Pavia

Enciclopedia Dantesca (1970)

Pavia

Giorgio Baruffini
Pier Vincenzo Mengaldo

Dopo aver ricoperto un ruolo di primo piano nella Lombardia dei primi tempi comunali, tra la seconda metà del '200 e i primi del '300, P., oggetto, per la sua fondamentale posizione strategica, delle mire del marchese Guglielmo di Monferrato e di Milano, scade a un ruolo di secondaria importanza. Si assiste così alla progressiva riduzione dell'autonomia comunale e all'inserimento nell'ambito di un più vasto organismo territoriale. Tale inserimento è già implicito nell'appoggio, pure formalmente autonomo e in linea con la sua politica tradizionale, che P. fornisce al marchese in funzione antiangioina e antimilanese; la sconfitta di Guglielmo (1290), però, lascia la strada aperta all'espansione milanese, e P., dove esiste una forte fazione filoviscontea facente capo ai Beccaria, ne costituisce uno dei primi obiettivi. La calata di Enrico VII, anche se pare per qualche tempo interrompere il processo di concentrazione territoriale intorno a Milano, finisce in effetti per favorirlo, attraverso il disordine politico che l'imperatore lascia in Lombardia: e la sollevazione antimperiale di P., che caccia i Beccaria per stringersi attorno al guelfo Filippone Langosco, sarà da vedersi soprattutto come estremo tentativo di sottrarsi alla stretta milanese. Conquistata da Galeazzo Visconti nel 1315, P. dovette accettare i Beccaria come signori, praticamente sotto la tutela viscontea; ma anche questo barlume di autonomia venne spento nel 1359 quando, dopo una nuova sollevazione e un'accanita resistenza, la città entrò a far parte direttamente dello stato milanese.

La prima menzione della città nell'opera dantesca ricorre in Cv IV XXIX 3, dove vengono citati quelli da Santo Nazzaro di Pavia come famiglia nobilissima, senza però alcun cenno tale da mostrare in D. una conoscenza che vada oltre i semplici nomi; non pare che su questa menzione si possa fondare l'affermazione che il poeta fu in P. ospite di uno dei Sannazzari, come sostiene il Magenta, che d'altra parte non indica le sue fonti; né varrà come maggior prova il ricordo della tomba di Boezio nella basilica pavese di San Pietro in Cieldauro (Pd X 128), che doveva esser ben nota a D. anche senza una sua visita.

Un secondo cenno è presente in Ep VII 22, dove si accenna alla possibilità di una sollevazione di Brescia o di P., se l'imperatore non colpirà Firenze, fomentatrice di tali ribellioni: anche in questo caso la menzione si limita al nome, ma l'aver ricordato proprio due città che effettivamente si sarebbero poi ribellate rivela in D. un'informazione abbastanza precisa sulla loro situazione interna. Per P., la tensione tra le parti non costituiva mistero a quanti della cerchia di Enrico, come narra Niccolò da Butrinto, avevan potuto osservare le manovre di Filippone Langosco contro i Beccaria, mentre stavano in Asti con l'imperatore; ed è possibile che D., che forse proprio in questa città venne a riverirlo, ne fosse informato e ne traesse pessimistiche previsioni sugli esiti delle pacificazioni cittadine. Nulla però, oltre queste congetture, che testimoni un interesse diretto di D. alle vicende della città: è significativo che l'unico pavese presente nella Commedia, Tesauro Beccaria (If XXXII 119-120), sia ricordato solo per i fatti che lo ebbero protagonista in Firenze. Forse anche per questo scarso rilievo nell'opera del poeta, P. non fu mai rilevante centro di culto dantesco. Una certa diffusione dovette avervi la conoscenza di D. nel '300: il famoso Landiano di Piacenza appartenne a Beccario Beccaria (m. 1352) e probabilmente lesse D. nello Studio pavese, sullo scorcio del sec. XIV, Filippo da Reggio. Ma, dopo questi inizi, occorre giungere al '900, con le lezioni accademiche del Sanesi (1918-1923) e gli studi del Nascimbene, del Vinassa de Regny e del Bellazzi, per trovare qualche traccia di culto del poeta. È anche sintomatico che nessuna edizione della Commedia sia stata stampata a Pavia.

Bibl. - Fonti principali sono: Giovanni Da Cermenate, Historia de situ... Ambrosianae urbis, a c. di L.A. Ferrai, in Fonti per la Storia d'Italia, 2, Roma 1889; Nicolò da Butrinto, Relatio de Heinrici VII imp. itinere italico, Innsbruck 1888; Anonimo ticinese, Liber de laudibus civitatis ticinensis, a c. di R. Maiocchi e F. Quintavalle, in Rer. Ital. Script.² XI 1, città di Castello 1903; oltre naturalmente alle altre cronache dell'area lombarda, specialmente piacentine e astigiane.

Molte notizie in G. Robolini, Notizie appartenenti alla storia della sua patria, Pavia 1825 ss. (specialmente IV I 59 ss.). Una buona sintesi è quella di P. Vaccari, P. nell'alto Medioevo e nell'Età Comunale, Pavia 1956, 89-105. Notevole per la storia dell'arte, ma semplice compilazione per la parte storica è C. Magenta, I Visconti e gli Sforza nel castello di P., Milano 1883, I 1-64 (e spec. 34). Per il culto di D.: D. Bianchi, Filippo da Reggio lettore di D. a P. e a Piacenza nel corso del sec. XIV, in " Boll. Soc. Pavese St. Patria " XXII (1922) 71-77.

Lingua. - L'esempio di P. è addotto in VE I IX 7 per chiarire la nozione, centrale nel trattato, dell'inevitabile mutamento delle lingue nel tempo, oltre che nello spazio; mutamento tale da rendere due fasi della parlata di una stessa città più remote fra loro che non le parlate di contemporanei anche lontanissimi nello spazio: omnis nostra loquela... nec durabilis nec continua esse potest, sed sicut alia quae nostra sunt, puta mores et habitus, per locorum temporumque distantias variari oportet. Nec dubitandum reor modo in eo quod diximus ‛ temporum ', sed potius opinamur tenendum: nam si alia nostra opera perscrutemur, multo magis discrepare videmur a vetustissimis concivibus nostris quam a coetaneis perlonginquis. Quapropter audacter testamur quod, si vetustissimi Papienses nunc resurgerent, sermone vario vel diverso cum [" dai "] modernis Papiensibus loquerentur.

Ragionamento e tipo di esemplificazione sono perfettamente analoghi a quelli di Cv I V 8-9, dove tuttavia non è tirata in campo alcuna città concreta.

Non convince nessuna delle ragioni variamente avanzate dagli studiosi per spiegare la scelta dantesca di P.: tanto meno l'ipotesi di un soggiorno di D. in quella città in epoca contemporanea o vicina alla stesura del De vulg. Eloquentia. Si tratterà di un esempio meramente casuale.

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