SOLERI, Paolo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 93 (2018)

SOLERI, Paolo

Antonietta Iolanda Lima

– Nacque a Torino il 21 giugno 1919, dalla madre, Pia, ereditò la frugalità e la metodica; dal padre, Emilio, proprietario di una piccola fabbrica di componenti elettrici in ceramica, la propensione ai lunghi silenzi e a estesi spazi di meditazione, l’amore per la natura, l’antifascismo (per i nomi dei genitori cfr. Bernstein, 2013). Dopo la scuola d’arte industriale frequentata a Grenoble, e dopo il rientro a Torino, è documentata nel 1933, con domanda del 14 giugno insieme alla sorella Maria, la sua iscrizione al liceo artistico, cui seguì l’iscrizione al Politecnico. Con il regime e con la guerra, che sfibrava persino il ricordo di una città geneticamente propulsiva, furono anni difficili anche per professori e studenti.

Pur definendosi autodidatta fino al 1942, la laurea nel febbraio del 1946 ebbe esito brillante. Con una tesi incentrata sul rinnovamento urbano della capitale sabauda, Soleri concludeva la prima fase di un processo sulla ricerca della forma e della sua sintesi, esplicitato da migliaia di disegni la cui qualità era talmente elevata da stupire gli stessi docenti. Abitavano già in lui tre importanti valori: quello del paesaggio nel suo ineludibile intreccio di natura e neonatura, quello dell’immenso valore estetico che può generare l’architettura se creativamente ed eticamente strutturata, e come tale congruente all’interno del sistema ecologico, e quello, infine, del fenomeno città, le cui imprescindibili forze di coesione sono socialità e cultura. Sin da subito aveva compreso il nerbo costitutivo del razionalismo, ma Frank Lloyd Wright era ancora estraneo all’insegnamento universitario. Con la scoperta dell’architetto statunitense attraverso un piccolo opuscolo sulla Scuola di architettura a Taliesin West, arrivò la decisione immediata di frequentarne gli insegnamenti. Nel suo pensiero c’erano già i fermenti di un approccio olistico che lo aveva condotto a concepire l’architettura come teoria sul mondo, al pari della scienza. Ne erano stati nutrimento lo studio e il confronto con scrittori e filosofi: Jonathan Swift, Jules Verne e Emilio Salgari i primi, e poi Giacomo Leopardi, Friedrich Nietzsche, Benedetto Croce, Lionello Venturi, Paul Valéry, insieme alla nobiltà intellettuale di alcuni suoi diretti insegnanti interni alla disciplina dell’architettura: Giovanni Muzio, Ottorino Aloisio, Mario Passanti, Teonesto Deabate. Le Corbusier, infine, sollecitazione di riflessione critica ininterrotta congiuntamente ad altri intellettuali e ad alcuni fra i grandi musicisti, Mozart, Bach, Beethoven, ma anche Brahms e Mahler. Essi nutrirono, come lui stesso più volte ricordava agli amici, i semi fondanti della sua visione e ragione architettonica.

Questo il ricco bagaglio con il quale Soleri viaggiava verso un mondo ignoto, e per questo nuovo. Il 31 novembre del 1946 gli donava l’incanto in lontananza del paesaggio fatto di luce di Manhattan. Lo descriveva e disegnava nei fogli del suo taccuino, dove, nel catturare la successiva immagine di New York con i suoi simboli iconici in rapidi schizzi inchiostrati, coglieva con piacere l’energia derivante dal percepire quella meta come fenomeno urbano.

L’apprendistato di poco più di un anno – dal 18 aprile 1947 al settembre del 1948 – presso Wright gli consentì di prendere coscienza della sua innata propensione all’architettura organica, stimolandolo ad avviare una continua e meditata attività di pensiero che mano a mano, relazionandola alla dimensione del cosmo, ne risemantizzava gli stessi concetti fondativi. Nel testimoniare un talento immaginativo che lo aveva reso presto emergente all’interno della scuola fondata dal grande architetto statunitense, della quale questi era unico e rigoroso maestro, il suo The Beast, progetto di un ponte in cemento armato precompresso, talmente nuovo da rendere obsoleto quello di Wright, suscitò l’attenzione di una studiosa, Elisabeth Mock, che, lavorando al MoMa (Museum of Modern Art) di New York a un libro su ponti disegnati da architetti, ne colse subito l’innovativa bellezza strutturale e formale, pubblicandolo conseguentemente (Architecture of bridges, New York 1949, pp. 114 s.).

