto ai tempi documentati nei distretti costieri: P. acquista fisionomia di organismo urbano soltanto nell'inoltrata seconda metà del VI sec. a.C., quando è probabile che determini e favorisca la fusione dei gruppi dislocati nelle campagne. Nel processo coagulante e nella vitalizzazione di interessi verso quest'area deve aver influito la politica espansionistica verso il Tevere promossa da Porsenna. Lo sviluppo cittadino è inoltre da porre in relazione anche con gli esiti della partecipazione alla colonizzazione della Padania. Le necropoli in uso in età arcaica confermano l'avvenuta definizione dell'agglomerato e disegnano in negativo quello spazio soltanto in età successiva circoscritto dalla cinta muraria.

Due documenti della fine del VI sec. a.C. indicano quali siano i principali referenti culturali nel processo formativo della città: il sarcofago dello Sperandio e la più antica testimonianza scritta finora restituita dalla città, l'alfabetario graffito sul fondo di una coppa di bucchero. Entrambi rivelano che nelle fasi iniziali P. è tributaria soprattutto di Chiusi. Il primo, che la presenza di armi nel corredo assegna a un guerriero, è infatti concordemente attribuito ad atelier chiusino; in anni recenti sono state ribadite vecchie interpretazioni o proposte nuove letture della scena della fronte: da un ver sacrum alla migrazione di una gens da Chiusi a P.; dal ritorno da una fortunata razzia alla partenza di un capo con il suo seguito verso le terre padane, dalla raffigurazione allusiva alla vittoria del committente perugino su gruppi umbri alla pompa trionfale o, infine, alla rappresentazione di una processione in cui si fondono ritorno trionfale e apoteosi. L'alfabetario, cui si sovrappone in parte un lemma (abat) nel quale si è proposto di leggere il termine etrusco per «alfabeto», è redatto secondo le norme grafematiche dell'Etruria settentrionale (notazione della velare con k; la sequenza è priva del segno a 8 per la spirante labiodentale che peraltro compare poco dopo nell'epigrafe TLE 629 su statuetta bronzea); ductus e grafia delle lettere rinviano tuttavia anche a Orvieto, un altro centro che economicamente e culturalmente appare collegato a P. sia in età arcaica sia nelle epoche successive.

Area urbana. - Aggiornate ricerche e nuovi rinvenimenti (alcuni ancora inediti) consentono di tracciare con maggior dovizia di dettagli rispetto al passato il quadro relativo all'area urbana, a iniziare dallo stesso percorso della cinta muraria, ormai pressoché privo di soluzioni di continuità se non quelle dei varchi maggiori e minori. Procedendo in senso antiorario, dall'Arco di Augusto la cortina si apre, dopo il tratto di Via Battisti, nella postierla della Conca destinata al transito pedonale, prosegue lungo il Verzaro e, in corrispondenza dell'attuale sede della Facoltà di Magistero, è in luce anche nel suo paramento interno. Piegando verso S, definisce il lato orientale della città fungendo da sostruzione a Via del Poggio: parte a vista, parte chiusa negli edifici presenta, denunciando interventi successivi all'originaria costruzione, inserimenti di rocchi di colonne, alcuni dei quali, ancora rivestiti di stucco, anche in sottofondazione. Dopo Porta Trasimena e l'adiacente segmento, continua all'interno di abitazioni private; si flette quindi verso E con andamento di ancora non sicura lettura, ma l'ipotetico percorso è oggi modificato dal riconoscimento nel Palazzo Oddi, che prospetta su Via dei Priori, di un «frammento» (di cui è visibile anche il lato verso città) che arretra verso monte le ricostruzioni finora proposte. La cortina riappare imponente a disegnare la concavità della Cupa, ove si apre un'altra postierla, per poi piegare ancora a E, fornendo robusta fondazione a edifici di Piazza e di Via Mariotti, fino all'Arco della Mandorla.

