ZAMBECCARI, Pellegrino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 100 (2020)

ZAMBECCARI, Pellegrino (Peregrino). – Figlio di Giovanni di Gerardo Zambeccari e di Cecilia di Sabbadino Sabbadini, nacque a Bologna intorno alla metà del XIV secolo. Nel 1355 il padre sposò in seconde nozze Giovanna di Guido da Scanello (la notizia è riportata in Epistolario di Pellegrino Zambeccari, a cura di L. Frati, 1929, pp. VII s.). L’anno di nascita, probabilmente il 1350, si ricava dalla data di immatricolazione di Pellegrino all’Arte dei notai del comune di Bologna (16 giugno 1368), poiché di norma a tale carica si accedeva intorno all’età di diciotto anni (p. VIII)

Roberto Siniscalchi

Non si hanno notizie certe circa i primi anni di vita di Zambeccari e la sua formazione di notaio. La maggior parte delle informazioni biografiche si ottiene dalla documentazione rinvenuta da Lodovico Frati agli inizi del XX secolo presso l’Archivio di Stato di Bologna e dalle numerose lettere attribuite a Zambeccari da alcuni antichi manoscritti: tutte testimonianze databili agli ultimi due decenni del Trecento, quando Pellegrino, ormai trentenne, cominciò ad affermarsi come figura di spicco nel panorama politico e culturale cittadino (l’Epistolario – corredato da un ampio e completo profilo biografico, al quale si rimanda per il recupero delle indicazioni archivistiche – fu pubblicato da Frati nel 1929).

Tra la fine del 1378 e l’inizio dell’anno successivo, Zambeccari ricoprì l’incarico di cancelliere del neoeletto arcidiacono – nonché legato pontificio a Bologna – Filippo Carafa. Il 7 dicembre 1378, infatti, su ordine di quest’ultimo, stipulò insieme al notaio Benvenuto da Ripoli l’atto che confermava la sottomissione di Imola alla città di Bologna. In una lettera indirizzata a papa Urbano VI (attribuita a Zambeccari dal codice di Napoli, Biblioteca nazionale, V.F.37), Pellegrino – ritornato a Bologna dopo alcuni mesi di soggiorno a Firenze – chiese al pontefice un sussidio, poiché le rendite del suo ufficio di cancelliere dell’arcidiacono non bastavano a pagare tutte le spese, e lo supplicò di non lasciarlo nell’indigenza (la lettera, se autentica, fu datata intorno al 1378; sulla questione si veda Epistolario, cit., pp. VIII, 3 s.).

Ben presto Zambeccari dovette comunque raggiungere una certa agiatezza economica: l’8 marzo 1381, infatti, il cittadino bolognese Ugolino Camorata gli cedette «una parte per indiviso delle 170 parti, e della quarta parte di altra parte d’una casa sotto S. Tecla di Porta Nuova per lire 65» (la notizia è tratta da Guidicini, 1868, p. 80); nel 1381 prestò trecento lire al miniatore Azzone di Benello; il 5 febbraio 1384 Martino da Gemona, arcidiacono di Aquileia, gli restituì trentasette ducati d’oro ricevuti in prestito; infine, il 10 giugno dello stesso anno prestò cento lire al modenese Niccolò de’ Bazzinetti per il pagamento della dote della sua futura sposa Lucia d’Albertino da Verona (le notizie di questi prestiti sono riportate in Epistolario, cit., p. XIII).

Nel 1383, in qualità di rettore di San Martino in Soverzano, affittò per cinque anni la suddetta chiesa, con i relativi possedimenti e le rendite da essa ricavate, al rettore della chiesa di Santa Maria di Riosto (p. X).

