CLEMENTE III, papa

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 26 (1982)

CLEMENTE III, papa

Jurgen Petersohn

Poco si sa della vita, dell'attività e della carriera ecclesiastica di Paolo Scolari prima della sua elevazione al pontificato col nome di Clemente III. Apparteneva a una famiglia romana del rione Pigna, di elevato livello sociale ma non aristocratica, che viveva in agiate condizioni economiche, ma non si era ancora distinta nella storia della città. Suo padre era Giovanni Scolari, della madre si conosce solo il nome, Maria. Non è comprovata dalle fonti l'ipotesi, avanzata spesso in passato, che gli Scolari fossero imparentati con la famiglia di Innocenzo III. Bambino, Paolo fu affidato all'educazione dei canonici di S. Maria Maggiore, dove egli stesso più tardi diventò chierico.

Nulla si sa di eventuali studi universitari del giovane Paolo, che è ricordato per la prima volta in un documento del 1176 come suddiacono della Chiesa romana e arciprete di S. Maria Maggiore. Alessandro III nel 1179 lochiamò nel Collegio cardinalizio, dove inizialmente è ricordato con il titolo dei SS. Sergio e Bacco. Già alla fine del 1180 il papa lo promosse cardinale vescovo di Palestrina. Senza essersi distinto in precedenza per legazioni o missioni politiche, lo Scolari, allora gia molto avanti negli anni, fu tra i candidati più quotati del conclave riunitosi dopo la morte di Urbano III (20 ott. 1187). Morto di lì a poco il nuovo papa Gregorio VIII, egli fu eletto suo successore il 19 dic. 1187 a Pisa, senza aver potuto partecipare all'elezione impedito da malattia. Secondo fonti attendibili, l'uomo di fiducia della corte imperiale nell'afistocrazia romana, Leone de Monumento - che già prima aveva avuto incarico da Enrico VI di ricondurre a Roma Gregorio VIII - avrebbe esercitato un'influenza decisiva sulla scelta dello Scolari. L'elezione di un romano alla cattedra di S. Pietro garantiva la prosecuzione degli importanti obiettivi politici ed ecclesiastici che si era posto il suo predecessore: la riconciliazione della Curia con il Senato e il popolo di Roma, la conclusione della pace definitiva con l'Impero, accordo tra gli Stati europei, presupposto indispensabile per una nuova crociata.

Già nel febbraio del 1188, due mesi dopo la sua elezione, C. III, accompagnato da Leone de Monumento, poté rientrare a Roma, accolto onorevolmente dalla popolazione. Sin dal marzo del 1182, quando Lucio III era stato cacciato dalla città, i papi avevano dovuto trasferire altrove la loro residenza, all'interno e fuori dello Stato della Chiesa. Il ritorno a Roma fu reso possibile da dettagliati accordi con il Senato, il quale il 31 maggio ratificò ufficialmente il concordato con Clemente III.

La pace del 1188 non fu una vittoria né del papa né del popolo di Roma; si trattava di un compromesso che comportava vantaggi e rinunce per ambedue le parti. Il Senato riconobbe di nuovo la sovranità del papa sulla città restituendogli quasi totalmente le regalie, le entrate e i possedimenti che aveva sottratto alla Chiesa all'interno e al di fuori di Roma. Il Senato si impegnò inoltre a prestare annualmente giuramento di fedeltà e di pace al papa, e dette precise garanzie per la sicurezza della Curia e dei suoi visitatori. Dal canto suo il papa concesse ai Romani l'autonomia comunale e permise loro - facendo salvi i diritti della Chiesa romana sulla città e i suoi abitanti - di distruggere le fortificazioni della nemica città di Tuscolo, impegnandosi anche a sostenere i Romani in questa loro impresa con armi spirituali e militari. La clausola relativa a Tuscolo era stata una delle condizioni più importanti poste dai Romani nel corso delle trattative con C. III, durante il pontificato del quale Tuscolo non venne però conquistata. Inoltre il papa promise il pagamento dei soliti contributi finanziari per i senatori e i funzionari cittadini e di una somma annuale per la manutenzione delle mura romane. Con una serie di accordi separati concesse a singoli romani risarcimenti in denaro per i danni subiti durante i conflitti con Lucio III. Il trattato del 1188 è considerato giustamente una pietra miliare nei rapporti tra il Comune di Roma e il Papato. Dopo lotte decennali, cominciate con la sollevazione del 1143, il Papato riconosceva definitivamente il Senato come organo del popolo romano. Per il Papato il trattato mise fine al secondo grande esilio verificatosi dopo lo scisma alessandrino.