Studi dei disegni eseguiti per la costruzione della Rocca Paolina e l'esame delle scarne evidenze superstiti al suo interno consentono di risarcire anche l'intero lato meridionale e di collocarvi la Pòrta di San Savino (annotata con cura dal Sangallo) e, superata Porta Marzia, la c.d. Porta dei Dadari (riprodotta dal Bonfigli), prossima all'Arco di Sant'Ercolano, nell'apertura del quale è stato letto un intervento di età romana sulla base dell'asserita assialità con la porta e della cronologia del vicino tratto basolato di Via Sant'Ercolano. La ristrutturazione dell'edificato e il ripristino di pavimentazioni stradali hanno consentito di portare alla luce un considerevole settore della cinta inglobato nei palazzi di Via Sant'Ercolano e di Via Oberdan e al di sotto di quest'ultima fino a Piazza Matteotti, che le mura percorrono lungo il lato occidentale, per ricomparire a vista in esercizi di Via Alessi, in Via della Pazienza e presso l'Arco dei Gigli, dopo il quale sono apprezzabili in un'abitazione privata per poi perdersi nelle sostruzioni della demolita Fortezza dell'Abate di Monmaggiore (eretta sul sito dell'antica acropoli) e, infine, riemergere in prossimità dell'Arco di Augusto.

La cerchia si adegua alla naturale configurazione del suolo: impostata su omogenee curve di livello, è interrotta da grandi porte all'apice delle estroflessioni e da postierle alle profonde rientranze dei lobi che disegna. È stato giustamente notato che essa appare unitariamente concepita: progettazione ed esecuzione possono ascriversi, sulla base della ricezione in Etruria della volta a botte, degli ornati delle porte e del confronto con analoghi monumenti, alla seconda metà del III sec. a.C. Lungo il percorso si notano tuttavia parziali rifacimenti che, resi evidenti da cuciture nella tessitura muraria, da variazioni nella stratigrafia verticale, da reimpieghi di materiali, vanno imputati a interventi cronologicamente distinti (alcuni databili al II sec. a.C., altri dopo la guerra perugina, altri ancora alla fine del XIII sec.). Nelle riprese dell'ordito del tratto settentrionale sono state inoltre individuate le tracce di una primitiva cinta della fine del IV sec. a.C.: a conforto dell'ipotesi è stato ricordato il testo liviano che, in relazione agli eventi connessi al passaggio della Selva Cimina nel 310 a.C. e alla battaglia presso P. (Liv., IX, 37, 11), ricorda l'arrivo di Q. Fabio Rulliano ad moenia della città (Liv., IX, 40, 19); una successiva lettura ha proposto di identificare nelle stesse tracce il collegamento della cinta urbica ad altra più antica eretta a difesa della sola acropoli.

L'attenta ubicazione della cortina e la disposizione dei varchi rispondono a un assetto urbanistico senz'altro collaudato già prima della costruzione della barriera e codificano una viabilità interna ed esterna da tempo tracciata. Entro il perimetro delle mura i monumenti di età etrusca indicano l'articolazione degli spazi, confermata dagli ormai numerosi resti di epoca romana, ribadita spesso dalla fase medievale, leggibile a volte nella continuità di destinazione d'uso delle aree. A disegnare l'organizzazione interna concorrono infatti documenti di varia natura e cronologia: in primo luogo i segmenti viari basolati (rinvenuti a Piazza Ansidei, Capitolo della Cattedrale, Piazza Cavallotti, Via Bontempi, Via Sant'Ercolano), la cui pavimentazione è stata riferita in massima parte all'età augustea. A questi si sommano le numerose riserve idriche, etrusche e romane, disseminate nella città (Piazza Danti, Capitolo della Cattedrale, Via Bonazzi, Corso Vannucci, Rocca Paolina), ma distribuite nel coerente rispetto di una viabilità suggerita dalla loro stessa ubicazione: tali strutture formano il tessuto connettivo da cui emergono per imponenza il Pozzo Sorbello e la cisterna di Via Caporali.

