PATOLOGIA

Enciclopedia Italiana (1935)

PATOLOGIA

Alessandro LUSTIG
Antonio TIZZANO
Nino BABONI
Vincenzo RIVERA
Giovanni PEREZ

. Patologia generale. - È quella scienza biologica che indaga le alterazioni funzionali e strutturali degli organismi viventi. Si possono in essa distinguere le seguenti parti: l'etiologia, che determina le cause capaci, in generale, di alterare la funzione e la struttura di un organismo; la patogenesi, che stabilisce qual'è il meccanismo d'azione di tali cause; la morfologia patologica (anatomia patologica, istologia patologica, citologia patologica, patologia cellulare), che descrive le alterazioni nella configurazione e struttura cellulare, provocate dagli agenti morbigeni; la sintomatologia, che individua i fenomeni obbiettivi degli ammalati, rileva quelli subbiettivi e li coordina per metterli in rapporto con l'intero quadro morboso. Mentre la patologia generale cerca e scopre le leggi secondo cui si svolgono le alterazioni morfologiche e funzionali degli organismi, .senza considerare però in qual modo esse si raggruppano a costituire le singole malattie, le patologie speciali (medica e chirurgica) studiano i diversi quadri morbosi e ne descrivono le cause, lo svolgimento, il modo di diagnosticarli e l'esito.

La patologia generale, in passato, ha per lungo tempo cercato di dedurre la spiegazione dei fenomeni morbosi esclusivamente dallo studio delle alterazioni morfologiche dei tessuti e delle cellule; successivamente, però, si è riconosciuta la notevole importanza che spetta alla fisiopatologia, vale a dire all'indagine del meccanismo funzionale degli organi alterati nella forma, quali si presentano nelle singole malattie spontanee o nelle svariate condizioni artificiali che il patologo stesso è in grado di creare mediante l'esperimento sugli animali. Al metodo sperimentale, appunto, si debbono le più grandi conquiste nel campo della patologia generale, poiché esso offre la possibilità di provocare il processo morboso da studiarsi, in circostanze di tempo e di luogo determinate ad arbitrio dell'osservatore, con che è reso accessibile lo studio completo dei rapporti intercorrenti fra la causa di una malattia e le alterazioni di forma e di funzione che le sogliono far seguito.

I dati, desunti dall'esperienza negli animali, vanno però vagliati con illuminato spirito critico; la necessità d'intervenire spesso con agenti morbigeni che, nelle condizioni sperimentali, superano l'intensità con la quale essi agiscono spontaneamente; le lesioni accessorie che accompagnano inevitabilmente gl'interventi su organi profondi; altri molteplici inconvenienti che non si possono eliminare completamente dalle esperienze sugli animali, ci obbligano a una prudente riservatezza nell'estendere alla specie umana i risultati dell'esperimento sugli animali. Un notevole progresso è stato recentemente apportato alla fisiopatologia cellulare dallo studio dei processi morbosi negli organismi unicellulari e dall'attuazione di uno stato di vita indipendente delle cellule degli animali superiori, quale si è potuto realizzare mediante le cosiddette colture di cellule, eseguite per la prima volta dall'americano A. Carrel.

I metodi che la patologia generale segue per lo studio dei fenomeni morbosi possono venire così distinti: la tecnica microscopica, che da un lato consente d'individuare le più fini alterazioni morfologiche delle cellule, e dall'altro permette il riconoscimento di quegli esseri piccolissimi (microrganismi): parassiti vegetali patogeni, protozoi, afanozoi (detti anche virus filtrabili) che possono essere cause di malattia; la fisiopatologia, che indaga le alterazioni funzionali, ricorrendo a tutti i metodi (grafici, elettrici e fisici di varia natura) in uso anche per lo studio delle funzioni normali; la chimica biologica, che rivela, col sussidio delle analisi chimiche più delicate, le alterazioni che si producono nel complesso chimismo degli esseri, in seguito alle modificazioni più o meno profonde degli organi; la microbiologia, la quale con una tecnica particolarmente delicata rende possibile l'isolamento e la conservazione in vita dei germi delle infezioni e la provocazione, per essi, delle malattie infettive negli animali. Sono da considerare come applicazioni pratiche della microbiologia i mirabili progressi nella profilassi e nella cura delle malattie infettive, nonché lo sviluppo delle pratiche di asepsi e di antisepsi, per le quali è stato reso possibile ogni ardimento chirurgico. La patologia generale trova infine un valido sussidio in tutti i metodi di esame che il clinico mette in uso al letto dell'ammalato (palpazione, percussione, ascoltazione) e che si sono sempre più perfezionati con la costruzione di apparecchi di precisione e di strumenti speciali.

La malattia fu considerata, fin verso la metà del secolo passato, come un elemento a sé, estraneo all'organismo e capace di penetrare in esso e di svilupparvisi a guisa di parassita. Ippocrate ritenne che ogni malattia fosse provocata dalle mescolanze anormali (crasi) del sangue, muco, bile gialla e nera. La teoria umorale delle discrasie, sostenuta da Galeno, nel sec. II dell'era cristiana, contro la teoria solidale sorta all'epoca romana e secondo la quale la maggior importanza nella determinazione dei fenomeni morbosi spettava alla contrazione e dilatazione dei pori, dominò indiscussa fin verso il 1500, epoca in cui essa fu demolita dal Vesalio (m. 1564) e da Paracelso per poi risorgere, dopo la scoperta della circolazione del sangue (W. Harvey) a opera degli iatromeccanici e iatrochimici.

