PASQUINO da Montepulciano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 81 (2014)

PASQUINO da Montepulciano

Francesco Caglioti
Paolo Parmiggiani

PASQUINO da Montepulciano. – Nacque da un Matteo di Francesco, contadino, tra il 1425 e il 1427 (la data si ricava, con oscillazioni, dalle varie portate al Catasto di Firenze, in Fabriczy, 1906), e fin dalla puerizia praticò la metallurgia, iniziando sotto la guida del fiorentino Antonio Averlino, detto Filarete. Ancora adolescente partecipò alla realizzazione della porta bronzea principale di S. Pietro in Vaticano a Roma, cui Filarete attese tra il 1433 e il 1445 assieme a vari allievi. Nella lastra apposta come firma a tergo dell’anta sinistra, il maestro appare ritratto mentre danza insieme a Pasquino e ad altri cinque scolari: «CETERIS OPERE PRETIVM FASTVS [FV]MVSVE MIHI HILARITAS / ANTONIVS / ET DISCIPULI / MEI / VARRUS FLORENTII [sic], IOVANNES, PASSQUINUS [sic], IANNELLUS, IACOBUS, ANGNIOLUS» (Beltramini, 2000, p. 481). Nel Trattato di architettura Filarete conferma che Pasquino era stato suo discepolo: «Fuvi da Monte Pulciano uno che imparò meco, il quale aveva nome Pasquino» ([1461-1464 circa], 1972). Le Vite di Giorgio Vasari (versione del 1568) ricordano l’apprendistato con Filarete, riferendo tuttavia per errore a Pasquino con Bernardo Ciuffagni il sepolcro marmoreo di papa Pio II, già in S. Pietro in Vaticano e oggi in S. Andrea della Valle a Roma (1568, 1971; Valentiner, 1958). Verosimilmente Pasquino lasciò Roma nel 1448-49, a seguito dell’accusa di furto di reliquie che colpì Filarete (Lazzaroni - Muñoz, 1908; Marchini, 1952, p. 122).

Dall’estate del 1449 compare tra gli aiuti del fiorentino Maso di Bartolomeo, artista vicino a Donatello, Michelozzo e Luca Della Robbia, impegnato nell’allestimento del portale di S. Domenico a Urbino, prima opera che attesta l’abilità di Pasquino nella scultura in pietra e marmo (benché Maso lo impiegasse presto, e l’avesse forse assunto, anche per lavori di metallo, in particolare armi da guerra). L’attività al portale si protrasse con interruzioni per qualche anno, e nell’autunno 1454 fu terminata da Pasquino insieme a Michele di Giovanni da Fiesole detto il Greco (Höfler, 2006, pp. 83-89), dopo che Maso era rientrato a lavorare a Firenze, affiancato per qualche tempo dallo stesso Pasquino (secondo quanto si estrae dal secondo Libro di ricordi di Maso (1449-1456), fonte principale per questo periodo dei due artisti). Sebbene la critica non sia unanime, è plausibile riferire a Pasquino il Dio Padre al centro del timpano del portale urbinate e il fregio di cherubini e teste angolari di Giove Ammone nella trabeazione superiore, ideati ed eseguiti in stretto accordo con Maso (Kennedy, 1932-1934, p. 34; Marchini, 1952, p. 122; Ceriana, 2004, pp. 103-108).

Secondo gli studi di riferimento sul palazzo ducale di Urbino, tra il 1454 e il 1457 Pasquino si sarebbe trattenuto al servizio di Federico da Montefeltro per la progettazione e la messa in opera del Palazzetto della Jole, con gli arredi lapidei eseguiti dal Greco, che fondono diversi indirizzi della scultura fiorentina di metà Quattrocento, da Filarete a Donatello, arrivando ai più aggiornati esiti dei fratelli Rossellino e di Desiderio da Settignano (Rotondi, 1950; Höfler, 2006, pp. 107-113). Il coinvolgimento di Pasquino merita però di essere trattato con ogni prudenza.

