PARTENOCARPIA

Enciclopedia Italiana (1935)

PARTENOCARPIA (da παρϑένος "vergine" e καρπός "frutto")

Enrico Carano

Con questo termine s'indica in botanica la capacità che hanno alcune piante di produrre, senza fecondazione, frutti in apparenza normali, ma in realtà privi di semi o con semi sterili.

La produzione di frutti senza semi è nota fino da tempi remoti, specialmente in alcune razze delle più comuni piante coltivate, e di essa hanno scritto anche autori meno recenti, per es. F. Re (1763-1817). Ma lo studio sistematico del fenomeno si può dire che sia stato iniziato soltanto al principio del secolo XX, mediante l'aiuto del microscopio e di un metodo sperimentale rigorosamente scientifico. Il primo lavoro eseguito con criterî moderni è quello sulle zucche, pubblicato nel 1902 da F. Noll, creatore dello stesso termine partenocarpia. Il Noll però pose come condizioni precipue del fenomeno l'esclusione non solo della fecondazione, ma anche della impollinazione; criterio invero molto rigido, che ridurrebbe considerevolmente il numero delle piante partenocarpiche. Oggi invece, seguendo l'opinione di H. Winkler, si attribuisce alla partenocarpia un significato molto più ampio, distinguendola in vegetativa (spontanea, autonoma, endodinama di altri autori) e stimolativa (indotta, esodinama) a seconda che lo stimolo allo sviluppo del frutto vergine procede da cause interne, risiedenti cioè nella costituzione stessa della pianta (ed è questo il caso della partenocarpia intesa nel senso stretto del Noll), oppure da fattori dell'ambiente che possono essere svariati, principalmente l'impollinazione con polline incapace di fecondare. Esempî di partenocarpia vegetativa forniscono numerose razze di banani coltivati, di ananas, di fichi, di uve (sultanina, passolina di Corinto), di zucche, ecc. Molto più numerosi sono gli esempî di partenocarpia stimolativa o indotta.

Nella produzione normale del frutto il polline depositato sullo stimma produce il tubo pollinico che, attraverso lo stilo e la cavità ovarica, giunge all'ovulo e quindi al sacco embrionale contenente il gametofito femminile e vi versa due spermî, uno dei quali feconda l'oosfera, che per ripetute segmentazioni dà origine all'embrione, l'altro si unisce al nucleo secondario, che dividendosi genera l'albume. Dall'embrione e dall'albume, per fenomeni di correlazione parte l'impulso per la trasformazione dell'ovulo in seme e della parete dell'ovario in frutto. Ne consegue dunque, come regola generale, che, mancando la fecondazione, non si forma l'embrione e quindi neanche il seme e il frutto, e il pistillo, rimasto vergine, si disarticola e cade come di norma le altre parti del fiore.

Nelle piante con partenocarpia stimolativa, invece, il polline può produrre e produce infatti in alcuni casi il tubo pollinico, che percorre un tratto più o meno lungo del suo cammino, senza però raggiungere il sacco embrionale, in altri casi non produce affatto il tubo pollinico; comunque, la fecondazione non si compie, ma la parete dell'ovario si accresce e si trasforma in frutto. Questa constatazione, fatta per la prima volta dal Hildebrand (1863) e confermata successivamente da numerosi altri autori, è di grande importanza, perché ha permesso di distinguere nel polline una doppia azione: riproduttiva, che ha efletto generale, e vegetativa, che influenza soltanto la parete dell'ovario. Ora, mentre è specifica l'azione riproduttiva, non lo è quella vegetativa, in quanto può esser sostituita in molti casi dall'azione di un polline estraneo, talora anche di un polline ridotto a poltiglia, oppure di una polvere inerte (spore di licopodio), dalla puntura di un insetto, dalla presenza di una larva o di un micelio di fungo parassita e perfino da un trauma o da una ferita. A quest'ultimo riguardo varî autori sono riusciti a provocare la partenocarpia sperimentale in molte piante da frutta normalmente fertili, per mezzo della decorticazione anulare oppure della ginocchiatura dei rami fruttiferi o anche della potatura in verde, naturalmente previa asportazione degli stami dei fiori e difesa contro l'apporto di polline da altri fiori. In questi casi sembra influire sulla determinazione del fenomeno, oltre alla speciale disposizione delle piante operate, anche la modificazione nella circolazione delle sostanze nutritizie, che affluiscono in maggiore quantità verso gli ovarî dei fiori castrati. Il risultato è la formazione di frutti apparentemente normali, ma privi di semi.