Verso la metà degli anni Ottanta del Trecento, ottenne una serie di incarichi presso gli uffici del Comune. Le prime notizie sulle cariche pubbliche da lui ricoperte risalgono infatti alla fine del 1385, quando venne nominato notaio per due semestri presso l’ufficio delle Riformagioni e provvisioni; l’anno seguente fu invece incaricato come notaio nell’ufficio dei Memoriali; e tra il 1387 e il 1393 figurò tra gli uomini del Consiglio dei Seicento (Epistolario, cit., pp. X s.; Ghirardacci, 1657, p. 469).

Convinto sostenitore di parte guelfa, fu sempre in ottimi rapporti con la curia pontificia, tanto che nel 1387 venne nominato da Urbano VI notaio della Camera Apostolica; carica riconfermata alla morte del papa grazie alle raccomandazioni ottenute dall’arcidiacono di Bologna Antonio Caetani e dal cardinale Bartolomeo Mezzavacca (entrambi suoi amici e corrispondenti): il 13 aprile 1390 fu infatti nominato familiare del nuovo pontefice, Bonifacio IX, e nel gennaio del 1393 segretario e scrittore apostolico. Dal 1387 al 1398 fu rettore dell’ospedale di Santa Maria della Viola fuori porta San Felice, presso il ponte di Reno (sui rapporti tra Zambeccari e la curia si veda nello specifico Epistolario, cit., pp. XI s., 263 s.).

Nel 1388 fu investito della più alta carica istituzionale all’interno della Società dei notai, quella di correttore, e soltanto l’anno successivo ottenne il prestigiosissimo incarico di cancelliere comunale al fianco di Giuliano Zonarini (carica che manterrà per dieci anni). Tra il settembre e l’ottobre del 1391 compariva tra gli Anziani del Comune, e nel 1393 compì due importanti ambascerie: si recò a Ferrara insieme a Salvetto dalle Pallotte per la morte del marchese Alberto d’Este; e il 24 luglio andò da papa Bonifacio IX per trattare alcuni affari del Comune e «a presentargli [...] un superbo cavallo, e ricco di finimenti del valore di più di 500. Ducati» (Fantuzzi, 1790, p. 231).

Zambeccari risiedette a Bologna nella casa di famiglia – acquistata da Giovanni, suo padre, nel 1351 (Guidicini, 1869, p. 302) – in via Barberia presso la parrocchia di San Barbaziano. Nel 1384 sposò Orsina di Giovanni Codecà (l’evento è registrato in M. Griffoni, Memoriale historicum..., a cura di L. Frati - A. Sorbelli, 1902, p. 78), dalla quale ebbe sette figli: Giovanni (nato nel 1386), Scipione, Lodovico, Marchese, Iacopo (nel 1398 Pellegrino lo raccomandò a Bonifacio IX, affinché lo promuovesse a un canonicato; v. Epistolario, cit., pp. 71 s.), Mattea (nel 1404 sposò Andalò Griffoni) e Margherita. Prima del matrimonio con Orsina, ebbe un figlio naturale di nome Gasparino che ricevette la tonsura nel 1388 (p. X). Alla morte del fratello Antonio, avvenuta nel 1389, prese i suoi due figli a carico (lettera del 14 novembre a Egano Lambertini, pp. 18-21).

Per quanto riguarda la sua produzione letteraria, gli si attribuiscono nove sonetti, una canzone e un capitolo ternario (le composizioni in volgare di argomento amoroso sono dedicate a celebrare la bellezza di una giovane donna di nome Giovanna; Rimatori bolognesi del Trecento, a cura di L. Frati, 1915, p. XXXII; Pellegrino Zambeccari, 1961, p. 574). Un sonetto di Zambeccari, Qual Phidia nel scudo de Minerva, fu vergato sul verso dell’ultima carta del codice Hamilton 90 della Staatsbibliothek di Berlino (il manoscritto autografo del Decameron di Giovanni Boccaccio) da una mano diversa da quella dell’autore di Certaldo (sulle orme di Aldo Massera, che lo pubblicò per primo nella sua edizione del Decameron, Vittore Branca ipotizzò che i versi fossero autografi di Zambeccari; sulla questione si veda Branca, 1991). Zambeccari fu inoltre il destinatario dell’epistola metrica Si michi sufficeret sensus, ut sufficit etas del poeta Matteo Griffoni tramandata dal codice di Roma, Biblioteca nazionale, 563 (Marcon, 2005, p. 415; l’epistola latina è pubblicata in Epistolario, cit., pp. 272 s.). Probabilmente i rapporti con Griffoni dovettero andare al di là di questo singolo scambio poetico: Orsina, la moglie di Zambeccari, era infatti cugina di Elena, moglie di Griffoni; e Pellegrino nel 1374 fu testimone, insieme a Giovanni Pepoli, Azzo Torelli e Francesco Bruni, dell’apparizione negromantica di Raffaella Marsili, la «donna amata dal Griffoni in vita e santificata in morte» (Marcon, 2005, p. 414; l’episodio è raccontato in M. Griffoni, Memoriale historicum..., cit., pp. 70 s.).