Da Paracelso a R. Virchow, i tentativi isolati, che singoli geniali ricercatori compirono allo scopo di far entrare la patologia nel novero delle scienze naturali, tentando di dare ai fenomeni morbosi un'interpretazione basata sull'osservazione obbiettiva dei fatti e sui loro rapporti reciproci e causali, urtarono contro i pregiudizî profondamente radicati nello spirito della maggioranza dei naturalisti di quell'epoca ed espressi nelle varie teorie vitalistiche che identificavano le cause dei morbi (come anche quelle delle funzioni normali) in una misteriosa "forza vitale", che sfuggiva per la sua natura trascendentale a qualsiasi indagine. È facile intuire come il ritenere inaccessibile "a priori" l'essenza dei fenomeni naturali intralciasse lo sviluppo dello studio obbiettivo dei fatti. Ci si limitò pertanto a pure speculazioni teoriche, metafisiche: così Paracelso assegnò a ogni parte del corpo uno spirito vitale (archaeus) e immaginò che tutti gli archaei fossero sottoposti allo spiritus rector o archaeus maximus. Quando H. Boerhaave tentò di dare alla patologia basi più solide, valutando giustamente le scoperte della circolazione capillare (M. Malpighi) e dei corpuscoli rossi (A. Leeuwenhoeck), il suo contemporaneo F. Stahl emise la teoria dell'animismo, in cui all'archaeus di Paracelso era sostituita l'anima. F. Glisson aveva frattanto creduto di poter identificare il principio efficiente della vita nell'irritabilità della sostanza vivente. Egli segnava così il primo passo all'interpretazione dei fenomeni vitali con intendimento fisico, qual'era quello che guidava L. Galvani nei suoi studî sull'elettricità animale. Questi ultimi purtroppo non produssero i frutti che sarebbe stato logico attendersi: sorse infatti, a loro spiegazione, la dottrina del magnetismo animale (F. A. Mesmer), dalla quale prese origine una lunga serie di vivaci ma sterili dispute fra vitalisti e magnetisti.

Frattanto G. B. Morgagni, discepolo di A. M. Valsalva, aveva gettato le fondamenta dell'anatomia patologica, con la dimostrazione delle profonde alterazioni materiali indotte dalle malattie negli organismi. Si scoprivano così alla medicina nuovi orizzonti, mentre numerose, feconde ricerche prendevano sviluppo: in Francia, X. Bichat si fece fervido propugnatore dello studio metodico e accurato dei rapporti fra organi ammalati e andamento dei fenomeni morbosi, fondando la dottrina dell'organicismo; in Inghilterra F. Hunter (m. 1893) iniziò per primo gli esperimenti sugli animali; in Austria, poco più tardi, K. Rokitansky pubblicò la sua Anatomia patologica, trattato giustamente celebre per l'esattezza di descrizione degli organi alterati.

Le teorie vitalistiche, ancorché scosse dai risultati degli studî improntati a questi nuovi indirizzi di lavoro, trovarono ancora ferventi sostenitori in J. C. Reil, in C. W. Hufeland e numerosi assertori della generazione spontanea degli organismi viventi.

La sostituzione dell'interpreiazione scientifica dei fenomeni alle teorie vitalistiche, fu lenta e laboriosa: vi contribuì un'eletta schiera di studiosi, fra i quali si segnalarono A. von Humboldt, J. Müller, J. T. Merkel, che diedero un forte impulso alla anatomia e alla fisiologia; C. F. Wolff, che allargò grandemente le cognizioni scientifiche nel campo dell'embriologia, F. Magendie e C. Bernard, che illustrarono rispettivamente la patologia generale e la fisiologia; Ch. Bell e M. Hall, fondatori della patologia nervosa e infine R. Virchow, la cui scuola distrusse i vecchi sistemi, segnano il trionfo del metodo sperimentale.

Il Virchow sostituì alla forza vitale le forze meccaniche, dimostrando che le leggi chimiche e fisiche del mondo inorganico valgono anche per gli esseri viventi; che l'interpretazione dei fenomeni vitali deve desumersi essenzialmente dallo studio degli organismi viventi e infine che "cellule nuove provengono sempre da cellule preesistenti"; con ciò egli contribuì potentemente a bandire dalla scienza la teoria della generazione spontanea o epigenesi e diede un poderoso impulso allo studio dell'embriologia.

Preceduto da A. Bassi, scopritore del parassita della muscardina (una malattia del baco da seta) e da J. L. Schönlein, che aveva individuato l'agente del favo, sorse nel 1870 L. Pasteur, cui spetta il merito, insieme con R. Koch, di aver affermata la dottrina del contagio vivo e di avere completamente bandita dalla scienza la teoria della generazione spontanea. Gli studiosi si rivolsero con grande fervore di pensieri e di opere all'identificazione dei germi capaci di provocare malattie (microrganismi patogeni), all'indagine dei complessi fenomeni che si svolgono negli organismi da essi aggrediti (immunità) e all'applicazione terapeutica dei fenomeni immunitarî stessi e della spiccata azione nociva che alcuni composti chimici esercitano contro determinati germi, secondo quanto fu dimostrato dalle ricerche memorabili di P. Ehrlich e della sua scuola.

Il campo di studio della patologia generale, allo stato attuale della scienza, si può pertanto così suddividere: Etiologia generale, etiologia e patogenesi delle malattie infettive e parassitarie (infezioni da parassiti vegetali e studio a esse connesso dei fenomeni immunitarî, nonché dei caratteri biologici dei germi; infezioni da protozoi; da virus filtrabili; a etiologia dubbia; infestazioni da metazoi parassiti); patologia cellulare, patologia generale del ricambio; patologia dell'economia calorica; l'infiammazione; patologia generale dei varî apparati (circolatorio, respiratorio, digerente, urinario, ghiandolare endocrino, nervoso e muscolare); i neoplasmi.

Bibl.: E. Cohneheim, Vorlesungen über die allg. Pathologie, Berlino 1882; E. Klebs, Die allg. Pathologie, Jena 1889; R. Virchow, Hundert Jahre allg. Pathologie, Berlino 1895; F. V. Birch Hirschfeld, Grundriss d. allg. Pathologie, Lipsia 1892; A. Bouchard e Roger, Nouveau Traité de pathologie, Parigi 1914; N. Ph. Tendeloo, Allgemeine Pathologie, Berlino 1919; R. Krehl e F. Marchand, Handbuch d. allg. Pathologie, Berlino 1922; J. Bayliss, Principles of General Pathologie, Londra 1927; A. Veratti, Patologia generale, Milano 1930; A. Lustig, P. Rondoni, G. Galeotti, Trattato di patologia generale, 8ª ed., Milano 1932 (contiene tutta la letteratura italiana e straniera). - Periodici: Lo sperimentale; Archivio di biologia normale e patologica; Archivio italiano per le scienze mediche; Centralblatt für allgemeine Pathologie und pathologische Anatomie; Archiv für experimentelle Pathologie und Pharmakologie; Ergebnisse der allgemeine Pathologie und pathologische Anatomie; Anatomie des Menschen und der Tiere; Archives de médecine expérimentale et d'anatomie pathologique.

