PERDIX

Enciclopedia dell' Arte Antica (1965)

PERDIX (Περδιξ)

A. Bisi

Nipote di Dedalo per parte di madre la quale, secondo alcune più tarde versioni (cfr. Suda, s. v. Πέρδιχος ἱερόν) si impicca per il dolore causatole dalla morte del figlio. Anch'essa è chiamata talora Perdix, nome che, come è stato supposto, può esser sorto da una contaminazione con quello del figlio. Questi è ricordato nei Κομικοί di Sofocle (presso Fozio e Suda), in Igino (Fab., xxxix, 244) e in Ovidio (Metamorph., viii, vv. 243 ss.) e in molte altre fonti letterarie a causa della sua sciagurata sorte: giacché essendo stato affidato allo zio Dedalo e avendo inventato molti strumenti utili all'umanità, come la sega e il compasso, sarebbe stato ucciso da quello per invidia e gelosia di mestiere. Secondo la narrazione ovidiana Dedalo l'avrebbe precipitato giù dall'acropoli di Atene lapsum mentitus ma Minerva l'avrebbe raccolto prima che toccasse terra trasformandolo in un uccello, la pernice.

In una fonte più tarda (Lactan. Placid., Narrat. fab., viii, 3) troviamo menzionato un Perdix Calai; ciò porta a considerare il problema dello scambio a'vvenuto fra P. e Kalos o Talos; il nome Kalos per l'infelice nipote di Dedalo è tramandato da Pausania (i, 21, 4; 26, 4) e da altri scrittori, mentre sappiamo, d'altro canto, che Talos era un antico dio cretese verosimilmente introdotto dall'isola in Atene ove assunse il nome leggermente variante di Kalos, fondendosi quindi con il mito di Dedalo ed Icaro - anche Icaro, si noti, perisce per una caduta, sebbene non procurata dal padre - ma i modi e i tempi di questa trasmissione rimangono quanto mai vaghi e sfuggenti ad ogni puntualizzazione più precisa.

L'unica rappresentazione che possa dirsi abbastanza sicura del mito di P., peraltro così vastamente diffuso nelle fonti letterarie, è una pittura pompeiana di stile popolare, proveniente dalla Bottega del Profumiere, Reg. iv, n. 33, ora al Museo Nazionale di Napoli: su una scena di ambiente e di realizzazione artistica prettamente romani, una processione di falegnami che recano a spalla un ferculum con immagini inerenti al loro mestiere, si inserisce il ricordo del mito, ellenico nei suoi protagonisti canonici, se non nella sua origine prima: dentro il tabernacolo a forma di tempietto è eretto in piedi Dedalo che, con il volto appoggiato a una mano e tenendo nell'altra un compasso (o altro arnese non ben identificato) guarda pensosamente verso una figura virile nuda, appena sbozzata, distesa orizzontalmente ai suoi piedi, che ha un chiodo conficcato nel capo: in essa è stato riconosciuto Kalos o P., l'infelice nipote di Dedalo (seppure non si tratta di un'opera di scultura che Dedalo primus artifex ha concepito e realizzato con le sue mani); d'altro canto è significativo il comparire del chiodo - o non si tratta anche qui di un compasso? - nella testa della figura giacente, che somiglia, a dire il vero, più a un manichino che a un defunto, e fra le mani di Dedalo; onde sembra esservi un'allusione precisa a uno degli strumenti inventati da P. che suscitarono in ultima analisi la rivalità dello zio; si aggiunga che entro il tabernacolo compare, all'estrema sinistra, una figura femminile assai frammentaria, con lungo chitone, lancia e scudo, identificabile con assoluta certezza con Minerva, protettrice dei falegnami, le cui quotidiane occupazioni sono rispecchiate da altri tre ragazzi dentro il ferculum intenti a segare e piallare: ma si potrebbe anche pensare alla sua presenza come a un ricordo del ruolo da essa svolto in quella versione della leggenda, raccolta anche da Ovidio, in cui P. precipita dalla rocca sacra ad Atena ma si salva appunto per l'intervento della dea.

Bibl.: Höfer, in Roscher, III, 2, 1902-1909, cc. 1947-55, s. v., n. 2; C. Robert, in Pauly-Wissowa, IV, 2, 1901, cc. 1996-7, 2006, s. v. Daidalos; G. Gerland, Über die Perdixsage und ihre Entstehung. Eine linguistisch-mythologische Abhandlung, Halle a. Saale 1871; R. Holland, Die Sage von Daidalos und Ikaros, Lipsia 1902, pp. 20 ss. Sulla pittura pompeiana: E. Gerhard, Dädalos und Perdix, in Arch. Zeit., VIII, 1850, cc. 178-83, tav. XVII, n. i; W. Helbig, Wandgemälde Campaniens, Lipsia 1868, pp. 359-60, n. 1480; R. Bianchi Bandinelli, Storicità dell'arte classica, Firenze 19502, p. 175, tav. LXXXII, n. 166.