Vitelli, Paolo

Enciclopedia machiavelliana (2014)

Vitelli, Paolo

Michele Lodone

Figlio di Niccolò, capitano di ventura, nacque a Città di Castello nel 1461, e fin da giovane fu coinvolto nelle contese che agitavano la città. Nel 1494 si pose al seguito del re di Francia Carlo VIII, e con il suo consenso sostenne Pisa nella guerra contro Firenze; condottiero ormai rinomato, insieme al fratello Vitellozzo (→) militò quindi, in maniera discontinua, al servizio dei fiorentini, riconciliatisi con il re di Francia. Ai primi di giugno del 1498 fu inviato contro Pisa, con il titolo di capitano generale; in occasione della nomina, Marcello Virgilio Adriani (→) tenne l’orazione Pro eligendo imperatore exercitus Paullo Vitellio. Nonostante cadessero in rapida successione Buti, Vicopisano e Ripafratta, la meticolosa ma lenta strategia di V., volta ad accerchiare e isolare Pisa, era lungi dal soddisfare i fiorentini, che – esasperati dal prolungarsi del conflitto – pagavano a V. una condotta dispendiosa e si aspettavano una vittoria rapida e tempestiva, obiettivamente improbabile (Pieri 1952, pp. 372-77; Mallett 1974, trad. it. 1983, pp. 252-53). Allontanatosi da Pisa per cacciare dal Casentino i veneziani, allora sostenitori di Piero de’ Medici, V. riuscì agevolmente nell’impresa; non riscosse tuttavia particolare approvazione a Firenze, dove soprattutto la fazione popolana – favorevole a Ranuccio da Marciano, suo rivale – l’aveva in odio (Tommasini 1883, pp. 147-60). Ritornato con ingenti forze sul fronte occidentale (giugno 1499), espugnò rapidamente Cascina, e il 1° agosto cinse d’assedio Pisa. Dieci giorni dopo conquistò la rocca di Stampace, ma esitò a sferrare l’attacco decisivo, dando ai pisani il tempo di correre ai ripari e di ricevere rinforzi da Lucca. Persa l’occasione, e con l’esercito stremato dalla malaria, decise di togliere il campo. Tra i fiorentini si rafforzarono i sospetti di tradimento, serpeggianti da tempo. Richiamato a Cascina, il 28 settembre V. fu arrestato e tradotto a Firenze (mentre Vitellozzo riuscì a fuggire). Nonostante non avesse confessato il proprio tradimento neppure sotto tortura, né tra le sue carte se ne fosse trovata alcuna prova, tre giorni dopo fu condannato a morte e decapitato. «Si consigliò che chi non era da pigliare non era da lasciare», commentò all’epoca Piero Parenti (P. di M. Parenti, Storia fiorentina, a cura di A. Matucci, 2° vol., 2005, p. 304); il che non toglie che la maggioranza dei fiorentini restasse convinta della ‘fellonia’ del condottiero (cfr., per es., le vivaci pagine di Piero Vaglienti, Storia dei suoi tempi, 1492-1514, a cura di G. Berti, M. Luzzati, E. Tongiorgi, 1982, pp. 81, 85, 90).

Tra le eccezioni (cfr. almeno Francesco Guicciardini, Storie fiorentine dal 1378 al 1509, a cura di A. Montevecchi, 2006, pp. 309-14), pare non si possa annoverare M., il quale peraltro fu qualcosa più che un diretto spettatore della vicenda. Di sua mano, infatti, sono alcuni dei dispacci dei Dieci che portarono all’arresto di V. (Chiappelli 1984; ma cfr. anche gli appunti autografi di M., in Opere storiche, a cura di A. Montevecchi, C. Varotti, 2° vol., 2010, pp. 998 e passim); e pochi giorni dopo l’esecuzione, il 5 ottobre, egli ebbe a difendere la condotta della sua città in una sdegnata lettera «a un cancelliere di Lucca» (Lettere, pp. 19-20). In essa non traspare alcun dubbio sulla «fraude vitellesca»; e, respinta con disprezzo l’accusa di avarizia rivolta al governo fiorentino – che avrebbe eliminato il condottiero per non restituirgli denari presi in prestito – il segretario dei Dieci liquidava il comportamento di V. come meritevole in ogni caso (o per corruzione o per incapacità) di «infinito castigo». La stessa certezza sul tradimento del condottiero torna nel primo Decennale (vv. 229-31); mentre nel Principe (xii 22) M. non accenna alla questione, limitandosi a presentare il fallimento militare di V. come una fortuna per le istituzioni fiorentine che in caso di vittoria del capitano avrebbero verosimilmente dovuto fronteggiare un suo tentativo di insignorirsi della città.

Bibliografia: A. Fabretti, Paolo Vitelli da Città di Castello, in Biografie dei capitani venturieri dell’Umbria, 3° vol., Montepulciano 1844, pp. 71-87; O. Tommasini, La vita e gli scritti di Niccolò Machiavelli nella loro relazione col machiavellismo, 1° vol., Torino-Roma 1883 (rist. anast. Bologna 1994); G. Nicasi, La famiglia Vitelli di Città di Castello e la Repubblica fiorentina fino al 1504, 2 voll., Perugia 1916; P. Pieri, Il Rinascimento e la crisi militare italiana, Torino 19522; R. Ridolfi, Vita di Niccolò Machiavelli, Roma 1954, Firenze 1978, pp. 46-48; L. Martines, Lawyers and statecraft in Renaissance Florence, Princeton (N.J.) 1968, pp. 433-35; M. Mallett, Mercenaries and their masters. Warfare in Renaissance Italy, London 1974 (trad. it. Bologna 1983); F. Chiappelli, Guicciardini, Machiavelli e il caso di Paolo, «Annali d’italianistica», 1984, 2, pp. 53-62.

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