DAGOMARI, Paolo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 31 (1985)

DAGOMARI (de' Dagomari, Dugumaro), Paolo (Paolo Dell'Abbaco, Paolo Geometra, Paolo Astrologo, Paolo Arismetra)

Maria Muccillo

Nacque verso la fine del sec. XIII, probabilmente in Toscana, da Piero.

Del C. non si conoscono con certezza né la data né il luogo di nascita. Alcuni lo dicono nato intorno al 1281, ma non viene indicato il documento su cui questa notizia si basa. F. Villani, che lo conobbe, ne fu forse discepolo e lo sentì esaltare da suo zio Giovanni, non fa cenno alla data della sua nascita, ma si limita a dirlo "ex terra Prati oriundus", il che non ci autorizza a ritenerlo nativo di quella città. Prato fu probabilmente terra di origine della nobile famiglia da cui Paolo proveniva. Il Villani, con altri scrittori contemporanei, come ad es. Giovanni da Prato, lo dice appartenente alla nobile stirpe dei Dagomari ("stirpe nobilium de dagomaribus") e il da Prato informa che "fue di generazione antichissima Dogumari nominata, della piacevole terra di Prato"; "Dell'abbaco" sarebbe quindi solo una denominazione volgare derivata dalla disciplina da lui insegnata. Altri, considerando che il nome che compare sulle due cappelle in S. Trinita appartenute al D. non è De' Dagomari, ma Ficozzi, hanno voluto identificare nella famiglia dei Ficozzi la sua casata. Questa obiezione, già considerata non decisiva dallo Ximenes, è stata di recente respinta dal Boffito. Il Mazzuchelli lo dice senz'altro fiorentino. Suo padre era certamente di Firenze, come si specifica appunto nel testamento del D. dove si dice: "Magister Paulus quondam Ser Pieri de Florentia". L'Arrighi, senza indicare le fonti, afferma che il nome di Piero compare anche nel 1334, anno forse della sua morte, fra i componenti della Congregazione spirituale di S. Frediano, nella cui parrocchia, in via Maffia, sembra che il D. abitasse. Secondo lo stesso storico il D. ebbe un fratello, Giovanni, che si trova citato in uno strumento dell'anno 1334 come mallevadore e che nel 1343 ottenne un rinvio di lite da parte del duca d'Atene.

Non abbiamo notizie documentate sulla formazione culturale, sui maestri e sugli studi del Dagomari. Giovanni da Prato che ne Il paradiso degli Alberti attribuisce a Paolo una delle novelle da lui narrate, afferma che "all'arti liberali tutto si diede", ma che fu versato soprattutto in tre di esse, geometria, aritmetica e astrologia. Infatti come geometra e astrologo soprattutto il D. divenne famoso tra i suoi contemporanei. Non abbiamo notizia di un suo insegnamento allo Studio fiorentino; tuttavia è certo che tenne una scuola in una bottega situata di fronte a S. Trinita e con notevole successo, se in un manoscritto della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze (Pluteus XLI, 34, c. 38rv) gli si attribuiscono, seppur con esagerazione, "diecimila scholari optimi et buoni". Fra questi furono certamente Iacopo di Dante, con cui ebbe uno scambio di sonetti, e Antonio dei Mazzinghi da Peretola.

Dall'epistolario del Salutati apprendiamo che come astrologo e geometra egli rese numerosi servigi al Comune fiorentino. Ricordando la figura dell'amico da poco scomparso - la lettera del Salutati a Luigi de' Gianfigliazzi andrebbe, secondo il Novati, collocata pochi giorni dopo la morte del D. - il cancelliere, dopo averne esaltate le virtù morali, aggiunge che a lui si dovette la vittoria di Cascina contro i Pisani, allorché suggerì a Galeotto Malatesta, capitano dei Fiorentini eletto nel 1362, il momento più opportuno per entrare nella città. Solo, continua il Salutati, fra i moderni "defraudatores" della Repubblica "pro re patrie vigilabat" e non esitava "homo scholasticus et quietus" a pernottare sollecito negli accampamenti, in mezzo allo strepito delle trombe e dei soldati. Secondo l'Arrighi, inoltre, il D. figurava come membro nella lega del gonfalone del Drago verde nel 1351 e in un contratto come mallevadore del Comune.

Il marcato impegno civico del D. gli venne riconosciuto allorché nel 1363 fu eletto priore di Firenze, per il quartiere di S. Spirito, nei mesi di maggio e giugno come risulta da numerosi documenti. In seguito non abbiamo altri dati sulla vita del D. se si eccettua il testamento del 1367.