Patologia medica.

È nata con la medicina stessa, ma bisogna giungere al principio del sec. XIX per trovare il vero inizio della patologia speciale medica moderna. Nella celebre scuola medica che fiorì in quell'epoca a Parigi, e che ebbe grande influenza su tutte le altre nazioni, l'anatomico X. Bichat, fervido e colto vitalista, poneva ogni impegno a intraprendere e a raccomandare lo studio degli organi ammalati, contribuendo così a rendere sempre più stretti i rapporti fra l'anatomia patologica e la clinica. Egli intuì, dall'esame delle funzioni vitali degli organi, l'importanza dello studio dei tessuti nelle scienze mediche e fondò una dottrina, che fu detta dell'organicismo, che non era che una derivazione diretta del pensiero anatomico di G. B. Morgagni da questi esposto nella sua opera De sedibus et causis morborum. Gli organicisti continuarono con rigore di metodo l'esatta ricerca iniziata dal Morgagni delle alterazioni degli organi in rapporto con la sintomatologia clinica. I libri di R. T. H. Laënnec e di G. Dupuytren, che erano stati prosettori del Bichat, rimasero per decennî i manuali classici nei quali si ricercarono le immagini normali delle malattie. La percussione, immaginata da Leopoldo Auenbrugger De Gratz, molti anni prima (1761), ma sviluppata solo successivamente, attraverso i lavori di M. Stoll e di J.-N. Corvisart (medico di Napoleone), di P.-A. Piorry, di A. Wintrich, di J. Skoda, L. Traube e C. Gehrardt, e l'ascoltazione perfezionata e studiata da Laënnec, con la scoperta dello stetoscopio (1816) presero, mercé loro, grande diffusione e l'indirizzo scientifico nella costituzione della patologia fu stabilito come segue: 1. esatto esame dell'ammalato con l'uso metodico dell'ispezione (antichissima), della percussione e dell'ascoltazione; 2. accurato controllo delle lesioni anatomo-patologiche riscontrate negli organi al tavolo anatomico; 3. epicrisi, con la quale si mettevano in rapporto le lesioni con i sintomi presentati in vita; 4. uso dei singoli casi clinici presentanti uno stesso quadro morboso nosologico per dedurre con procedimento di valutazione mentale la costruzione del quadro tipico della malattia.

Al contrario della patologia generale che, com'è detto precedentemente, non prende in particolare considerazione il modo con cui le alterazioni morfologiche e funzionali degli organismi si raggruppano nelle singole malattie (A. Lustig), la patologia speciale medica considera in particolare le malattie, e precisamente, quelle malattie suscettibili di cure fisico-medicamentose senza possibilità d'intervento chirurgico o con intervento solo in secondo tempo. Di ogni malattia descrive il quadro morboso normale o tipico, il quadro, cioè, che si dovrebbe presentare con maggiore frequenza, e, di più, ne studia, oltre la sintomatologia, la prognosi, la cura, le lesioni anatomiche, l'eziologia e la patogenesi. È questa la parte più difficile della patologia, la più ingombra d' incognite e d'ipotesi: essa è insieme fisiopatologia ed eziogenesi, e mira all'interpretazione delle varie lesioni e delle varie alterazioni funzionali di cui si compone il complesso sintomatico e connette le diverse alterazioni in rapporto di dipendenza, cercando di stabilire quello che è la manifestazione primaria e quello che è fenomeno di compenso e manifestazione secondaria. Per tale studio è assolutamente necessario il sussidio della conoscenza delle scienze cosiddette naturali, delle scienze fisico-chimiche, delle scienze dette biologiche, di tutte le altre discipline mediche, che sono sorte esclusivamente per le sue finalità. Essa segna loro l'indirizzo e propone i problemi, ne raccoglie le conclusioni e ne coordina i risultati per utilizzarli debitamente; di alcuni problemi traccia perfino la via per risolverli, e altri ne affronta essa stessa direttamente, risolvendoli per suo conto nel supremo interesse della salute per riconoscere, curare e prevenire le malattie.

La chimica, la microscopia, la batteriologia, la sierologia, la radiologia, tutte servono alla patologia speciale medica per stabilire il quadro di ogni singola forma morbosa.

Ma il quadro morboso della patologia speciale medica non è altro che la sintesi delle osservazioni analitiche, che l'esperienza millenaria raccolse sull'uomo ammalato; rappresenta un tipo di malattia, e questo è costituito, naturalmente, dai sintomi più costanti e più salienti osservati sopra un grande numero di ammalati e da numerosi osservatori: insomma, il quadro morboso che descrive la patologia medica, è, come osserva G. Viola, un quadro ideale, perché è un sistema combinato in modo così perfetto che può essere concepito dallo spirito, ma tradotto in realtà solo in modo approssimativo. Una stessa forma morbosa non si presenta quasi mai identica in due individui: essa varia d' intensità e di numero di caratteri. In mezzo a questa duplice variabilità, la patologia descrive il quadro tipico, quello cioè che raccoglie in sé tutti i valori medî centrali delle curve di frequenza, come si suol dire, la combinazione individuale più frequente a incontrarsi quanto al numero di caratteri insieme con il grado d'intensità più frequente per ciascun carattere. La clinica è per la patologia speciale ciò che questa è per la patologia generale.

Nella patologia speciale abbiamo i tipi, nella clinica gl'individui (v. cliniche, scienze). Alla patologia speciale il compito di raccogliere con precisione i segni e disporli ed adattarli alla forma tipica; alla clinica di diagnosticare.

È con i metodi già precedentemente accennati, con l'ispezione, cioè, con la palpazione, con la percussione, con l'ascoltazione, che sono i metodi proprî della semeiotica fisica, che la patologia speciale medica rileva i sintomi dei varî quadri morbosi che essa descrive; a questi si aggiungono i metodi della semeiotica radiologica, che ci permette di penetrare più addentro nello studio del corpo malato, e i metodi della semeiotica di laboratorio, che si vanno sempre più estendendo. Con l'aiuto di questi metodi, cui si aggiunge lo studio anatomopatologico delle lesioni degli organi malati, i quadri nosografici già esistenti della patologia medica si vanno sempre più arricchendo di dati nuovi riferentisi all'etiologia, ai sintomi e alle conoscenze anatomopatologiche, dapprima macroscopiche e poi microscopiche, nonché alle nozioni di patologia sperimentale; nuovi quadri nosografici s'individualizzano; malattie che parevano essere vere entità divengono semplici complessi sintomatici, e, viceversa, sindromi in apparenza ben definite, risultano, a uno studio più minuto ed esauriente, un aggregato di processi etiologicamente e anatomicamente differenti, che si sdoppiano e si suddividono in molteplici entità e sindromi diverse.