Lasciata Taliesin West, la sosta di poco più di un anno alle pendici del monte Camelback, nel versante settentrionale della Paradise valley, sempre in Arizona, sosta libera da condizionamenti ma permeata da ulteriori importanti arricchimenti di pensiero, dette avvio ai disegni delle case arizoniane, splendide strutture narrative travalicanti, pur evocandola, la matrice wrightiana, nel sondare, in dialogo con il clima e il suo variare nell’arco delle stagioni, il fuori e il dentro della terra. Nel deserto di Cave Creek, frugale per costo e materiali, prevalentemente riciclati, la Dome house (1949-50) progettata e realizzata da Soleri su committenza di Leonora Woods, della quale a breve sarebbe diventato genero sposandone la figlia Colly, suscitò l’interesse del MoMa, che ne richiese il modello per una mostra itinerante.

Al suo rientro in Italia nel gennaio del 1950, ci fu una seconda realizzazione, aperta alla stupenda dimensione paesaggistica di Vietri sul Mare: la fabbrica di ceramiche Solimene (1951-54), un capolavoro ancora oggi, disatteso tuttavia da una critica allora appena emergente, e anche da Bruno Zevi, focalizzato su Wright, ma l’unico che avrebbe potuto cogliervi l’anello di congiunzione del razionalismo con la cultura organica.

Convintosi, anche per il sopraggiungere di un’improvvisa alluvione, che non esistevano le condizioni per dare corpo a Convivium e Sciuscella, le residenze studiate per la costiera amalfitana, né per sviluppare altri progetti, nel 1954 Soleri, con la moglie, decise il ritorno definitivo negli USA, seguito dall’acquisto di un appezzamento di cinque acri nel paesaggio sconfinato della Paradise valley prossimo al centro urbano di Phoenix, per lui esempio di degrado umano e sociale.

Forte del controllo e della padronanza nella forgiatura dell’argilla acquisiti a Vietri grazie al mestiere di ceramista, con la creazione del lavoro artigianale di produzione e vendita di ceramica Soleri dette avvio alla costruzione di Cosanti, strutturata dall’insieme meditato di botteghe, uffici, residenze, ambienti di studio, le cui spazialità esploravano, in un intreccio sinergico, le potenzialità intrinseche nella millenaria forma dell’abside (a scala ridotta anche tazza in ceramica capovolta). Capovolgendo le consuete fasi costruttive, vi introdusse l’innovativo procedimento del silt casting, un metodo nuovo che si serviva della terra come cassero per il getto cementizio: dalla copertura, unica colata di cemento su un cumulo di terra, sul quale, prima di eliminarla, apponeva disegni e incisioni, alle cavità interne ottenute per sottrazione, alla fondazione, infine.

In poco più di un decennio di lavoro ininterrotto si generò così un continuum architettonico e paesaggistico che, integrando architettura, scultura e pittura, dava concretezza all’obbiettivo di rendere la prima ecologicamente umana. Nel costante e coerente legame tra pensiero e azione, ne è prima testimonianza documentale la genesi degli Sketchbooks – dodici nell’arco della sua lunga vita –, fogli di grandi dimensioni in cui, con schizzi, disegni, appunti ed estese e congruenti riflessioni, Soleri dava corpo teorico illustrato alla poetica della sua complessa concezione. Avendo a fondamento il colloquio, innervato da studio e ricerca continui, con ciò che chiamava potenziali cosmici – sole, acqua, aria, vento –, Soleri intrecciava arte, filosofia, teologia, scienza, e vedendo l’architettura inscindibile dalla città, iniziava ad esplorare con metodologia tentativa, scientifica quindi, le ‘strade’ più consone a risolvere i problemi su «how, where and when» generati dal degrado ambientale. Creò nel tempo migliaia di pagine, la cui singolare bellezza e ricchezza di contenuti le rendeva già allora di grande valore.

In lui elaborazione teorica e sperimentazione progettuale vivevano costantemente insieme alimentandosi a vicenda. Ne era già Cosanti, sin dalle sue prime realizzazioni, rilevante esemplificazione. Prevalentemente sostenuta dalla vendita di oggetti in ceramica e bronzo e da riconoscimenti e borse di studio che via via conferivano università e istituzioni americane, Fondazione nel 1965, successivamente riconosciuta come ‘bene nazionale’ per il suo manifestarsi come vitale centro di sperimentazione, Cosanti confermava in Soleri, il convincimento che la città era il vero argomento dell’architettura. Per quanto stupenda – diceva –, un’orchidea senza foresta non sostiene la vita. La foresta, di lì a breve, nel 1960, veniva proposta in Mesa City, città per due milioni di abitanti in un altopiano arido, il cui cardine era l’autocontenimento attraverso la fertile integrazione di arte, cultura, agricoltura, industria e tecnologia. Negata a passività e spreco, si generava una neonatura, vitalizzata da plurimi villaggi variamente articolati per superficie e densità, disposti ad anello rispetto al ‘Centro degli studi avanzati’, cuore dell’organismo città la cui reintegrazione complessiva era attuata da una trama differenziata di comunicazioni a più livelli. Una diga trasformata in parco ne costituiva l’asse strutturale per quasi tutta la sua lunghezza, 200 km.

