Paolo di Tarso, san

Enciclopedia dei ragazzi (2006)

Paolo di Tarso, san

Raffaele Savigni

L’apostolo delle genti

Cittadino romano di nome Saulo, di famiglia ebraica, perseguitò duramente i cristiani fino a quando, dopo aver avuto una visione, si convertì alla nuova fede. Assunto il nome di Paolo, si dedicò alla diffusione del messaggio cristiano. Ottenne maggiore successo con i cosiddetti gentili, ossia con i pagani, e diventò l’‘apostolo delle genti’.

Ai nuovi fedeli indirizzò 13 lettere per esortarli a perseverare nella fede in Gesù Cristo. Nella sua predicazione mise l’accento sull’importanza della fede, più che delle opere, per ottenere la salvezza

Da persecutore ad apostolo

Come riferiscono gli Atti degli apostoli, la maggior parte degli Ebrei non credette alla resurrezione di Gesù e si oppose pertanto alla predicazione degli apostoli, anche se questi ultimi cercarono inizialmente di evitare una rottura con l’ambiente ebraico.

Saulo, nato a Tarso (Cilicia) all’inizio del 1° secolo da una famiglia ebraica farisea piuttosto benestante, fu uno dei più accaniti avversari della nuova religione. Gli Atti degli apostoli raccontano che partecipò da spettatore all’uccisione di Stefano da parte degli Ebrei, i quali lo avevano giudicato colpevole di bestemmia: coloro che lapidarono Stefano «deposero il loro mantello ai piedi di un giovane, chiamato Saulo [...]. Saulo era fra coloro che approvarono la sua uccisione [...]. Saulo intanto infuriava contro la Chiesa ed entrando nelle case prendeva uomini e donne e li faceva mettere in prigione» (Atti 7, 58 e 8, 1-3).

Saulo si convertì alla nuova fede dopo che, caduto da cavallo sulla strada di Damasco, ebbe una visione nella quale Gesù lo chiamava dicendogli: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». Dopo aver appreso i principi della nuova religione da Anania, si convertì e assunse il nuovo nome di Paolo, diventando un convinto e deciso propagatore del messaggio di Cristo.

Nella Lettera ai Galati Paolo dichiara di avere ricevuto la rivelazione del Vangelo da Cristo stesso, e di essere quindi a pieno titolo un apostolo, con gli stessi compiti degli altri dodici che Gesù aveva nominato durante la sua vita terrena, malgrado si senta indegno per aver perseguitato la Chiesa.

La predicazione

Il centro della predicazione di Paolo era costituito dall’annuncio della morte e resurrezione di Gesù, il cui sacrificio sulla croce sostituiva i riti e i sacrifici dell’Antico Testamento: perciò non soltanto gli Ebrei, ma anche i pagani potevano ottenere la salvezza credendo in Gesù come Salvatore e vivendo una vita nuova in lui, e non più praticando le «opere della legge», ossia i riti previsti dalla legge di Mosè (come la circoncisione, le purificazioni rituali con l’acqua, i sacrifici di animali).

Egli evangelizzò in un primo tempo soprattutto gli Ebrei di lingua greca, predicando il sabato nelle sinagoghe per dimostrare loro che Gesù era il Messia atteso dal popolo d’Israele; ma, dopo aver incontrato forti ostilità tra i membri del suo popolo, si rivolse soprattutto ai pagani, e fondò varie comunità cristiane a Efeso, Mileto, Corinto, Colossi, Filippi e in altre località dell’Asia Minore e della Grecia. A Corinto visse per qualche tempo in casa di Aquila e Priscilla, che come lui erano fabbricanti di tende. In più occasioni Paolo ricorda di avere lavorato con le proprie mani per mantenersi e non pesare economicamente sulla comunità.

Gli altri apostoli (in particolare Giacomo), che rimanevano più legati alle tradizioni ebraiche, continuarono invece a evangelizzare soprattutto gli Ebrei. Paolo predicò anche ad Atene, discutendo con i filosofi, ma di fronte all’annuncio della resurrezione dei morti essi si misero a deriderlo. Perciò egli si rese conto che la conversione degli uomini non dipende dalla forza degli argomenti razionali e delle dimostrazioni logiche, ma dalla potenza dello Spirito; e che l’annuncio cristiano, incentrato sulla figura del Cristo crocefisso, deve fondarsi sulla debolezza della croce.