Ecco come, successivamente, questi quadri nosografici si andarono, e si vanno, precisando sempre più, pur restando sempre quali essi sono, cioè dei tipi. Nella sistematizzazione di questi quadri morbosi tipici prevale ancora il criterio anatomico e anatomopatologico: accanto a malattie cosiddette generali, si differenzia una lunga serie di malattie locali, a seconda dell'organo colpito dal processo morboso e della natura anatomopatologica di questo. Pur con i suoi inconvenienti, il metodo di divisione anatomico e anatomopatologico ha il non trascurabile vantaggio didattico che la complessa fisionomia delle forme morbose scaturisce quasi naturalmente, in modo semplice e chiaro, da un insieme di cognizioni preliminari e fondamentali sulla fisiopatologia dell'organo o dell'apparato in questione. In alcuni casi, alla sistemazione delle malattie per organo tende a sostituirsi quella per sistema di organi, deputati a una stessa complessa funzione, quando i loro rapporti anatomici e funzionali sono così intimi che tutti partecipano più o meno intensamente al processo morboso.

Così si sono formati i varî rami della patologia speciale medica: la parte che studia le malattie infettive, quelle malattie, cioè, a decorso acuto o cronica la cui eziologia dipende dalla presenza nell'organismo di determinati germi viventi; la patologia dell'apparato circolatorio, che studia, come la fisiologia e la patologia generale, le malattie del cuore nelle sue varie parti (miocardio, endocardio e pericardio) e dei vasi sanguigni; la patologia dell'apparato respiratorio, che studia le malattie di tutte le vie aeree (dal naso ai polmoni): tra queste va compreso anche lo studio della tubercolosi polmonare; la patologia degli organi digerenti, che comprende lo studio delle malattie della cavità orale, della lingua, delle ghiandole salivari; le malattie del palato molle, delle tonsille, dell'esofago, dello stomaco, di tutto l'apparato digerente; la patologia del ricambio, che studia le alterazioni del ricambio: dei processi chimici, cioè, per mezzo dei quali l'organismo si può procurare nuovo materiale da sostituire a quello già adoperato, e gli altri con cui vengono scomposte sostanze chimicamente più complesse con acquisto di energia in forma di calore e di lavoro (tra queste malattie vanno comprese: la gotta, che ha per fondamento un'anomalia del ricambio dell'acido urico; il diabete, determinato, può dirsi, da un'alterazione nella formazione e nel consumo dello zucchero nell'organismo; ecc.); l'emopatologia, che studia le malattie del sangue: anemia, clorosi, leucemie e pseudoleucemie, ecc.; la patologia dell'apparato urinario (rene, ureteri, vescica); la patologia dell'apparato locomotore; la neuropatologia, e, infine, la patologia delle ghiandole a secrezione interna o endocrine, di quelle ghiandole che hanno grande importanza, perché dominano, con l'azione loro singola e collettiva, la formazione dei caratteri costituzionali dei singoli individui. Lo studio delle alterazioni di tali ghiandole ha assunto oggi un'importanza straordinaria e costituisce un ramo quasi autonomo della patologia speciale medica, che si ricollega allo studio della patologia della costituzione che rappresenta l'indirizzo attuale della patologia moderna, integrando il concetto morfologico dell'individualità, vanto della scuola di A. De Giovanni, con concetti chimici e biologici.

Bibl.: Trattati: H. Ziemssen, Patologia e terapia medica speciale, ediz. ital., Napoli 1886-88; H. Eichkorst, Trattato di patologia e terapia speciale, ediz. ital., Milano 1888-89; E. Taylor, Manuale pratico di medicina interna, ediz. ital., Torino 1900; N. Pende, Endocrinologia, Milano 1924; A. Pirera, Compendio di patologia e clinica medica, Milano 1925; N. Pende, Trattato sintetico di patologia e clinica medica, Milano 1925; N. Pende, Trattato sintetico di patologia e clinica medica, Messina 1927; A. Ferrannini, Patologia speciale medica, Roma 1930; Trattato di medicina interna dell'Istituto Biochimico italiano, Milano 1931; A. Ceconi, Medicina interna (con la collaborazione di numerosi professori universitarî), Torino 1932; P. Carnot e P. Lereboullet, Nouveau traité de médecine et de thérapeutique, Parigi 1926-31; F. Bezançon, M. Labbé, L. Bernard, J.-A. Sicard, A. Clerc, ecc., Précis de pathologie médicale, Parigi 1931-34; G. H. Roger, F. Widal, P.-I. Teissier, Nouveau Traité de Médecine, Parigi 1925-1934 (non ancora terminato); L. v. Krehl, Entstehung, Erkennung und Behandlung innerer Krankheiten, Berlino 1930-31 (esiste una traduz. ital. curata da Albertoni, edita dal Vallardi, Milano); A. Strümpell, Lehrbuch der speziellen Pathologie und Therapie der inneren Krankheiten, Berlino 1930 (esiste anche la traduz. ital., edita dal Vallardi, Milano); A. v. Domarus, Grundriss der inneren Medizin, Berlino 1931 (esiste una traduz. ital. di A. Ceconi, ed. U. T. E. T., Torino); Th. Brugsch, Lehrbuch der inneren Medizin, Berlino 1931; id. e F. Kraus, Spezielle Pathologie und Therapie innerer Krankheiten, Berlino 1931; G. v. Bergmann, R. Doerr, H. Eppinger, ecc., Lehrbuch der inneren Medizin, Berlino 1932.

