Parentela

Enciclopedia delle scienze sociali (1996)

Parentela

Adam J. Kuper

di Adam J. Kuper

Introduzione

"La parentologia è la disciplina centrale dell'antropologia", affermava una trentina d'anni fa l'antropologo R. Fox (v., 1967, p. 10); "essa rappresenta per l'antropologia ciò che il nudo è per l'arte". All'epoca questa osservazione rispondeva senz'altro al vero, ma nel frattempo si è avuto un declino dell'interesse per gli studi sulla parentela. Uno dei motivi di ciò va ricercato nel fatto che non si è realizzata la promessa di arrivare a una teoria generale e unificata della parentela. Cosa ancor più importante, la definizione stessa di questo campo di studi è oggetto di controversie: secondo alcuni antropologi il progetto di una scienza comparata della parentela si fonda sull'illusione che le idee relative ai 'rapporti di consanguineità' proprie della cultura occidentale siano condivise da tutte le altre culture.

Sia o meno quella di 'parentela' una nozione puramente occidentale, la parentologia è stata senza dubbio influenzata dai mutamenti intercorsi nella concezione occidentale del matrimonio, dell'etica sessuale, dell'infanzia e della posizione della donna. Regna oggi la diffusa sensazione che la famiglia e i rapporti di parentela siano in declino; le studiose femministe hanno messo in discussione le istituzioni familiari, considerate la causa della repressione delle donne. Questi orientamenti critici affermatisi nel mondo occidentale hanno anche determinato un declino dell'interesse per lo studio della parentela.

Grosso modo, e in via preliminare, la storia degli studi sulla parentela può essere divisa in tre fasi. In una prima fase (dal 1860 al 1920 circa) i pionieri dell'antropologia cercarono di ricostruire l'evoluzione della parentela e della famiglia, prestando particolare attenzione al modo in cui il matrimonio e la famiglia si sono sviluppati dalla presunta promiscuità sessuale delle prime comunità umane. Verso la fine del secolo alcuni eminenti studiosi misero in discussione la validità di queste ricostruzioni speculative. Alcuni antropologi cominciarono a svolgere proprie ricerche sul campo e si sviluppò un nuovo interesse per l'organizzazione attuale delle società, che diede luogo ad analisi maggiormente orientate in senso sociologico. La classificazione delle società in 'tipi' non era più motivata dall'intento di ordinare la storia umana in una serie di 'fasi'. Dal 1920 al 1970 circa il progetto centrale dell'antropologia divenne la definizione di una tipologia del sistema di parentela (in particolare in base alla discendenza, alle regole matrimoniali e alle terminologie di parentela). Successivamente tale progetto positivistico fu a sua volta messo in discussione. Negli ultimi vent'anni è prevalso un orientamento improntato al relativismo culturale che ha messo in crisi l'idea secondo cui la 'parentela' costituisce il fondamento universale di un sottosistema sociale.

Cionondimeno gli studi sulla parentela non sono stati abbandonati. La parentologia resta probabilmente la branca dell'antropologia sociale e culturale più sofisticata sul piano teorico, caratterizzata da un proprio linguaggio specialistico e da modelli tecnici. Dagli studi etnografici su particolari sistemi di parentela sono scaturite intuizioni teoriche originali e spesso preziose. Le comparazioni interculturali si sono dimostrate feconde, e sebbene gli etnografi nelle loro ricerche sul campo stiano ben attenti a non attribuire ai loro informatori idee e concetti ad essi estranei, di solito scoprono che per questi ultimi il matrimonio, le genealogie, la complessità della vita familiare e i principî della parentela rivestono una grande importanza.La ricerca degli antropologi sulla parentela, inoltre, ha continuato ad influenzare altre discipline quali la psicologia e la psicanalisi, la storia, la demografia, la sociologia, la sociobiologia, l'economia e la linguistica.

L'evoluzionismo: le storie speculative della parentela, del matrimonio e della famiglia

Secondo una lunga tradizione di pensiero, che risale perlomeno ad Aristotele, la famiglia costituisce l'unità sociale fondamentale dalla quale si sono via via sviluppati sistemi parentali più complessi e in ultimo lo Stato stesso. Alcuni filosofi illuministi istituirono anch'essi un collegamento tra la famiglia e lo Stato, e spesso sostennero che quest'ultimo si fonda sulla famiglia patriarcale, e forse ha avuto origine da essa.

L'affermarsi della teoria evoluzionistica fornì un nuovo contesto per le ricostruzioni speculative sul ruolo della famiglia nella storia umana. I primi antropologi partivano dall'assunto che le comunità umane primitive fossero costituite da individui tra loro imparentati; i legami di parentela avrebbero costituito il vincolo sociale elementare. Solo in tempi relativamente recenti i legami di fedeltà di tipo territoriale, le comunità locali e le associazioni politiche avrebbero preso il posto della parentela come basi dell'organizzazione sociale.

I primi studiosi moderni della parentela - H.J.S. Maine (v., 1861), J.J. Bachofen (v., 1861) e N.-D. Fustel de Coulanges (v., 1864) - fecero ampiamente ricorso a fonti dell'antichità classica. Maine descrisse la società primitiva basata sulla parentela in termini derivati dal diritto romano. In tale società l'istituzione centrale era la famiglia estesa, dominata da un patriarca. Essa formava un gruppo corporato che reclutava i propri membri per 'agnazione', ossia attraverso la discendenza in linea maschile. Questo, secondo Maine, costituiva il modello familiare comune a tutte le società indoeuropee. Bachofen si rifece alla mitologia classica e distinse una fase iniziale di 'matriarcato' che avrebbe preceduto le forme di organizzazione della famiglia documentate in epoca storica. Fustel de Coulanges era più interessato alla religione, e cercò di determinare il fondamento etico delle relazioni familiari sostenendo che le trasformazioni intercorse nella struttura familiare erano la conseguenza delle riforme religiose nell'antichità classica.

Altri antropologi, muovendosi nella tradizione della storia universale che caratterizzava l'illuminismo scozzese e basandosi sulle recenti testimonianze provenienti dalle colonie tropicali europee, cominciarono a scrivere storie speculative universali del matrimonio e della famiglia. Alcuni furono influenzati in modo più o meno diretto da Darwin. Particolarmente autorevole fu la teoria elaborata da J.F. McLennan (v., 1865), il quale negava che la famiglia costituisse l'unità originaria della sfera domestica. McLennan postulò uno stadio primitivo della storia umana caratterizzato da una competizione violenta tra piccole bande; ciascuna di esse costituiva essenzialmente una fazione in armi, che per non soccombere doveva potenziare le proprie forze da combattimento e ridurre nel contempo il numero delle persone a carico. Di conseguenza era assai diffuso l'infanticidio femminile. Le mogli venivano rapite dalle bande rivali. McLennan richiamò l'attenzione sul fatto che in molte società i riti matrimoniali comportano un 'ratto' ritualizzato della sposa, che viene trascinata apparentemente contro la sua volontà dallo sposo; egli avanzò l'ipotesi che si trattasse di una sopravvivenza di una fase arcaica in cui le donne venivano rapite dal gruppo nemico. Le mogli erano condivise dai guerrieri più valorosi della banda, e quindi la nozione di paternità era sconosciuta. L'unico vincolo di parentela riconosciuto era quello in linea femminile, e di conseguenza nelle società arcaiche la parentela era esclusivamente matrilineare. La famiglia comparve solo in una fase storica assai più tarda, allorché si sviluppò la proprietà privata.

L'antropologo statunitense L.H. Morgan si servì dei metodi della filologia, che si erano dimostrati estremamente validi nel chiarire le intricate connessioni tra le varie lingue indoeuropee, per ricostruire l'evoluzione della famiglia e della parentela. Egli registrò i termini usati per designare i parenti in centinaia di lingue di ogni parte del mondo, e dimostrò che tali terminologie sono riconducibili a due categorie principali. Nella prima, che Morgan definisce categoria descrittiva, rientra la maggior parte delle lingue europee; in essa la classificazione dei parenti si basa su quella che Morgan riteneva una divisione naturale tra parenti lineari (genitori e figli, nonni e nipoti) e parenti collaterali (zii e cugini). Tuttavia esistono anche molte terminologie in cui i parenti lineari e quelli collaterali vengono inclusi in una stessa classe, sicché ad esempio lo stesso termine può essere usato per designare sia i fratelli che i cugini, e gli zii possono essere assimilati ai genitori. Morgan definì classificatori i sistemi di questo tipo.

Secondo Morgan il linguaggio della parentela rispecchiava regole matrimoniali effettivamente esistenti, o esistite in passato. I sistemi 'descrittivi' sono propri delle società basate sulla famiglia nucleare; i membri della famiglia sono di conseguenza distinti dai congiunti più lontani. Le terminologie classificatorie riflettono invece un sistema sociale che pratica il 'matrimonio di gruppo', in cui un gruppo di fratelli è sposato collettivamente a un gruppo di sorelle. In questi sistemi i figli vengono allevati da figure parentali collettive, e non si fanno distinzioni tra genitori e zii, né tra fratelli e cugini.