Entrambe le opere idrauliche, in età etrusca sapientemente ubicate in prossimità delle due alture chiuse dalla cerchia urbica, rivelano il proprio carattere pubblico e un'esecuzione rispondente alla stessa tradizione edilizia. Se del Pozzo Sorbello, da porre verosimilmente in relazione con una platea pavimentata a grandi lastre e definita più a N, alla base dell'acropoli, da probabili strutture murarie, si è nel tempo perpetuato l'utilizzo, la cisterna di Via Caporali, strutturalmente analoga al pozzo, seppur di più modeste dimensioni, viene dapprima privatizzata da una domus con pavimento in signino nero di II sec. a.C., poi obliterata da un riempimento di tarda età imperiale. Funzionale alla regolamentazione delle acque è anche la rete dei cunicoli a volte connessa e quindi rivelatrice dell'ordito stradale superiore.

Elementi di particolare rilievo per la ricostruzione dell'impianto urbanistico emergono dall'indagine archeologica condotta in due settori della città: nella centrale Piazza IV Novembre e nella vicina Piazza Cavallotti. Nella prima è da identificare un'area di assoluto rilievo sostruita a Ν dal poderoso muro scoperto in Via delle Cantine, eretto in opera quadrata forse in età successiva alla cinta; il suo orientamento è simile a quello di altri due tratti murari all'incirca paralleli fra loro che potrebbero ancora indicare l'antica organizzazione spaziale della zona: l'uno, alquanto rimaneggiato e pertanto di incerta lettura, sotto il campanile del Duomo, l'altro all'interno del Palazzo dei Priori (quest'ultimo, nella sovrapposizione dei filari, sembra mostrare due fasi come un segmento della cerchia in Via Battisti). All'ordinata disposizione di tali strutture si adegua la recenziore costruzione, al margine occidentale della platea, di un vano a L (ne è stato scavato soltanto il lungo braccio longitudinale) in opera cementizia foderata all'interno di cocciopesto e fornita di bauletto: in esso è da leggere ciò che resta di una cisterna o forse del bacino di raccolta di una fontana monumentale posta a delimitare, quale quinta scenografica, un'area della quale ubicazione e rinvenimenti dichiarano il carattere pubblico. All'arredo della medesima viene attribuito un monumento equestre in onore di Augusto (resta parte dell'epigrafe dedicatoria); al centro dell'attuale piazza, infine, un pozzo è stato datato in età classica. Andamenti analoghi a quelli delle menzionate strutture mostrano altri lacerti murari individuati più a S, sotto il Palazzo delle Poste, in una zona dove la tradizione medievale pone le parrocchie di S. Giovanni de foro e di S. Maria de foro suggerendo l'ampiezza (raggiunta nella fase romana?) dell'area pubblica.

La seconda zona più estesamente indagata, quella di Piazza Cavallotti, è altrettanto significativa sia per la comprensione dell'assetto urbanistico sia per la stratificazione cronologica del medesimo: oltre a tratti basolati all'incrocio di percorsi stradali, vi sono stati rinvenuti un deposito votivo con materiali dal III al I sec. a.C. (sicuro indizio di un vicino luogo di culto; verosimile segno della sua distruzione con la guerra del 41/40 a.C.?), una fontana monumentale a pianta semicircolare di II sec. d.C. (cui appartengono una fistula aquaria con nome del plumbarius e crustae marmoree) ampliata e pavimentata con mosaico a tessere rosa nel V sec. d.C. e più cunicoli collegati in «sistema» (uno di essi probabilmente si raccorda con il bacino di Piazza IV Novembre).

Oltre a quella appena menzionata, si conosce con sicurezza un'altra area sacra ubicata in epoca etrusca internamente alla cerchia: si tratta del tempio prossimo alle mura di Viale Indipendenza che fra le terrecotte architettoniche ha restituito sia esemplari di II sec. a.C. sia alcuni tipi (accertati da un'inedita documentazione fotografica) affini a modelli orvietani di età più antica; l'ubicazione del santuario è stata posta in relazione con quella della vicina porta urbica dell'Arco della Mandorla.

