ALESSANDRO VI, papa

Enciclopedia Italiana (1929)

ALESSANDRO VI, papa (Rodrigo de Boria y Doms, Rodrigo Borgia)

Giovanni Battista Picotti

Nacque fra il 1431 e il 1434, pare il 1° gennaio 1431, a Xátiva presso Valenza nel regno d'Aragona, da Jofré de Boria y Doms, nobile cittadino (v. borgia, famiglia), e da Isabella, sorella di Alonso, che fu poi papa Callisto III. Ebbe dallo zio, vescovo di Valenza, benefici ecclesiastici; ma la fortuna sua cominciò con l'elevazione di quello alla tiara (8 aprile 1455). Rodrigo, che era in Italia già da più anni, probabilmente dal 1449, e, prima discepolo a Roma di Gaspare da Verona, era poi stato inviato a studiar diritto canonico a Bologna, fu creato allora protonotario apostolico (15 maggio 1455) e, poco appresso, cardinale (20 febbraio 1456), ed ebbe l'uffizio assai elevato e lucroso di vicecancelliere della Chiesa (1° maggio 1457). Anche dopo la morte di Callisto, ch'egli assistette coraggiosamente fino all'ultimo, in mezzo al tumulto di Roma, Rodrigo rimase tra i più autorevoli personaggi della curia, e poté acquistare straordinarie ricchezze per il cumulo dei benefici ecclesiastici: tra i quali l'abbazia di Subiaco (1471), di cui egli fece ricostruire la fortezza a sue spese. Sotto il pontificato di Sisto IV, il Borgia fu legato nella Spagna per la crociata (1472-73) e rese notevoli servigi alla futura fortuna della sua nazione, contribuendo a rendere più favorevoli gli Spagnoli all'unione fra la corona di Castiglia e quella d'Aragona. Egli acquistò così, oltre alla dottrina nel diritto canonico, grande esperienza dell'amministrazione della curia e dei negozî politici. Alle doti singolari del corpo e dello spirito e alla distinzione dei modi aggiunse lo splendore di cui egli, d'abitudini personalmente modeste, amò circondarsi nel palazzo magnifico che s'era fatto erigere presso Campo di Fiore, oggi palazzo Sforza-Cesarini. Un contemporaneo lo dipinge "bello, di volto lietissimo e di aspetto giocondo, di lingua ornata e melliflua" (Gaspare da Verona, De gestis Pauli I, in Rer. italic. script., n. ed., III, 16, p. 39). Ma già nel 1459 il mantovano Schivenoglia lo diceva "de uno aspeto de fare ogne malo" (Cron. di Mantova, in Racc. di cronisti e dec. stor. lomb., II, Milano 1857, p. 137). Infatti la natura appassionata e sensuale lo trascinò a una vita dissoluta e viziosa. Fin dal 1460, Pio II doveva infatti ammonire il giovane cardinale per il suo contegno scorrettissimo, affatto sconveniente a un ecclesiastico. Ma le ammonizioni non valsero e neppure il volgere degli anni bastò a correggere Rodrigo. Questi ebbe nel periodo del suo cardinalato, forse da più donne, numerosi figliuoli, dei quali più famosi i nati da Vannozza Catanei romana: Giovanni, Cesare, Lucrezia, Jofré (v. Borgia, famiglia; Cesare; Lucrezia).