Sulla metà degli anni Cinquanta, Pasquino (partito Maso per la Dalmazia) entrò nella cerchia di Desiderio da Settignano. Costui impresse al collega un po’ più anziano un nuovo orientamento stilistico, già in parte riscontrabile nelle opere urbinati. La frequentazione di Desiderio è attestata da un rogito fiorentino del 6 agosto 1459 relativo ad Annalena Malatesta, in cui entrambi gli artisti fecero da testimoni, e da un pagamento del 25 agosto successivo, che la stessa Annalena destinò a Desiderio per la Maddalena lignea di S. Trinita a Firenze, e che il maestro riscosse attraverso Pasquino (Coonin, 1995; Caglioti, 2000).

La svolta desideriana di Pasquino potrebbe cautamente riconoscersi nella tomba di Gimignano Inghirami in S. Francesco a Prato, realizzata intorno al 1460 e ispirata al monumento di Carlo Marsuppini in S. Croce a Firenze, opera che Desiderio aveva concluso poco prima del sepolcro pratese: ma quest’ultimo, sebbene già riferito a Pasquino (Angelini, 1991, p. 945), è stato di recente spostato in modo ragionevole su un altro allievo di Desiderio, Gregorio di Lorenzo (Pisani, 2013, pp. 105 figg. 11-13, 107-109 con fig. 15). Un più sicuro riflesso del legame tra Desiderio e Pasquino si coglie invece nelle teste tipo Giove Ammone agli angoli inferiori del grande candelabro marmoreo che corona il monumento Marsuppini, affini a quelle del portale di S. Domenico a Urbino. Quale esempio della produzione urbinate influenzata da Desiderio è stato suggerito il busto di una nobile giovinetta (inv. n. 78) nel Bode-Museum di Berlino (Ceriana, 2005), ma per una fase (i primi anni Sessanta) in cui Pasquino aveva ormai lasciato le Marche.

Nell’estate del 1460 Pasquino cominciò infatti a lavorare alla conclusione della cancellata bronzea che serra i due lati liberi della cappella della Cintola nel duomo di Prato, impresa avviata da Maso nel 1438 e continuata fino al 1459 da altri, quali Bruno di ser Lapo Mazzei e Antonio di ser Cola (Marchini, 1952). Benché Pasquino, a tale scopo, si trasferisse fin da subito a Prato con tutta la famiglia, il contratto fu stipulato solo il 25 aprile 1461, stabilendo come egli dovesse realizzare, tra varie cose, l’intero fregio superiore e, al di sopra, il fastigio di diciotto candelieri inframmezzati da altrettanti antemi (Baldanzi, 1846). A Pasquino va ricondotto per intero anche il fregio montante destro del lato corto della cancellata, rivolto verso la navata sinistra, di stile corrispondente al fregio superiore. Nei bronzi pratesi, termini di riferimento per il suo catalogo di toreuta, Pasquino si mostra vicino alla nuova sensibilità sviluppata quasi contemporaneamente dal più giovane Andrea del Verrocchio. Tale vicinanza, che in passato ha indotto a speculare sul rapporto di dare e avere tra i due (in partic. Busignani, 1962; Passavant, 1989), è oggi ben comprensibile grazie al passaggio di Pasquino nella bottega di Desiderio, maestro di Verrocchio stesso.