Il complesso dei rinvenimenti relativi al circuito murario e alle strutture a esso interne, considerati nella loro diacronia, lascia dunque ipotizzare, pur con le necessarie cautele, un impianto urbanistico caratterizzato da assi stradali disposti in modo sostanzialmente regolare: assi che dalle porte nella cinta guadagnano la sommità dell'altura superando anche forti variazioni di livello. A fornire spessore all'ipotesi concorrono non soltanto tratti basolati e ubicazione delle riserve idriche, ma alle maglie del reticolo si adeguano altre murature (Via della Cupa, Rocca Paolina) e soprattutto resti di domus rese evidenti sia da tappeti musivi sia da più modesti pavimenti in cocciopesto (in Piazza Ermini, Piazza Danti, Piazza Morlacchi, Via del Verzaro, Via Bonazzi, Via Baldo e area del Palazzo delle Poste: in quest'ultima, oltre ai già menzionati lacerti murari, è registrato il rinvenimento presso Via Fani di una soglia con mosaico imitante i cassettoni di un soffitto e datato alla metà del I sec. a.C., di una più recente pavimentazione forse a lastre marmoree, di un impluvium e del frammento di una statua bronzea). Le abitazioni romane si ubicano ai margini degli assi stradali, ma a volte invadono spazi in precedenza destinati alla pubblica fruizione o zone di rispetto delle mura.

La fase romana emerge dunque con assoluta evidenza nel palinsesto urbano, sia grazie ai rinvenimenti di strutture che alla documentazione epigrafica. Di rilievo è la scoperta in località Verzaro, all'interno delle mura etrusche, della lastra opistografa che menziona la Via Thorrena, lastricata e fornita di crepidines a spese del Ilvir C. Firmius Gallus, e fornisce ulteriori indicazioni topografiche (ab ara Silvani ad aream Tlennasis), forse in parte da riferire ai resti della vicina Piazza Cavallotti. Altrettanto rilevanti, sia sotto il profilo dell'edilizia e dell'urbanistica sia per le implicazioni storico-religiose, sono i dati scaturiti dal riesame del titolo relativo al rifacimento dell'aedi di Aeraecura (Hera Cura), il cui culto di carattere ctonio è stato collegato a quello di Hera ricordato dalle fonti unitamente alla menzione del Tempio di Efesto (App., Bell, civ., V, 49; Dio Cass., XLVIII, 14, 5) e alla probabile evocatio della dea in occasione del bellum (Dio Cass., XLVIII, 14, 6). Sono poi noti il calcidico (CIL, XI, 7095), da ubicare probabilmente nei pressi di Via Alessi, il ginnasio (piatanona in un frustulo epigrafico) nella zona della Conca, una schola Laeliana (CIL, XI, 1924); dubbia invece la pertinenza perugina del titolo menzionante comizio, foro e aqua virgo (CIL, XI, 1946).

Se per le aree esterne alla cinta l'età etrusca conosce alcuni luoghi di culto di cui sono indizio terrecotte architettoniche (quelle di IV sec. a.C., nuovamente riconducibili a tipi volsiniesi, da Monteluce e dal Tiro a segno e quelle della prima metà del II sec. a.C. da San Faustino), l'epoca romana attua l'espansionè della città anche a scapito dei sepolcreti a ridosso della cerchia: nella zona della Conca sorgono le terme con il mosaico di Orfeo ascritto a maestranze romane degli inizi del II sec. d.C. (alle terme è forse da connettere una riserva idrica alle pendici di Monte Morcino) e nel sito del Palazzo Della Penna è stata riconosciuta parte dell'anfiteatro. Il luogo di reimpiego e il testo di un'epigrafe (CIL, XI, 1945) lasciano supporre la lastricatura di una via esterna alla città dal tempio di Sant'Angelo alla Porta Pulchra (Arco di Augusto; nei pressi della stessa porta viene ubicata una domus dal codice Bavaro), mentre lungo le vie che si allontanano dal centro urbano alcune strutture sono verosimilmente relative a monumenti funerari (Piazza Partigiani, Via dell'Asilo, campanile di San Pietro) e a ville suburbane (Santa Lucia). L'intensa edilizia romana è resa esplicita anche dai numerosi elementi architettonici riutilizzati in successivi edifici a prevalente destinazione cultuale. Per quanto riguarda i culti di età romana, essi sono menzionati sia dalla documentazione letteraria sia dai titoli epigrafici: si ricordano alcuni altari dedicati ad Augusto da Perusia restituta (CIL, XI, 1923) e la consacrazione allo stesso di un lucus (CIL, XI, 1922).