Il Borgia era sembrato vicinissimo alla tiara già nel conclave del 1484. Strettosi poi con Ascanio Sforza, fu il candidato di questo nel conclave del 1492, e, guadagnati alla sua causa, non senza simonia, parecchi cardinali, fu eletto pontefice (11 agosto 1492). L'elezione di lui fu una vittoria di Ascanio Sforza e di Lodovico il Moro e diede cruccio segreto ai loro avversarî, Ferrante d'Aragona e Piero de' Medici; ma, nell'apparenza, l'elezione dell'uomo intelligente ed esperto fu accolta con gioia e gl'inizi del pontificato diedero liete speranze d'amministrazione più oculata e più rigida, di più severa giustizia, di zelo per la guerra santa, persino di riforma della Chiesa. Ma la vita privata di A. non fu migliore di quella del cardinale Rodrigo. Egli aveva già, forse da un anno, relazione con Giulia Farnese, la bellissima romana moglie di Orsino Orsini, dalla quale era nata nei primi mesi una figliuola, Laura; e la relazione continuò palesemente nel pontificato. Forse da altre donne ebbe, pontefice, altri figliuoli. Certo nella narrazione di aneddoti sconci e in molte accuse, come quella d'incesto (a cui gli storici più accreditati non prestano fede) hanno grande parte l'animo malevolo e la fantasia dei contemporanei. Ma quel che rimane indubbiamente vero basta a giustificare pienamente il severo, ormai definitivo giudizio della storia sulla persona del papa. Si ricordi la sua mancanza di ogni ritegno, per cui i figliuoli furono pubblicamente e fin con bolle riconosciuti, e a Lucrezia fu lasciata, durante brevi assenze di A., l'amministrazione del palazzo papale e degli affari politici; il nepotismo sfrenato, per cui di congiunti del Borgia fu popolata la curia, e ben sei ebbero il cappello cardinalizio; l'avidità di danaro, cresciuta paurosamente negli ultimi anni per le necessità delle imprese del Valentino. La "carnalità", poi, del pontefice, come solevano dire, cioè il grande affetto ai figliuoli, lo trascinò a immischiarsi nelle brighe politiche, assai più che non gli fosse imposto dalla duplice condizione sua di capo della Chiesa e di principe italiano. Ma nell'azione politica egli si mostrò dapprima incerto e facile a volgersi ad opposti consigli; "el papa - scriveva nel 1494 l'oratore estense Pandolfo Collenuccio - non sole esser de ferro" (cfr. Arch. Soc. rom. di storia patria, XXXIII, 1910, p. 399).

Debitore dell'elezione agli Sforza; sospettoso di Giuliano della Rovere, principalissimo avversario suo nel conclave; irritato con Ferrante re di Napoli e con Piero de' Medici, soprattutto per la vendita che Franceschetto Cibo, cognato di Piero, aveva fatta dei castelli di Cervetri e dell'Anguillara a Virginio Orsini soldato del re e fautore di Giuliano; il papa stette dapprima con i Milanesi, conchiuse lega con questi e i Veneziani (25 aprile 1493), diede Lucrezia in isposa a Giovanni Sforza signore di Pesaro (12 giugno 1493). Si sospettò anche, ma con incerto fondamento, che favorisse i maneggi del Moro con la corte francese e incitasse Carlo VIII a discendere in Italia. Nel luglio e nell'agosto del 1493 A. si riconciliò invece col re di Napoli, con l'Orsini, col Della Rovere, assicurando il re e i Fiorentini contro qualsiasi potenza "tanto citramontana quanto ultramontana"; e sposò il figlio Jofré a Sancia nipote del re. Nel settembre il papa si riavvicinò ad Ascanio Sforza, per render possibile la creazione cardinalizia che allora fece. Vi furono compresi Cesare Borgia, Ippolito d'Este, Alessandro Farnese, fratello della Giulia, il futuro Paolo III. Poco appresso tentò di pacificare Ferrante e il Moro, protestando di voler opporre alle ambizioni francesi l'unione degli stati italiani, perché "quantunque fussi ultramontano, non amava manco la Italia che qualunque altro signore italico" (Archivio di stato di Firenze: Medici avanti il principato, L, V, 161). Innanzi alla discesa di Carlo VIII, ormai sicura, A. spiega azione piuttosto risoluta, tenta di dissuadere il re, di ottenere il concorso di Venezia, della Spagna, e, con novissimo esempio, perfino dei Turchi. In ultimo, si allea con Alfonso II di Napoli (14 luglio 1494). Ma, al solito, nell'ora decisiva appare titubante e pauroso: lesina soccorsi di danari e uomini, non si sa guadagnare Giovanni Bentivoglio, che domina da Bologna una delle vie dell'invasione, non difende Piero de' Medici. Fino a che, occupata Ostia dai Colonna, ribelli in Roma gli Orsini, malfido il popolo, A. apre la città ai Francesi (27 dicembre 1494) e, minacciato egli stesso in Castel S. Angelo, accetta i patti durissimi del vincitore. Dopo la conquista francese del regno di Napoli, il papa si stringe in lega con Venezia, con la Spagna, con l'Impero, con lo Sforza (31 marzo 1495). Ma la lega né impedì il passaggio del re per Roma, donde il papa si era ritratto ad Orvieto, né poté trattenere i Francesi a Fornovo, sulla via del ritorno (6 luglio). Del crollo successivo della potenza francese in Italia il papa tenta di giovarsi per annientare i riottosi baroni romani, dichiara confiscati i beni degli Orsini e muove guerra contro di loro (1496); ma, battuti i pontifici presso Soriano (25 gennaio 1497), è costretto a restituire i castelli conquistati.