Interessanti, sebbene ancora non numerose, sono le osservazioni fatte sulla costituzione dei fiori e delle loro parti nelle piante partenocarpiche per poter rimontare all'origine della sterilità di tali piante. Vi sono, ad es., piante, come lo Zizyphus sativa (il comune giuggiolo) e lo Z. lotus studiati da A. Chiarugi, in cui il polline e il sacco embrionale hanno a completo sviluppo costituzione perfettamente normale, essendo prodotti in seguito a un normale processo di tetrasporogenesi. Durante la fruttificazione negli esemplari coltivati nei nostri giardini si generano frutti normali per fecondazione e frutti partenocarpici, con una percentuale fra gli uni e gli altri variabile a seconda delle annate. Evidentemente in queste piante, che illustrano l'esempio più semplice di partenocarpia, l'attitudine al fenomeno esiste già in potenza e fa parte del loro patrimonio ereditario; ma si rende manifesta, come giustamente ritiene il Chiarugi, soltanto sotto l'azione di mutate condizioni fisio-ecologiche, essendo queste specie l'una della Cina e l'altra dell'Africa.

In altri casi, ("melo senza fiori" o "melofico", Malus dioica Lois.) si forma un sacco embrionale normale, ma i fiori essendo soltanto pistilliferi, perché mancano assolutamente di stami, non possono essere impollinati; non pertanto la pianta si carica di mele che, sezionate, si mostrano prive di semi. Il Longo, cui si deve l'illustrazione di questo esempio di partenocarpia vegetativa, ha osservato che, operando l'impollinazione artificiale degli stimmi del melofico mediante polline di altre razze di melo, si formano mele con semi abboniti, contenenti cioè un embrione bene sviluppato, ciò che vuol dire che il gametofito femminile in questa pianta non ha perduto attraverso il tempo la capacità di essere fecondato.

Sono note altre piante partenocarpiche, nel cui sacco embrionale apparentemente normale non si forma l'embrione, bensì si produce per via apomittica l'albume. Fra gli esempî meglio noti sono da ricordare alcune razze di fico domestico (Ficus carica) e di ananas (Ananassa sativa). L'albume partenogenetico, così sviluppato, talora riempie completamente la cavità del sacco embrionale, come nel caso normale, talora invece si limita a formare soltanto uno strato parietale. Dal Tischler è stato rilevato in un fico di Heidelberg che l'albume partenogenetico, ad onta dell'assenza dell'embrione, subisce un processo di digestione, una vera e propria autolisi, che procede dal centro verso la periferia del sacco. La formazione apomittica dell'albume è stata ottenuta anche sperimentalmente dal Haberlandt e dall'Eichler mediante traumi e processi di castrazione negli ovarî di diverse specie di Asteracee (Hypochaeris radicata, Hieracium flagellare, Tragopogon pratensis e orientalis).

Mentre in alcune razze di ananas si forma albume partenogenetico, in altre non si forma albume, ma la cavità del sacco embrionale rimane colmata da caratteristiche proliferazioni dei tessuti circostanti della nucella, che talvolta richiamano alla mente con il loro aspetto gl'inizî di embrioni avventizî di origine nucellare, più spesso invece ricordano i tilli che riempiono le vecchie trachee. Vi è poi tutta la schiera delle partenocarpiche, in cui la produzione del polline e del sacco embrionale è preceduta da tali disturbi al momento della sporogenesi che questi corpi o nascono mal conformati, e perciò senz'altro inadatti a un processo sessuale, oppure degenerano addirittura in stadî differenti prima ancora di raggiungere lo stadio adulto. Nei casi estremî degenerano anche gli ovuli e le cavità ovariche rimangono vuote al momento dell'antesi.

Come è stato sopra indicato, la condizione principale perché si possa parlare di frutto vergine è la mancanza di fecondazione e quindi dell'embrione, che dell'atto sessuale è l'immediata conseguenza. Ma esistono numerose piante in cui, pur essendo esclusa la fecondazione, oltre al frutto si forma l'embrione e con esso il seme. Sono queste le piante partenogenetiche nelle quali l'oosfera vergine, sia di tipo aploide (cioè con un numero semplice di cromosomi) sia di tipo diploide (ossia con un numero doppio di cromosomi), si divide direttamente e dà origine all'embrione, sono anche tutte le piante apogame, cioè quelle in cui l'embrione deriva dalla segmentazione di una qualunque delle altre cellule del gametofito femminile all'infuori dell'oosfera; sono infine tutte le piante con embrionia nucellare, nelle quali l'embrione ha origine sporofitica da cellule della nucella. Alcuni autori vorrebbero che tali piante non fossero ascritte alle partenocarpiche, ritenendo che in esse, come nelle piante normalmente sessuate, dall'embrione parta lo stimolo per lo sviluppo dei semi e quindi del frutto. Altri invece, più giustamente, ammettono per esse una partenocarpia embriogena, che considerano come un caso particolare della partenocarpia vegetativa e autonoma.