Analogamente a McLennan, Morgan concluse che nelle società arcaiche vigeva la promiscuità sessuale; che la maternità, e quindi il calcolo della discendenza attraverso la linea femminile, era il principio in base al quale si strutturavano originariamente i sistemi di parentela, e infine che la famiglia - legata al riconoscimento della paternità - si era sviluppata in una fase tarda della storia umana, assieme alla proprietà privata e allo Stato (v. Morgan, 1871 e 1877).

Questa teoria fu abbracciata da Engels, e divenne parte integrante dell'ortodossia marxista. Essa trovò inoltre l'appoggio di alcuni insigni etnologi di fine Ottocento. Tra questi L. Fison e A.W. Howitt riportarono dall'Australia una serie di testimonianze che sembravano confermare le tesi di Morgan (v. Fison e Howitt, 1880). In particolare, risultava che le popolazioni aborigene ignorassero la natura della paternità, in quanto non istituivano alcuna connessione tra il rapporto sessuale e la procreazione. Esse inoltre erano organizzate, almeno in parte, in gruppi matrilineari.

In una pionieristica applicazione della statistica sociale all'analisi interculturale, un illustre antropologo britannico, E.B. Tylor, cercò di verificare queste ricostruzioni della parentela primitiva. Egli arrivò alla conclusione che nelle prime comunità umane i sistemi di parentela erano probabilmente matrilineari, ma avanzò anche una nuova ipotesi per spiegare l'origine del matrimonio. Questo non si era sviluppato dal rapimento delle donne, come sosteneva McLennan, ma costituiva piuttosto l'unico mezzo di cui disponevano le società primitive per stringere alleanze. Coloro che creavano reti esterne di parentela attraverso il matrimonio erano favoriti nella lotta per la sopravvivenza: "tra le tribù primitive l'unico mezzo conosciuto per conservare alleanze permanenti è il matrimonio al di fuori del proprio gruppo [...] Sempre, nella storia del mondo, le tribù selvagge devono aver avuto ben presente questa semplice alternativa pratica: sposarsi al di fuori del proprio gruppo, o essere uccisi" (v. Tylor, 1889, p. 267). Poiché l''esogamia' (termine usato da McLennan per designare la pratica dei matrimoni all'esterno del gruppo) risultava conveniente sul piano politico, essa venne istituzionalizzata nella regola che prescrive il matrimonio al di fuori della banda o del 'clan'.

Secondo Tylor non era il matrimonio di gruppo bensì l'esogamia che spiegava l'esistenza delle terminologie di parentela 'classificatorie'. Là dove il matrimonio era vietato non solo tra fratelli ma anche tra cugini, cugini e fratelli venivano inclusi in una stessa classe. Un altro importante contributo di Tylor fu la distinzione tra due categorie di 'cugini'. Egli coniò il termine 'cugini incrociati' per designare i figli del fratello della madre e quelli della sorella del padre di Ego, e osservò che alcune società consentivano il matrimonio dei cugini incrociati, mentre proibivano quello tra i figli del fratello del padre o della sorella della madre di Ego ('cugini paralleli' secondo la terminologia di Tylor). Ciò perché nei gruppi di parentela sia matrilineari che patrilineari i cugini incrociati venivano considerati appartenenti a gruppi diversi e quindi potevano sposarsi tra di loro senza infrangere la regola dell'esogamia. Nei casi in cui veniva privilegiato il matrimonio tra cugini incrociati, questi erano distinti con un termine speciale. I 'cugini paralleli' (figli del fratello del padre e della sorella della madre di Ego), però, venivano sempre assimilati ai fratelli, in quanto tra di essi non era consentito il matrimonio.

Le critiche all'evoluzionismo e la teoria dell'universalità della famiglia

Per quanto affascinato dalle speculazioni degli antropologi, Darwin era piuttosto scettico nei confronti delle loro ipotesi di fondo, secondo cui le prime società umane sarebbero state caratterizzate dalla promiscuità sessuale e la paternità sarebbe stata riconosciuta in una fase tarda dell'evoluzione umana. Egli osservò che in genere tra i mammiferi i maschi proteggono gelosamente le proprie compagne. Tra i gorilla e gli scimpanzé, il maschio che assume il ruolo di capo ha il monopolio delle femmine; pertanto, concluse Darwin, "risalendo alquanto indietro nel tempo e a giudicare dalle abitudini sociali dell'uomo attuale, l'ipotesi più probabile è che in epoca primordiale egli vivesse in piccole comunità, in cui ognuno aveva la propria moglie, o più di una se era potente, e la difendeva gelosamente dagli altri uomini" (v. Darwin, 1871, p. 901).

La critica di Darwin fu ulteriormente sviluppata da uno studioso finlandese, E. Westermarck, che esaminò la letteratura etnografica in modo più critico di quanto non avessero fatto i suoi predecessori; egli poteva disporre inoltre di informazioni più complete. La conclusione cui pervenne fu che le ipotesi relative alla promiscuità primitiva, al matrimonio di gruppo e al matriarcato erano inattendibili. La famiglia è un'istituzione universale. Ovunque, "è la madre che si prende cura direttamente della prole, mentre il padre ha il ruolo di guardiano e protettore della famiglia [...] i più elementari doveri paterni sono [...] universalmente riconosciuti" (v. Westermarck, 1891, vol. I, pp. 14-15). Ciò vale anche per le grandi scimmie. "Il matrimonio umano", concludeva Westermarck, "sembra essere dunque l'eredità di un qualche progenitore simile alla scimmia" (ibid., vol. II, p. 364).

Alle tesi di Westermarck alcuni obiettarono che gli Aborigeni australiani (considerati quasi universalmente gli equivalenti delle popolazioni del Paleolitico) non conoscevano l'istituzione della famiglia. Il problema fu affrontato da un collaboratore di Westermarck, lo studioso polacco B. Malinowski. Egli esaminò tutto il materiale disponibile e concluse che se anche gli Aborigeni potevano negare i meccanismi fisiologici della paternità, riconoscevano nondimeno il ruolo sociale del padre (il marito della madre), e anche nelle loro società la famiglia nucleare costituiva una istituzione ben definita e significativa (v. Malinowski, 1913).

Una critica parallela alle speculazioni degli evoluzionisti fu sviluppata da un gruppo di antropologi statunitensi della scuola di F. Boas. Essi condussero una serie di ricerche sul campo tra le società di cacciatori-raccoglitori del Nordamerica, che usavano strumenti rudimentali e vivevano in condizioni analoghe a quelle delle società umane primitive. In tali società, contrariamente a quanto postulato dagli evoluzionisti, la famiglia nucleare rappresentava una istituzione sociale fondamentale. Gli antropologi statunitensi dimostrarono inoltre che le società 'matrilineari' erano generalmente più complesse sul piano politico ed economico di quelle 'patrilineari', e conclusero che la matrilinearità non era affatto un indice di 'primitività'. Per di più, in alcune società apparentemente 'primitive' (compresi, forse, gli Aborigeni australiani) esistevano gruppi di discendenza sia matrilineari che patrilineari. Niente confermava l'ipotesi che le comunità umane primitive fossero matrilineari. In ogni caso, in tutte le società venivano riconosciuti i parenti sia matrilaterali che patrilaterali.

Come scrisse un allievo di Boas, R.H. Lowie, sintetizzando il nuovo orientamento teorico affermatosi negli anni venti, per quanto le relazioni all'interno della famiglia possano essere influenzate in vario modo dalla più ampia sfera politica ed economica, "la famiglia bilaterale resta nondimeno una unità assolutamente universale della società umana" (v. Lowie, 1920, p. 75). La paternità è sempre riconosciuta per scopi sociali, anche quando non esiste alcuna nozione della paternità biologica, e in tutte le società vengono riconosciuti i parenti sia di parte materna che di parte paterna.

Solo per quanto concerne i sistemi matrimoniali le vecchie teorie continuavano a essere ritenute valide. Era ancora ampiamente accettata la tesi secondo cui le terminologie di parentela rispecchiano regole matrimoniali, sia quelle che vietano sia quelle che prescrivono o favoriscono il matrimonio con determinate categorie di parenti. W.H.R. Rivers (v., 1914) cercò di ricostruire le regole matrimoniali delle società melanesiane basandosi sulle loro terminologie di parentela. Egli introdusse il metodo genealogico, basandosi sulle discendenze per documentare l'uso dei termini parentali, l'incidenza del matrimonio e altri aspetti dei comportamenti relativi alla parentela. Lo stesso metodo fu applicato nell'area australiana dal suo allievo A.R. Radcliffe-Brown (v., 1931), il quale arrivò alla conclusione che le terminologie di parentela delle società australiane riflettevano una preferenza generale per il matrimonio tra cugini incrociati.