Dopo intense trattative negli anni 1188-89, durante le quali Leone de Monumento svolse di nuovo un ruolo importante come uomo di fiducia di entrambe le parti, C. III poteva comporre anche i contrasti più importanti con l'Impero. Nella pace conclusa nella primavera del 1189 il papa si impegnò a procedere, già prima della morte del padre Federico Barbarossa, all'incoronagione imperiale di Enrico VI, precedentemente rifiutata decisamente sia da Lucio III sia da Urbano III, destituì l'arcivescovo di Treviri, Folmar, avversario di Federico Barbarossa, consacrato da Urbano III, in modo che, dopo la rinuncia del candidato imperiale, era diventata possibile una nuova elezione in conformità con le disposizioni del concordato di Worms. In compenso l'imperatore si impegnava a intraprendere una nuova crociata e a restituire al Papato le terre pontificie occupate da Enrico VI nel 1186, ad eccezione dei possedimenti di Matilde e di altri, contestati, nell'Italia centrale. In realtà però la restituzione fu attuata con sostanziose limitazioni: nel relativo diploma rilasciato da Enrico VI il 3 apr. 1189 a Strasburgo, il re riservò all'Impero ampi diritti sul Patrimonio e nel Patrimonio ("tam de proprietate quam de possessione"), affermando con ciò ufficialmente che le terre ecclesiastiche facevano parte dell'Impero.

Data la situazione politica generale, europea e italiana in particolare, C. III si vide costretto ad accettare il trattato nonostante le condizioni negative che conteneva per il Papato. D'altra parte, come romano di nascita, egli dovette preferire all'esilio dei suoi predecessori il ritorno alla sede tradizionale della Curia che gli avrebbe offerto la possibilità di iniziare, da una posizione di vantaggio, la riorganizzazione dello Stato della Chiesa, malgrado le limitazioni giuridiche imposte.

Tuttavia, già nel 1189 si prospettava un nuovo conflitto con l'Impero, causato questa volta dal problema della successione nel Regno di Sicilia. Dopo la morte senza eredi di Guglielmo II (novembre 1189) Enrico VI rivendicava per sé il trono normanno, sia come marito di Costanza, figlia di Ruggero II e zia dunque di Guglielmo II, sia in base al diritto imperiale, ma non era disposto a riconoscere la sovranità feudale della Chiesa sul Regno. Questo rifiuto e il pericolo di un accerchiamento dello Stato della Chiesa al momento dell'unificazione della Sicilia con gli altri possedimenti imperiali in Italia minacciavano di limitare in modo insopportabile l'indipendenza del Papato. Era perciò naturale che C. III, il quale già nel 1188 aveva obbligato Guglielmo II a riconoscere per sé e per i propri eredi la sovranità feudale della Chiesa, abbia sostenuto le rivendicazioni di un candidato locale, il conte Tancredi di Lecce (gennaio 1190), discendente da un ramo collaterale della casa d'Altavilla. Tuttavia il papa non si pronunciò ufficialmente per lui ed esitò a investirlo del Regno.

