ZACCARIA, papa

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 100 (2020)

ZACCARIA, papa

Paolo Delogu

ZACCARIA, papa. – Di origine greca, figlio di un Policronio, è l’ultimo della serie di papi di origine orientale che pontificarono a Roma tra la seconda metà del VII e la prima metà dell’VIII secolo. Il luogo e la data di nascita sono sconosciuti, né si hanno notizie sicure sulla sua carriera ecclesiastica. Venne elevato al pontificato pochi giorni dopo la morte di Gregorio III, il 3 dicembre 741, e consacrato senza attendere il benestare delle autorità bizantine, in una situazione politica e religiosa particolarmente difficile.

I domini che l’impero bizantino possedeva in Italia, l’Esarcato in Romagna, la Pentapoli nelle Marche e il ducato romano con Roma e il Lazio, erano minacciati dall’aggressiva politica del re longobardo Liutprando che cercava di trarre profitto dalle difficoltà del governo imperiale in Asia Minore, dove doveva fronteggiare l’aggressività del califfato islamico, per estendere i confini del proprio regno. Le popolazioni delle province bizantine erano ostili al governo per l’oppressiva politica fiscale e per il tentativo di imporre anche in Italia la dottrina religiosa elaborata a Costantinopoli, che condannava il culto delle immagini di Cristo, della Vergine Maria e dei santi, e ne vietava e perseguitava l’esposizione e la produzione. Nei decenni precedenti vi erano state ribellioni represse duramente, ma la concentrazione delle risorse dell’impero in Oriente rendevano il controllo dell’Italia incerto e debole ed esponevano le popolazioni provinciali al rischio di venire assorbite nel dominio longobardo, per il quale provavano decisa avversione.

I papi predecessori di Zaccaria avevano condannato l’iconoclastia e appoggiato la resistenza delle popolazioni provinciali, ma conservato lealtà all’impero nel quale Roma e la stessa sede papale erano incorporate dal punto di vista sia istituzionale sia culturale; si erano perciò adoperati per contrastare l’espansione longobarda con varie strategie diplomatiche e politiche. Zaccaria si inserì in questa linea di azione.

Sin dai primi mesi del pontificato affrontò la questione longobarda recandosi di persona a colloquio con il re Liutprando, che era giunto con l’esercito ai confini del ducato romano e stazionava a Terni. Liutprando era sinceramente cattolico e riconosceva il potere carismatico e l’autorità morale del papa successore dell’apostolo Pietro. Così Zaccaria riuscì a persuaderlo a rinunciare ad andare oltre e anzi a restituire al ducato romano alcuni castelli che aveva occupato e a stipulare con il ducato una pace ventennale.

Questo non impedì al re di invadere l’anno seguente l’Esarcato e la Pentapoli, minacciando la stessa Ravenna, sede dell’esarco, che insieme alle altre autorità politiche di quelle province chiese al papa di intervenire nuovamente presso il re per indurlo a liberare i territori occupati. Zaccaria si recò a Ravenna e da lì addirittura a Pavia, capitale del regno longobardo, nonostante Liutprando cercasse in tutti i modi di sottrarsi al nuovo incontro, nel quale prevedeva di dover ancora una volta cedere all’autorità religiosa del papa, come infatti avvenne.

Liutprando morì pochi mesi più tardi e il suo successore Ratchis stipulò con il governo bizantino una pace generale che assicurò qualche anno di tranquillità in Italia. Ci si chiede a che titolo Zaccaria prendesse queste iniziative diplomatiche senza precedenti, mettendo la sua autorità religiosa al servizio dell’impero per supplire alla sua debolezza militare e politica in Italia.

Bisogna però ricordare che vescovi e arcivescovi erano funzionari dell’impero, oltre che pastori religiosi, e nelle emergenze potevano svolgere attività amministrativa e politica a tutela delle popolazioni locali. Le missioni di Zaccaria presso Liutprando si svolsero infatti in pieno accordo con le autorità bizantine, l’esarco di Ravenna, il duca di Roma, nell’intento condiviso e conseguito di ristabilire la sovranità imperiale nelle terre occupate dai Longobardi, ma soprattutto l’intervento in difesa di Ravenna, fuori del territorio romano e semmai affidato alla tutela dell’arcivescovo di Ravenna, mostra che l’autorità del papa aveva assunto una rilevanza generale in difesa del sistema bizantino in Italia.