Questo documento, fatto conoscere nel 1743 dal Manni che ne pubblicò un sunto, ha permesso di chiarire definitivamente che Paolo Dagomari, P. Geometra, P. Astrologo e P. Arismetra sono la stessa persona, contrariamente a quanto molti studiosi precedenti erano inclini a pensare. Dal testamento stesoi il 19 febbr. 1366 secondo lo stile fiorentino (Archivio de' contratti di Firenze, lettera D, fascio 75, I, c. 1r) si apprende che il D. dispose che si costruissero due cappelle nella Chiesa di S. Trinita, a fianco dell'altare grande, dedicate l'una a s. Pietro e l'altra a s. Paolo. Nella cappella di destra si doveva erigere un sepolcro di marmo sollevato da terra e "il più onorevole che si potesse", destinato ad ospitare le sue spoglie mortali. Quella di sinistra avrebbe dovuto ricevere in una tomba scavata a terra, le ossa del fratello e quelle dei genitori, che avrebbero dovuto essere li trasferite da S. Spirito, previo pagamento di una somma ai frati di quella chiesa perché consentissero detto trasferimento. Il D. prescriveva anche la costruzione di un ospedale tra Montebuoni e Firenze. Ma la parte più interessante del documento riguarda la destinazione dei suoi numerosi libri di astrologia. Questi volle che fossero sistemati in una cassa "serrata a due serrami" le cui chiavi fossero custodite dai frati della chiesa e dai suoi eredi e "quivi stessero finché non si fosse trovato qualche astrologo bravo fiorentino", considerato tale a giudizio di almeno quattro maestri, cui potessero essere donati.

Questo bravo astrologo fiorentino dovette essere scelto, dato che detti libri non vennero più trovati nella cassa, e andrebbe identificato con Antonio dei Mazzinghi da Peretola che ricevette, come viene detto in un anonimo trattato di aritmetica in volgare (cod. Ottob. 3307 a c. 349) della Biblioteca Vaticana, circa 800 volumi "cholle trombe". Ma la biblioteca del D. non comprendeva soltanto libri di astrologia, bensì anche trattati di medicina che vennero lasciati a due illustri medici, Tommaso del Garbo di Maestro Dino e a un "De Ebena", da identificarsi forse con Benvenuto d'Abano, figlio dei più famoso Pietro. Infine Paolo istituiva erede universale "Pierum q. Bonaccorsi de Florentia qui moratur Ianuae".

Incerta è la data della morte del D., avvenuta probabilmente a Firenze tra il 1373 e il 1374.

Il Villani la poneva nel 1365, ma questa data va considerata certamente erronea visto che un anno dopo il D. fece testamento. Esistono inoltre numerose altre testimonianze che inducono fondatamente a ritenere che egli morisse qualche anno più tardi. Cruciale è, a questo proposito, la testimonianza di Giovanni Boccaccio, che più volte parla del D. nei suoi Genealogie deorum gentilium libri..., composti nel 1373, e in un passo della dedica finale a Ugo IX di Lusignano, principe di Cipro, ricordando il grande affetto dell'illustre personaggio per il D., lo dice ancora vivente. Quasi sicuramente la morte dei D. avvenne a Firenze, tra il 1373 e il 1374, se in un suo poemetto dal titolo La pietosa fonte, scritto per la morte del Petrarca avvenuta nel 1374, Zenone da Pistoia afferma che Paolo era venuto a mancare da poco. Una lapide incisa sulla sua tomba, visibile ancora nel XVII sec., lo celebrava come insigne geometra, astronomo e astrologo; ma non è suo il ritratto fra le pitture delle volte della Galleria dei Medici a Firenze che, come è stato accertato, raffigura invece un altro grande astronomo fiorentino, Paolo Dal Pozzo Toscanelli con cui il D. venne spesso confuso.

Se pochissime sono le notizie sulla vita del D., è invece abbastanza nota la sua produzione letteraria e scientifica. Della prima sono testimonianza una serie di componimenti poetici (sonetti, canzoni, stanze), ora tutti editi, di vario argomento, che mostrano la complessa formazione culturale del D. e i molteplici contatti che, pur sempre nei limiti della cerchia fiorentina, egli ebbe con personaggi della sua epoca. Dei sonetti pervenuti a suo nome soltanto cinque possono essergli sicuramente attribuiti, mentre quelli pubblicati da E. Narducci nella sua edizione Poesie inedite di Paolo Dell'Abbaco (Roma 1864) sono stati, e non senza fondamento, giudicati opera di un altro poeta, Tommaso di Giunta, autore di un poemetto allegorico dal titolo Conciliato d'Amore di cui quei sonetti farebbero parte. In queste composizioni predominano temi di carattere astrologico, che il D. sviluppava in risposta a quesiti postigli da estimatori o discepoli, come nei sonetti Sedici dì del nostro sesto mese e Nella mente mia convien cor risuella indirizzati a ser Durante Giovanni e Le dolci rime che dentro sustegno in risposta ad un sonetto di Iacopo Alighieri. Più interessanti perché non legati a motivi occasionali, ma forse espressione dei vivo interesse dei D. per problemi di carattere politico e religioso, sono la lunga canzone Voce dolente più nel cor che piagne, una violentissima invettiva contro la Chiesa e il Papato corrotto dei suo tempo, e le venti Stanze contro il duca d'Atene, in cui egli tenta di dimostrare come l'ascesa politica del Brienne fosse accompagnata da tutta una serie di fatti astrali che permettevano di prevedere quanto disastroso sarebbe stato il suo governo per la città. Queste Stanze vennero sicuramente composte poco prima della morte del D. - "Non ce ne dette più ched'e' morì finite che l'ebbe", dice un'aggiunta in fondo al testo - quando, nonostante fossero trascorsi molti anni, il ricordo di quella terribile esperienza era ancora vivo nell'animo di quei fiorentini che, come il D., l'avevano vissuta.