Per mandare avanti il progetto di crociata, C. III lanciò appelli alla Cristianità e mandò legati nei vari paesi con l'incarico di propagarla. Il cardinale vescovo di Albano, Enrico, legato già al tempodi Gregorio VIII e l'arcivescovo Joscius di Tiro, un ottimo conoscitore della situazione in Terrasanta, furono inviati in Francia, nelle Fiandre e in Germania per predicarla e per mediare nei vari conflitti. La domenica di "Laetare" (27 marzo) 1188 Federico Barbarossa prese solennemente la croce, insieme con numerosi principi, prelati e cavalieri dell'Impero, e nella primavera 1189 si mise in viaggio da Ratisbona per raggiungere l'Asia minore per la via di terra. Era invece molto più difficile creare i presupposti politici per la partecipazione del re di Francia e d'Inghilterra. Negli anni 1187, 1189, e 1189 i cardinali legati Enrico di Albano e Giovanni di S. Marco si adoperarono instancabilmente in lunghe trattative per raggiungere un accordo tra i due re, come anche tra re Enrico II d'Inghilterra e suo figlio Riccardo.

Filippo II Augusto di Francia e Riccardo I d'Inghilterra iniziarono la crociata soltanto nel luglio del 1190. I loro rapporti con C. III rimanevano però piuttosto freddi. È indicativo che Riccardo Cuor di Leone, durante il suo viaggio a Messina, declinò l'invito di visitare il papa a Roma.

Anche in Italia C. III promosse varie iniziative di pacificazione per liberare il potenziale militare delle città e dei principi italiani a favore della crociata. Proseguì nei tentativi, avviati dal suo predecessore Gregorio VIII, di trovare una soluzione nel conflitto tra Pisa e Genova, col risultato che, grazie alla mediazione pontificia, nel 1188 poté essere conclusa la pace ufficiale tra i due Comuni. Nel gennaio 1189 legati pontifici mediarono la pace tra Parma e Piacenza e i loro rispettivi alleati. Il papa riponeva grandi speranze nei crociati toscani e fu certamente suo merito personale se persino dei nobili romani parteciparono alla crociata. Nel 1189 il fratello del prefetto dell'Urbe Teobaldo di Vico e un membro della famiglia Pierleoni gli scrissero una lettera dalla Terrasanta in cui gli riferivano sui combattimenti contro Saladino. Ma per assicurare un successo sicuro e durevole all'azione per la riconquista della Terrasanta, il papa cercò di coinvolgere anche altre potenze, oltre quelle tradizionali dell'Europa occidentale. Verso la fine del 1188 si rivolse all'imperatore bizantino Isacco II Angelo sollecitandolo ad appoggiare l'impresa degli occidentali, e l'anno successivo invitò il principe Leope dell'Armenia minore e il "Katholikòs" degli Armeni a dare il loro sostegno alla lotta contro gli infedeli.

Ma accanto alla difesa della Cristianità nei confronti dell'Islam, C. III non perdeva d'occhio la missione in altre parti dell'Europa, in particolare nei territori baltici. Nel 1188 mise alle dirette dipendenze della S. Sede il vescovato missionario di Kammin (Kamien in Pomerania) rivendicato come suffraganeo sia da Magdeburgo sia da Gnesen (Gniezno); mentre riconobbe la diocesi di Uexküll in Livonia, retta da Mainardo, sottoposta alla Chiesa metropolitana di Amburgo-Brema. Con particolare cura, poi, il papa si preoccupò dell'organizzazione ecclesiastica nei territori spagnoli riconquistati agli Arabi; l'immunità della Chiesa scozzese dalla giurisdizione dell'arcivescovo di York, che gli viene attribuita, è opera invece del suo successore Celestino III.

Non è possibile attribuire a C. III una politica di riforma nel senso specifico. Continuò l'opera di centralizzazione amministrativa, perfezionando soprattutto l'istituto della delega della giustizia, che applicò di frequente. D'altra parte, nell'interesse di compiti più importanti, cercò di limitare gli appelli alla S. Sede in cause di minore rilievo. Elevò alla dignità cardinalizia vari membri di famiglie romane (Capocci, Bobone, Malabranca, Cenci) e nel 1190 anche il nipote Niccolò, cui assegnò il titolo diaconale di S. Maria in Cosmedin. Altri suoi nipoti ottennero beni ipotecari e feudali a Lariano presso Velletri. Ma a differenza di altri papi, C. III non fu il fondatore della fortuna della sua famiglia. Dopo la sua morte gli Scolari non si distinsero più particolarmente nella storia di Roma.