Anche l’imperatore Costantino V riconobbe il ruolo svolto da Zaccaria in quelle emergenze.

All’inizio del pontificato vi era stato un grave incidente diplomatico: inviati papali presenti a Costantinopoli avevano riconosciuto come imperatore legittimo Artavasdo, un potente generale che nel 742 con un pronunciamento militare aveva costretto alla fuga Costantino, già imperatore in carica. Zaccaria aveva confermato il riconoscimento, forse anche perché Artavasdo aveva dato segni di voler ristabilire il culto delle immagini. Tuttavia quando, l’anno successivo, Costantino recuperò il potere, l’incidente venne composto senza lasciare strascichi.

Il papa riconobbe Costantino come imperatore legittimo e questi donò alla Chiesa di Roma due grandi latifondi imperiali, Ninfa e Norma, prospicienti la pianura pontina, e forse diede disposizioni perché la legislazione iconoclasta non venisse applicata in Italia. Certo a Roma si continuarono a produrre immagini sacre e a decorare con esse le chiese, anche sotto il patronato diretto del papa. La sostanziale lealtà verso l’impero non impedì a Zaccaria di riconsiderare la sua posizione in Roma e di rendere manifesta nello stesso assetto monumentale della città l’autorità, anche politica, che il Papato stava acquistando nel governo dell’Italia bizantina.

Il Liber pontificalis, riportando i fatti principali della sua vita, mette in rilievo i lavori che promosse nel complesso dei palazzi lateranensi contigui alla basilica costantiniana del Salvatore, dove avevano sede il patriarchio, cioè il complesso degli uffici della Chiesa romana, e la stessa residenza dei papi.

Zaccaria vi fece costruire un triclinio, cioè una sala di rappresentanza, rivestita di marmi e decorata con mosaici e pitture, destinata alle cerimonie papali che non avevano natura cultuale. Trasformò inoltre l’ingresso al complesso dei palazzi, facendo costruire un portico e una torre che sovrastava la porta principale, chiusa da ante e cancelli di bronzo. Sopra la porta venne posta una grande immagine del Salvatore. La torre aveva un piano superiore in cui venne ricavato un secondo triclinio con le aperture protette da cancelli di bronzo. Questo ingresso monumentale aveva un riscontro preciso nella Chalké, l’entrata principale dei palazzi imperiali di Costantinopoli. La circostanza, sicuramente non casuale, date anche le informazioni che attraverso i suoi inviati Zaccaria aveva sulla città imperiale, suggerisce che egli intendesse rendere la residenza papale confrontabile con quella imperiale almeno sul piano dei significati simbolici delle architetture. In particolare l’immagine di Cristo sulla porta era un riferimento diretto all’edificio imperiale. Infatti anche la Chalké era ornata da una immagine di Cristo, e il primo gesto pubblico con cui l’impero aveva dato inizio all’iconoclastia era stata la sua rimozione, per sostituirla con una nuda croce. Recuperando l’originaria decorazione della porta, Zaccaria ristabiliva a Roma la corretta consacrazione dell’ingresso alla sede del potere.

Il Liber pontificalis inquadra la costruzione dei nuovi edifici in un vasto programma di restauro e rinnovamento dell’intero complesso palaziale, che il papa avrebbe trovato in grave stato di degrado. Questa notizia è stata messa in relazione con l’iniziativa di un papa precedente, Giovanni VII, che agli inizi del secolo aveva trasferito la sua residenza sul Palatino. Si è ipotizzato che colà fosse rimasta la sede papale appunto fino a Zaccaria, che avrebbe deciso di riportarla in Laterano, rinnovandone ed esaltandone il prestigio, anche per distinguere l’accresciuta autorità del papa nei confronti dei rappresentanti del governo imperiale che avevano la residenza ufficiale nel palazzo imperiale sul Palatino.