Nel riconoscere il carattere innovativo di Soleri, il MoMa ne includeva i disegni nella mostra «Visionary Architecture», in un clima di unanime attenzione della pubblicistica architettonica internazionale verso una personalità il cui versatile talento appariva in sfida ininterrotta e vincente con scale e tematiche diverse. Tra i plurimi progetti di Soleri – case solari (menzione d’onore al concorso internazionale sponsorizzato dall’Association for applied solar energy), teatri, piscine, centri direzionali, sistemazioni paesaggistiche –, ancor più lo dimostravano le magistrali invenzioni di ponti, costante tematica della sua attività progettuale. Nel sondare ‘il come’ connettere parti separate di un ambiente, sia esso natura o neonatura, esse testimoniavano la continuità tra coraggio strutturale e bellezza formale attraverso una creazione che, nel porre insieme intuizione, verifica statica ed estetica in simbiosi con l’etica, si fondava sulla coscienza della dinamica evolutiva del mondo, la cui mancanza rendeva impossibile per Soleri la genesi e lo sviluppo della coscienza ecologica. Si leggeva tutto questo, nel 1969, in Arcology: The city in the image of man, sua prima importante pubblicazione, esito di una ventennale ricerca alimentata dalla feconda sinergia di molteplici saperi e innervata da passione e intransigenza. Strutture insediative tridimensionali a elevata densità, tendenti al massimo risparmio energetico e al minor consumo di suolo, le arcologie, il cui termine subito chiariva ciò che volevano essere – simbiosi tra architettura ed ecologia – postulavano la costruzione di un futuro costruito da una creatività consapevole finalizzata a rispondere al disfacimento degli habitat e alle problematiche delle risorse finite del pianeta. Sollecitavano conseguentemente un punto e a capo, investendo nel profondo concetti e principi consolidati ma non più aderenti al vero processo creativo, quello che per Soleri avrebbe favorito l’interiorizzazione del mondo attraverso la trasformazione della materia in spirito. La lezione di Pierre Teilhard de Chardin (Le phénomène humain, 1955) pulsava prepotentemente in tutto questo, ma in esso c’era anche Le Corbusier, che quattro anni prima, nel 1965, poco prima di morire, sollecitava a «ritrovare la linea che sposa l’asse delle leggi fondamentali: biologia, natura, cosmo» (Opera completa, VIII, 1965, pp. 168-172). Soleri dimostrava quindi di essere il solo a percorrere la nuova strada indicata dal grande architetto ginevrino, attraverso architetture realizzate e non, libri, eventi, conferenze, mostre, tesi tutti a un vivere e a un progettare improntati a una frugalità diffusa, ritenuta collante indispensabile della socialità, che è fondamento di habitat in cui la vita fiorisce.

Gli anni Sessanta furono segnati per Soleri dall’intensificarsi di premi e riconoscimenti: professore associato al College di architettura di Tempe – Università dell’Arizona –, nel 1963 gli venne conferita la Medaglia AIA (Istituto Americano degli Architetti) per la progettazione. Plurime le mostre, e, tra esse, tre le più significative: «Two urbanists: the engineering-architecture of Buckminster Fuller and Paolo Soleri» al Rose art Museum della Brandeis University di Waltham, quella presso l’Arts Center – Fine arts Museum di Tucson promossa dal MOMA e dalla Graham Foundation, e infine «The architectural vision of Paolo Soleri», mostra itinerante inugurata alla Corcoran Gallery of art di Washington, riproposta al Whitney Museum e alla Reese Paley Gallery di New York, all’Università del North Carolina a Chapel Hill, e al Museum of contemporary art di Chicago.