Durante il pontificato di C. III furono celebrati quattro processi di canonizzazione, un numero ragguardevole, se si considera la breve durata del suo regno. Le procedure seguite in questi processi sono particolarmente interessanti dal punto di vista canonico. In due casi - in quello del danese Kjeld (Kettil) di Viborg (1188) e in quello del vescovo Ottone I di Bamberga (1189) - C. III delegò "auctoritate apostolica" ai titolari dei vescovati di cui erano originari i santi la definizione del giudizio conclusivo sul processo e la proclamazione della canonizzazione, applicando l'istituto della "canonizatio in forma commissoria", utilizzata per la prima volta da Urbano II nel 1097 0 1099 in occasione della canonizzazione di Nicola Peregrino di Trani, e nel 1163, in una forma più perfezionata, da Alessandro III, quando Tommaso Becket chiese la canonizzazione del suo predecessore, l'arcivescovo Anselmo di Canterbury. Nel caso di Stefano di Muret, fondatore dell'Ordine di Grandinont (1189), C. III effettuò personalmente la canonizzazione, ma incaricò un legato, il cardinale prete Giovanni di S. Marco, di pubblicarla e di procedere alla traslazione. La canonizzazione dell'arcivescovo irlandese Malachia O'Morgair nel 1190 fu invece interamente effettuata da C. III a Roma, È merito suo di aver definito meglio la procedura processuale, senza però ancora riservare esclusivamente al papa il diritto di canonizzazione. I suoi successori non si servirono però più della canonizzazione per delega, utilizzata tanto volentieri da Clemente III.

Valendosi delle prerogative del magistero pontificio, il papa ordinò nel 1188 a Gioacchino da Fiore (il quale sembra aver avuto un atteggiamento abbastanza critico nei suoi confronti) di sottoporre al suo esame e giudizio le due opere Liber concordie Novi et Veteris Testamenti e la Expositio in Apocalypsim. Analogamente nel 1191 incaricò l'arcivescovo Guido di Sens di fare esaminare da una commissione di dotti gli scritti teologici del magister cisterciense inglese Radulfo Niger.

Sebbene avesse una buona preparazione giuridica, C. III non sembra aver scritto opere. Durante il suo pontificato si cominciò ad utilizzare la raccolta di Graziano per argomentare le sentenze emesse dalla Curia. Per il resto, la parte delle decretali dovuta a lui e minore di quanto si fosse ritenuto in precedenza: come risulta dalla Collectio Seguntina molte delle decretali attribuite a C. III sono invece opera del suo successore Celestino III.

C. III sembra aver favorito le arti e promosso attività architettoniche. Quando era cardinale vescovo di Palestrina fece erigere a proprie spese un palazzo nelle vicinanze di S. Maria Maggiore, destinato anche ai suoi successori in questa dignità. Secondo notizie posteriori, non del tutto sicure ma probabili, C. III avrebbe fatto ricostruire il chiostro di S. Lorenzo fuori le Mura, ampliato e decorato il palazzo e la basilica del Laterano e fatto erigere una fontana davanti alla statua equestre di Marco Aurelio.

Il giudizio espresso su di lui da contemporanei e posteri non può esser considerato proprio positivo. I monaci di Christ Church a Canterbury, che per anni furono impegnati davanti alla Curia in un processo contro il loro arcivescovo, gli rimproveravano volubilità, avidità di danaro e corruzione. Il denaro infatti sembra aver avuto un certo peso nella politica di questo papa. Si dice che Riccardo I d'Inghilterra lo abbia identificato apertamente con l'Anticristo che, secondo Gioacchino da Fiore, già allora sarebbe vissuto a Roma. In effetti, con il pontificato di C. III ricominciò in tutta Europa un'aspra critica nei confronti della Curia romana, e non si può negare che gli interessi di C. III si incentrassero soprattutto su questioni finanziarie e amministrative. Ma bisogna tener presente anche la situazione in cui si trovava: l'accordo con i Romani aveva comportato per il Papato gravi oneri finanziari; il Patrimonio era economicamentein rovina, politicamente limitato, in ogni modo dal potere imperiale. Così, C. III cominciò subito dopo la sua elezione a riformare l'assetto amministrativo della Curia; già a Pisa rinnovò l'antico ordinamento per il palazzo lateranense. Poco dopo l'elevazione al trono pontificio assunse al suo servizio Cencio Camerario, il quale con la compilazione del Liber censuum avrebbe dato un contributo essenziale alla successiva riorganizzazione del Patrimonio e che collaborò alla raccolta dei diritti finanziari pontifici nella Chiesa universale. Nonostante le riserve critiche nei suoi confronti, lo storico deve riconoscere a C. III il merito di aver indirizzato la politica pontificia, malgrado la posizione di partenza poco favorevole (con l'accordo con i Romani e l'Impero da un lato, la difesa della sovranità feudale sulla Sicilia dall'altro), nei binari dai quali più tardi Innocenzo III poteva iniziare la grande opera di restaurazione della potenza giuridica e politica del Papato.