Periodici: Archivio di patologia e clinica medica, Bologna; Folia medica, Napoli; Rivista critica di clinica medica, Firenze; Cuore e circolazione, Roma; Medizinische Klinik, Berlino; Fortschritte der Medizin, Berlino; Zeitschrift f. Kreislaufforschung, Lipsia; Zentralblatt f. innere Medizin, Berlino; Zeitschrift f. klin. Medizin, Berlino; Deutsch. Arch. f. klin. Medizin, Berlino; Journal of Pathology and Bacteriology, Londra; Archives of internal medicine, Londra; British medical journal, Londra; Archives des maladies du coeur, Parigi; Annales de médecine, Parigi.

Patologia chirurgica.

È quella branca delle scienze mediche la quale si occupa dello studio delle malattie che richiedono interventi chirurgici. Il continuo progresso della tecnica chirurgica e il conseguente estendersi delle cure operative a molte malattie di pertinenza medica, hanno reso sempre più indefiniti e mutevoli i confini fra patologia chirurgica e patologia medica, e hanno fatto scomparire la distinzione fra patologia interna (medica) e patologia esterna (chirurgica), in quanto oggi la chirurgia non si occupa soltanto delle ferite, delle fratture, delle lussazioni, delle piaghe, delle ulcere e delle malattie di tessuti e organi più o meno superficiali, ma anche di quelle di organi cavitarî, un tempo di esclusivo dominio della medicina interna.

Solo la diversità di terapia, e precisamente l'applicazione o no di cure che richiedono speciali manualità e interventi operativi, rappresenta l'unica ragione per la quale si mantiene la distinzione fra patologia chirurgica e patologia medica. Questa diversità di orientamento terapeutico ha molto contribuito, grazie anche all'osservazione diretta (al tavolo operatorio) delle alterazioni anatomiche, alla più precisa conoscenza di affezioni, prima di competenza esclusivamente medica, e al progresso di queste due branche della patologia, fondamentalissime per gli studî medici, poiché abbracciano tutta la cultura medico-chirurgica.

La patologia chirurgica, basandosi da una parte sull'osservazione dei malati, cioè sulla clinica, e dall'altra sulle indagini di patologia sperimentale, d'istologia patologica, di microscopia in genere, di batteriologia e di biochimica, ha il compito di analizzare i singoli processi morbosi, indagandone anzitutto le cause, sia predisponenti che determinanti (etiologia); ne esamina il meccanismo di azione sui varî tessuti e sull'organismo in genere, e studia in tal modo la genesi delle varie malattie (patogenesi), le alterazioni anatomiche che per l'azione delle dette cause si sono stabilite nei varî organi e tessuti (anatomia patologica), l'evoluzione di esse. Passa quindi all'esame delle manifestazioni con le quali ciascuna di tali alterazioni anatomiche si estrinseca (sintomatologia), sia attraverso le manifestazioni obbiettive, sia per i disturbi subbiettivi e funzionali, sintomi che nel loro insieme costituiscono il quadro clinico, la caratteristica fisionomia, o sindrome delle singole malattie. Ne studia il decorso clinico, il quale altro non rappresenta che la successione e l'evoluzione delle varie alterazioni anatomiche.

Percorrendo, quindi, il cammino inverso, il patologo dimostra come attraverso la sintomatologia si possa e si debba risalire alle singole alterazioni anatomiche e stabilire così la diagnosi della malattia, scopo ultimo fondamentale dell'anzidetto studio analitico, perché solo dopo avere bene precisate le alterazioni anatomiche e le cause che le hanno determinate, si potranno prevedere le possibili evoluzioni, complicazioni ed esiti della malattia, formulare, cioè, la prognosi, e stabilire i criterî ai quali dovrà ispirarsi la nostra terapia, allo scopo di rimuovere o neutralizzare, per quanto sia possibile, i fattori morbigeni e di applicare i mezzi più adatti per curare le alterazioni anatomiche e avviare il processo verso l'esito più favorevole.

L'insegnamento, pertanto, della patologia differisce dall'insegnamento clinico, in quanto il primo è lo studio analitico e sistematico di tutte le malattie, mentre il secondo consiste nell'esame del singolo malato, allo scopo di diagnosticare in quel determinato soggetto, sulla base appunto delle conoscenze di patologia, risalendo dai sintomi alle alterazioni anatomiche, la forma morbosa, e d'insegnare l'applicazione dei varî mezzi curativi e l'esecuzione degli opportuni interventi operativi.

Tutta la storia della medicina e della chirurgia dimostra che la chirurgia disgiunta dalla patologia decade e altro non rappresenta che puro tecnicismo, donde l'inferiorità nella quale un tempo i chirurgi, puri tecnici, erano tenuti in confronto dei medici, cultori, appunto, di quegli studî scientifici che sono le basi della patologia.

Cenno storico. - La storia della patologia chirurgica s'identifica, pertanto, con quella della medicina, perché sin dai primi albori di questa, tutte le malattie indistintamente, comprese quindi le chirurgiche, hanno formato oggetto di studio da parte del medico. Il medico formulava la diagnosi anche delle malattie eventualmente suscettibili di cure chirurgiche, la cui esecuzione veniva in genere dal medico affidata a persone che in tali manualità operative avevano acquistato uno speciale tecnicismo.

Fin dalle opere di Ippocrate troviamo nitide trattazioni di malattie chirurgiche e di patologia umorale e in parte anche costituzionale; studî che si sono perfezionati attraverso i progressi dell'anatomia e della fisiologia, e anche delle indagini sperimentali, come chiaramente si rileva nelle opere di Celso e specialmente di Galeno, che in certe parti costituiscono pregevoli trattati di patologia sia medica sia chirurgica.

In Roma, sotto Adriano e Traiano, sorgono istituti scientifici e scuole mediche, dowe molta parte dell'insegnamento viene dedicato alle malattie chirurgiche, specialmente per la formazione, oltre che di archiatri palatini, di chirurgi militari.

Sorgono anche presso gli Arabi istituti scientifici nei quali si rende obbligatorio lo studio delle malattie per chi vuole dedicarsi all'esercizio della medicina e della chirurgia. Il Canone della medicina di Avicenna è il più importante trattato di patologia di quell'epoca.

Ma specialmente in Italia, presso istituti religiosi (particolarmente benedettini), nella famosa scuola salernitana (soprattutto nel sec. XII), e successivamente in Napoli, Bologna, Pavia, Padova, Pisa, sorgono importanti scuole di medicina nelle quali rifioriscono gli studî scientifici di patologia e si conferiscono titoli accademici.