Ma, se l'attività letteraria del D., dovuta per lo più a motivi occasionali ed espressione di un costume proprio di certa società letteraria dell'epoca, non lasciò gran traccia dietro di sé, ben diverso e importante è il ruolo delle sue opere di carattere scientifico. Sono infatti a lui attribuite opere di matematica piuttosto pratica che teorica e di astronomia teorica e pratica, quasi tutte ancora inedite. Fra le prime va ricordato innanzi tutto un Trattato d'abbaco il cui stesso testo rappresenta per i critici un problema. Di quest'opera esistono varie redazioni, notevolmente diverse fra loro, alcune delle quali risalenti ad età posteriore alla morte del D. e con date alterate. Secondo il Thorndike il codice conservato, dopo essere appartenuto a Boncompagni, nella Plimpton Collection e che presenta il lungo titolo Trattato d'abbaco, d'astronomia e di segreti naturali e medicinali, corredato di numerosi disegni, contiene il testo originale dell'opera, certamente composta nel 1339, visto che questa data compare varie volte nel libro, insieme con altre come il 1340 e 1344. Il trattato è suddiviso in sezioni, ciascuna delle quali si apre con una formula introduttiva pia. In quella astronomica il D. tratta delle proprietà e influenze dei pianeti, che mette in relazione con le quattro qualità; dei segni dello zodiaco che vengono connessi con i differenti organi dei corpo umano; indica in dettaglio il significato della permanenza della luna nei vari segni; spiega la terminologia astrologica e quindi termini come "ascendente", "triplicitas" "signore dell'anno" "esaltazioni dei pianeti" e il loro valore in relazione alle ore del giorno. Vengono qui altresì forniti suggerimenti pratici ai marinai e mercanti, come ad esempio, sul momento più opportuno per far salpare le navi. Non di rado si incontrano dispersi nel testo diagrammi astrologici con significativi, prudenti commenti come "Le leggi di Dio in tutte le cose e sopra tutte le cose", forse volti ad evitare accuse di praticare forme di astrologia giudiziaria.