Le lettere dell’epistolario giungono a noi principalmente attraverso tre codici: il quattrocentesco Firenze, Biblioteca nazionale, Magl. II.I.64 (già Strozziano n. 487); il codice V.F.37 della Biblioteca nazionale di Napoli, databile ai primi del Quattrocento (il codice, che tramanda anche alcune epistole di Pier della Vigna e Coluccio Salutati, si apre con la lettera di un padre che intende inviare al figlio alcuni tra i migliori esempi di corrispondenza cancelleresca); e il manoscritto 129.A.22 della Koninklijke Bibliotheek dell’Aia, copia del già citato V.F.37 della Biblioteca nazionale di Napoli.

Nell’edizione di Frati le epistole di Zambeccari sono divise, a seconda delle loro qualità, in due gruppi: le prime 63 riguardano la corrispondenza privata, le restanti 205 la corrispondenza ufficiale o cancelleresca. Per quanto riguarda queste ultime, cioè le lettere redatte da Zambeccari per conto delle istituzioni bolognesi, bisogna tuttavia precisare che i codici che le tramandano sono dei copialettere a uso delle cancellerie e pertanto, a volte, la firma del cancelliere o la data della missiva è omessa: talvolta «manca pure l’indirizzo, ed i nomi delle persone ricordate nelle lettere sono spesso sostituiti da semplici iniziali. Riesce quindi difficile di poter discernere quante e quali siano le lettere di Pellegrino Zambeccari; ma poiché molte di esse furono scritte a nome del comune di Bologna nel tempo in cui egli era cancelliere, mi pare che non vi possa essere dubbio che gli appartengano» (Epistolario, cit., p. XXI).

Se le lettere ufficiali sono di grande interesse per la storiografia bolognese, quelle private delineano invece il tessuto culturale entro il quale Zambeccari operava. Letteralmente immerso nell’ambiente umanistico orbitante intorno alla corte papale della fine del Trecento, tra i suoi corrispondenti troviamo: Salutati, Pietro Paolo Vergerio, ma anche Bernardo da Moglio, figlio dell’illustre Pietro, amico di Francesco Petrarca e precettore di Salutati a Bologna. Sebbene non vi siano notizie certe o documenti a riguardo, Frati ipotizzò che Zambeccari in gioventù avesse avuto come precettore proprio Pietro da Moglio: «Rende più verosimile questa congettura il contratto d’affitto per una casa, sotto la parrocchia di S. Isaia, confinante coll’orto dei Francescani, e con Carlino Zambeccari, stipulato il 14 aprile 1372 per due anni fra Carlino di Cambio Zambeccari, studente in diritto civile e Pietro da Moglio» (Epistolario, cit., pp. VIII s.).

