CONSERVATORE, PARTITO

Enciclopedia Italiana (1931)

CONSERVATORE, PARTITO

Domenico Petrini

. I partiti conservatori sono quelli che rispondono alla tendenza umana a mantenere gli ordinamenti trasmessi dalla tradizione; come tali si alimentano del senso della storia e della concretezza realistica e si atteggiano diffidenti verso ogni posizione pratica e verso ogni costruzione ideologica che guardi all'avvenire, condannando il passato. Come tutte le posizioni della prassi politica, la posizione dei partiti conservatori è polemica: la loro giustificazione non è nella loro costruzione ideologica, ma nella loro vita storica, che è sanzione della loro necessità: il loro valore è nella loro azione. Riprova di questo loro carattere pratico e polemico è precisamente nel valore diverso che la parola conservatore prende secondo i diversi punti di vista da cui si guarda: è esperienza comune della vita politica che i limiti del conservatorismo variino nella diversa valutazione di un liberale e di un socialista. Dei partiti non è possibile che una determinazione empirica: si dirà perciò conservatore quello in cui è tenuto in gran conto il valore di una vita disciplinata dall'alto, di uno stato rigidamente e vigorosamente organizzato: da una parte il suo ideale confina con l'autoritario, dall'altra col liberale. Ideale che s'incarna nelle diverse esigenze storiche in cui, soltanto, esso trova la sua vita.

Germania. - Più che altrove quest'ideale di forza conservatrice della tradizione, sia pure in servizio di opere nuove, pienamente s'esprimeva nella Germania prebellica, in quella trasformazione politica della Kulturnation dei romantici, i primi pionieri del nazionalismo tedesco, nella Staatnation. Essa avviene per opera della Prussia, la cui organizzazione statale è perfettamente autoritaria e conservatrice, col suo governo diviso fra la monarchia e lo Junkertum, in un accordo originale di aristocrazia e monarchia che non conobbero né la storia di Francia, né quella d'Inghilterra. La monarchia tedesca stringe l'aristocrazia nell'esercito e nella burocrazia con un'organizzazione che le riforme dei ministri liberaleggianti Hardenberg e Stein non valsero a scrollaie. L'esperienza triste di Jena aveva suscitato il sentimento che oltre la Prussia feudale vi fosse una Prussia reale da valorizzare; ma la reazione del 1815 fa tornare la Prussia sui suoi passi e il riordinamento degli stati provinciali operato nel 1823 è una decisa ripresa di possesso del governo del paese da parte dell'aristocrazia terriera, con l'esclusione della borghesia non proprietaria. L'organizzazione autoritaria e conservatrice dello stato tedesco si afforza con Federico Guglielmo IV che, a rincalzo della differenza dei ceti, istituisce la Curia dei Signori e nega ogni possibilità di rapporti costituzionali fra sovrano e sudditi: ma proprio nella sua età, attraverso questa costruzione medievale dello stato, si opera il trapasso, che è prima ideale di storici e poi, col Bismarck, passione di politici, verso una formazione nazionale moderna e imperialistica, cui la Prussia darà il suo ordine e la sua forza. L'inutile dottrinarismo che caratterizzò la rivoluzione tedesca del 1848 nella sua massima espressione, il parlamento di Francoforte, non fece che rafforzare queste tendenze, le quali furono il terreno adatto all'azione dominante del Bismarck. Tutta l'organizzazione moderna dello stato tedesco fino alla guerra europea esce da queste esperienze storiche, che crearono la tradizionale adesione delle classi colte tedesche al costituzionalismo conservatore del loro paese. Il principe regna e governa, la carta costituzionale è una sua elargizione, la rappresentanza popolare non ha che una funzione di controllo, i ministri non rispondono della loro azione che al principe. È un'organizzazione schiettamente conservatrice che la guerra, con la sua triste soluzione, fa crollare, ridando valore alle correnti liberali che erano restate estranee alla vita del paese, sempre, dopo la disfatta del 1848. La Germania riprende allora la sua mancata educazione liberale, ma le correnti conservatrici non restano meno vive nell'agitare la necessità che la forza della vecchia organizzazione trapassi intera nella nuova vita del governo parlamentare. Le vecchie correnti conservatrici e autoritarie hanno poca o nessuna probabilità di risurrezione, venuta ormai quasi a mancare la forza economica dello Junkertum con la fine del latifondo, ma la loro rigida tradizione statale è un insegnamento che la Germania ha ormai nel sangue: e il governo liberale d'oggi non può non sentirne sicure influenze.