Pasquino attese alla cancellata per circa otto anni, affiancato nella fase precontrattuale da Giovanni di Bartolomeo, fratello di Maso. Sulla scorta dei documenti è possibile stabilire che i lavori furono ultimati nel 1468 (Nuti, 1939, pp. 339 s.; Marchini, 1963, pp. 76 s., 109 n. 74). La gestazione lunga dipese in parte dal fatto che Pasquino effettuò nel contempo non poche missioni a Firenze, dove manteneva altri incarichi significativi: nel 1465 è documentata la sua partecipazione ai battenti bronzei della Sagrestia delle Messe nel duomo fiorentino (Mather, 1918, p. 199 doc. 15), opera di Luca Della Robbia e Michelozzo, la quale aveva visto implicato nella fase d’avvio ancora una volta Maso. Subito dopo la cancellata pratese, nel 1469 Pasquino s’impegnò a Firenze in un’altra opera analoga per la cappella del Cardinale di Portogallo in S. Miniato al Monte. Benché questo ambiente sia chiuso tuttora da una cancellata metallica in stile quattrocentesco, non pare che essa sia quella originaria di Pasquino (Hartt - Corti - Kennedy, 1964; Höfler, 1988, p. 541).

L’attività di Pasquino per il duomo di Prato continuò nel 1469 con la commessa di un pulpito di marmo nella navata centrale. Il 17 aprile gli «operai» del duomo comprarono i «marmi bianchi» occorrenti, «a la misura che hanno aùto da Pasquino di Matteo […], posti al porto di Signa» (Marchini, 1963, p. 113 n. 99). Pasquino concepì il pulpito in forma di calice, ponendo un alto pilastro a sostegno di una vasca circolare analoga a quella che Donatello e Michelozzo avevano allestito circa un quarantennio prima come pergamo esterno dello stesso duomo. Entro il 4 dicembre 1469 Pasquino si recò a Signa a prelevare i marmi, per poi cominciare a lavorarli insieme ad alcuni aiuti, fino all’estate 1473, quando sono registrati gli ultimi pagamenti. Il 23 agosto 1473, con Verrocchio, Pasquino stimò le cinque scene a rilievo per il balcone del pulpito, fornite da Antonio Rossellino e Mino da Fiesole (Nuti, 1939, pp. 340 s.; Marchini, 1963, pp. 113 n. 99, 114 n. 102; Carli, 1981; Morselli, 1979). Di mano di Pasquino sono le quattro arpie a sostegno del fusto del pulpito, scolpite sul modello di quelle anch’esse marmoree realizzate da Desiderio, intorno al 1459, per il piedistallo del David bronzeo di Donatello già in palazzo Medici a Firenze (Caglioti, 1995, pp. 29-33 con figg. 24-28, pp. 52 s. note 110, 113, 115-117).

Pasquino sposò nell’ottobre 1453 la fiorentina Ginevra di Grifo di Lionardo Grifi, con la quale ebbe almeno sei figli (due Camille, Terenzio, Tommasa, Brigida, Bernardo), di cui almeno tre morti fanciulli (le due Camille e Terenzio). Contemporaneamente al mestiere scultoreo fu, a tratti, cantore: il 12 giugno 1453 ottenne la nomina di maestro dei chierici di S. Maria del Fiore a Firenze (Fabriczy, 1906, p. 128).

Titolare di una propria abitazione a Firenze (acquistata nel 1475: Archivio di Stato di Firenze, Notarile antecosimiano, 9283, ser Giovanni Gini, c. 217r), e di un piccolo podere nei dintorni, recato in dote dalla moglie e coltivato dal padre almeno sino alla portata al Catasto del 1457/8, Pasquino visse gli ultimi anni in ristrettezze economiche. Al Catasto del 1480 dichiarò: «al presente non fo nulla né guadangnio alcuna cosa, e.lle fanciulle sanza dota» (Fabriczy, 1906, p. 131). L’attività successiva al pulpito di Prato non è nota, ma è verosimile che fosse dedicata quasi in toto alla realizzazione di strumenti bellici. Nei registri dell’Arte dei Maestri di Pietra e Legname, alla quale s’iscrisse il 27 novembre 1473 (poco dopo il rientro da Prato) rimanendole legato sino al 1483, Pasquino è designato infatti come «magister bombardarum» o «maestro di bombarde» (Archivio di Stato di Firenze, Arte dei Maestri di Pietra e Legname, 2, c. 140v, e 4, cc. 210-CCX). E il 30 gennaio 1479 egli scrisse da Pisa a Lorenzo il Magnifico per lamentare il fallimento della fusione di una bombarda, tentata tre giorni prima (ASF, Mediceo avanti il Principato, XXXVII, 39).

