Parentesi

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Parola o frase che s’interpone nel discorso, interrompendone il senso e talora anche il costrutto, per aggiungere un chiarimento o una precisazione, per fare un’osservazione, un rinvio (anche alle note a piè di pagina), per una momentanea digressione ecc.

Ciascuno dei due segni grafici entro cui viene incluso l’inciso nella scrittura, o una serie di operazioni nelle espressioni matematiche.

Linguistica

Oltre alle p. tonde ( ) che includono l’inciso esistono altre specie di p., che han­no funzioni proprie: le p. quadre [ ], usate per es. nelle citazioni per includere parole (o parti di parola) che non appartengono al testo, nelle edizioni critiche per includere parole che si leggono in uno o più codici e che l’editore ritiene interpolate, in linguistica per racchiudere la trascrizione fonetica di singole parole; le p. ad angolo o uncinate ‹ ›, usate soprattutto nelle edizioni critiche per racchiudere integrazioni congetturali a un testo mutilo o che si ritiene tale (nelle edizioni di papiri o di epigrafi e in diplomatica, con questa stessa funzione sono invece adoperate le p. quadre, mentre in p. uncinate s’includono le parole ritenute interpolate).

La parentesizzazione è la rappresentazione della struttura di una frase per mezzo di una serie di p. incassate le une nelle altre, talvolta contrassegnate da etichette indicanti la categoria sintattica a cui appartiene ciascun costituente della frase (parentesizzazione etichettata).

Fisica

In meccanica statistica, le p. uncinate sono usate generalmente per indicare il valor medio su un insieme di particelle della grandezza tra esse contenuta e in meccanica quantistica le stesse, chiuse da un’asta verticale e dette bra e ket, rispettivamente (‹bra| e |ket›), per la parte di apertura e di chiusura, indicano stati fisici di un sistema.

Matematica

In una espressione algebrica le p. si usano sistematicamente per racchiudere un termine polinomio di una somma, un fattore polinomio di un prodotto, la base polinomia di una potenza e talvolta anche un monomio. Quando qualche termine di un polinomio si presenti a sua volta come prodotto di due polinomi, o se ne voglia mettere in evidenza il segno, ci si serve di p. di vari tipi (tonde, quadre, graffe, di solito in questo ordine); per es.,

ab{a−[axc(a+b)]+(3a−2b)[axb(c+d)]}.

Le p. si eliminano effettuando le operazioni indicate e procedendo dall’interno progressivamente verso l’esterno.

Oltre agli usi sopra indicati, le p. possono averne altri. P. tonde Per indicare una funzione f di una o più variabili indipendenti si scrive f(x) e f(x1, x2, …, xn) rispettivamente; (A, B) può rappresentare il massimo comune divisore dei numeri naturali A e B, le coordinate cartesiane di un punto, un intervallo aperto, un prodotto scalare ecc.; (A, B, C, D) indica il birapporto. P. quadre Possono indicare un funzionale, una trasformata integrale; E[x], e talvolta [x], indica la parte intera del numero reale x, o anche una media; [A, B] può rappresentare il minimo comune multiplo dei numeri naturali A e B, un intervallo chiuso, un prodotto vettoriale. Nell’analisi dimensionale, è la grandezza della quale si vogliono indicare le dimensioni fisiche, per es., per la velocità si scrive [v]=[lt−1] oppure [v]=lt–1. P. graffe {a, b, …} possono indicare un insieme di elementi generici, di radici fondamentali, di generatori, di vettori di base, o anche una successione; {x|C(x)} indica l’insieme degli elementi x che soddisfano una data condizione C(x). P. angolari o uncinate ‹ › Possono avere il significato di media di insieme nella grandezza racchiusa o di applicazione di una forma su un vettore.

In qualche caso le p., che prendono allora un’opportuna qualificazione (per es., p. di commutazione, p. di Jacobi ecc.), sono veri e propri simboli di operatori.

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