Altri documenti archeologici testimoniano le fasi tardoantiche e altomedievali: alle terme si sostituisce un'area di culto cristiana da cui proviene il sarcofago del Beato Egidio databile intorno al 360 d.C.; nel centro cittadino, nel sito di Palazzo Donini, la rilettura dei documenti relativi al rinvenimento del gruzzolo monetale e del piatto d'argento datato intorno alla metà del VI sec. d.C. fa supporre piuttosto la deposizione di un martire, cui fu riservato un culto, anziché la sepoltura di un «tesoro»; le strutture trovate nella vicina Piazza della Repubblica potrebbero collegarsi alla distrutta chiesa di Sant'Anastasio (?); all'epoca paleocristiana appartengono le prime fabbriche di San Pietro e San Costanzo, mentre l'edificio a pianta centrale di Sant'Angelo, con ricco materiale di spoglio, è stato assegnato agli inizi del VII sec. d.C. Dal territorio perugino proviene invece il sarcofago strigliato di III sec. d.C. oggi a Sant'Ercolano.

Necropoli. - Le aree cimiteriali urbane che hanno restituito materiali databili dalla fine del VI sec. a.C. sono quelle dello Sperandio, di Monteluce, del Frontone; i corredi annoverano esemplari attici perduranti nel corso del V sec. a.C., epoca in cui sono noti in contesti funerari anche di altre località. Più antica appare essere la frequentazione delle due zone in cui si articola la necropoli arcaica del Palazzone. Tale necropoli, per dislocazione geografica, è da riferire - sia nella sua fase più antica sia in quella ellenistica, assai più ricca di presenze - a un nucleo abitativo distinto dalla città, la cui storia è ipoteticamente ricostruibile per grandi tappe: da insediamento frequentato in età protostorica (si ricordano i frammenti del Bronzo Finale) a verosimile sede di un gruppo, seppur più modesto, analogo a quelli rivelati dai rinvenimenti di Castel San Mariano e San Valentino, quindi da oppidum di P., ubicato a controllo del guado del Tevere, a dimora extraurbana della gens dei Velimna.

Scavati nel locale tassello con accessi spesso definiti da partiture architettoniche, di rado forniti di interni paramenti lapidei, gli ipogei perugini sono inizialmente riservati a poche deposizioni che si moltiplicano invece nel corso dell'età ellenistica. Opere di rilievo appartengono al IV sec. a.C. che, insieme al successivo, segna un periodo di grande sviluppo e ricchezza testimoniato dai corredi di tombe aristocratiche e dai monumenti cittadini. Ai decenni iniziali si ascrive il cinerario bronzeo dell'Ermitage, insolito in un ambiente all'epoca inumatore, di cui è stata appurata la provenienza dalla località SS. Trinità a SE della città: all'attribuzione a bottega chiusina è stata proposta un'alternativa volsiniese. La necropoli dello Sperandio annovera l'anfora a punta del Pittore di Perugia (380 a.C.) e il cratere a calice con Eracle e le Amazzoni (330-300 a.C.); dal Palazzone proviene la kelèbe volterrana del Pittore di Hesione (330-310 a.C.) e da Monteluce esemplari della stessa classe, forse modelli per una produzione locale che conosce redazioni più modeste o acrome, note anche dal territorio. Da Orvieto giungono ceramiche argentate. Sintomo evidente delle disponibilità economiche è anche la deposizione di preziosi ornamenti aurei. Indicativa ancora della ricchezza e della mentalità dei gruppi socialmente emergenti è, nei corredi maschili, la presenza, condivisa da P. nell'ambito dell'Etruria interna con l'area volsiniese, delle armi di offesa e di difesa: fra le prime si riscontrano anche machàirai, fra le seconde si menziona il recente riesame di schinieri dal Frontone che l'iscrizione umbra (tutas), replicata - come mostrerebbero documenti d'archivio - su analoghi oggetti dall'ipogeo dei Volumni, suggerisce pertinenti al bottino di guerra di capi perugini. Vengono deposti inoltre strigili e kòttaboi, allusivi al valore atletico, i primi, e al ruolo ancora demandato al simposio, i secondi. La presenza di gruppi aristocratici anche nel territorio è provata dagli affini corredi da Monte Tezio e da Pila.