Fin qui la politica papale era stata fiacca e poco fortunata; la condizione stessa del pontefice non era, in Roma, sicura. La misteriosa uccisione del duca di Candia, figliuolo maggiore di A. (14 giugno 1497), lo scandaloso scioglimento del matrimonio di Lucrezia con Giovanni Sforza, la condotta licenziosa del papa e dei cardinali davano credito alle voci più gravi e più strane; il largo favore ai Catalani offendeva e irritava il popolo; perfino i vecchi nemici, gli Orsini e i Colonna, deponendo gli odî antichi, si univano contro il toro borgiano. Fuori di Roma sonava minacciosa la voce di fra' Girolamo Savonarola, che, flagellando i vizî del clero e del popolo cristiano, additava nella curia la fonte stessa della corruzione. A. tentò di farla tacere col divieto di predicazione (8 settembre 1495), forse con la lusinga del cappello cardinalizio. Ma il Savonarola respinse le lusinghe e trasgredì il divieto, anzi ardì dichiarare invalida la stessa scomunica della quale il papa lo aveva colpito (13 maggio 1497) e s'adoperò alla convocazione di un concilio contro il papa "simoniaco, eretico ed infedele". Il pontefice che, pure sdegnato per l'offesa all'autorità sua e per la tenace fedele del Savonarola all'amicizia con la Francia, aveva usato anche in quest'affare molta prudenza e quasi timidità, nonostante l'aperta ribellione del frate contro la sentenza di scomunica, ordinò che fra' Girolamo si recasse a Roma per esservi giudicato. Tutto questo incoraggiava i nemici che il Savonarola aveva in Firenze: questi assalirono il convento, ebbero fra le mani il frate, che poi dalla signoria fu condannato a morte e consegnato al carnefice (23 maggio 1498).

Ma intanto la politica di A. assumeva un carattere tutto diverso. La tragica morte del figliuolo suo prediletto gli aveva dapprima ispirato propositi di riformare sé stesso e la Chiesa e di attendere alla pace e alla salute d'Italia, che parvero e poterono essere sinceri. Una commissione di cardinali preparò una bolla, che gettava le basi della futura riforma cattolica. Ma la bolla non fu pubblicata: le buone intenzioni erano già svanite; e l'uomo fin qui "timido e suspeso" cadde presto in balia d'altro uomo dallo sguardo lucido e fermo, dalla ferrea volontà, dalla coscienza priva di ogni senso morale, di quel suo Cesare, che A. amava, ma forse temeva ancora più (v. borgia, cesare). Non senza riluttanza, egli aveva consentito a Cesare di deporre la dignità cardinalizia (17 agosto 1498); ma voleva ora a ogni costo dargli uno stato. La condotta del papa è ancora, per tutto il 1498, incerta e contraddittoria: egli dissuade il nuovo re di Francia Luigi XII da una nuova impresa in Italia e lo stimola a volgersi contro i Turchi (giugno 1498); tratta per un matrimonio di Cesare con Carlotta d'Aragona, figlia di Federico re di Napoli; dà Lucrezia in isposa ad Alfonso duca di Bisceglie, figlio naturale del re Alfonso II (21 luglio 1498). Ma, insieme, conchiude con Luigi XII un accordo, in cui si allude alla possibilità di una impresa nel regno, e gli concede dispensa, perché, ove sia dichiarato da apposita commissione invalido il suo matrimonio precedente, egli possa sposare Anna di Bretagna vedova del suo predecessore (13 settembre 1498): le quali nozze sono necessarie per il consolidamento della monarchia francese e per i disegni futuri del re. Cesare stesso, il nuovo duca Valentino, è mandato in Francia a portare al re il breve di dispensa. Forse neppure Cesare aveva ancora trovato la sua via; certo rimanevano nel pontefice spagnolo riluttanza e timore di staccarsi dall'amicizia aragonese e d'assecondare le pericolose ambizioni di Francia. Ma, quando Cesare s'è legato in tutto con questa, il papa stesso appare francese e festeggia la conquista di Milano, mentre il re copre col suo nome la prima impresa di Cesare Borgia in Romagna. Ormai la politica del papa è quella del Valentino, che ne è "lo obieto e subieto" (Sanuto, Diarî, II, 826). E, se il papa sembra ancora tentennare qualche volta, Cesare, con l'uccisione del duca di Bisceglie (18 agosto 1500), tronca ogni possibilità che egli, o per la debolezza nativa o per lo amore grande a Lucrezia, ritorni mai più all'amicizia aragonese.