Le lettere di Paolo e lo sviluppo del cristianesimo

Il confronto con i giudeo-cristiani. La tradizione attribuisce a Paolo la redazione di 14 lettere, indirizzate a diverse comunità cristiane da lui fondate o comunque legate a lui. Una di esse, la Lettera agli Ebrei, è diversa dalle altre per stile e contenuto perché è stata certamente redatta da un altro autore, mentre alcune delle lettere rimanenti sono probabilmente opera di discepoli di Paolo che le tramandarono sotto il suo nome per attribuire a esse maggiore autorevolezza.

Nelle lettere principali (indirizzate ai Romani, a Corinzi, ai Galati) Paolo sottolinea il primato della fede e della grazia divina rispetto alle opere esteriori: la salvezza è dono gratuito di Cristo, e non frutto di una conquista da parte dell’uomo, il quale non può vantare alcun merito di fronte a Dio: «L’uomo non è giustificato dalle opere della legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo» (Galati 2, 16).

Egli si oppose perciò a quei gruppi cristiani ancora legati all’ebraismo (e chiamati giudeo-cristiani) che sostenevano la necessità di circoncidere secondo la legge di Mosè i nuovi venuti alla fede. Per risolvere la questione venne convocato il Concilio di Gerusalemme, nel quale Paolo riuscì a far prevalere, con qualche compromesso pratico, il principio secondo cui è la fede che salva, per cui davanti a Dio non vi è più distinzione tra giudei e pagani.

La missione di Paolo e di Pietro. Nella Lettera ai Galati Paolo appare inoltre consapevole del ruolo di primo piano affidato a lui e a Pietro, incaricati rispettivamente di evangelizzare gli Ebrei e i pagani. Di fronte alla richiesta di circoncidere i pagani convertiti essi assunsero tuttavia posizioni differenti: Pietro era più propenso ad accettarla per non urtare la suscettibilità dei giudeo-cristiani, mentre Paolo ribadiva che tali pratiche non erano necessarie per la salvezza, che dipende soltanto dalla fede nei meriti di Gesù e dalla partecipazione al mistero della sua morte e resurrezione, per cui esse rischiavano di offuscare la centralità di Cristo.

Nella Lettera ai Romani egli manifesta il proprio dolore per la mancata accettazione del Cristo da parte del popolo d’Israele, al quale sente di appartenere, ma anche la speranza nella sua futura conversione; mentre nella Seconda lettera ai Corinzi fa riferimento alle difficoltà incontrate e alle persecuzioni subite: a Damasco sfuggì alla cattura facendosi calare dal muro della città dentro una cesta.

I viaggi

Nelle altre lettere Paolo sviluppa alcune idee centrali del cristianesimo: la concezione della Chiesa come corpo mistico, composto da diverse membra che svolgono compiti differenti (i diversi «ministeri», che corrispondono ai diversi doni dello Spirito Santo, detti anche carismi); il significato dell’Eucaristia come memoriale della morte e resurrezione di Gesù; il primato della carità, che si manifesta anche nell’aiuto materiale offerto ai poveri; la libertà interiore del cristiano, che deve però obbedire alle autorità e alle leggi e vivere «secondo lo Spirito» (ossia secondo la carità di Cristo) e non «secondo la carne» (ossia seguendo gli impulsi egoistici).

Gli Atti degli apostoli descrivono i viaggi missionari di Paolo, e anche l’ultimo viaggio verso Roma, ove giunse, scortato da soldati, per difendersi dalle accuse degli Ebrei davanti al tribunale dell’imperatore. Qui, intorno all’anno 67 d.C., cadde vittima della persecuzione di Nerone: secondo la tradizione egli fu decapitato e non crocefisso, giacché era cittadino romano.

Nell’iconografia s. Paolo è spesso raffigurato con la spada in mano, che rappresenta la parola di Dio, la «spada a due tagli» che consente all’uomo di distinguere il bene e il male.

Insieme a Pietro, Paolo diventò il santo patrono della città di Roma, che gli ha dedicato la basilica di S. Paolo fuori le mura: entrambi furono definiti da papa Leone Magno come i nuovi gemelli di Roma, chiamati a sostituire Romolo e Remo (simboli della Roma pagana) e a rifondare la città in senso cristiano.

Il pensiero di s. Paolo influenzò notevolmente gli sviluppi della teologia cristiana, in particolare la riflessione di s. Agostino, vescovo di Ippona, e quella di Lutero, che hanno affermato il primato della grazia di Dio e della fede rispetto agli atti di culto esteriore e alle ‘opere buone’.

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