Partito comunista dell'Unione Sovietica

Dizionario di Storia (2011)

Partito comunista dell'Unione Sovietica (PCUS)


Partito comunista dell’Unione Sovietica

(PCUS, Kommunističeskaya partija sovetsgogo sojuza, KPSS) Partito politico russo, continuatore dell’esperienza del Partito operaio socialdemocratico russo e poi del Partito comunista (bolscevico), costituito nel 1925 e sciolto nel 1991.

Le origini

Le origini del PCUS sono nel Partito operaio socialdemocratico russo (POSDR), costituito a Minsk nel 1889. Al 2° Congresso (1903) il partito si divise in un’ala maggioritaria (bolscevica) guidata da V.I. Lenin, di orientamento rivoluzionario, e un’ala minoritaria (menscevica), di impostazione gradualista. Nel 1912 la frazione bolscevica si staccò dal POSDR fondando il Partito operaio socialdemocratico russo (bolscevico). Quest’ultimo, sempre sotto la guida di Lenin, nel 1917 fu protagonista della Rivoluzione d’ottobre e nel 1918 prese il nome di Partito comunista russo (bolscevico). Nel 1919 fu il principale promotore dell’Internazionale comunista (➔ Comintern). All’indomani della nascita dell’Unione Sovietica (dic. 1922) e della scomparsa di Lenin (1924), al 14° Congresso (1925) il partito – ora guidato da Stalin – assunse il nome di Partito comunista (bolscevico) di tutta l’Unione. Frattanto il suo ruolo andava sempre più intrecciandosi con quello dello Stato. Le lotte successive alla morte di Lenin videro la sconfitta delle opposizioni interne, prima di L. Trockij, che aveva rilanciato la linea della «rivoluzione permanente», contrastato da L. Kamenev e N. Bucharin; e poi di G. Zinov’ev, pure scettico sulla possibilità di costruire il socialismo in URSS e propugnatore di uno sviluppo trainato dalle importazioni di prodotti avanzati. Il 14° Congresso vide invece prevalere l’ipotesi – sostenuta con sfumature diverse da Stalin e Bucharin – del «socialismo in un paese solo», ossia del tentativo di costruire il socialismo pur in un Paese arretrato come la Russia sovietica, puntando sullo sviluppo dell’industria pesante e sull’alleanza tra operai e contadini poveri e medi. Nel 1926 la pubblicazione del «testamento di Lenin» provocò una nuova offensiva dell’opposizione, la quale fu accusata di frazionismo, e nel 1927 Trockij e Zinov’ev furono espulsi. Al 15° Congresso Stalin lanciò la linea della pianificazione economica e della collettivizzazione dell’agricoltura. Nel 1929 fu quindi varato il primo piano quinquennale, e stavolta fu Bucharin a trovarsi in minoranza e a essere estromesso dal Politburo. Il partito intanto (1934) assumeva il nome di Partito comunista (bolscevico) dell’Unione Sovietica. Negli anni seguenti le lotte interne si acuirono ulteriormente, dando origine alla fase delle purghe e dei processi staliniani. Al tempo stesso il Partito sovietico restava la forza centrale nel movimento comunista mondiale e nel Comintern.

Il PCUS nel secondo dopoguerra

Dopo la vittoria sul nazismo e il graduale formarsi di un «campo socialista» il partito accrebbe il suo prestigio. Nel 1952 assunse il nome di Partito comunista dell’Unione Sovietica (PCUS). L’anno seguente, la morte di Stalin aprì il problema della successione; dopo un breve interregno di G. Malenkov, al suo posto subentrò N. Chruščëv, prima come «segretario anziano», e poi (sett. 1953) come primo segretario, mentre Malenkov rimaneva alla guida del governo. Nel 1956, al 20° Congresso, nel suo «rapporto segreto» Chruščëv attaccò la figura di Stalin, criticandone in particolare il «culto della personalità». Iniziava la «destalinizzazione» e in politica estera la linea della coesistenza e competizione pacifica tra sistemi. Nel 1957 Malenkov e altri dirigenti (Bulganin, Molotov e Kaganovič) tentarono di destituire il segretario, ma messi in minoranza furono bollati come «gruppo antipartito» ed estromessi dagli organismi dirigenti. La linea di Chruščëv riceveva intanto le critiche del Partito comunista cinese, che si acuirono fino alla rottura tra i due partiti. Nel 1964 l’insofferenza del gruppo dirigente per le scelte di Chruščëv portarono alla sua destituzione e L. Brežnev fu eletto segretario generale. Più prudente di Chruščëv a livello politico, sul piano economico Brežnev incoraggiò le riforme di A. Kosygin e O. Liberman, volte a introdurre il profitto aziendale e ad accrescere l’autonomia delle imprese. L’URSS, tuttavia, giungeva alla fine degli anni Settanta in affanno rispetto alla rivoluzione informatica e in uno stato di difficoltà economica aggravata dalla corsa agli armamenti con gli USA. Dopo la morte di Brežnev (1982) e le brevi segreterie di J. Andropov (1982-84) e K. Černenko (1984-85), giunse al vertice M.S. Gorbačëv (1985). Questi al 27° Congresso (1986) avviò la politica della perestrojka («ristrutturazione») e della glasnost΄ («trasparenza»), mettendo in sommovimento la società sovietica e l’intero quadro mondiale. Gorbačëv cercò di disimpegnare l’URSS sia dal peso della Guerra fredda e della corsa agli armamenti sia dai costi del suo «impero»; all’interno promosse una riforma economica e politica sempre più radicale, colpendo i due pilastri del sistema sovietico, ossia il piano (la cui centralità veniva diminuita a beneficio di meccanismi di mercato, autonomia delle repubbliche e ruolo dei privati) e lo stesso PCUS, cui nel 1990 veniva tolto il monopolio della rappresentanza politica. Nel luglio 1990 B. Eltsin e altri dirigenti «radicali» lasciarono il PCUS, e all’indomani della tentata destituzione di Gorbačëv da parte dell’ala «conservatrice» (ag. 1991), il segretario stesso propose lo scioglimento del PCUS, la cui attività fu sospesa dal Parlamento il 29 agosto. Nel 1993 spezzoni del vecchio PCUS hanno dato vita alla Unione dei partiti comunisti-Partito comunista della Federazione Russa.

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