In tali scuole e atenei vediamo più tardi grandi cultori di anatomia (Mondino de' Luzzi, A. Vesalio, G. Falloppia, B. Eustachi), che eccellono anche per lo studio e la descrizione di malattie chirurgiche, e valorosissimi sperimentatori, quali G. Zambeccari, che tanto impulso diede a quella patologia sperimentale che forma una delle più importanti basi della patologia chirurgica. Il libro di G. Fracastoro De contagione et contagiosis morbis (1546) è un'opera di pura patologia.

Successivamente anche nelle altre nazioni s'istituiscono cattedre di chirurgia dove si tengono in altissimo onore gli studî di patologia. In Francia, P. Desault (sec. XVIII) dà alla chirurgia un indirizzo anatomofisiologico; A. Boyer e A. Nélaton (1807-1873) pubblicano i loro trattati di patologia chirurgica; in Inghilterra, P. Pott formula la sua dottrina sulle infiammazioni croniche delle articolazioni, e J. Hunter rende noti i suoi studî sul sangue, sull'infiammazione, sulle ferite d'arma da fuoco, sugli aneurismini; Germania, A. G. Richter fonda a Gottinga una scuola superiore di chirurgia; dalla cattedra di Vienna, T. Billroth detta le sue classiche lezioni di patologia e terapia chirurgica generale.

In Italia primeggia la grande figura di Antonio Scarpa (1752-1832) che dall'ateneo pavese pubblica i suoi mirabili studî sulle ernie, sugli aneurismi e su molte altre affezioni chirurgiche.

Nell'ateneo di Roma sorge uno dei più grandi patologi chirurgi, Francesco Durante, che fortemente imprime il più saldo e fecondo indirizzo scientifico alla chirurgia italiana.

Bibl.: S. De Renzi, Storia della medicina in Italia, Napoli 1845-48; id., Storia documentata della Scuola medica di Salerno, Napoli 1857; F. Puccinotti, Storia della medicina, Livorno 1850-55; A. Corradi, Storia della chirurgia dagli ultimi anni del secolo scorso fino al presente, Bologna 1871; G. Bilancioni, Storia della medicina, Roma 1920; D. Barduzzi, Storia della medicina, Torino 1923; A. Castiglioni, Storia della medicina, Milano 1927. - Periodici: Rivista di storia critica delle scienze mediche e naturali, Firenze; Archivio di storia della medicina, Napoli; Bollettino Istituto storico italiano arte sanitaria, Roma; Mitteilungen zur Geschichte der Medizin und der Naturwissenschaften, Lipsia.

Patologia veterinaria.

Branca della patologia generale che studia i morbi che colpiscono gli animali domestici.

Come la patologia generale, trae origine dalla patologia umana, e come questa, durante l'età greco-alessandrina, procede sotto il dominio della dottrina umorale di Ippocrate che informa tutte le osservazioni degli antichi veterinarî greci (ippiatri). Questa dottrina prevale anche durante l'epoca greco-romana, quando la patologia generale cade sotto l'influenza della dottrina solidale. Durante il periodo romano il suo studio è tenuto in grande onore e numerosi appaiono gli autori che trattano questa branca della veterinaria (Ippocrate, Senofonte, Aristotele, Celso, Varrone, Virgilio, Columella, ecc.). In tutti questi scrittori si trova già una netta distinzione nei riguardi delle malattie e dei contagi. Una vera e propria classificazione delle malattie degli animali domestici si ha però soltanto nell'opera di Vegezio, autore che comprende tutti i morbi in sette categorie: umidi, aridi, subcutanei, articolari, farcinosi, sottorenali, elefantiasici; divisione che più o meno modificata sussiste fino al Rinascimento, quantunque non siano mancati anche altri tentativi di classificazione dei morbi. Così G. B. Ruffo distingue i morbi in naturali e accidentali, annoverando tra i primi le mostruosità a loro volta divise nelle due categorie, per difetto e per eccesso; separando i secondi in morbi dovuti alle lesioni e morbi dovuti alle infermità, dando di queste ultime nozioni di eziologia, patogenesi e sintomatologia non per ciascuna malattia ma per gruppi di malattie; tale classificazione, però in definitiva, si ricollega a quella di Vegezio. Sul finire del sec. XVI il Ruini, che compendia tutto il pensiero veterinario dell'epoca, riporta la patologia veterinaria ad affiancarsi alla patologia umana. Egli infatti divide i morbi secondo la loro sede, e dà per ciascuna malattia uno speciale trattamento.

Col Settecento s'inizia, specie per opera della zooiatria francese, lo studio comparato di ciascuna malattia, le osservazioni sui rapporti che intercorrono tra i morbi degli animali domestici e morbi proprî alla specie umana. Inizia così una patologia veterinaria distinta nelle sue varie branche: anatomia patologica, patologia medica, patologia chirurgica, igiene; e una patologia veterinaria legata alla patologia umana da numerosi problemi, quali quelli delle infestioni parassitarie (v. Parassitologia) e quelli delle malattie infettive per l'uomo e gli animali. Dalla seconda metà del secolo XIX ai nostri giorni, la patologia veterinaria occupa una eminente posizione nella patologia generale; qui trovano infatti largo studio e innumerevoli applicazioni le conquiste dell'immunizzazione attiva, della sieroterapia e della vaccinoterapia, nonché tutte le ricerche riflettenti i temi sull'immunità; ricerche, studî che stanno alla base dell'igiene e della profilassi delle malattie più pericolose e dannose per i nostri allevamenti.

Patologia vegetale.

Il danno, talora gravissimo, che subiscono le colture agrarie e le piante utili a causa di alcune malattie dovute a parassiti vegetali (fanerogame parassite, alghe, funghi, mixomiceti e batterî), o attribuibili ad ultravirus, o determinate da fattori straordinarî dell'ambiente atmosferico (gelate, venti caldi, eccesso o difetto di luce, fulmine, ecc.), o dipendenti da caratteristiche del suolo (acidità o eccesso di calcare, ecc.) o da carenza di sostanze necessarie alla pianta (azoto, potassio, fosforo, ferro, calce, ecc.), o comunque prodottesi, costituiscono l'oggetto della patologia vegetale o fitopatologia, mentre le malattie determinate sulle piante da animali (nella grande maggioranza insetti) sono compito degli studiosi di entomologia agraria.