Boas e Rivers inoltre erano più favorevoli alle tesi 'diffusionistiche' che non a quelle 'evoluzionistiche': anziché sostenere, come avevano fatto i loro predecessori, che i vari sistemi di parentela da essi descritti rappresentavano fasi universali in un qualche percorso evoluzionistico, cercarono di definire i sistemi parentali e matrimoniali specifici di una determinata area culturale.

Le terminologie di parentela

Il tentativo di arrivare ad una classificazione universale dei sistemi di parentela tuttavia non venne abbandonato. Come abbiamo visto, Morgan aveva distinto due categorie di terminologie di parentela, quella 'descrittiva' e quella 'classificatoria'. La ricerca successiva individuò un insieme più complesso di tipi, definiti in base alla classificazione dei cugini e degli zii. Il criterio di fondo era ancora una volta mutuato da Morgan: l'elemento chiave delle classificazioni restava il modo in cui i parenti lineari vengono distinti da quelli collaterali. Grazie in particolare al lavoro di R.H. Lowie, venne definita una tipologia, entrata nell'uso antropologico corrente, in cui i diversi tipi prendevano il nome di particolari gruppi etnici nordamericani; si assumeva comunque che pressoché tutte le terminologie di parentela del mondo rientrassero in questa tipologia. I tipi o sistemi principali erano: a) l'eschimese - assimilabile alla categoria 'descrittiva' postulata da Morgan - in cui i membri della famiglia nucleare di Ego sono distinti dai parenti collaterali (in questo tipo rientra la maggior parte delle terminologie di parentela europee); b) il sistema hawaiano, in cui i parenti sono distinti solo per sesso e generazione, sicché ad esempio lo stesso termine viene usato per indicare fratelli e cugini; c) i sistemi in cui i cugini incrociati vengono distinti da quelli paralleli, e questi ultimi vengono assimilati ai fratelli. Nel tipo irochese viene usato un termine specifico per designare i cugini incrociati. Nei sistemi crow e omaha, i cugini incrociati sono assegnati a generazioni differenti: i figli della sorella del padre sono classificati come parenti della prima generazione ascendente di Ego, mentre i figli del fratello della madre sono classificati come parenti della prima generazione discendente di Ego.

Morgan sosteneva che le classificazioni della parentela rispecchiavano antichi sistemi di regole matrimoniali. Nonostante le obiezioni di McLennan, secondo il quale questi termini erano semplici modi di rivolgersi, e quelle successive di A. Kroeber, secondo cui le terminologie di parentela non riflettono specifiche organizzazioni sociali, una serie di studiosi continuò negli anni seguenti il programma di Morgan, sviluppando tre principali ipotesi sociologiche: i termini di parentela sarebbero ordinati in base a criteri sociali universali (sesso, generazione, anzianità); tali termini rifletterebbero regole specifiche di esogamia e di matrimonio preferenziale, e rispecchierebbero altresì la struttura dei gruppi di discendenza. Tali ipotesi non sono di necessità mutuamente esclusive.

Basandosi su una serie di comparazioni interculturali condotte su basi statistiche, alcuni ricercatori cercarono di collegare questi tipi di terminologia di parentela a determinati sistemi di discendenza o di regole matrimoniali. La comparazione più sistematica venne condotta da G.P. Murdock (v., 1949). Da tali ricerche risultò che esiste una correlazione tra i sistemi irochesi (che hanno un termine specifico per designare i cugini incrociati) e il matrimonio preferenziale dei cugini incrociati, nonché tra i sistemi crow e omaha e il divieto del matrimonio tra cugini sia paralleli che incrociati. Si rilevò inoltre una correlazione tra questi sistemi e le regole di discendenza: i sistemi crow sono spesso associati a una regola di discendenza matrilineare, mentre quelli omaha si ritrovano nelle società basate sulla discendenza patrilineare. Per alcune terminologie, tuttavia, la correlazione con fattori sociologici risultava piuttosto vaga.

Le classificazioni furono discusse e a volte perfezionate, e nuovi tipi vennero proposti. A L. Dumont (v., 1975) si deve l'individuazione del tipo di terminologia detto 'dravidico', in cui tutti i parenti vengono classificati in due categorie, quella dei 'consanguinei' e quella degli 'affini', e in cui è prescritto il matrimonio con gli affini. In seguito gli sviluppi della linguistica spinsero gli antropologi ad elaborare un approccio semantico più sofisticato alle terminologie di parentela, in grado di individuare nella classificazione dei parenti le caratteristiche specifiche di una determinata cultura (v. Goodenough, 1970). Basandosi sui metodi della linguistica chomskiana F.G. Lounsbury (v., 1964) elaborò una analisi generativa dei sistemi irochesi.

Il funzionalismo e lo struttural-funzionalismo

Negli anni venti e negli anni trenta si andò affermando nell'antropologia sociale una nuova teoria, nota come 'funzionalismo'. Opponendosi agli evoluzionisti, i funzionalisti rifiutavano le ricostruzioni speculative, sostenendo che determinate istituzioni continuano ad esistere in quanto rispondono alle esigenze individuali e contribuiscono all'integrazione della comunità. In contrasto con la scuola geografico-regionale, essi sostenevano che le società costituiscono sistemi integrati, in cui ogni istituzione ha un suo ruolo nella preservazione dell'intero organismo sociale. In particolare, la famiglia assolve svariate funzioni: disciplinare gli istinti sessuali, provvedere alla socializzazione dei bambini, organizzare la divisione del lavoro tra i sessi. Altre istituzioni parentali - ad esempio i gruppi di discendenza o le regole matrimoniali - hanno anch'esse uno scopo sociale, in quanto disciplinano la trasmissione della proprietà e l'organizzazione politica della società. Tali istituzioni vanno considerate nel loro contesto, perché l'ambiente politico ed economico in cui sono inserite definisce i loro scopi, e devono essere studiate 'in atto', poiché i sistemi di regole e i modelli ideali degli attori differiscono dai loro comportamenti effettivi, che sono più importanti delle ideologie.

Il principale esponente dell'indirizzo funzionalista fu B. Malinowski, uno studioso polacco che compì gran parte dei suoi studi presso la London School of Economics, dove divenne una figura di primo piano dell'antropologia tra il 1924 e il 1939. Egli sviluppò le sue tesi funzionalistiche facendo soprattutto riferimento alle ricerche sul campo da lui condotte nelle isole Trobriand, in Melanesia. Partendo dall'assunto dell'universalità della famiglia, Malinowski sostenne che sebbene in molte società la famiglia e il gruppo di discendenza coesistano, si tratta di istituzioni che assolvono funzioni diverse, e possono entrare in attrito.

La società trobriandese era matrilineare; gli uomini erano affiliati al gruppo di discendenza matrilineare, ereditavano dal fratello della madre, contribuivano al sostentamento del gruppo domestico della sorella ed erano responsabili dei figli di questa. Analogamente agli Aborigeni australiani, i Trobriandesi ritenevano che gli uomini non avessero alcun ruolo nel concepimento, ma che i figli fossero inviati alle donne da spiriti matrilineari. Nondimeno, sia tra gli Aborigeni (come aveva dimostrato lo stesso Malinowski) sia tra i Trobriandesi, la famiglia nucleare costituita dal padre, dalla madre e dai figli era un gruppo sociale rilevante e formava un gruppo domestico finché i figli non raggiungevano l'età adulta. Malinowski osservò inoltre che gli uomini erano in genere affettuosi con le mogli e con i propri figli, e spesso non gradivano l'intrusione e le pressioni del gruppo matrilineare, preferendo favorire i propri figli anziché quelli delle sorelle. Ogni uomo però doveva contribuire concretamente al mantenimento del gruppo domestico della sorella, e raggiunta l'adolescenza i figli di questa andavano a vivere con il fratello della madre.

Malinowski concluse che la famiglia è un'istituzione domestica basata su rapporti affettivi, la cui funzione principale è quella di allevare i figli. Il gruppo corporato matrilineare costituisce invece un'istituzione pubblica, politica, che si occupa delle questioni concernenti la comunità e della regolamentazione dei diritti di proprietà. Tuttavia Malinowski sostenne che la famiglia in un certo senso precede il gruppo di discendenza matrilineare, e che il gruppo di discendenza basato sulla solidarietà si è sviluppato a partire dalla famiglia (v. Malinowski, 1929).