Pasquino «delle Bombarde» morì di circa sessant’anni il 15 gennaio 1485 (del calendario moderno) e fu sepolto in S. Lorenzo a Firenze, sua chiesa parrocchiale (Fabriczy, 1906, p. 128), a pochi passi dalla sua casa in Borgo la Noce (finora malamente collocata dagli studi in Borgo la Croce).

Valido comprimario della migliore scultura fiorentina del primo Rinascimento, Pasquino dispiegò una costante maturazione nello stile e nella cultura figurativa grazie ai diversi contatti professionali instaurati nel corso del tempo: dopo l’esperienza filaretiana, la collaborazione con Maso di Bartolomeo lo iniziò al mondo di Donatello e di Luca Della Robbia, mentre il successivo sodalizio con Desiderio da Settignano lo predispose alla maniera più evoluta di Verrocchio.

Pasquino non va confuso con due contemporanei fiorentini suoi omonimi (anche nei patronimici) associati come lui all’Arte dei Maestri di Pietra e Legname: un Pasquino di Matteo del popolo di San Felice, iscritto fin dal 1435 (e identificato per errore con il Pasquino più noto da Fabriczy, 1906, p. 127), e Pasquino di Matteo di Domenico da Settignano, scalpellino, nato nel 1440, immatricolato nel 1463 e morto non molto dopo l’ottobre 1482, quando dettò testamento mentre giaceva nell’ospedale di S. Maria Nuova (iscrizione all’Arte, 1463, e debiti con essa, dal 1465 al 1483: ASF, Arte dei Maestri di Pietra e Legname, 2, c. 119r, e 4, c. 108; dichiarazione fiscale: ASF, Catasto, 1077, anno 1480, Contado, Quartiere di San Giovanni, c. 177r; testamento: ASF, Notarile antecosimiano, 7307, ser Chiarissimo Fiaschi, c. 166r-v).

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze [ASF], Arte dei Maestri di Pietra e Legname, 2, cc. 119r, 140v, e 4, cc. 108, 210-CCX; ASF, Catasto, 1077, Contado, Quartiere di San Giovanni (anno 1480), c. 177r; ASF, Mediceo avanti il Principato, XXXVII, 39 (1479); ASF, Notarile antecosimiano, 7307, ser Chiarissimo Fiaschi, c. 166r-v, e 9283, ser Giovanni Gini, c. 217r; Firenze, Biblioteca nazionale centrale, ms. Baldovinetti 70: Maso di Bartolomeo, Libro di ricordi (1449-1456), pubblicato con molti tagli ed errori da C. Yriarte, 1894.