Frattanto il papa ha dichiarato decaduti dai loro feudi, sotto pretesto di violazione degli obblighi feudali, i signori di Romagna e della Marca, contro i quali si susseguono rapide le imprese di Cesare. La creazione cardinalizia del 28 settembre 1500, il grande giubileo di quell'anno, forse il danaro della crociata forniscono i mezzi. Il papa crea Cesare prima vicario (9 marzo 1500), poi duca di Romagna (maggio 1501): per cui la più ricca provincia dello stato ecclesiastico è sottratta bensì alle opposte ambizioni dei Fiorentini, dei Veneziani, dei Milanesi, ma è anche divenuta dominio personale dei Borgia. Poi, sotto la pressione di Cesare, A. abbandona la tradizionale politica del papato di non consentire lo stabilirsi di alcuna grande potenza nel regno di Napoli. E, mentre gli stranieri conquistano il regno, il papa priva dei beni, come aderenti loro, i Colonna e i Savelli, e ne investe fanciulli di casa Borgia. Il terzo matrimonio di Lucrezia con Alfonso, figlio del duca di Ferrara (30 dicembre 1501), mentre procura un nuovo appoggio ai disegni di Cesare, lascia questo padrone indisputato dell'animo di A. e dello Stato Pontificio. Cesare s'impadronisce del ducato di Urbino e dei feudi di Camerino, manda alla morte col "bellissimo inganno" di Senigallia i condottieri malfidi, mentre il papa in Roma si sbarazza degli Orsini (gennaio-febbraio 1503). E per molte morti di cardinali e di prelati ricchissimi, che seguono rapidamente in Roma, la voce pubblica, talora forse con ragione, come nel caso del cardinale Michiel (10-11 aprile 1503), altre volte a torto, discorre di veleno dei Borgia, i quali a ogni modo, confiscando i beni di quei morti, accrescono le loro ricchezze, come le accrescono con la vendita di cappelli cardinalizî (31 maggio 1503) e di nuovi posti di curia. E già Cesare guarda al dominio della Toscana e forse a meta anche più alta, quando la morte del papa ne interrompe i disegni ambiziosi.

Scarsa, in mezzo a tanti maneggi politici, l'attività religiosa di A.; e tuttavia, non trascurabile. Contro i Turchi, che minacciavano l'Ungheria e la Polonia, toglievano a Venezia le ultime sue colonie nella penisola balcanica e invadevano lo stesso Friuli, il papa tentò una lega fra i principi cristiani, pubblicò (4 febbraio 1501) una bolla per la crociata, mandò legati, riscosse danaro di decime e d'indulgenze e largì soccorsi; ma non trovò ascolto nei principi e nei popoli cristiani, trattenuti fors'anche dal sospetto che la crociata potesse servire a coprire altri disegni. Alessandro favorì anche gli ordini religiosi, le missioni, gl'istituti di pubblica beneficenza; difese i privilegi della Chiesa e lottò contro eretici e marrani, pur essendo tollerante per ragioni politiche e per interessi economici con gli Ebrei; emanò per la Germania un decreto che sottoponeva la stampa alla censura ecclesiastica (1° giugno 1501), primo decreto in siffatta materia. La purezza della sua dottrina religiosa non fu mai messa in dubbio seriamente. Il rispetto, poi, che la dignità di Pietro riscoteva ancora, pure nella persona di un indegno successore, appare dall'enorme concorso di pellegrini al giubileo indetto per il 1500, nonostante la guerra, la peste, la poca sicurezza di Roma. E meglio era apparsa dal ricorrere della Spagna al pontefice per definire l'assegnazione delle nuove terre scoperte da Colombo, quando il papa segnò (4 maggio 1493) la linea di confine fra la sfera d'interessi spagnoli e portoghesi; primo trattato per il dominio del nuovo mondo.