Massima l’attenzione della stampa. Quindi, non soltanto per lui era ormai maturo il nucleo fondativo della sua concezione escatologica, e con esso la metodologia del fare il «più con il meno», il cui seme iniziale, già implicito nella Dome house del 1948, si era costantemente evoluto nel ventennio successivo spingendolo a una nuova sfida. In 223 ettari a Cordes Junction (circa 100 km da Cosanti), dal 1970 in poi, nasceva Arcosanti, unità abitativa per tremila abitanti, alla cui costruzione, nella quale ripropose la forma absidale già sperimentata, parteciparono sin dall’inizio studenti di college e università americane. Verifica del portato teorico e pratico generato da Cosanti, cioè antiutopista per progettazione e contenuto, suo fondamento era il credere nelle potenzialità inespresse dell’individuo e nella seminfinita perfettibilità del processo evolutivo. Pur non escludendo nella sperimentazione il fallimento, Arcosanti voleva essere un laboratorio urbano capace di promuovere la convinzione che con la ricerca e l’azione consapevole, all’interno di un arco temporale che avrebbe certamente interessato molte generazioni, si sarebbero prodotti nuovi e utili modelli operativi per la società, proponendo un rapporto vitale e intenso tra essere umano e realtà cosmica.

La coscienza di matrice eraclidea del continuo divenire, congiunta alla consapevolezza di una crisi ecologica in rapida crescita e a una cultura architettonica che a Soleri appariva irresponsabile, si traduceva in una poetica che, consolidandosi, rivendicava con maggiore forza la frugalità come valore fondamentale del vivere. A livello insediativo il traslato era un habitat strutturato da complessità e miniaturizzazione, per un’umanità spiritualmente integra in una terra ecologicamente sana, vertebrata da coerenza, interdipendenza, ricchezza di senso, precisione tecnica, economia di mezzi e materiali.

Espulsione o ancor più concretamente riduzione massima degli elementi che mortificavano il paesaggio urbano e i suoi abitanti, incidendo negativamente sullo spazio e sul tempo, la frugalità era quindi per Soleri il seme di una società urbana ‘lean’, che dimostrava come ‘il meno’ poteva tradursi ‘nel più’ generato dall’opera di trasformazione creativa dell’essere umano spiritualmente evoluto. Una neonatura non in competizione con la natura, ma che, rispettando se stessa, la rispettava inserendosi armonicamente nel processo evolutivo del cosmo, per assicurare un futuro alla specie umana e all’intero pianeta.

Da prospettive solo apparentemente diverse, due libri – The omega seed (Garden City, N.Y., 1981) e Thecnology e cosmogenesis (New York 1985) – restituivano appieno senso e valore di questa ipotesi: una proposta alternativa e radicale che, oltre a essere metodologia applicativa, si costituiva come categoria interpretativa e critica.

Nel decennio 1975-85 l’impegno maggiore si riversò su un nuovo progetto che verificava i principi della ‘Two suns arcology’, ulteriore passo in avanti di una sperimentazione che intendeva l’architettura come ecologia della natura trasfigurata in ecologia dell’uomo, e la città, nel suo manifestarsi come effetto urbano, come rappresentazione al massimo grado della complessità implicita nella vita e nel mondo.

Come i precedenti, anche questi furono anni caratterizzati da mostre itineranti presso vari musei e università, congiuntamente a lezioni, conferenze, premi e riconoscimenti rilevanti in America e in Europa: medaglia d’oro alla Biennale di architettura di Sophia (Bulgaria), e d’argento per la ricerca e la tecnica dall’Accademia di architettura di Parigi; nomina a membro dell’International Academy of philosophy of art in Svizzera.

Ma la stampa specialistica, superata ormai la fase della cosiddetta primavera ecologica (gli anni Settanta), segnata da un interesse crescente per Soleri, iniziava a relegarlo tra i megastrutturisti e soprattutto nella sfera dei grandi utopici. Ne dava conferma l’inclusione della sua opera, ormai ingente, nella mostra «Utopian visions in modern art: dreams and nightmares» all’Hirshhorn Museum di Washington.

Nel 1985, caduta la tensione a favore del progresso tecnologico, nel pieno del post-modern e del perbenismo mediocre, lo Space for peace di Soleri, presentato al simposio internazionale di architettura Man and space di Vienna, apriva all’attività del successivo ventennio. La declinavano tre grandi progetti nei quali la tecnologia, utilizzata al suo massimo grado di sofisticazione, era antidoto alla distruzione dell’ambiente umano: le arcologie nello spazio cosmico, la cui esplorazione poteva essere «[…] la via più corta per una reale comprensione del miracolo ché la terra e così il viaggio di ritorno su essa  diverrà momento di celebrazione e di rinnovamento. Nella sua grandiosità di suolo, cielo, acqua, clima, flora, fauna e mente, la terra sarà finalmente percepita come la prodigiosa realtà che è. Qualcosa da considerare e amare con sacra gratitudine e reverenza» (cit. in Lima, 2000, p. 341); la creazione di energia pulita da attuare e verificare ad Arcosanti; e, nel 1996, l’Hyper building, arcologia alta 1000 metri, proposta futuribile per la città del terzo millennio, per una coerenza evoluzionistica della cultura umana che aveva nel senso di responsabilità verso il divenire della vita la sua ragione fondativa e il fine ultimo.