A. Averlino detto Filarete, Trattato di architettura (1461-1464 circa), a cura di A.M. Finoli - L. Grassi, I, Milano 1972, p. 172; G. Vasari, Le vite (1550 e 1568), a cura di R. Bettarini - P. Barocchi, III, Firenze 1971, p. 247; F. Baldanzi, Della Chiesa Cattedrale di Prato, Prato 1846, pp. 261-263 n. IX; Journal d’un sculpteur florentin au XVe siècle. Livre de souvenirs de Maso di Bartolommeo dit Masaccio […], a cura di C. Yriarte, Paris 1894, passim; C. de Fabriczy, P. di Matteo da M., in Rivista d’arte, IV (1906), pp. 127-131; M. Lazzaroni - A. Muñoz, Filarete, scultore e architetto del secolo XV, Roma 1908, pp. 146-148; R.G. Mather, Nuovi documenti robbiani, in L’arte, XXI (1918), pp. 190-209; C. Kennedy, Il Greco aus Fiesole, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, IV (1932-1934), pp. 25-40; R. Nuti, P. di Matteo da M. e le sue sculture nel Duomo di Prato, in Bullettino senese di storia patria, n.s., X (1939), pp. 338-341; P. Rotondi, Il Palazzo Ducale di Urbino, I, Urbino 1950, in partic. pp. 147, 151-153; G. Marchini, Di Maso di Bartolommeo e d’altri, in Commentari, III (1952), pp. 108-127; W.R. Valentiner, The Florentine master of the tomb of Pope Pius II, in The art quarterly, XXI (1958), pp. 116-150; A. Busignani, Maso di Bartolomeo, P. da M. e gli inizi di Andrea Verrocchio, in Antichità viva, I (1962), 1, pp. 35-39; G. Marchini, Il tesoro del Duomo di Prato, con documenti inediti ritrovati da R. Nuti e R. Piattoli, Milano 1963, pp. 76 s., 109 n. 74, 113 n. 99, 114 n. 102; F. Hartt - G. Corti - C. Kennedy, The chapel of the Cardinal of Portugal, 1434-1459, at San Miniato in Florence, Philadelphia 1964, pp. 59 s., 169-173 nn. 27b-28; P. Morselli, Corpus of tuscan pulpits:1400-1550, PhD thesis, University of Pittsburgh (PA) 1979, pp. 223-235 n. 26; E. Carli, Il pulpito interno della Cattedrale di Prato, Prato 1981; J. Höfler, Maso di Bartolommeo und sein Kreis, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XXXII (1988), pp. 537-546; G. Passavant, Überlegungen zur Rotationsmechanik von Verrocchios Delphinputto, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XXXIII (1989), pp. 105-112; A. Angelini, in L. Bellosi - A. Angelini - G. Ragionieri, Le arti figurative, in Prato, storia di una città, I, a cura di G. Cherubini, Firenze 1991, pp. 907-962; F. Caglioti, Donatello, i Medici e Gentile de’ Becchi: un po’ d’ordine intorno alla ‘Giuditta’ (e al ‘David’) di Via Larga. III, in Prospettiva, 80 (1995), pp. 15-58; A.V. Coonin, New documents concerning Desiderio da Settignano and Annalena Malatesta, in The Burlington Magazine, CXXXVII (1995), pp. 792-799; La Sacra Cintola nel Duomo di Prato, Prato 1995, pp. 264-279 (per le figg.); J. Höfler, Maso di Bartolomeo e la sua cerchia a Urbino: il portale di San Domenico e il primo palazzo di Federico da Montefeltro, in Michelozzo. Scultore e architetto (1396-1472), a cura di G. Morolli, Firenze 1998, pp. 249-255; M. Beltramini, Antonio Averlino detto Filarete. Porta, in La basilica di San Pietro in Vaticano, a cura di A. Pinelli, Testi/Schede, Modena 2000, pp. 480-487; F. Caglioti, Donatello e i Medici. Storia del ‘David’ e della ‘Giuditta’, I, Firenze 2000, pp. 129 s.; M. Ceriana, Fra Carnevale e la pratica dell’architettura, in Fra Carnevale. Un artista rinascimentale da Filippo Lippi a Piero della Francesca (catal., Milano-New York, 2004-2005), a cura di M. Ceriana et al., Milano 2004, pp. 96-135; Id., in Il Rinascimento a Urbino. Fra’ Carnevale e gli artisti del Palazzo di Federico (catal., Urbino), a cura di A. Marchi - M.R. Valazzi, Milano 2005, pp. 175-180 n. 46; L. Pisani, ibid., pp. 121 s. n. 22; J. Höfler, Il Palazzo Ducale di Urbino sotto i Montefeltro (1376-1508), Urbino 2006, pp. 83-89, 107-113; L. Pisani, Nell’orbita di Andrea del Verrocchio: appunti per la scultura a Pistoia fra 1470 e 1520, in Il museo e la città: vicende artistiche pistoiesi del Quattrocento, Pistoia 2013, pp. 96-118.

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