Le malattie sono innanzi tutto diagnosticate: per la diagnosi per solito non è sufficiente il rilievo dei sintomi che appariscono sugli organi ammalati, ma è necessario, nelle alterazioni determinate da forme parassite, identificare sistematicamente l'agente patogeno: nella grande maggioranza delle forme infettive dei vegetali questo appartiene ai funghi, essendo state fino ad oggi illustrate parecchie migliaia di forme fungine parassite delle piante; però, centinaia di altre alterazioni sono determinate nelle piante anche da batterî, mentre più scarse sono le malattie prodotte dal parassitamento di mixomiceti e di piante superiori.

Il grande numero di alterazioni determinate da funghi parassiti spiega come la patologia vegetale fosse agl'inizî nelle mani dei micologi, ai quali spetta il grande merito di aver dato un'amplissima descrizione delle forme fungine (oggi oltre 60.000), le quali volta a volta sono state rinvenute sopra vegetali morti (saprofite) o vivi (parassite).

Tra i micologi spicca la figura di P. A. Saccardo, che ha il grande merito di aver iniziato e proseguito a Padova la pubblicazione della celebre Sylloge fungorum, oggi codice necessario per la classificazione delle forme fungine. Successivamente si stabilì, prima di tutto da botanici italiani (Savastano, 1887; Cuboni, 1889; Cavara, 1897) che molte altre malattie delle piante erano dovute a batterî e nacque così, con i metodi della moderna batteriologia, lo studio di tante malattie delle piante.

Lo studio della malattia del tabacco detta del "mosaico" servì al Beyerinck per scoprire che alcune malattie sono determinate da virus filtrabili o ultravirus (oggi però si conoscono anche virus, patogeni per i vegetali, non filtrabili), e i concetti d'interpretazione di queste alterazioni, studiate per prime nei vegetali, sono stati applicati a malattie degli animali e degli uomini, tra cui molte gravissime o molto diffuse.

La terapia per le malattie delle piante si fa per intervento diretto del coltivatore o con amputazioni delle parti ammalate, o mediante trattamenti con sostanze fortemente tossiche per il tallo o per i germi del parassita (sali di rame, di ferro, di mercurio, zolfo, polveri solforamate, polisolfuri, formalina, ecc.), oppure col calore, agendo sul terreno (trattamenti col vapore d'acqua surriscaldato o col fuoco) o trattando le piante o i postimi o le sementi col calore umido, utilizzando cioè, a scopo terapeutico, la differente termosuscettibilità dei due simbionti antagonisti, l'ospite e il parassita, dei quali in genere il primo, la pianta superiore, risulta più resistente alle alte temperature che non il tallo e le spore del parassita che essa alberga.

Al contrario, i vegetali inferiori, funghi e batterî, risultano in genere notevolmente più resistenti alle basse temperature: sicché ad es., per tuberi di patata infetti di micelio di peronospora, la temperatura di 54-55° per 5 minuti non determina alcun danno, mentre uccide il micelio del parassita (metodo di Jensen) e lo stesso avviene per le cariossidi di graminacee infette da micelio di carbone o portanti spore di carbone o di carie sulla loro superficie.

Ma non sempre i mezzi fisici sono praticamente utilizzabili nella lotta contro le malattie delle piante: in più di un caso, come si è già accennato, sono stati trovati efficaci trattamenti con sostanze chimiche in soluzione acquosa, o più spesso date come miscele o poltiglie e con esse si è riusciti, combattendo certe malattie improvvisamente comparse nel continente europeo (quasi tutte importate dall'America) a salvare colture agrarie, la cui esistenza era gravemente compromessa dallo sviluppo prodigioso che quelle nuove malattie (come la peronospora e l'oidio o crittogama della vite) avevano assunto sulle varietà europee di viti coltivate; evidentemente le varietà europee non erano immunizzate contro il nuovo parassita, come quelle d'America, luogo d'origine di questi parassiti (v. parassitismo: Parassitismo dei vegetali).

Per quanto riguarda i trattamenti chimici, che si fanno con gli anticrittogamici, mentre la loro efficacia sulle forme fungine e batteriche è chiara e spiccata, le piante non solo non ne rimangono minimamente disturbate, ma esse al contrario in genere si giovano delle irrorazioni con sali di rame, delle polverizzazioni con zolfo, del trattamento con composti di mercurio, dell'innaffiamento con solfato di ferro, ecc., risultando costantemente che le sostanze per le quali, nelle dosi prescritte e comunemente usate, i germi o il tallo di alcuni parassiti dimostrano una sensibilità tanto spinta da esserne uccisi, rappresentano, invece, e sempre per gli organi verdi della pianta, uno spiccato giovamento, esercitando essi una eccitazione per la crescita, per la funzione fotosintetica, per la maturazione dei frutti, ecc., ciò che lascia pensare che anche qui, come per il calore, almeno in parecchi casi, si tratti di differente sensibilità specifica dei due simbionti antagonistici, per l'azione della sostanza con la quale le cellule delle due specie vegetali siano venute a contatto.

È evidente che quelle sostanze che, nella comune pratica colturale, sono adoperate come anticrittogamici, esercitano un'azione biologica sia sulle cellule del parassita, sia su quelle dell'ospite, e che sono i limiti di sopportabilità dell'uno e dell'altro vegetale, tanto spiccatamene differenti, a spiegarci i risultati pratici opposti che si ottengono, cioè di depressione e di eccitamento; vale a dire che le dosi adoperate si possono considerare all'incirca optimali per la pianta e oltre il limite di sopportabilità per il parassita.

Negl'interventi a favore delle piante con le cure chimioterapiche specialmente, la conoscenza del ciclo di sviluppo del parassita, dell'epoca della sua comparsa, delle sue forme riproduttive, in una parola sola, la conoscenza della "biologia" del parassita stesso, rappresenta la base essenziale per una lotta efficace.