Con la fine del IV sec. a.C. cominciano a notarsi a P. modificazioni che, ben evidenti intorno alla metà del III sec. a.C., investono composizione sociale e tradizione funeraria, mentre si recepiscono nuovi modelli architettonici e nascono nuove produzioni artigianali. Specchio fedele delle trasformazioni sono le necropoli: alla fine del IV-inizi del III sec. a.C. alcune tombe rivelano il persistere dell'inumazione e di famiglie di rango, come il sepolcro - esemplificativo anche di altri - della dama dello Sperandio deposta in un sarcofago con i suoi gioielli e titolare di numerosi bronzi (tra cui lo specchio con Lasa Achununa); altre tombe mostrano, accanto alla cassa lapidea che è indizio della deposizione più antica, numerose urne per incinerati. In prosieguo di tempo si afferma infatti l'incinerazione e dalla metà del III sec. a.C. si assiste anche a un sensibile incremento demografico (rilevabile nelle necropoli sia urbane sia del territorio); Sui cambiamenti interagiscono più fenomeni, dalle ripercussioni della conquista di Volsinii con la conseguente diaspora verso P. e la valle umbra alla progressiva romanizzazione, favorita anche dall'apertura della Via Amerina. Il mutato rito funerario avvia quella ricca produzione di urne che coinvolge P., Chiusi e Volterra in una feconda circolazione di modelli e di maestranze, privilegia localmente il travertino e in seguito influenza le tarde redazioni volterrane a opera di artigiani perugini emigrati. Le epigrafi che le corredano restituiscono un cospicuo patrimonio onomastico attestante l'ampia diffusione di ceti medi e subalterni. In molti ipogei, soprattutto di II sec. a.C., si verifica la compresenza di liberi e di lautni, di etera e di discendenti affrancati e si constatano esempi di cooptazione nel novero dei cittadini liberi di membri delle antiche classi servili. È stato affermato che l'emancipazione viene concessa dai domini al fine di neutralizzare possibili richieste presumibilmente troppo insidiose per un'egemonia da tempo consolidata, ma tra gli esponenti dell'aristocrazia perugina la nuova situazione deve aver creato qualche disagio se, agli inizi del II sec. a.C., come di recente ipotizzato, alcuni di loro si inseriscono in omologhe compagini di altre città etrusche (Arezzo e Volterra).

La Tomba dei Cai Cutu, in uso tra III e I sec. a.C., esemplifica al meglio i cambiamenti: il sarcofago chiude le spoglie del capostipite cui si affiancano le cinquanta urne dei discendenti. La famiglia, come denuncia il gentilizio, è di origine subalterna e proviene da Orvieto (in seguito ai trionfi romani delj 294 o del 280, piuttosto che alla conquista del 264 a.C.), ma raggiunge presto un notevole benessere, riflesso anche dalla qualità delle due più antiche urne stuccate e dipinte, e si adegua alla cultura dei gruppi emergenti come si evince dalla presenza nei corredi di armi e kòttaboi. Cerca quindi di far dimenticare la sua origine eliminando il Cai dalla formula onomastica e infine latinizza il gentilizio in Cutius menzionando la tribù di pertinenza (Trementina), in analogia con il passaggio, dopo l’89 a.C., al nomen Rufius della famiglia dei Rafi (Raufi/Rufi) della vicina necropoli del Cimitero. L'uso della Tomba dei Cutu sembra cessare con il bellum perusinum. Alcune urne trovate nell'ipogeo sono state assegnate alla «Bottega dei Satna», attiva nella seconda metà del II sec. a.C., e cosi denominata dalla famiglia (forse da connettere ai Satana attestati in età arcaica a Volsinii) titolare di una tomba rinvenuta a Ponticello di Campo: alla stessa bottega vengono ascritti anche esemplari dal sepolcro dei Cai Carcu nella medesima località. Ma particolarmente significative appaiono essere le più antiche tra le urne dei Cai Cutu: la loro affinità con quelle della tomba dei Volumni conferma che l'uso di questa inizia almeno nella seconda metà del III sec. a.C., perdurando, oltre il bellum, fino al I sec. d.C.