Non è possibile precisare il giorno di morte di C. III: le fonti indicano date tra il 20 marzo e il 10 apr. 1195. Il papa, di salute spesso cagionevole, morì prima di poter incoronare imperatore Enrico VI e la moglie Costanza gia accampati a nord di Roma, alla fine di marzo o ai primi di aprile (forse effettivamente il 28 marzo indicato dal Necrologio di Montecassino). La soluzione dei pressanti problemi, sollevati dalla spedizione siciliana di Enrico VI e dalla richiesta dei Romani per Tuscolo, era dunque riservata al suo successore Celestino III, il pontefice eletto poco tempo dopo la sua morte. C. III fu sepolto al centro della basilica lateranense davanti al coro dei canonici. Il sepolcro in marmo che gli fu eretto non è conservato.

Fonti e Bibl.: Le principali fonti narrative per il pontificato di C. III furono raccolte da I. M. Watterich, Pontificum Romanorum vitae, II, Lipsiae 1862, pp. 693-707. Ulteriori notizie offrono soprattutto le Epistolae Cantuarienses. Letters of the Prior and Convent of Christ Church,Canterbury,from 1187 to 1199, in Chronicles and Memorials of the Reign of Richard I, II, a cura di W. Stubbs, in Rer. Britann. Medii Aevi Script., XXXVIII, 2, London 1865; Anonymus Zwetlensis, Historia Roman. pont., in B. Pez, Thesaurus anecdot. novissimus, I, 3, Wien 1721, coll. 394 ss.; I necrologi cassinesi, a cura di M. Inguanez, I, Roma 1941, tav. 285r. Documenti per il periodo precedente al pontif. di C. III si trovano in G. Ferri, Le carte dell'Arch. Liberiano dal sec. X al XV, in Arch. della R. Soc. romana di storia patria, XXVII (1904), nn. 21 s. L'accordo con il Senato romano (1188) è pubblicato nell'edizione migliore da F. Bartoloni, Codice diplom. del Senato Romano dal 1144 al 1347, I, Roma 1948, n. 42; i documenti relativi alla pace con l'Impero del 1189, in Mon. Germ. Hist., Legum Sectio IV, I, a cura di L. Weiland, Hannoverae 1893, nn. 322 ss. I privilegi, le lettere e le decretali di C. III si trovano in J.-P. Migne, Patr. Lat., CCIV, coll. 1275-1506. Un quadro complessivo del materiale documentario in Ph. Jaffé-S. Loewenfeld, Regesta Pontificum Romanorum, II, Lipsiae 1888, pp. 536-576, 727, 770; ad esso si deve aggiungere il materiale raccolto in Italia pontificia e Germania pontificia, nonché nei lavori preparatori e nelle ediz. di Papsturkunden in Frankreich, ... in England, ... in Spanien,in den Niederlanden ecc. e nelle aggiunte successive di W. Holtzmann, F. Bartoloni, R. Volpini e altri (su tutto cfr. L. Santifaller, Neuere Editionen mittelalterlicher Königs- und Papsturkunden, Wien 1958; P. Rabikauskas, Diplomatica pontificia, Roma 1972, pp. 8 s.). Lavori complessivi sul pontificato di C. III, oltre alle storie generali del Papato, sono J. Geyer, Papst Klemens III. (1187-1191), Bonn 1914; J. Haller, Heinrich VI. und die römische Kirche, in Mitteil. des Instituts für österreich. Geschichtsforschung, XXXV (1914), pp. 450 ss., 545 ss.; K. Wenck, Die römischen Päpste zwischen Alexander III. und Innocenz III. und der Designationsversuch