Inghilterra. - In Inghilterra il nucleo del partito conservatore è formato dall'aristocrazia ricca dei grandi possessi terrieri che domina feudalmente e dalla High Church che si alimenta dell'autorità che le viene dallo stato. Questa aristocrazia è senza rivali fino al rafforzamento, avvenuto già al principio del sec. XIX, dell'industria istintivamente liberale. S'inaugura allora una lotta in cui economia e politica si fondono: il liberismo inglese è prima di tutto liberalismo: il conservatorismo è protezionismo agricolo. Sotto i vecchi nomi di whigs e tories è tutta una nuova realtà: la forza del conservatorismo si rileva soprattutto nella sua resistenza alle richieste estreme, in campo religioso ed economico, dei radicali, e nell'azione che, col suo spirito, nel loro stesso ambiente, esercita con la creazione soprattutto di una più matura esperienza storica, su temperamenti, come il radicale Macaulay, a ciò preparati.

Le vecchie posizioni conservatrici, dinnanzi all'offensiva industriale che si concreta nella Lega di Manchester, più che cedere, si modificano col modificarsi stesso di tutto il campo politico; e se dinnanzi alla lotta per l'abolizione del dazio sul grano molti tories passano inconsapevolmente al campo degli avversarî, come Robert Peel, si viene presto a ricostruire la netta dualità dei partiti, il vecchio wighismo essendo assortito nel liberismo. Le forze conservatrici inglesi restano, anche dopo la sconfitta del 1846, salde su molte delle loro posizioni, e serbano, sia pur indebolito, il monopolio terriero e il dominio nelle amministrazioni locali.

Sono esse che tra il 1850 e il 1870, ricche delle nuove dolorose esperienze, si riorganizzano non più in vista di una resistenza al liberalismo, ma in vista di un ideale svolgimento della nazione in Impero. Col Disraeli il programma si colora di un torismo popolare che non ha più nostalgie verso i residui del feudalesimo aristocratico, ma si protende intero a cercare la grandezza imperiale dell'Inghilterra nell'unità di tutti i suoi figli: un torismo attraverso cui è passata l'esperienza del liberalismo e del tradunionismo. I conservatori riconquistano il potere nel 1876. E l'azione conservatrice anche qui non si limita al suo campo, ma agisce sull'avversario liberale che comincia a guardare con minor difficdenza il valore dell'intervento statale nella vita economica e politica del paese: più tardi le forze conservatrici confluiranno nel movimento Unionista che col Chamberlain tenderà sia ad uno stato forte, ricco di forze democratiche, sia verso l'Impero; e negli anni della guerra mondiale avranno la prevalenza nel coalizionismo, per ritornare con le loro tendenze autoritarie e protezionistiche al potere negli anni del dopoguerra, di dura lotta economica.