A.R. Radcliffe-Brown, contemporaneo di Malinowski, affermò anch'egli che il sistema di parentela più ampio aveva il suo fondamento nella famiglia. I sentimenti inculcati nella sfera familiare verrebbero estesi ai fratelli e alle sorelle dei genitori, ai loro figli e ad altri parenti. I principî basilari e universali di classificazione della parentela sarebbero derivati dai principî elementari che regolano i rapporti familiari: la solidarietà tra fratelli, l'opposizione tra generazioni successive, la distinzione tra parenti dello stesso sesso e parenti di sesso diverso. In un importante saggio, Patrilineal and matrilineal succession, Radcliffe-Brown (v., 1935) affermò che mentre la famiglia è universalmente bilaterale - ossia vengono riconosciuti i parenti sia matrilaterali che patrilaterali - la maggior parte delle società privilegia i sistemi di discendenza unilineare (o solo patrilineare o solo matrilineare) per motivi politici ed economici. La funzione essenziale della discendenza sarebbe quella di regolare la trasmissione della proprietà e i diritti sulle persone da generazione a generazione. Il modo più efficace per assolvere tale funzione è quello di riconoscere solo una linea di discendenza: o quella maschile (patrilineare) o quella femminile (matrilineare). Di conseguenza la maggior parte dei popoli cosiddetti primitivi privilegia il sistema di discendenza unilineare allo scopo di regolare l'eredità e la successione.

La teoria della discendenza: 1940-1970

Gli allievi di Malinowski e di Radcliffe-Brown diedero per scontata l'importanza centrale della famiglia e preferirono concentrare l'attenzione sulle funzioni dei gruppi di discendenza, nella convinzione che i gruppi corporati di discendenza, reclutati in base alla discendenza unilineare, costituissero le istituzioni pubbliche fondamentali nella maggior parte delle società 'primitive'. Persino le bande degli Aborigeni australiani, si sosteneva, costituivano gruppi corporati di discendenza. Nelle società più complesse tali gruppi corporati di parenti regolavano la vita politica ed economica.

I testi classici di quella che divenne nota come 'teoria della discendenza' vennero pubblicati tra il 1940 e il 1950: tra questi vanno menzionati in particolare lo studio di M. Fortes e E.E. Evans-Pritchard (v., 1940) sui sistemi politici africani e l'importante ricerca di Evans-Pritchard (v., 1940) sulla popolazione sudanese dei Nuer, cui fecero seguito dopo la seconda guerra mondiale altre significative monografie, in particolare gli studi di M. Fortes sui Tallensi del Gahna. I capisaldi della teoria vennero sintetizzati in un saggio pubblicato dallo stesso Fortes (v., 1953), The structure of unilineal descent groups.

Nell'introduzione al loro studio sui sistemi politici africani Fortes e Evans-Pritchard (v., 1940) presentarono una classificazione tripartita delle società africane. Nelle più semplici, come ad esempio quella dei Boscimani del Sudafrica, l'organizzazione si basava esclusivamente sulla parentela: tutti i membri della società erano considerati parenti. Le società più complesse e più ampie, che vivevano di pastorizia e orticoltura, erano organizzate in clan e lignaggi reclutati secondo la discendenza unilineare. Questi gruppi di discendenza avevano il carattere di gruppi corporati in quanto controllavano il territorio e la proprietà, esercitavano l'autorità sui propri membri ed erano organizzati e differenziati al loro interno in base a regole genealogiche. Solo nelle società che avevano sviluppato forme statali la parentela era relativamente poco importante nella regolamentazione della sfera pubblica.

La ricerca antropologica negli anni successivi si incentrò sull'organizzazione dei sistemi sociali basati sul clan o sul lignaggio. I Nuer del Sudan meridionale descritti da Evans-Pritchard divennero il classico esempio di una società organizzata come un sistema di lignaggio segmentario. L'organizzazione della comunità locale tra i Nuer si basava su una serie di gruppi di discendenza patrilineari. Il più esteso di tali gruppi era la tribù, imperniata su un clan dominante i cui membri si consideravano discendenti in linea maschile dal fondatore del clan. Il clan si divideva al suo interno in gruppi di discendenza di dimensioni più ridotte - denominati sottoclan o lignaggi, i cui membri si consideravano discendenti di un antenato più vicino nel tempo. Sottoclan e lignaggi erano a loro volta associati a unità territoriali di dimensioni più ridotte. A ciascun livello di organizzazione i gruppi contrapposti potevano unirsi a un livello superiore per contrapporsi a loro volta ad altri raggruppamenti; e di fatto, secondo Evans-Pritchard, in assenza di una autorità centrale l'equilibrio di potere tra i lignaggi-gruppi territoriali costituiva il principio fondamentale di ordine sociale.

Fortes adottò la distinzione operata da Malinowski tra il gruppo domestico, basato sulla solidarietà e sui valori morali, e il clan o lignaggio, istituzione pubblica che controlla la proprietà e a cui è demandato l'esercizio dell'autorità. Al pari di Malinowski, egli sostenne che i sentimenti generati all'interno della famiglia costituiscono il fondamento dei sistemi di parentela: ogni parentela si basa su un 'assioma di solidarietà'. Tuttavia i più ampi sistemi di parentela operano una selezione tra le diverse possibilità organizzative offerte dall'istituzione universale della famiglia. Nei sistemi di discendenza un genitore - il padre nelle società patrilineari - costituisce l'elemento di congiunzione con il gruppo corporato di discendenza, che ha carattere politico, mentre l'altro genitore rappresenta il tramite tra i figli e un gruppo di sostegno formato da parenti motivati esclusivamente da sentimenti di solidarietà morale. Fortes definì 'filiazione complementare' questo rapporto. Egli sostenne che nelle società basate sul lignaggio questi legami di filiazione complementare intersecano i vincoli di fedeltà del lignaggio, e contribuiscono a integrare i vari lignaggi in una comunità più ampia e pacifica.

La maggior parte degli studi analizzava le società patrilineari, ma alcune ricerche condotte su quelle matrilineari dimostrarono che in queste ultime sussistevano maggiori tensioni tra la famiglia e il lignaggio. Come Malinowski aveva dimostrato nel caso dei Trobriandesi, gli uomini erano divisi tra l'affetto per i propri figli e gli obblighi nei confronti dei figli della sorella. Le donne potevano scegliere se vivere col marito oppure con un fratello. Come scrisse A. Richards in un importante saggio: "ogni sistema matrilineare produce quella che possiamo definire una costante tensione tra l'attrazione verso il padre e l'attrazione verso il fratello della madre: la personalità, le ricchezze e lo status sociale delle due figure o del loro rispettivo gruppo parentale avvantaggiano ora l'una ora l'altra parte" (v. Richards, 1950, p. 208; v. anche Schneider e Gough, 1961). Di conseguenza i matrimoni in queste società spesso erano instabili.

La teoria della discendenza postulava dunque la coesistenza di famiglia e lignaggio, ma affermava che tali istituzioni operano in contesti differenti e sono soggette a pressioni diverse. Fortes formalizzò tale assunto nella distinzione tra due 'sfere' della vita sociale: la sfera domestica - ossia l'ambito della famiglia e del gruppo domestico - e la sfera pubblica, o politico-giuridica. La famiglia-gruppo domestico avrebbe fondamentalmente la funzione di provvedere al sostentamento dei suoi membri e alla socializzazione dei figli, e sarebbe improntata in tutte le società a valori e sentimenti analoghi. Fortes dimostrò che il ciclo di sviluppo della famiglia costituisce la forza motrice che determina lo strutturarsi e il destrutturarsi del gruppo domestico (v. Goody, 1958). La sfera politico-giuridica influisce su quella domestica, e mutua da questa determinati valori (v. Fortes, 1969). Secondo alcuni studiosi, inoltre, la sfera domestica possiede una specifica struttura economica (v. Goody, 1976).

Questo approccio venne ripreso da alcune antropologhe femministe, le quali sostennero che le donne di solito sono confinate nella sfera domestica, mentre il potere maschile si fonda sul monopolio delle risorse della sfera politico-giuridica (v. Ortner e Whitehead, 1981).

La teoria della discendenza esercitava un grande richiamo in quanto sembrava definire un tipo di sistema sociale ampiamente diffuso, basato su gruppi di discendenza unilineari, che presentava ovunque analoghe caratteristiche strutturali. Le origini di questa teoria si possono far risalire a Durkheim e a R. Smith, ma nel XX secolo essa venne notevolmente perfezionata con la pubblicazione di accurati studi etnografici sul campo. Nel periodo della sua massima fioritura, ossia nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale, la teoria della discendenza fornì il quadro concettuale per la descrizione e l'analisi di molte società, in particolare dell'Africa, delle Americhe e dell'Asia. Molti erano convinti che grazie a tale teoria si fosse arrivati a definire un tipo di società - di grande rilevanza storica - e ad individuarne le caratteristiche specifiche. E in effetti molti sforzi furono dedicati alla classificazione dei suoi sottotipi, sulla base di particolari sistemi di discendenza. Un gruppo di autori neomarxisti cercò di associare i sistemi di discendenza ad un determinato modo di produzione (v. Meillassoux, 1975; v. Rey, 1975).