Weihnachten 1197, in Papsttum und Kaisertum. P. Kehr zum 65. Geburtstag dargebracht, München1926, pp. 432 ss.; P. Zerbi, Papato,Impero e "Respublica christiana" dal 1187 al 1198, Milano 1955, pp. 9-62; R. Foreville, Clément III, in Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclésiastiques, XII, Paris 1953, coll. 1096-1109; P. Partner, The Lands of St. Peter, London 1972, pp. 219 ss.; G. Baaken, Unio regni ad Imperium, in Quellen und Forsch. aus italienischen Archiven und Bibliotheken, LII (1972), pp. 267 ss. Questioni e aspetti particolari: C. III e i Romani: P. Brezzi, Roma e l'Impero medioevale, Bologna 1947, pp. 371 ss.; H. Hoffmann, Petrus Diaconus,die Herren von Tusculum und der Sturz Oderisius' II von Montecassino, in Deutsches Archiv, XXVII (1971), pp. 52 ss.; J. Petersohn, Der Vertrag des Römischen Senats mit Papst Clemens III. (1188) und das Pactum Friedrich Barbarossas mit den Römern (1167), in Mitteil. des Instituts für österreich. Geschichtsforschung, LXXXII (1974), pp. 289-337; Id., Kaiser,Papst und praefectura Urbis zwischen Alexander III. und Innocenz III., in Quellen und Forschungen aus italienische Archiven und Bibliotheken, LX (1980), pp. 159 ss., 164, 168, 175 ss. Legati e cardinali: I. Friedlaender, Die päpstl. Legaten in Deutschland und Italien am Ende des XII. Jahrhunderts (1181-1198), Berlin 1928, pp. 45 ss.; H. Tillmann, Ricerche sull'origine dei membri del Collegio cardinalizio nel XII sec., in Riv. di st. della Chiesa in Italia, XXIX (1975), pp. 370 s., 378 ss. Decretali di C. III: W. Holtzmann, Die Benutzung Gratians in der päpstlichen Kanzlei im 12. Jahrhundert, in Studia Gratiana, I (1953), pp. 323-49; Id., La "Collectio Seguntina" et les décrétales de Clément III et de Célestin III, in Revue d'histoire ecclésiastique, L (1955), pp. 400-53. Canonizzazioni operate da C. III: E. W. Kemp, Canonization and authority in the Western Church, Oxford 1948, pp. 95 ss.; J. Schlafke, De competentia in causis sanctorum decernendi a primis post Christum natum saeculis usque ad annum 1234, tesi di laurea, Pont. Athenaeum Angelicum, anno acc. 1961, pp. 72 ss., 114 ss.; J. Petersolin, Die päpstliche Kanonisationsdelegation des 11. und 12. Jahrhunderts, in Proceedings of the Fourth International Congress of Medieval Canon Law, Città del Vaticano 1976, pp. 172 ss. Altre questioni: A. Mundò, Lettera ined. di C. III ai crociati toscani (1188), in Riv. di st. della Chiesa in Italia, XIII (1959), pp. 289-92; H. Grundmann, Neue Forschungen über Joachim von Fiore, Marburg 1950, pp. 48 ss., 61 s.; M. Reeves, The influence of prophecy in the later Middle Ages. A study in Joachimism, Oxford 1969, ad Indicem. Architettura e sepolcro: G. Rohault de Fleury, Le Latran au Moyen Age, Paris 1877, pp. 148 ss.; Giuseppe da Bra, S. Lorenzo fuori le Mura, Roma 1952, pp. 114 ss.; R. U. Montini, Il sepolcreto papale del Laterano, in Studi romani, I (1953), p. 261; Id., Le tombe dei papi, Roma 1957, p. 208.

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