A. fu amante della cultura e diede favore a umanisti famosi, Pomponio Leto, Scipione Carteromaco, Giovanni Lascaris, Adriano Castellesi, Lorenzo Behaim, Lodovico Podocataro; ma, non senza danno per l'italianità, protesse largamente i Catalani, odiatissimi dai nostri. Più fece per l'edilizia cittadina e per l'arte: fu terminata da lui la via Alessandrina (Borgo Nuovo); ridotto a fortezza, sotto la direzione di Antonio da Sangallo, Castel S. Angelo e fattine ornare gli appartamenti dal Pinturicchio, terminata la loggia per le benedizioni in S. Pietro e ricostruito il soffitto di S. Maria Maggiore, adornato, secondo la tradizione, con l'oro d'America. Ma il nome del Borgia è soprattutto legato a quel suo appartamento del Vaticano, ornato dal Pinturicchio (1492-95) con ricchezza di decorazioni, con ardito accostamento di soggetti sacri e profani, con riproduzioni felici della splendida vita della corte borgiana. In uno di questi affreschi è genuflesso, innanzi al Redentore risorto, il pontefice. Ma le sale hanno insieme alcun che di fastoso e di tetro, come tutto il pontificato del Borgia.

Si chiuse questo, inattesamente, con la morte, che colpì il pontefice il 18 agosto 1503, mentre pareva nella migliore salute e nel grado più alto della potenza. Cesare in quei giorni stessi era infermo. E furono, la morte e la malattia, attribuite a veleno bevuto forse per errore, in una cena nella villa del cardinale di Corneto. Ma la voce non è appoggiata a serio fondamento: i due Borgia, secondo ogni probabilità, avevano contratto febbre malarica, e A., che soffriva di sincopi frequenti, morì d'apoplessia. Il cadavere, orribile a vedersi, fu esposto in S. Pietro dietro una grata e sepolto senza onore a S. Maria delle Febbri. E solo nel 1610 fu trasportato nella chiesa spagnola di S. Maria di Monserrato, ove rimase quasi dimenticato, fino a che, nel 1889, ebbe decoro di tomba. Alessandro appare, sotto ogni rispetto, minore della fama che lo circonda. Quanto ai costumi, non si distinse da quel che era trista abitudine di uomini e principi del tempo suo; e, se destarono e destano maggiore ripugnanza, è soprattutto per la considerazione dell'ufficio altissimo che egli tenne non degnamente. Né si distinse A. per gesta religiose e per singolare mecenatismo e per idealità politiche elevate. L'orma impressa durante il suo pontificato nella storia d'Italia è di Cesare, piuttosto che sua. Rimane a lui, in qualche parte, il vanto dell'audacia fortunata del figliuolo; rimane a lui intero il biasimo del danno arrecato alla curia romana, la quale, lui pontefice, scese così in basso che, senz'aiuto provvidenziale, pareva non si potesse rilevare mai più.

Fra le fonti edite sono principalissime: G. Burckard, Liber notarum, in Rer. italic. script., nuova ediz., XXXII, 1, che dev'essere però usato con maggior cautela che non si soglia; A. Giustinian, Dispani, ed. Villari, Firenze 1885; Marin Sanuto, Diarî.

Bibl.: La letteratura su A. VI è immensa. Una trattazione ampia e serena è quella di L. v. Pastor, Storia dei Papi, III (trad. ital., Roma 1912), dove sono ricordati e sfruttati tutti gli studî precedenti; delle opere che seguirono alla 4ª ed., tedesca del Pastor merita ricordo quella di L. Geiger, Alexander VI und sein Hof, 10ª ed., Stoccarda 1920. Per alcune notizie, soprattutto sul conclave e sui primi anni del pontificato, v. G. Picotti, La giovinezza di Leone X, Milano 1928. Il volume di G. Portigliotti, I Borgia, Milano 1921, ha assai scarso valore, soprattutto per la sua singolare disinvoltura nell'uso delle fonti. L'opera assai ampia di P. De Roo, Material for a History of pope Alexandre VI, his relatives and his time, 5 voll. Bruges 1924, ha il merito di far conoscere molti documenti nuovi e di richiamare l'attenzione su qualche problema ancora insoluto; ma tenta, oscillando fra l'ingenuità e l'ipercritica, una riabilitazione dei Borgia, priva di ogni serietà.

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