Variazioni su un unico tema – quello della linear city – impegnarono gli ultimi anni della sua lunga vita.

Si spense il 9 aprile del 2013 a Cosanti.

Il credo di Paolo Soleri fu professato ininterrottamente contro ogni compromesso al fine di confermare la validità della sua applicazione su quanto egli considerava la più alta manifestazione del «miracoloso prodigio» che, nella «vera» consapevolezza dell’essere, «trasforma l’idrogeno in coscienza» (cit. in Lima, 2000, p. 6). Contro neoliberismo, tecnologia fuori controllo, tecnocrazia, e quant’altro negativizzava i più alti valori della civiltà, egli lo affermò il 17 giugno 2000 davanti all’affollata platea della Biennale di Venezia, quando gli venne dato il Leone d’oro alla carriera. Renzo Piano, anche lui allora insignito dello stesso prestigioso riconoscimento, in un libro a più voci del 2010, nell’augurare affettuosi auguri a Soleri per i suoi 90 anni, scriveva: «per me e per gli architetti della mia generazione è stato una grande spinta allo stesso tempo utopica e realista. Oggi finalmente si capisce quanto la terra sia fragile, ma lui lo aveva capito oltre 50 anni fa. Tutto il nostro lavoro prende da quelle lontane intuizioni e l’opera più recente del mio ufficio, la California Academy of Sciences a San Francisco deve molto a Paolo Soleri» (California Academy of sciences a San Francisco, in Per una architettura come ecologia umana, 2010, p. 176).

Malgrado i premi e riconoscimenti in più parti del mondo, la sua visione, ‘eretica’ oltremodo, andando ben oltre il tempo che egli attraversava, non ha inciso come avrebbe voluto.

Opere. Pubblicazioni: Archivio Soleri, Cosanti Foundation, P. Soleri, Curriculum, dattiloscritto, pp. 2-68 (revisionato il 10 giugno1994; copia in Archivio di A. I. Lima); Arcology: City in the image of man, Cambridge (Mass.) 1970; The skeetcbooks of Paolo Soleri, Cambridge (Mass), 1971; The bridge between matter and spirit is matter becoming spirit, New York 1973; The omega seed: an escatological hypothesis, New York 1981; Thecnology and cosmogenesis, Paragon house, New York 1985; Arcosanti: an urban laboratory?, Santa Monica 1987; Paolo Soleri’s earth casting for sculture models and costrution, Salt Lake City 1984 (con Scott M. Davis); Speace for Peace: a matter of mind, Cosanti Foundation, Scottsdale (Ariz.) 1984; What if? Collected writings 1986-2000, Berkeley (Cal.) 2002;  Itinerario di architettura. Antologia dagli scritti, a cura di K. Ryan, Milano 2003; Lean linear city, in Lean linear city: Arterial arcology, Mayer (Ariz.), 2012, pp. 12-138.

Fonti e Bibl.: Donald Wall, Visionary cities the arcology of P. S., New York 1971; F. Ranocchi, P. S. 1919, Roma 1996; E. Bistagnino - M. Bandettini, Il disegno di una utopia: Arcosanti di P. S., s.l. 1996; A.I. Lima, S. Architettura come ecologia umana, Milano 2000 (con bibliografia; ed. statunitense, New York 2000); Per la sinergia tra uomo e pianeta. Laurea honoris causa a P. S., Palemo 31 ottobre 2001, a cura di A. I. Lima, Palermo 2001; Ri-pensare S., a cura di A.I. Lima, Mlano 2004; P. S. Etica e invenzione urbana (catal.), a cura di S. Suatoni, Milano 2005; L. Spinelli, P. S. Paesaggi tridimensionali, Venezia 2006; Per una architettura come ecologia umana. Studiosi a confronto. Scritti in onore di P. S., a cura di  A.I. Lima, Milano 2010; S. La formazione giovanile, 1933-1946, a cura di A.I. Lima, Palermo 2010 (con bobliografia); F.A. Bernstein, P. S., architect of counterculture, dies at 93, in New York Times, 10 aprile 2013 (https://www.nytimes.com/2013/04/10/arts/paolo-soleri-architect-with-a-vision-dies-at-93.html, 2 ottobre 2019); F. Doglio - P. Tosoni, P. S. Paesaggi energetici. Arcologie in terre marginali, Siracusa 2013.

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