PELIA e PELIADI

Enciclopedia Italiana (1935)

PELIA e PELIADI (Πελίας, Πεπιάδες; Pelias, Peliădes)

Goffredo Bendinelli

Pelia re di Iolco (Tessaglia) è figlio di Posidone (o del fiume Enipeo) e di Tiro, figlia di Salmoneo; nonché fratello gemello di Neleo e fratellastro di Esone. Sposo di Anaxibia (o di Filomache), ha un figlio, Acasto, e varie figlie, le Peliadi, tra cui la bellissima ed eroica Alcesti. Dalla stessa madre Tiro, come sposa di Creteo re di Iolco, era nato Esone. Pelia avrebbe usurpato a Esone il trono. Per timore di peggio, Esone nasconde il piccolo suo figlio e unico erede Giasone presso il centauro Chirone.

Avendo P. consultato l'oracolo sull'avvenire suo e del suo regno, ne riceve la sibillina risposta di guardarsi dall'uomo monosandalo (cioè con un solo piede calzato). Venti anni dopo, celebrandosi feste solenni in onore di Posidone, P. invita anche un ardito giovane a lui sconosciuto, che conduce in campagna vita solitaria, e che è appunto Giasone. Avendo perduto uno dei sandali nel traversare a guado un fiume, Giasone si presenta al re P. con un piede nudo, e richiama perciò alla mente di quello il sibillino responso. P. domanda a Giasone che cosa farebbe se, come re, sapesse che la sua vita è minacciata da uno dei suoi sudditi. Il giovane risponde che ordinerebbe a quello di recarsi alla conquista del vello d'oro custodito in Colchide da un drago insonne. Ciò appunto P. ordina a Giasone di fare, sperando così di liberarsene per sempre. Ritenendosi ormai liberato da Giasone, P. provoca la strage anche dei genitori di Giasone e del figlio minore Promachos.

Questa la versione della leggenda come è data da Apollodoro (Biblioth., I, 9, 16, 27), risalente nei termini e nelle linee principali a Pindaro (Pyth. IV, 71 segg.). Contro ogni previsione Giasone ritorna però incolume e vittorioso dalla spedizione del vello d'oro. Apprese le efferatezze di P., si affretta a macchinare insieme con Medea, da lui portata dalla Colchide (v. medea), una adeguata vendetta. Recatasi alla reggia di P., Medea persuade le figlie di quello, le Peliadi, della magica potenza dei suoi incantesimi, facendo ritornare in vita un montone sgozzato. Allo stesso modo le fanciulle potranno far ringiovanire il proprio padre assai vecchio, uccidendolo, tagliandone il corpo a pezzi e ponendo le carni sul fuoco. Le Peliadi suggestionate dall'arte della maga, si rendono così le materiali esecutrici dell'atroce vendetta. Tutto ciò non avviene senza il volere di Era, nemica a P. per avere questi ucciso presso il suo altare la crudele matrigna Sidero, infesta alla madre sua Tiro.

Tutta questa versione della leggenda risulta essersi costituita in tempi diversi, con una sovrapposizione imperfetta di versioni tra loro contraddittorie. Secondo Ovidio (Metam., VII, 160 segg.), il vecchio Esone è ancora in vita al ritorno di Giasone dalla spedizione degli Argonauti. E già nella versione greca arcaica, Giasone, evidentemente incolpevole della morte di P., prende parte alla solenne celebrazione dei giuochi al suo funerale. Al fine di eliminare questa e altre contraddizioni, conviene ricostruire una probabile versione originaria, dove i fatti siano presentati in maniera da eliminare ogni ragione di preventivo contrasto tra la figliolanza di Posidone e quella di Creteo, cioè tra P. ed Esone col figlio Giasone. In seguito a un'apparizione ricevuta in sogno, P. dovrebbe recarsi alla conquista del vello d'oro. Ma essendo egli debole e vecchio, generosamente Giasone si offre di prendere il suo posto. Si giustifica così la parte presa a quella spedizione da Acasto, figlio di P. Segue il ritorno vittorioso di Giasone insieme con Medea. Finché, per un susseguirsi di oscuri avvenimenti, Medea, donna di sangue straniero e barbaro, diventa nemica acerrima della gente di Giasone, e medita quindi per conto proprio e porta a compimento l'assassinio, senza alcuna partecipazione dell'eroe Giasone, e forse senza neanche la partecipazione ignara delle Peliadi.

La tradizione letteraria dà a P., oltre a un figlio, Acasto, non meno di tre figlie: Alcesti, Anfimone, Euadne. Commesso il parricidio, le fanciulle prendono la fuga dal tetto natio, invano inseguite da Acasto. In tale circostanza Alcesti si sarebbe messa sotto la protezione di Admeto, poi divenuto suo sposo. Ciò naturalmente in contrasto con la versione che fa di Admeto l'eroe di un'impresa straordinaria impostagli da P. prima di concedergli la mano di Alcesti. Si narrava pure che fosse stato Giasone a consolare della morte del padre le Peliadi, e a trovare loro uno sposo. Non si sa in che modo Euripide avesse sviluppato il mito della tragedia Peliadi. Più di un autore drammatico greco ebbe a prendere interesse a un tale soggetto, circostanza che contribuì ad alterare la tradizione epica arcaica.