La famiglia dei Velimna rappresenta, insieme a quelle degli Afuna e dei Velthina che tra III e II sec. a.C. codificano il reciproco accordo sul cippo, il persistere della classe magnatizia perugina, seppur diminuita nel numero degli esponenti e ora insediata nel territorio. In sintonia con quanto accade in altre pòleis etrusche, suoi membri confluiscono in prosieguo di tempo nella classe dirigente romana. È infatti nel corso del III sec. a.C. che si modifica l'atteggiamento di P. nei confronti di Roma: all'iniziale contrasto, testimoniato dagli episodi che vanno dalla rottura della tregua del 310 (Liv., IX, 40,18) agli avvenimenti del 294 a.C. successivi a Sentino (Liv., X, 37, 4-5), si sostituisce il positivo rapporto che vede nel 216 a.C. l'invio di una coorte a difesa di Casilino (Liv., XXIII, 17, 11). L'adesione delle nobili famiglie locali ai programmi politici di Roma trova altri esempi nell'accesso al consolato nel 130 a.C. di M. Perperna, di supposta origine perugina, e nell'integrazione nella classe senatoria dei Vibii, dei Volcacii, dei Betui.

L'incremento demografico, rilevato a iniziare dalla seconda metà del III sec. a.C. ed evidente anche nel secolo successivo, si percepisce anche nel territorio. Se le necropoli urbane aumentano, disponendosi a stella intorno alla città e allontanandosi da quelle arcaiche, nelle zone rurali, soprattutto lungo le direttrici viarie, si assiste alla diffusione capillare delle aree cimiteriali. Tra i rinvenimenti recenti e di maggior rilievo è da ricordare quello di tombe costruite in conci di travertino in località Madonna Alta. Le numerose necropoli testimoniano l'esistenza di sobborghi e di più modesti nuclei insediativi distribuiti nella campagna, il cui discreto, diffuso benessere deriva in massima parte dallo sfruttamento dei suoli che perdura con successo nell'età romana, come conferma anche il recente riconoscimento di una villa nei pressi di Corciano. Il rendimento agricolo della regione viene adombrato dalle fonti con la menzione degli aiuti in frumento (e legname) dati a Scipione nel 205 a.C. (Liv., XXVIII, 45, 18) e, indirettamente, con la definizione di perusinia data da Plinio a ima qualità d'uva apprezzata a Modena (Plin., Nat. hist., XIV, 39).

In ipogei della tarda età ellenistica presenti nell'agro perugino trovano ampia applicazione soluzioni architettoniche sperimentate nell'edilizia pubblica urbana: le tombe con volta a botte segnalano la diffusione di modelli desunti dai monumenti funerari macedoni, recepiti in Etruria grazie al tramite magno-greco e accolti in tempi diversi anche nei distretti chiusino, cortonese e orvietano, confinanti con il perugino, e nella contermine area italica, come dimostrato dall'ipogeo di Bettona. Questo centro, al pari della più settentrionale Ama, può essere considerato già dal IV sec. a.C. un avamposto di P. al di là del Tevere, in zona umbra. Il territorio gravitante su P. dovette tuttavia subire - a quanto ricordano le fonti (Dio Cass., XLVIII, 14, 6) - drastiche riduzioni a seguito del bellum e probabilmente esso fu spartito tra i vicini municipi.

Museo. - L'esposizione delle collezioni del Museo Archeologico Nazionale dell'Umbria, rimasta in parte immutata, è attualmente (1995) in corso di rifacimento in molte sale. Recente è la sezione dedicata alle fasi iniziali della storia urbana con i materiali protostorici rinvenuti nelle diverse località. Alcuni ambienti vengono destinati a mostre temporanee, quali quella dei reperti africani raccolti dall'esploratore perugino Orazio Antinori o quella degli oggetti della Collezione Guardabassi o quella dei materiali di più recente restauro. Nel chiostro del Museo è in fase di allestimento la ricostruzione della Tomba dei Cai Cutu destinata ad accogliere gli oggetti ivi trovati.

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