La teoria della discendenza costituì per un'intera generazione di antropologi il punto di riferimento degli studi interculturali sulla parentela, ma negli anni settanta e ottanta i suoi modelli vennero sottoposti in misura crescente ad una critica radicale (v. Kuper, 1982). In particolare, si contestò l'imposizione di modelli generalizzati (di lignaggi, clan, ecc.) a istituzioni sociali che non erano necessariamente concepite in termini di discendenza, e che in ogni caso non operavano come gruppi sociali autonomi. Si osservò inoltre che il concetto di 'discendenza' era troppo vago e onnicomprensivo, in quanto indicava convenzioni per ordinare genealogie, regole di residenza, modi di organizzare l'eredità e la successione, nonché principî di reclutamento nei gruppi corporati. Ma queste funzioni potrebbero non essere regolate da un unico principio in tutte le società.

La teoria dell'alleanza

La principale sfida alla teoria della discendenza al suo apogeo si ebbe con la teoria dell'alleanza, formulata da C. Lévi-Strauss in quello che rappresenta forse il più importante studio sulla parentela pubblicato nel nostro secolo, Les structures élémentaires de la parenté (v., 1949). L'intento di Lévi-Strauss era quello di fornire una teoria che spiegasse nello stesso tempo il tabù dell'incesto, il sistema di organizzazione dualistico in metà esogame, e i sistemi di matrimonio preferenziale con una determinata categoria di parenti. La chiave di tutte queste istituzioni, secondo Lévi-Strauss, è il principio di reciprocità, che rappresenta la norma sociale basilare.

Il tabù dell'incesto è la prima regola. Esso ha reso possibile la costituzione stessa della società, e la sua introduzione ha segnato il passaggio dalla 'natura' alla 'cultura' con la regolamentazione della sessualità. Il tabù dell'incesto vieta l'accoppiamento tra fratelli e sorelle e tra padri e figlie, e obbliga così gli uomini allo scambio delle donne. Nelle organizzazioni sociali dualistiche (che Lévi-Strauss considera implicitamente, così come avevano fatto in precedenza gli evoluzionisti, la base della struttura sociale umana) la comunità è divisa semplicemente in due metà: il proprio gruppo, all'interno del quale non è consentito sposarsi, e l'altro gruppo, coi membri del quale devono avvenire i matrimoni. Lo scambio di sorelle rappresenta un sistema analogo.

Esistono peraltro sistemi di scambio più complessi basati sul matrimonio con una categoria particolare di cugini incrociati (i cugini incrociati appartengono a metà diverse nelle società più semplici, e in quelle più complesse a gruppi di discendenza o a una combinazione di gruppi di discendenza diversi). Il sistema più sofisticato e più duttile è quello dello 'scambio generalizzato', in cui un uomo del gruppo A dà una sorella ad un uomo del gruppo B, il quale a sua volta dà una propria sorella ad un uomo del gruppo C. Il cerchio si chiude quando un uomo del gruppo N dà la propria sorella al primo uomo del gruppo A; ma in linea di principio può essere aperto in ogni stadio per inserire nuovi partners. Questo tipo di scambio matrimoniale assume spesso la forma del matrimonio con la figlia del fratello della madre, e si può dimostrare che un sistema che prescrive il matrimonio dei cugini incrociati matrilaterali darà luogo a una struttura di questo tipo. In una versione più semplice di questo sistema, la direzione dello scambio è invertita nella seconda generazione, dimodoché ogni uomo riceve in moglie per il proprio figlio la figlia dell'uomo cui ha dato in moglie la propria sorella. Tale sistema è associato con una regola che prescrive il matrimonio dei cugini incrociati patrilaterali (ossia il matrimonio con la figlia della sorella del padre).

In sintesi, l'elemento essenziale della vita sociale è la reciprocità, e la forma più elementare di reciprocità è lo scambio matrimoniale. Il tabù dell'incesto costituisce la condizione negativa necessaria per istituire la reciprocità. La regola di reciprocità assume principalmente due forme: lo scambio ristretto e lo scambio generalizzato. Tali forme elementari possono essere realizzate da tre tipi di matrimonio tra cugini incrociati: il matrimonio dei cugini incrociati bilaterali (o scambio di sorelle), quello dei cugini incrociati patrilaterali e quello dei cugini incrociati matrilaterali.

La revisione critica di questa ambiziosa teoria condotta nei decenni successivi mise in luce una serie di difficoltà. In primo luogo, i dati utilizzati per costruire questi modelli si basavano sulle terminologie di parentela (che, secondo Lévi-Strauss, rispecchiano regole matrimoniali), sulle prescrizioni matrimoniali e sulle regole di esogamia. La classificazione delle terminologie di parentela, tuttavia, non è una base attendibile per dedurre regole matrimoniali, anche se sussiste un'ampia correlazione statistica tra determinate regole matrimoniali e determinati tipi di classificazione dei parenti. Tali modelli, inoltre, non lasciavano spazio all'analisi dei comportamenti sociali effettivi. Lévi-Strauss era interessato principalmente alle regole, alle classificazioni formali e ai modelli locali.In secondo luogo, la teoria dell'alleanza dava per scontata la tesi della teoria della discendenza secondo cui in molte società i gruppi di discendenza rappresentano le unità fondamentali dell'azione sociale, e assumeva quindi che gli scambi matrimoniali avvenissero tra gruppi di discendenza. Tuttavia una serie di studi empirici mise in luce significative variazioni nella definizione dei diritti sulle donne e sui loro figli prima e dopo il matrimonio; spesso, inoltre, gli scambi matrimoniali coinvolgono gruppi parentali egocentrati piuttosto che i 'lignaggi'.

Ancora, nei modelli di Lévi-Strauss le donne avevano un ruolo passivo, erano meri oggetti di scambio, e il sistema matrimoniale veniva rappresentato come un sistema chiuso in cui solo le donne vengono scambiate. In alcune società però esse hanno un ruolo attivo nella scelta del partner, e in molti casi le transazioni matrimoniali comportano altre forme di pagamento - in forma di ricchezza della sposa o di dote.Nonostante Lévi-Strauss lo negasse, sembra evidente l'orientamento implicitamente evoluzionistico del suo modello, che presuppone un passaggio dall'organizzazione dualistica ai sistemi basati sul matrimonio dei cugini incrociati. Nelle rielaborazioni successive della sua teoria, Lévi-Strauss avanzò l'ipotesi che i sistemi di parentela crow e omaha, in cui manca una prescrizione matrimoniale positiva ma che hanno regole di esogamia particolarmente estese ed elaborate, rappresentano uno stadio di transizione rispetto all'epoca moderna, in cui la parentela ha perso la sua importanza strategica e il matrimonio è in larga misura casuale dal punto di vista delle relazioni di parentela. Questo schema evoluzionistico non trovò sostenitori, in quanto non rendeva conto di alcuni sistemi, come ad esempio quelli arabi, in cui viene preferito il matrimonio con un cugino parallelo patrilaterale, ossia con la figlia del fratello del padre.Nella classificazione di Lévi-Strauss, infine, non vengono inclusi numerosi sistemi di parentela, compresi quelli che egli definiva 'complessi', in cui la scelta del coniuge si basa su criteri diversi da quelli di parentela.

Nonostante ciò, la teoria di Lévi-Strauss ebbe un'enorme influenza negli anni cinquanta e sessanta. Molti antropologi applicarono tale modello a specifici casi etnografici, mentre altri cercarono di perfezionare la tipologia dei sistemi di parentela caratterizzati da regole matrimoniali positive, o di proporre modifiche del modello. Vennero elaborati e discussi modelli sempre più sofisticati, di tipo quasi matematico (v. Buchler e Selby, 1968). F. Héritier (v., 1981) sviluppò al computer un'analisi delle effettive scelte matrimoniali in una società dell'Africa occidentale, quella dei Samo, che avevano una terminologia di parentela di tipo omaha e un esteso sistema di proibizioni matrimoniali. I dati raccolti dalla studiosa dimostrarono che un numero di matrimoni assai più alto di quanto ci si sarebbe potuti attendere avveniva con i discendenti di un antenato di tre o quattro generazioni prima, come aveva anticipato Lévi-Strauss.

La critica di Leach: "la parentela non è una cosa in sé"

Negli anni cinquanta cominciò a prender corpo e a guadagnar terreno una critica radicale sia della teoria dell'alleanza sia di quella della discendenza. Nel 1951 l'antropologo britannico D. Leach sviluppò la prima, importante critica alla teoria dell'alleanza, basata su due obiezioni di ordine teorico. In primo luogo, secondo Leach, la nozione di parentela di Lévi-Strauss è di tipo essenzialmente cognitivo, in quanto si basa su determinati principî, in particolare quello di reciprocità, considerati universali; e in effetti il fine ultimo dell'impresa teorica di Lévi-Strauss era l'individuazione di strutture mentali universali. Leach invece era più interessato al comportamento politico e sociale, e considerava i sistemi di parentela come costrutti ideologici che possono legittimare determinati comportamenti finalizzati alla massimizzazione del potere e della ricchezza. Ogni sistema di parentela, quindi, è inserito in un preciso contesto storico e territoriale. In secondo luogo, coerentemente con questa prospettiva più malinowskiana, la parentela non è mai una categoria a sé stante: non si tratta di una 'cosa in sé'. Piuttosto, le relazioni di parentela si intrecciano con le relazioni economiche e politiche, e le idee relative alla parentela sono parte di più ampi sistemi ideologici.

