Pegasea

Enciclopedia Dantesca (1970)

Pegasea

Antonio Martina

Attributo di una delle Muse o di tutte le Muse. Il termine P. è connesso col mito di Pegaso.

Narra Ovidio (Met. IV 772 ss.) che Perseo, rintracciata Medusa, l'unica delle tre Gorgoni che fosse mortale, le recise la testa; dal collo della decapitata balzarono fuori l'eroe Crisaore e il cavallo alato Pegaso, il cui nome sembrerebbe connettersi con πηγή (fonte), che la madre portava in grembo concepiti da Posidone. Uno dei momenti di questo mito pone Pegaso in rapporto con Apollo e con le Muse. Dopo aver disarcionato Bellerofonte (Pindaro Isth. VII 44) Pegaso salì al cielo, accolto nelle mangiatoie dei cavalli divini (Pindaro Ol. XIII 92). Sceso sull'Elicona, trovò le figlie di Piero che gareggiavano nel canto con le Muse. Mentre cantavano queste ultime tutto si fermò; persino i fiumi arrestarono il loro corso e l'Elicona cominciò a crescere verso il cielo (v. PIERIDI). Allora Pegaso per ordine di Posidone batté con lo zoccolo - come narra Ovidio (Met. V 256 ss.) - la cima del monte, arrestandone l'ascesa e facendo sgorgare una fonte, che si chiamò Ippocrene (Ἱππουκρήνη, la fonte del cavallo) e divenne luogo di culto delle Muse. Oltre Ovidio ne fanno menzione presso i latini anche Arato (Phaen. 205 ss.) e Igino (Astr. II 18). ‛ Pegasides ' sono chiamate le Muse da Ovidio (Her. XV 27), Properzio (III I 19) e Columella (X 263).

D., salito con Beatrice al cielo di Giove, accingendosi a descrivere nuove figurazioni allegoriche, invoca la Musa perché voglia elargirgli l'ispirazione adeguata alla solennità del momento (cfr. Pg XXIX 37-42, Pd I 14, VE II IV 9-10): O diva Pegasëa che li 'ngegni / fai glorïosi e rendili longevi, / ed essi teco le cittadi e' regni, / illustrami di te, sì ch'io rilevi / le lor figure com'io l'ho concette: / paia tua possa in questi versi brevi ! (Pd XVIII 82-87).

L'invocazione non consente d'individuare a quale delle nove divinità sorelle D. intendesse rivolgersi. Secondo alcuni (Benvenuto, Landino) D. si rivolge alla Musa in genere, secondo altri a una in particolare, che potrebbe essere Calliope, la Musa della poesia epica già invocata in Pg I 9, o Urania, ‛ la celeste ', anche lei già invocata in Pg XXIX 41, alla quale meglio delle altre si converrebbe l'attributo diva in senso più strettamente cristiano (cfr. Pg I 8, XXIX 37) o Euterpe, alla quale gli antichi assegnavano la sfera di Giove, o Clio, la Musa della storia, adatta quindi alla celebrazione dell'aquila, simbolo dell'Impero (per una rassegna dettagliata delle varie interpretazioni, cfr. il commento dello Scartazzini).

È però evidente che in questa che è " la più commossa invocazione dantesca all'efficacia mirabile della poesia " (Barbi) manca un attributo che consenta una sicura individuazione. L'espressione dantesca ha un valore puramente convenzionale che, come ha osservato il Renucci (D. disciple et juge du monde gréco-latin, Parigi 1954, 235; e cfr. 367 n. 232), rende vana ogni analisi.