Durante i lavori in Laterano venne rinvenuto quello che il Liber pontificalis definisce un grande tesoro: la testa del martire Giorgio, in una teca dove era anche un cartiglio scritto in greco che attestava l’identità della reliquia. Il rinvenimento fu considerato un chiaro segno dell’approvazione divina e Zaccaria lo pubblicizzò, ordinando una grandiosa processione con cui fece portare la reliquia nella chiesa della diaconia già dedicata a s. Giorgio, dove venne esposta al culto dei fedeli.

A Roma Zaccaria si preoccupò anche dell’approvvigionamento delle istituzioni ecclesiastiche locali, pregiudicato dalla confisca, da parte degli imperatori, delle vaste proprietà che la Chiesa romana aveva in Sicilia, da cui essa traeva rendite sia in denaro sia in natura. Per supplire a rifornimenti divenuti più costosi o più difficili Zaccaria creò nel territorio circostante Roma una serie di grandi aziende agricole, le domuscultae, che a differenza degli altri patrimoni della Chiesa non vennero date in affitto, ma furono gestite direttamente dall’amministrazione papale, riservando la produzione al consumo della casa papale e di altri uffici ecclesiastici o di istituzioni dedicate all’assistenza dei bisognosi. Tra queste le diaconie, di recente istituzione a Roma, che godettero del patronato papale. In una di esse, S. Maria Antiqua al Foro, Zaccaria venne raffigurato in un grande pannello devozionale. Sfortunatamente il deterioramento dell’affresco impedisce di riconoscere i suoi tratti fisionomici.

Gli orizzonti politici e pastorali di Zaccaria non furono comunque limitati alle questioni locali e alle relazioni con i Longobardi e con l’impero bizantino. Il Liber pontificalis riferisce che nel triclinio della torre di ingresso al Laterano Zaccaria fece raffigurare l’orbe terracqueo, corredando l’immagine con didascalie illustrative. Questa scelta non era solo capriccio decorativo o espressione di curiosità dotta; era piuttosto la rappresentazione visiva dell’orizzonte in cui il papa inscriveva la sua missione.

Zaccaria era persona di ricca cultura e aveva consapevolezza della complessità del mondo. Tra l’altro tradusse personalmente dal latino in greco i Dialoghi di Gregorio Magno, per renderli fruibili ai fedeli di lingua greca, che erano numerosi in Roma. Era avvertito della rinascente aggressività dei Paesi islamici nel Mediterraneo e dei traffici che mercanti avventurieri allacciavano con essi, esportandovi schiavi dai paesi cristiani; un’attività che cercò di reprimere, anche se con modesto successo. Ma l’attenzione pastorale e politica di Zaccaria era anche rivolta all’Europa continentale egemonizzata dai Franchi, dove era ancora in corso la grande azione di evangelizzazione e di espansione della Chiesa intrapresa già negli anni Venti del secolo dal monaco anglosassone Winfrid, che aveva predicato in Frisia, Turingia, Assia, convertendo le popolazioni e istituendovi monasteri e vescovati, creando una nuova Chiesa in Germania. Winfrid aveva condotto quest’azione in costante rapporto con i papi predecessori di Zaccaria, dai quali aveva ricevuto il nome cristiano di Bonifacio e i poteri di arcivescovo e poi di legato papale anche per la Gallia e la Baviera.

Durante il pontificato di Zaccaria, Bonifacio si dedicò a un’azione di riforma e riorganizzazione della Chiesa nel regno dei Franchi, dove la disciplina e la moralità del clero erano gravemente compromesse dalla forte commistione con i poteri laici e sopravvivevano costumi tradizionali in contrasto con la norma cristiana. Anche per questa azione Bonifacio si tenne in rapporto con il papa chiedendogli ripetutamente chiarimenti e istruzioni su diversi punti della legislazione canonica e della prassi liturgica. Zaccaria corrispose in pieno a queste sollecitazioni che riconoscevano il ruolo della Chiesa di Roma come depositaria della tradizione evangelica e patristica in materia di dottrina e di culto e come punto di convergenza della rinnovata Chiesa continentale.