Oggi però la fitopatologia non limita le sue ricerche alla sola conoscenza dell'agente infettivo, della sua biologia, dei mezzi e metodi di lotta, ma lo studio viene allargato a indagare quali siano le cause ambientali determinanti le epidemie, essendo ben chiaro che l'ambiente (aria o terreno) non solo può influire, nell'indurre, con le sue vicende, depressione nello sviluppo delle colture e anche danni notevoli nei prodotti, ma può agire, da un lato favorendo o uccidendo i germi del parassita, dall'altro inducendo le piante in condizione di recettività o di resistenza per alcune infezioni.

È noto che le nebbie di primavera sono le alleate delle ruggini dei cereali, essendo il fitto velo umido condizione necessaria e sufficiente perché i delicatissimi germi del contagio (urodospore) possano arrivare in ottime condizioni sulla superficie della pianta, germinarvi e quindi penetrare, attraverso gli stomi, nei tessuti dell'ospite; per lo sviluppo della peronospora sulla vite invece non basta la nebbia, perché, essendo i germi del contagio (zoospore) mobili per ciglia solo in un mezzo liquido, le goccioline d'acqua, e perciò le pioggerelle o la formazione della rugiada, sono la condizione ambientale principale per il riprodursi dell'infezione; nel caso d'infezione da Erisifacee, che determina malattie dette "mal bianco" (v.), un'umidità dell'ambiente relativamente non molto elevata (per esempio il 70%) è sufficiente a mantenere in vita gli organi del contagio (conidî) e indurli a immettere, attraverso la cuticola dell'ospite, nelle cellule epidermiche dei tessuti verdi, il tubo di penetrazione.

Ma non si deve credere che lo stimolo alla penetrazipne nei tessuti, da parte dei germi di diffusione o delle spore dei parassiti, sia costituito esclusivamente dall'umidità dell'aria e da condizioni adatte di temperatura, perché la specificità del parassitismo è talora assoluta, essendo molti dei parassiti (isofagi) capaci di svilupparsi su una sola specie e persino su una o poche varietà di alcune specie: talora anzi, in seno alla stessa specie parassita, si vengono differenziando razze biologiche, capaci ciascuna di attaccare esclusivamente una determinata specie vegetale, oppure capaci di svilupparsi in modo grave solo sopra certe varietà o razze dell'ospite e non su altre, sulle quali invece altre razze del parassita si possono sviluppare; avviene così che varietà di frumento resistenti alle razze di ruggini di una determinata zona agraria, trasportate in un'altra zona o in altro continente, siano danneggiate gravemente dalle razze biologiche delle ruggini presenti in quella zona. Quindi frumenti selezionati, per esempio, a Parigi e in quell'ambiente resistenti alle ruggini, introdotti in Oceania furono distrutti dalle ruggini ivi presenti: ciò è forse anche fondato sulle necessità alimentari del parassita, essendo l'ospite substrato alimentare tanto diverso da specie a specie e anche da una varietà all'altra (v. parassitismo: Parassitismo dei vegetali).

Ma oltre a questi fattori inducenti il parassitismo e da riferire in prevalenza alle preferenze o alle necessità alimentari della specie parassitante, l'ammalare della pianta è in dipendenza diretta della perdita della resistenza naturale, di cui essa è talora normalmente dotata, nei riguardi di alcuni parassiti: accade talvolta di dover constatare che la contaminazione della pianta non avviene in normali condizioni fisiologiche di essa; per ottenere che il parassita si sviluppi, occorre determinare artificialmente una caduta della turgescenza degli organi verdi, più o meno accentuata, ma sempre temporanea: basta cioè che si abbia un inizio di appassimento e, contemporaneamente però, si conservino nell'ambiente condizioni possibili per lo sviluppo dei germi infettivi, perché la malattia successivamente apparisca: è stato confermato che ciò si verifica nella realtà della comune coltura per alcune delle più importanti malattie delle piante: in questo giuoco complesso i fattori ambientali hanno una parte assolutamente preponderante, perché sono le condizioni ambientali, con il perdurare o con il variare loro, a determinare la caduta della turgescenza e, con essa, la perdita della naturale resistenza da un lato, mentre d'altro canto lo sviluppo dei germi del contagio è ostacolato o favorito parimenti dalle condizioni ambientali. Quest'accenno al più moderno indirizzo di studio, cui tendono in prevalenza oggi i patologi delle piante, la fisiopatologia, dà un'idea della complessità e della portata degli studî di quest'ordine, con i quali si riesce a portare qualche luce tanto sui fattori di ambiente esterno e su quelli intimi delle piante, capaci d'indurre la comparsa delle malattie nelle zone dove queste sono abituali, quanto sull'area geografica nella quale la malattia si ritrova e talora sulle ragioni della riduzione di una malattia, nei limiti di una determinata area geografica. I fattori ambientali, ai quali dai vecchi georgici erano attribuite direttamente le malattie delle piante e che erano stati messi quasi da parte quando si scoprirono e si determinarono, con la massima precisione, gli agenti infettivi, ritornano in onore per la doppia influenza che l'ambiente esercita e sullo sviluppo di questi agenti e sulla fisiologia dell'ospite, alle cui variazioni e ai cui disturbi fisiologici è accertato si debba in molti casi la predisposizione o la perdita della resistenza dei tessuti alla contaminazione dei germi infettivi.

L'identificazione del momento di minore resistenza della pianta per un determinato contagio e la conoscenza dei fattori determinanti l'abbassamento del potere defensionale naturale dei vegetali superiori possono spiegare il momento dell'anno e le condizioni meteorologiche nelle quali certe epidemie disastrose si presentano, ciò che può avere anche un'importanza pratica notevole, per stabilire le modalità e l'epoca della lotta. Sull'osservazione delle condizioni ambientali sono del resto da tempo, anche prima del notevole sviluppo degli studî fisiopatologici, stabilite le previsioni peronosporiche che meglio ci guidano negl'interventi contro lo sviluppo e la diffusione della peronospora della vite per mezzo delle irrorazioni con composti rameici.

Bibl.: M. W. Beyerinck, in Arch. néerland. des sciences exac. et natur., 1899; V. Rivera, in Atti Accad. Pont. Nuovi Lincei, LXXXV (1932); id., in Rassegna intern. agronomia, II (1924); id., in Riv. patol. vegetale, XXI (1933); V. Rivera e E. Corneli, in Ann. di tecnica agraria (1929); L. Montemartini, La patogenesi nelle malattie delle piante, Milano 1932; E. Corneli, in Riv. patol. vegetale, XXII (1932).