Leach mosse a Lévi-Strauss anche una serie di obiezioni di ordine etnografico. Egli condusse una lunga ricerca sul campo sulle popolazioni birmane dei Kachin, le stesse studiate da Lévi-Strauss. Questi tuttavia aveva confuso i dati etnografici relativi ai Kachin con quelli riguardanti altre popolazioni vicine. Nel saggio The structural implications of matrilateral crosscousin marriage Leach (v., 1951) presentò la propria analisi dei Kachin, nel tentativo di mostrare il contesto politico ed economico in cui opera un sistema basato sul matrimonio dei cugini incrociati matrilaterali. Secondo Leach, quello dei Kachin era un classico esempio di sistema in cui il circuito dello scambio di mogli è chiuso, ossia avviene tra gruppi di discendenza di eguale status (il cosiddetto 'matrimonio in una cerchia'). In pratica, però, il sistema funzionava in modo diverso, in quanto sussisteva sempre una differenza di status tra chi dava le mogli e chi le riceveva; il sistema quindi non era regolato da un principio di reciprocità, come aveva affermato Lévi-Strauss. Lo scambio delle mogli non era che un elemento di un sistema più ampio di scambi ineguali. Nelle comunità Kachin l'uomo doveva corrispondere un 'prezzo della sposa' al suocero, che rappresentava anche un superiore feudale al quale erano dovute altre forme di tributi. Il sistema matrimoniale non era che un aspetto di un sistema più ampio di transazioni politiche ed economiche tra individui di diverso status. Leach sintetizzava la situazione nel modo seguente: "1. Sul piano politico, il capotribù rappresenta per gli altri capi locali quello che il signore feudale era per i vassalli; 2. sul piano della parentela, tra il capotribù e gli altri capi locali vi è un rapporto da mayu a dama, da suocero a genero; 3. sul piano territoriale, il legame di parentela tra il lignaggio dei capi locali e quello del capotribù convalida il possesso della terra; 4. sul piano economico, il matrimonio dei cugini incrociati matrilaterali comporta che i lignaggi dei capi locali effettuino costantemente un pagamento nuziale al lignaggio del capotribù in forma di ricchezza della sposa" (v. Leach, 1951, p. 89).

L'analisi di Leach metteva anche in luce il fatto che il modello di alleanza matrimoniale di Lévi-Strauss non spiegava i pagamenti nuziali. In alcune società la 'ricchezza della sposa' potrebbe rappresentare uno scambio delle donne con un altro bene - ad esempio il bestiame in molte società dell'Africa orientale e meridionale. L'istituto della dote, d'altro canto, indicherebbe una scarsità di uomini da dare in moglie alle proprie figlie. In entrambi i casi, sussistono chiaramente le condizioni per un modello di alleanza matrimoniale asimmetrica, in cui cioè vi è una sistematica differenza di status tra chi dà e chi riceve le mogli. Gli antropologi che ponevano l'accento su questi aspetti economici delle transazioni matrimoniali misero in discussione il modello di alleanza matrimoniale di Lévi-Strauss basato essenzialmente su uno scambio paritario di donne, e incentrarono l'attenzione sulle conseguenze politiche ed economiche dei sistemi matrimoniali (v. Goody e Tambiah, 1973; v. Kuper, Wives for cattle..., 1982).

Pur ancorando il modello dell'alleanza a determinate strategie politiche ed economiche, Leach considerava la teoria di Lévi-Strauss un progresso rispetto alla teoria del lignaggio degli antropologi britannici. Tra i sostenitori delle due teorie si sviluppò un vivace dibattito (v. Leach, Rethinking..., 1961; v. Fortes, 1959, p. 59).

La monografia di Leach (v., 1954) sui Kachin birmani può essere letta come un tentativo di sintesi tra i due approcci. Secondo Leach le comunità Kachin oscillavano tra i famosi 'tipi' definiti da Fortes ed Evans-Pritchard - il sistema del lignaggio segmentario e lo Stato - ma sosteneva che tali cambiamenti erano causati dalle tensioni intrinseche al sistema di alleanza. L'organizzazione delle società Kachin si basava su una contraddizione di fondo tra un sistema basato sul lignaggio - in cui tutti i lignaggi hanno eguale status - e un sistema di cessione unilaterale delle donne, che implica una gerarchia. In ciascuna situazione certi individui che godono di una posizione di prestigio si troveranno in svantaggio: alcuni faranno pressioni per instaurare una gerarchia rifiutando l'ideale di eguaglianza del lignaggio, mentre altri, costretti in una posizione subordinata dalle pressioni del sistema di alleanza, reclameranno l'eguaglianza; ognuno cercherà quindi di volgere il sistema a proprio vantaggio.

Nello studio Pul Eliya, in cui viene analizzato un villaggio situato nella zona arida dello Sri Lanka, Leach (v., 1961) appunta le sue critiche sulla teoria della discendenza, respingendo la tesi secondo cui i gruppi di discendenza e i principî della parentela costituiscono il fondamento della struttura e della continuità sociali. Nella comunità oggetto della sua ricerca era la "territorialità piuttosto che la discendenza a costituire la base dei gruppi corporati" (ibid., p. 7). I campi e le riserve d'acqua del villaggio erano i soli fattori durevoli: la parentela era un costrutto ideologico utilizzato al fine di avanzare rivendicazioni sulla terra e di legittimare alleanze matrimoniali convenienti. La parentela quindi non è che un linguaggio attraverso cui parlare di altre cose, fondamentalmente di ordine economico. "Vorrei ribadire che la parentela non ha alcuna realtà se non in rapporto alla terra e alla proprietà. Ciò che gli antropologi chiamano 'struttura della parentela' non è che un modo per parlare dei rapporti di proprietà, di cui si può parlare anche in altri modi". La radicalità di questa affermazione viene comunque attenuata dalla seguente precisazione: "La mia critica non è rivolta contro lo studio della parentela, perché questo è lo strumento di analisi di gran lunga più sofisticato di cui dispongono gli antropologi, bensì contro i tentativi di isolare la parentela come se fosse una categoria a sé stante, analizzabile in termine di regole giuridiche senza alcun riferimento al contesto o agli interessi economici" (ibid., pp. 305-306).

Un'attenzione analoga per le strategie matrimoniali concrete caratterizzò alcuni studi degli anni successivi, che risentono peraltro dell'influenza di Lévi-Strauss: ad esempio l'analisi condotta da P. Bourdieu (v., 1972) sul matrimonio dei cugini paralleli nelle popolazioni berbere.

Il relativismo culturale: la nozione di parentela è una nozione occidentale

La critica più radicale agli orientamenti tradizionali della parentologia fu avanzata da D. Schneider (v., 1984), il quale mise in discussione l'idea che la 'parentela' sia un sottosistema universale delle società. A suo avviso, gli antropologi aderivano solo formalmente alla tesi secondo cui la parentela costituisce un sistema sociale autonomo, ma in pratica partivano dal presupposto che essa fosse un'istituzione universale basata sul riconoscimento dei meccanismi biologici della riproduzione.

Le società tuttavia possono avere credenze diverse in merito alla riproduzione. Mentre il legame madre-figlio è universalmente riconosciuto e tenuto in considerazione, il ruolo del padre è estremamente variabile. Gli antropologi distinguono di solito il genitor, ossia il padre biologico, dal pater, ossia il padre socialmente riconosciuto, ma la nozione di genitor varia da cultura a cultura, e alcune popolazioni negano che il concepimento sia la conseguenza (primaria se non necessaria) del rapporto sessuale. In certi casi la nascita di un figlio non viene attribuita ad alcun padre, e di conseguenza non esiste la figura del genitor. Alcuni antropologi in seguito hanno dimostrato un grande interesse per i moderni esperimenti di fecondazione in vitro e metodi analoghi, perché anche in questi casi non vi è alcun genitor identificabile (v. Strathern, 1992). Anche le responsabilità sociali dell'uomo nei confronti dei figli della moglie variano in misura notevole, sicché non esiste una nozione interculturale di 'padre'.

Analogamente, le nozioni relative alla consanguineità non sono semplici variazioni minori di un tema comune, ossia l'idea che vi sia una determinata categoria di persone legate genealogicamente da vincoli di parentela. La categoria che noi traduciamo come 'parentela' potrebbe essere basata su una varietà di credenze relative ad una 'essenza' comune, e potrebbe incorporare l'idea di una relazione spirituale, come ad esempio le relazioni che nascono dall'iniziazione, dalla coabitazione, dalla commensalità, ecc.