Francia. - In Francia, dopo la Rivoluzione, il conservatorismo si afforza del pensiero storicista col De Maistre e altri, che sono i padri della mentalità reazionaria di tutta la Francia dopo il 1789 fino a noi. Ma la grossa borghesia che respinge la reazione e fa la rivoluzione del 1830 è essa stessa conservatrice. Passata la reazione, mai valida, come quella che non aveva potuto in alcun modo cancellare la nuova costituzione sociale uscita dalla Rivoluzione, essa trova il suo trionfo dopo il 1830 nel regno di Luigi Filippo. Contro di essa si levano le nuove forze, piccoli borghesi ed operai, che fanno la rivoluzione del 1848: una lotta di classi che si conchiude con la dittatura. Manca una lotta di partiti: la borghesia liberale, dinnanzì al terrore del comunismo, rinuncia äi suoi ideali stessi e piega alla dittatura: è un trapasso da rivoluzione a reazione, che non trova una sua continuità in tradizionali forme politiche che contendano per il governo, come in Inghilterra, o che, nel trionfo di una parte, tendano a una meta comune, come in Germania. In ogni modo, la borghesia che non viene a dominare col suo liberalismo i movimenti del 1848 si svela schiettamente conservatrice e sopporta per diciotto anni il Secondo impero: una sconfitta militare soltanto pone fine ad esso. Queste forze conservatrici nella crisi che segue il 1871 sono quelle che più tengono fermo contro il comunismo e confermano nella nuova costituzione repubblicana la fondamentale centralizzazione dello stato francese. La vittoria definitiva dei piccoli borghesi, soprattutto dopo l'affare Dreyfus, non rende meno valida la funzione della mentalità conservatrice francese nel seno dello stato, e in un paese profondamente liberale, fa da contrappeso agli sconfinamenti cui tendono i partiti estremi. Perciò in Francia la tendenza conservatrice è oggi qualcosa di diverso dai movimenti reazionarî e alimenta della sua esperienza la vita stessa delle istituzioni liberali.

Italia. - In Italia la tendenza conservatrice si concreta originalmente, sommandosi, per necessità di lotta rivoluzionaria nazionale, nel partito moderato che operò, con le sue due tendenze di Destra e di Sinistra, il Risorgimento. Tendenze conservatrici, alimentate da preoccupazioni sociali, corrono tutto il periodo rivoluzionario del 1848: esse formano nel decennio cavourriano la base su cui l'opinione moderata aderisce al programma piemontese, che garantisce, oltre le conquiste politiche, il sicuro dominio alla borghesia nazionale italiana. Il Risorgimento è una rivoluzione di conservatori, i migliori dei quali, come lo Spaventa, si trovano a riconoscere questo loro carattere, appena costituitosì il nuovo stato. È caratteristico della storia italiana il tormento religioso che alle origini sembrò minare le fondamenta stesse di questo partito conservatore: nelle altre nazioni cattoliche il partito conservatore, che naturalmente tende a rifarsi sempre ai valori morali e religiosi, può richiamarsi al cattolicesimo; in Italia, aderente al nuovo stato costituitosi contro la Chiesa, non sa a che rifarsi per il suo programma. Era il punto più debole di un partito conservatore in Italia: gli mancava la sanzione religiosa; gli anni dopo il 1870 e meglio quelli più vicini hanno tolto molta parte di questo ostacolo e hanno fatto sì che le tendenze conservatrici della società italiana potessero in qualche modo rifarsi a valori religiosi, su un terreno che poteva sembrare, ed era, neutrale, ma non sì che in alcuni momenti non risorgesse decisa l'antitesi.

Bibl.: B. Croce, Elementi di politica, Bari 1924; G. Mosca, Elementi di scienza politica, 2ª ed., Torino 1923; G. De Ruggiero, Storia del liberalismo europeo, Bari 1925; E. Halévy, Histoire du peuple anglais au XIX siècle, Parigi 1920-23; C. Seignobos, Histoire politique de l'Europe contemporaine, Parigi 1896-97; H. Michel, L'idée de l'État. Essai critique sur l'histoire des théories sociales et politiques en France depuis la Révolution, Parigi 1896; E. Fueter, Weltgeschichte der letzten hundert Jahre, 1815-1920, Zurigo 1921; H. Treitschke, Deutsche Geschichte im XIX. Jahrhundert, Lipsia 1879-1897; F. Meinecke, Cosmopolitismo e stato nazionale, trad. di A. Oberdorfer, Venezia 1930; Bolton King, Storia dell'unità italiana, Milano 1909-1910; G. Gentile, I profeti del Risorgimento italiano, 2ª ed., Firenze 1928; B. Croce, Storia della storiografia italiana nel secolo XIX, Bari 1921; A. Anzilotti, Gioberti, Firenze 1922.

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