Dettò le sue disposizioni testamentarie al notaio Rinaldo Formaglini il 19 luglio 1398: nominò unici eredi i figli Giovanni, Scipione e Lodovico e come esecutore testamentario Bartolomeo Zambeccari (la trascrizione del testamento in Epistolario, cit., pp. 265 s.). Nel testamento si fa inoltre riferimento all’oratorio di San Pellegrino, da lui fondato fuori porta San Mamolo, presso il torrente Aposa, con l’obbligo che alla sua morte ne godesse i benefici il più povero dei suoi eredi. Tali benefici provenivano dalla rendita di due possedimenti: una casa nei pressi di San Michele in Bosco e l’altra nel territorio di Quarto di Sotto. Infine, qualora Giovanni, Scipione e Lodovico fossero morti senza figli, l’eredità sarebbe andata all’oratorio di San Pellegrino (p. XIV).

Le sue tracce si perdono alle soglie del Quattrocento. Nel 1398 la famiglia Zambeccari, dopo una lunga serie di violente lotte intestine durate circa un decennio, acquisì finalmente il dominio della città. La prematura scomparsa di Carlo Zambeccari (capo fazione e figura di spicco della famiglia, morto di peste il 9 settembre 1399) sancì però la fine dei bandi da lui emanati contro le fazioni nemiche dei Gozzadini e dei Bentivogli, le quali, una volta rientrate in città, confiscarono i beni degli Zambeccari e li bandirono a loro volta dal comune. Probabilmente Pellegrino fu costretto ad abbandonare la città in vista di questi provvedimenti (Rerum italicarum scriptores, 1939, a cura di A. Sorbelli, pp. 461 s.). Di fatto, in data 17 ottobre 1399, il suo nome risulta cancellato nel registro degli stipendiati del Comune; in una lettera, oggi conservata nel codice della Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 3431, c. 37r, si legge la risposta del Comune di Firenze a una missiva dei bolognesi nella quale si chiedeva l’arresto di «Iacobi et Peregrini» Zambeccari.

Morì probabilmente nel 1400 (così annota una mano in margine al suo testamento; Epistolario, cit., pp. XV, 266).

Opere. Per le lettere di Zambeccari si veda Epistolario di Pellegrino Zambeccari, a cura di L. Frati, Roma 1929; per le epistole indirizzategli da Coluccio Salutati si veda L’epistolario di Coluccio Salutati, a cura di F. Novati, II, Roma 1893, pp. 214-216, 221-237, 250-252, 456-462. Le rime di Zambeccari sono pubblicate in Rimatori bolognesi del Trecento, a cura di L. Frati, Bologna 1915, pp. X-XII, XXX-XXXIII, LV s., 61-76; L. Frati, Le rime del codice Isoldiano, I, Bologna 1913, pp. XIII s., 128-130, 230; Id., Sei sonetti di P. Z. Per nozze Renier-Campostrini, Bologna 1887.

Fonti e Bibl.: Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat., 343, c. 37r; M. Griffoni, Memoriale historicum de rebus Bononiensium, a cura di L. Frati - A. Sorbelli, Città di Castello 1902, pp. 71, 78, 81; Corpus chronicorum Bononiensium, a cura di A. Sorbelli, in RIS, XVIII, 1, Città di Castello 1916, pp. 447, 451 s.; Rerum Italicarum scriptores, Corpus Chronicorum Bononiensium, III, a cura di A. Sorbelli, Città di Castello 1939.

C. Ghirardacci, Della Historia di Bologna, II, Bologna 1657, pp. 332, 469; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, VIII, Bologna 1790, pp. 230-235; G. Guidicini, Cose notabili della città di Bologna, I, Bologna 1868, p. 80, II, 1869, p. 302; P. Z., in Il Notariato nella civiltà italiana. Biografie notarili dall’VIII al XX secolo, a cura del Consiglio nazionale del notariato, Milano 1961, pp. 573-575; V. Branca, Tradizioni delle opere di Giovanni Boccaccio. Un secondo elenco di manoscritti e cinque studi sul Decameron, con due appendici, Roma 1991, pp. 211, 227 s., 237; G. Marcon, Prolegomena all’edizione critica delle rime di Matteo Griffoni, in Letteratura italiana antica, XV (2005), pp. 411-442.

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