Le genealogie, basate sul presupposto che i legami biologici costituiscano il fondamento dei sistemi di parentela, non fanno che imporre categorie occidentali ad altre culture. Le terminologie di parentela, costruite dagli etnografi sulla base di una griglia genealogica, altro non sono quindi che artefatti dell'osservatore. I cosiddetti termini di parentela in realtà spesso non hanno nulla a che vedere con i legami biologici di consanguineità, e non esiste necessariamente una categoria a sé stante di termini riservati ai parenti - anche ammettendo che una tale categoria di persone possa essere definita in un determinato contesto culturale. In sintesi, la nostra nozione di parentela racchiude determinate credenze relative ai meccanismi biologici della riproduzione. Altre popolazioni hanno teorie biologiche differenti e non definiranno necessariamente una categoria analoga di consanguinei.

Schneider (v., 1980²) analizzò il sistema di parentela americano al fine di mettere in luce le credenze popolari che stanno a fondamento delle teorie della parentela occidentali. Egli dimostrò che la definizione dei rapporti di parentela degli Americani si basa sia sui rapporti di consanguineità (derivati tanto dalla madre quanto dal padre), sia su un riconoscimento giuridico o sociale. Questi elementi, tuttavia, non sono che un aspetto dell'insieme di tratti culturali che definiscono una 'persona', inclusi la classe sociale e l'etnia.

In questo stesso studio Schneider ribadiva che la parentela deve essere descritta in termini puramente culturali, come un sistema di simboli condiviso da tutti i membri di una data società, in questo caso quella americana. Le variazioni sociologiche e le effettive scelte matrimoniali, le forme di residenza ecc. non dovrebbero essere considerate nel tipo di analisi culturale proposto da Schneider.

Il radicale relativismo culturale di Schneider fu condiviso da altri antropologi americani (v. ad esempio Geertz e Geertz, 1975). Lo sviluppo della sociobiologia diede nuovo impulso alla critica culturale delle interpretazioni biologiche della parentela. La sociobiologia partiva dal presupposto che le istituzioni parentali abbiano una finalità biologica, in quanto codificano comportamenti che favoriscono strategie evolutive efficaci (la regolamentazione dell'incesto, la poligamia in certe circostanze, la paternità ecc.). Inoltre, la tendenza a privilegiare la parentela va ricondotta al desiderio inconscio di salvaguardare il proprio patrimonio genetico. Gli antropologi obiettarono che le istituzioni della parentela erano estremamente diversificate, e raramente si basavano sul riconoscimento della paternità biologica. Come osservò M. Sahlins facendosi interprete delle posizioni di molti antropologi, "più importante [della motivazione genetica] è la concezione culturale che [...] sta a fondamento di una struttura della parentela umana la quale soltanto può spiegare la forma empirica di un interesse sociale individuale" (v. Sahlins, 1976, p. 36).

Gli antropologi britannici preferirono seguire Leach equiparando la parentela ad una struttura ideologica, ad un linguaggio attraverso cui le società parlano di interessi materiali. Essi tuttavia manifestavano un crescente scetticismo nei confronti del progetto di una teoria interculturale della parentela. Leach (v., 1955) ad esempio, aveva affermato che il 'matrimonio' varia in misura tale nelle diverse culture che è impossibile arrivare a una definizione appropriata a tutte le forme di unione che gli antropologi sono soliti designare con questo termine. Riconoscendo il proprio debito nei confronti di Leach, R. Needham (v., 1971, p. 5) affermò: "Per dirla senza mezzi termini, allora, non esiste l'oggetto parentela, e di conseguenza non può esistere una teoria della parentela".

In sintesi, al principio degli anni ottanta il relativismo culturale era in piena ascesa, e i metodi e i modelli sociologici consolidati della parentologia sempre più in crisi. Se la parentela non si fonda universalmente sulla biologia - o piuttosto se possono esistere concezioni dei legami biologici molto diverse tra loro - allora la 'parentela' intesa come categoria interculturale dovrebbe forse essere abbandonata. Critiche analoghe vennero rivolte anche ad altre categorie tradizionali dell'analisi antropologica, come la magia, la scienza e la religione.

La costruzione del Sé e la critica femminista

Anche quegli studiosi di antropologia sociale - soprattutto europei - che respingevano la forma estrema di relativismo culturale di Schneider e Geertz, e non avevano abbandonato il progetto di analizzare i fenomeni sociali, si trovavano ora a disagio con i loro tradizionali strumenti concettuali. La nozione stessa di 'società', e quindi quella di 'struttura sociale', venne messa in questione. I confini della società non erano chiaramente definiti; lo Stato nazionale, con le sue frontiere e i suoi criteri di delimitazione, era un modello che difficilmente poteva applicarsi alle bande, alle tribù, ai villaggi e ai gruppi etnici con cui spesso avevano a che fare gli antropologi; di conseguenza vennero preferiti modelli più flessibili dei rapporti sociali. I modelli classici per l'analisi delle strutture sociali - sia che fossero derivati da Durkheim, da Marx o da Parsons - vennero generalmente abbandonati. Non sembrava più legittimo dividere le società in sottosistemi dell'azione, uno dei quali potrebbe essere designato 'sistema di parentela'.

Restavano tre modi molto generali di classificare le forme sociali. Il primo si incentrava sulle funzioni, definite in modo molto generale, e si basava da un lato sulla distinzione tra il comportamento 'economico' - legato alla sussistenza - e il comportamento 'politico' - legato all'organizzazione della comunità e alle strategie adottate dagli individui in contesti pubblici -, e dall'altro lato sul 'rituale' e sulle ideologie, riferite alle azioni e alle credenze che celebrano e legittimano le istituzioni comuni, fornendo altresì un linguaggio in cui gli individui possono parlare dei propri valori. In questo senso la parentela, come aveva sostenuto Leach, rientra nel campo dell''ideologia'.

Un altro modo di concettualizzare una distinzione analoga era quello di contrapporre il comportamento sociale alle concezioni ideologiche o culturali - i 'valori' al 'comportamento'. Tale distinzione era alla base dell'approccio di Schneider; Leach partiva da una concezione analoga, anche se nella sua opera l''ideologia' operava in contesti sociali, poiché il richiamo ai valori legati alla parentela risultava finalizzato al perseguimento di interessi materiali. Tuttavia, Dumont (v., 1983) obiettò che tale distinzione era fuorviante, poiché gli individui stabiliscono i valori piuttosto che manipolarli.

Vi era infine un terzo modo in cui articolare la distinzione tra ideologia e istituzioni sociali, introducendo nella teoria sociologica alcuni concetti mutuati dalla scuola costruttivista. Gli antropologi sperimentarono in misura crescente modelli e concetti che non presupponevano l'esistenza di un 'sistema' ideologico o sociale. Molti autori preferirono focalizzare l'attenzione sull'individuo - sul 'Sé', sulla 'persona' - mettendo in luce il modo in cui l'individuo viene socialmente costruito e permeato di valori. Il 'corpo' era considerato la sede privilegiata del simbolismo sociale. L'analisi dei ruoli sessuali e parentali non era più finalizzata alla costruzione di modelli di sottosistemi sociali, bensì alla spiegazione del processo di formazione delle identità sociali (v. ad esempio Strathern, 1988).

La teoria femminista si muoveva in una direzione analoga, sebbene fosse interessata principalmente alla costruzione dei ruoli sessuali, e in particolare di quelli femminili. Secondo J. Collier e S. Yanagisako (v., 1987), il movimento delle donne aveva inizialmente stimolato l'interesse per gli studi antropologici sulla parentela, in quanto essi offrivano descrizioni dettagliate dei ruoli domestici in diverse culture. Negli anni settanta, tuttavia, con l'affermarsi di un orientamento femminista più critico, cominciarono ad essere messi in discussione gli assunti di base della teoria della parentela. Si sostenne (in alcuni casi a torto) che le spiegazioni del ruolo delle donne nella 'sfera domestica' non prendevano in considerazione le forze economiche e politiche più generali che erano all'origine della repressione delle donne. Cosa ancora più importante, la teoria della parentela relativizzava il ruolo del genitor/pater, ma restava ancorata all'idea tradizionale che il ruolo della donna nel gruppo domestico sia immutabile e determinato da fattori biologici.Incentrando l'attenzione sulle attività riproduttive, sulla situazione politica ed economica delle donne e sulle loro strategie, l'antropologia femminista si occupò di una serie di problemi che rientravano nella classica sfera di interessi della parentologia, ma in una prospettiva assai diversa. Le antropologhe femministe non consideravano la parentela 'in sé', e ciò determinò, ancora una volta, un declino dell'interesse per i temi centrali della teoria della parentela. L'attenzione si spostò dai gruppi di parentela, dalle forme matrimoniali e dall'organizzazione domestica ai ruoli sessuali, alla posizione della donna e alla costruzione sociale dell'identità.