All’interno del regno franco l’azione riformatrice di Bonifacio era sostenuta dai due fratelli Pipino e Carlomanno, capi della potente famiglia aristocratica arnolfingio-carolingia, che attraverso la carica di maestri di palazzo esercitava un controllo effettivo del regno in nome del re Childerico III, discendente della dinastia regia dei Merovingi, ormai del tutto priva di potere e di prestigio. La riorganizzazione della Chiesa del regno sotto il loro patronato e il loro controllo rappresentava per i due principi uno strumento di rafforzamento del potere, oltre che, probabilmente, la manifestazione di un sentimento religioso reale, anche se contaminato da ragioni politiche. Anch’essi si rivolsero a Zaccaria, chiedendo direttive in materie come l’autorità dei vescovi, il matrimonio dei chierici, la reclusione delle donne consacrate, i divieti matrimoniali, le penitenze canoniche, che non rientravano propriamente nelle finalità di un governo laico; e Zaccaria rispose, riconoscendo di fatto l’autorità che esercitavano nel regno dei Franchi anche per quanto riguardava l’organizzazione e il funzionamento delle istituzioni ecclesiastiche.

Negli ultimi anni di pontificato Zaccaria conseguì straordinari riconoscimenti del prestigio morale che la Sede apostolica aveva acquistato tra i principi dell’Occidente. Alla fine del 747 Carlomanno, uno dei due maestri di palazzo franchi, rinunziò alla posizione di potere che aveva nel regno, per motivi che restano oscuri, si recò a Roma dove chiese al papa la consacrazione ecclesiastica e si fece monaco. Zaccaria gli affidò il monastero di S. Andrea al monte Soratte, che costituiva una tappa fondamentale per i pellegrini franchi che si recavano a Roma a visitare le tombe dei martiri. Due anni più tardi il re longobardo Ratchis seguì la stessa strada e rinunziando al regno si recò a Roma dove anch’egli fu consacrato chierico e fatto monaco da Zaccaria, che lo inviò al monastero di Montecassino.

La rinuncia era stata preceduta da un episodio poco chiaro. Ratchis aveva rotto la pace con l’impero mettendo l’assedio a Perugia. Zaccaria aveva ripreso la strategia del confronto diretto, recandosi a Perugia e inducendo il re a togliere l’assedio e, probabilmente, a rinunciare al regno.

Nel 751 Zaccaria colse un ulteriore successo nel suo rapporto con i potenti del tempo. Il maestro di palazzo Pipino, rimasto unico detentore del potere politico e militare nel regno dei Franchi dopo la rinunzia del fratello, aveva inviato al papa il vescovo Burcardo di Worms e il cappellano palatino Fulrado con un quesito che trasportava l’autorità giuridica e morale del papa dal piano ecclesiastico a un piano eminentemente politico. Al papa era richiesto di dare il parere della Sede apostolica sulla legittimità di una sostituzione dell’impotente re merovingio con chi deteneva realmente il potere nel regno, cioè con lo stesso Pipino. Zaccaria rispose che vi era un ordine delle cose, per cui era meglio che avesse nome di re chi esercitava il potere piuttosto di colui che ne era privo. Questo responso legittimò il colpo di Stato con cui nel novembre del 751 Pipino depose Childerico III e si proclamò re dei Franchi.

Il pronunciamento papale è ricordato solo da fonti franche, che però concordano proprio sul riferimento all’‘ordine’ come principio oggettivo di giudizio, e il consenso, più o meno esplicito, di Zaccaria all’usurpazione è confermato dallo stretto collegamento che si creò da allora tra la nuova dinastia regia dei Franchi e il papato, e che avrebbe manifestato il suo peso politico nei decenni successivi.

Infatti l’abdicazione di Ratchis aveva riaperto la questione longobarda, perché gli era succeduto il fratello Astolfo, animato da programmi politici nuovamente aggressivi nei confronti del governo bizantino. Nella primavera del 751 Astolfo invase l’Esarcato e conquistò Ravenna, dove si insediò proclamandosi sovrano della popolazione locale. Questa volta Zaccaria, probabilmente già avanti nell’età, non ebbe la possibilità di intervenire. Morì infatti pochimesi più tardi, il 15 marzo 752, lasciando in eredità ai successori la connessione franca che si sarebbe rivelata decisiva per l’evoluzione del potere politico dei papi.

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