A complemento degli esempî di piante partenocarpiche si può ricordare l'interessante fenomeno della produzione da parte di fiori staminiferi di uno pseudofrutto, chiamato dal Baccarini androcarpo, nome che a tutta prima suona come un controsenso, ma che corrisponde alla realtà dei fatti. Nel nespolo apireno, primo esempio di androcarpia (illustrato dal Longo), il fiore è staminifero per assenza completa d'ogni traccia di carpelli ed è fornito, oltre che della corona degli stami ordinarî alla periferia della coppa ricettacolare, di cinque stami con antere più voluminose e filamenti più corti, impiantati nel centro al posto occupato dagli stili nei fiori monoclini della forma tipica di nespolo. Da un fiore così fatto matura una nespola dall'aspetto simile a quello di una nespola normale, ma più piccola. Altri casi simili sono stati indicati in due specie di zucche (Cucurbita pepo, C. moschata) da R. Savelli e nel cetriolo (Cucumis sativus) dallo Sprenger; sempre dunque in piante con grosso ricettacolo o asse fiorale, che nei fiori pistilliferi è più sviluppato, perché racchiude l'ovario, nei fiori staminiferi è meno sviluppato e porta alla superficie gli stami. Questo fenomeno, interpretato in modo semplicista, verrebbe attribuito senz'altro ai tanti casi di cui è ricca la teratologia vegetale; interpretato invece alla luce dei moderni concetti della genetica entra a far parte degl'importanti esempî d'intersessualità, meno studiati finora nel campo botanico che in quello zoologico. Si tratterebbe, secondo il Savelli e lo Sprenger, di fiori maschili femminilizzati in una parte dei caratteri sessuali secondarî, per apporto di ormoni di segno contrario nel bocciolo fiorale, al momento della differenziazione del sesso. A conferma di queste vedute il Savelli ha trovato, nelle zucche da lui studiate, anche dei fiori pistilliferi che avevano assunto caratteri sessuali secondarî maschili e si mostravano in buona parte sterili.

La partenocarpia è propria delle Angiosperme, perché soltanto in esse esiste un frutto nel senso morfologico della parola; nelle Gimnosperme, mancando l'ovario, non vi può essere il frutto; tuttavia da un punto di vista fisiologico si può interpretare come tale, in queste piante, lo strobilo carpellifero. Orbene sarebbe stata osservata in certi ginepri la formazione di coccole in assenza di fecondazione. Qualche esempio mal sicuro è stato anche citato nelle Pinacee. In varie specie di Cycas, in Ginkgo e in Taxus, tutte piante dioiche, è stato osservato un fenomeno che può rientrare nello stesso campo della partenocarpia, la partenospermia, cioè la trasformazione dell'ovulo, senza previa impollinazione e fecondazione, in un seme apparentemente normale per l'aspetto dello spermoderma, ma sterile, privo dell'embrione.

La disposizione alla partenocarpia, come è stato precedentemente accennato, è una facoltà congenita, alla stessa guisa della disposizione alla partenogenesi e all'apogamia; in assenza di essa il fenomeno partenocarpico non può compiersi. Ciò premesso, bisogna tener distinto da questa disposizione ereditaria tutto il complesso di cause e di fattori che ne favoriscono la manifestazione e che possono risiedere sia nell'ambiente esterno, sia nella pianta stessa. Così, come cause esterne possono agire nelle piante coltivate, di origine esotica, le mutate condizioni fisio-ecologiche, nelle piante dioiche l'assenza d'individui staminiferi; come cause interne possono agire nelle piante di origine ibrida la sterilità di uno o di tutt'e due i sessi, nelle piante partenocarpiche in genere la produzione di ormoni (necrormoni) per disfacimento e riassorbimento di tessuti gametofitici e sporofitici nell'interno dell'ovario durante il suo sviluppo e la trasformazione in frutto. Dei numerosi fattori esterni è stato fatto un cenno a proposito della partenocarpia stimolativa. Quanto ai fattori interni è meno facile poterli individuare; senza dubbio grande influenza devono esercitare, per processi di correlazione, i tessuti di nuova formazione (endosperma di origine apomittica, proliferazione della nucella e dei tegumenti), ma soprattutto i fattori ormonici, cui oggi si attribuisce giustamente grande importanza.

Bibl.: A. Chiarugi, Partenocarpia in Zizyphus sativa, in Nuovo giorn. botanico ital., n. s., XXXVII (1930); E. Chiovenda, Di un interessante caso teratologico nella sessualità di una palma da datteri, ibid., XXV (1918); B. Longo, Su la nespola senza noccioli, in Bull. Soc. bot. ital., 1911: id., Ricerche sopra una varietà di Crataegus azarolus L., ad ovuli in gran parte sterili, in Nuovo giornale bot. ital., n. s., XXI (1914); id., Su la partenocarpia, in Rivista di biol., II (1920); G. Negri, I frutti apireni, in Ann. R. Acc. agric. Torino, LV (1912); R. Savelli, Androcarpi endodin mi in ibridi di Cucurbita, in Nuovo giorn. bot. it., n. s., XXXIII (1926); id., Nuovi reperti di intersessualità nelle Cucurbitacee, ibid., XXXVII (1930); F. Noll, Über Fruchtbildung ohne vorausgegangene Bestäubung (Parthenokarpie) bei der Gurke, Bonn 1902; G. Tischler, Ueber die Entwicklung der Samenanlagen in parthenocarpen Angiospermen-Früchten, in Jahrb. f. wiss. Bot., LII (1913); H. Winkler, Über Parthenogenesis und Apogamie im Pflanzenreiche, in Progressus Rei Bot., II, 1908.