La 'casa'

In tempi recenti è emerso un nuovo, significativo modello che tenta ancora una volta di arrivare a una definizione interculturale della parentela, senza peraltro attribuirle il carattere di una istituzione universale. In numerose società il gruppo domestico incentrato sulla famiglia assume una forma simile, che gli antropologi hanno definito 'casa' (house, maison). Tale istituzione è associata a un determinato patrimonio, che comprende diritti sulle persone nonché beni e risorse produttive, e la sua organizzazione si fonda su alcuni valori molto generali della famiglia e su una divisione domestica del lavoro in base al sesso e all'età.

L'economia domestica è inoltre regolata da principî diversi da quelli che regolano la sfera economica più ampia: i criteri di reciprocità e di obbligazione morale si sovrappongono a quello della massimizzazione dei valori che domina invece nei rapporti tra le diverse 'case'. La 'casa' costituisce poi un modello alternativo per i rapporti morali nella società più ampia. Essa, infine, è un insediamento locale che ha sviluppato una propria organizzazione simbolica.

Un modello di questo tipo era implicito in gran parte della ricerca britannica sulle società africane, influenzata dagli studi di Fortes e di Goody sulla sfera domestica e sul gruppo domestico (v. Gray e Gulliver, 1964). Alcuni studiosi delle società indiane, indonesiane e cinesi avevano anch'essi posto l'accento sull'importanza sociale della famiglia estesa.Lévy-Strauss (v., 1979², cap. XIII) elaborò un modello più generale della 'casa' in una nuova analisi del numaym degli Indiani Kwakiutl della Colombia Britannica descritto da Boas. Secondo l'antropologo francese il numaym rappresenta un tipo di organizzazione domestica che si incontra di frequente nella letteratura sulle famiglie nobiliari dell'Europa medievale. "Rispetto al clan e al lignaggio, la casa possiede dunque alcune caratteristiche distintive che si possono enumerare come segue: la casa è 1) una persona morale, che 2) detiene una proprietà o dominio 3) comprendente beni sia materiali che immateriali; essa 4) si perpetua attraverso la trasmissione del proprio nome, delle sue ricchezze e dei suoi titoli in linea reale o fittizia, e tale trasmissione 5) è considerata legittima a condizione che possa tradursi nel linguaggio della parentela o dell'alleanza, o 6) più di frequente di entrambi" (v. Bonte e Izard, 1991, p. 435).

In questo modello la convivenza è più importante dei principî della discendenza, e l'ipergamia si sovrappone ai modelli di alleanza simmetrica. "In queste società l'alleanza matrimoniale, che serve a stabilire o a rafforzare il potere, acquista un valore sociale altrettanto grande quanto la filiazione, che serve a mantenerlo" (ibid., p. 436).

Lévy-Strauss, lavorando come spesso faceva da ispirato bricoleur, costruì il proprio modello della 'casa' servendosi di frammenti della teoria della discendenza e di quella dell'alleanza. Anche in questo caso tuttavia, è riconoscibile un implicito assunto evoluzionistico, secondo il quale la 'casa' sarebbe semplicemente il risultato della dissoluzione dei sistemi di alleanza.

Bourdieu (v., 1972) dimostrò che nella struttura fisica della casa berbera erano codificati determinati principî cosmologici e morali, allo stesso modo in cui il corpo umano, secondo gli etnografi, è il luogo privilegiato del simbolismo sociale. S. Gudeman e A. Rivera (v., 1990) illustrarono il modo in cui viene concettualizzata l'economia domestica della casa, e descrissero il suo funzionamento nel più ampio contesto dell'economia rurale della Colombia. Altre ricerche misero in luce in che modo le case delle famiglie dominanti potessero diventare modelli per lo Stato (v. MacDonald, 1987; v. Kuper, 1993).

Gli studi contemporanei sulla parentela e i nuovi orientamenti

La conferenza dell'Associazione europea degli antropologi del 1994 richiese una serie di contributi per un convegno sulla parentela. Tale campo di studi era stato trascurato negli ultimi anni a causa delle crescenti perplessità di ordine teorico, sicché gli organizzatori rimasero sorpresi di fronte alla risposta entusiastica degli studiosi. Si dovettero organizzare tre convegni, ma la cosa interessante fu che i vari contributi si divisero spontaneamente in tre gruppi che corrispondevano alle principali aree di ricerca della parentologia contemporanea. Il primo gruppo si incentrava su tematiche che potremmo definire schneideriane: i diversi modi in cui le popolazioni concettualizzano i rapporti di parentela, rispecchiando differenti nozioni biologiche. Questi studi erano caratterizzati da un atteggiamento critico nei confronti di ogni approccio comparativo basato sulla discendenza. Il secondo gruppo di contributi proseguiva il programma di Lévy-Strauss, costruendo modelli matematici spesso assai sofisticati che evidenziavano la logica dei sistemi di classificazione della parentela e associavano questi ultimi a determinate regole matrimoniali (v. Tjon Sie Fat, 1990; v. Héritier e Copet-Rogier, 1990-1991). Il terzo gruppo, infine, seguiva la strada indicata da Malinowski e da Leach, e analizzava il modo in cui i valori e le istituzioni della parentela vengono utilizzate nella vita sociale. A differenza degli studi tradizionali, tuttavia, essi incentravano l'attenzione soprattutto sul ruolo delle strategie parentali in contesti fluidi o multietnici.

Recentemente vi sono stati inoltre alcuni ambiziosi tentativi di studiare la parentela all'interno di un'ampia area geografica, applicando il metodo comparativo a sistemi che condividono le stesse tradizioni culturali (v. Kuper, Wives for cattle..., 1982; v. Barnard, 1992; v. Knauft, 1993).

Rimaneva per certi versi poco sviluppata l'applicazione dei metodi dell'analisi antropologica ai sistemi di parentela delle moderne società industriali. Le analisi sociologiche della parentela tendevano a privilegiare la famiglia, sebbene alcuni antropologi avessero messo in luce l'importanza di sistemi di parentela più estesa in molte situazioni (v. ad esempio Firth e altri, 1969). In questo campo tuttavia restava molto da esplorare. La nozione di 'casa' sembrava promettente, considerato il fatto che circa il 90% delle aziende italiane erano 'imprese familiari', così come il 75-90% delle aziende in altre grandi economie europee. Tuttavia, la maggior parte degli antropologi che studiavano le società europee tendevano a concentrare l'attenzione sui rapporti di parentela nelle comunità rurali.

La teoria della parentela fu applicata in modo più fantasioso dagli storici, che svilupparono un nuovo campo di studi, la 'storia delle famiglie', basandosi su alcune teorie antropologiche. Questa nuova branca della storiografia ebbe come oggetto privilegiato la storia europea, e influenzò a sua volta alcuni antropologi che studiavano le società europee (v. Segalen, 1986; v. Flandrin, 1976).

Prospettive per una sociologia della parentela

Nonostante questi nuovi sviluppi, i fautori del relativismo culturale continuavano a mettere in dubbio l'esistenza della parentela come categoria universale, e quindi la legittimità degli studi sulla parentela. La principale tattica critica dei relativisti, tuttavia, è opinabile, in quanto consiste nel mettere l'accento sulle eccezioni, sulla grande varietà delle concezioni dei rapporti biologici e delle forme di unione. Ma occuparsi delle caratteristiche generali dell'organizzazione sociale non significa necessariamente affermare che esse siano universali; è indiscutibile del resto che idee assai simili in merito al matrimonio, alla discendenza, all'organizzazione familiare e ai valori morali della parentela si ritrovano nella maggior parte delle società umane: in Cina, in India, in Indonesia, in Europa, in gran parte dell'Africa e nel Vicino Oriente, in altre parole nelle società in cui vive oltre il novanta per cento della popolazione mondiale. Anche nelle società più remote dell'Amazzonia e della Nuova Guinea gli etnografi in genere non hanno difficoltà ad identificare istituzioni analoghe alla 'famiglia', al 'matrimonio' e alla 'parentela'. In effetti, l'affinità tra le istituzioni familiari nelle società di tutto il mondo è così marcata che non si capisce perché gli antropologi debbano dar tanto peso alle eccezioni perdendo di vista gli elementi comuni. Una ragione di questo fatto, forse, è il persistente desiderio di sottolineare che i fatti biologici non determinano le forme culturali. Tuttavia gli antropologi più avvertiti di solito rifiutano sia la tesi secondo cui le istituzioni legate al matrimonio e alla procreazione sono biologicamente determinate, sia quella opposta secondo cui esse non sono in alcun modo condizionate dai fatti biologici.

La principale obiezione che si può muovere ai sostenitori del relativismo culturale è che essi rifiutano di considerare i concreti comportamenti sociali. Una teoria antropologica che trascura ciò che gli individui fanno in pratica e presta attenzione solo a ciò che dicono risulta fatalmente impoverita.In breve, vi è sicuramente spazio per la comparazione e per le generalizzazioni, e per una rinascita dello studio teorico della parentela. È probabile che gli antropologi riconoscano ancora una volta l'importanza cruciale di temi che hanno appassionato storici, filosofi, drammaturghi e romanzieri in tutte le civiltà e in ogni epoca.

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