La seconda sezione del trattato rivela la competenza dei D. in campo chimico e medico, ed è costituita da una serie di ricette comprendenti anche formule magiche capaci di attivare le virtù insite nelle erbe prescritte. Figurano in questa parte dell'opera riferimenti a Arnaldo da Villanova e a un "maestro berlinghieri", forse esponente di una nota famiglia di pittori, per certi segreti chimici qui rivelati. Il Trattato, nel manoscritto studiato dal Thorndike, si chiude con un elenco di cinquantadue regole di aritmetica che presentano il titolo Regholuzze del maestro Pagolo astrolago. Queste, indipendentemente dal resto del testo, furono pubblicate per la prima volta da G. Libri nel 1838-41 (Histoire des sciences mathématiques en Italie, Paris 1840, pp. 295-301) ed ebbero altre edizioni nel 1857 ad opera di A. Zambrini (Regoluzze delM. Paolo dell'Abbaco celebre matematico del secolo XIV, Bologna 1857); nel 1860 a cura di C. Guasti (Miscellanea pratese di cose inedite e rare antiche e moderne, Prato 1860, pp. 11-16); e infine da G. Frizzo nel 1883 (Le Regoluzze di maestro Paolo dell'Abbaco..., Verona 1883, pp. 41-62). Considerate come uno dei più antichi monumenti di matematica in volgare, sono la più nota e apprezzata tra le opere del Dagomari. Nate da uno scopo eminentemente pratico che l'autore stesso dichiara dicendo di volere con esse fornire "maniere di Ragioni adatte a traffico di merchatantia", queste Regoluzze insegnano alcune elementari, ma fondamentali nozioni di matematica. come l'uso del punto o della virgola per ripartire i numeri in gruppi di tre cifre ciascuno, per facilitarne la lettura - regola che tuttavia non costituisce una innovazione del D., essendo già nota a Giovanni di Sacrobosco -; la regola per moltiplicare e dividere i multipli di 10; quella per eseguire operazioni sulle frazioni; la regola del 3 semplice diretta, e tutta una serie di norme per calcolare rapidamente in soldi a oro i soldi a "piccioli", e l'aumento di una certa somma di denaro prestato a interesse dopo un certo tempo. Il D. inseriva nel suo prontuario, che dovette essere assai apprezzato dai mercanti del suo tempo, anche regole concernenti la geometria, come quelle per determinare il valore numerico dell'ipotenusa del triangolo rettangolo, per trovare la circonferenza di un cerchio conoscendo il diametro, e varie altre. Numerosi manoscritti ci hanno trasmesso altre opere di matematica, fra le quali vanno ricordate: Istratti di ragionj... per lo venerabile strolagho maestro Pagholo, ove in 197 "ragioni" (capitoletti) sono trattati i più vari argomenti di aritmetica elementare, algebra e geometria, con numerose scenette illustrate volte a rappresentare visibilmente i problemi proposti. Di quest'opera, conservata in un codice della Biblioteca nazionale di Firenze (Magliabechiano, XI, 86, c. 55 n. n.) G. Arrighi segnalava nel 1964 una edizione in corso di stampa; due trattatelli sugli "sciemi" (archi che hanno la corda inferiore a un diametro), che rispettivamente cominciano "questi sono gli sciemi fatti per maestro Pagolo da Firenze..." e "Qui appresso sarà descritta la tavola e la regola da cogliare gli sciemi..." (B. Boncompagni, Intorno ad alcune opere di Leonardo Pisano, Roma 1854, pp. 383 s.; G. Frizzo, cit., p. 30); un Libro di ragioni adatte a traffico di mercatanzia che si conserva in un codice della Biblioteca Riccardiana di Firenze (n° 2511) già posseduto dal Libri, che lo segnalò nella nota XXX del terzo volume dell'opera citata, certamente composta nel 1329, visto che a c. 69 si dice "e peroe nel 1329 quando scriviamo", opera importante perché dimostra le notevoli conoscenze del D. anche su temi di matematica superiore. Vi si trova infatti la soluzione di equazioni cubiche a due termini e di altri problemi di analisi, fra cui la equazione X4-36X2; un Trattato sulle quantità chontinue che è menzionato in un anonimo trattato dal titolo Pratica d'aritmeticha (Palatino, E.5, 5, 14, a c. 379) della Bibl. naz. di Firenze; un manualetto sulle misure e pesi antichi, menzionato a c. 74 dei codice n° 169 della Riccardiana di Firenze; infine un Trattato delle mute (cioè dei cambi o baratti) citato in un anonimo Trattato di aritmetica in volgare (codice n° 2253, c. 29v.) della stessa biblioteca. Alle opere di argomento astronomico ed astrologico vanno ascritte le Tabulae Planetarum ad annum 1366... destinate ad indicare "in quo signo, et in quo gradu ipsius sit sol omni die", onde consentire anche predizioni di carattere meteorologico ed astrologico. Si tratta di un taccuino (o effemeride o lunario) che il D. per primo avrebbe composto.

Carattere particolare riveste infine un'operetta in latino dal titolo Operatio cilindri terminata il 17 luglio 1365, conservata in un codice di mano di Giovanni di Bartolo, che va certamente identificato con quel Giovanni Dell'Abbaco, discepolo di Antonio dei Mazzinghi da Peretola, cui alla morte di questo andarono i libri del Dagomari. Pubblicata dal Boncompagni (pp. 380-83) e in modo più corretto da G. Boffito (Il primo compasso proporzionale e la operatio cilindri di Paolo Dell'Abbaco, Firenze 1931., pp. 18-27) contiene la descrizione di uno strumento di forma cilindrica, utile per risolvere tutta una serie di problemi di carattere astronomico, come trovare l'età della luna, l'ora e l'altezza angolare del sole e della luna, ed anche l'altezza di un oggetto terrestre per mezzo della sua ombra. A questo proposito giova ricordare che il D., primo fra tutti, sempre secondo F. Villani, aveva ideato per le sue osservazioni del cielo altri speciali strumenti che aveva posto in luoghi fissi della città "ut octaue spere motum acutius metiretur motusque siderum, qui artem ignorantibus fixe arbitrantur, eo quod eorum lattens tarditas... impersensibilis est", correggendo così molte erronee opinioni degli antichi e mostrando "observator diligentissimus" che le tavole toletane e alfonsine erano "modernis temporibus parvi aut nullius momenti", e che l'astrolabio che era su di esse 'mensuraturn' si discostava dalle leggi dell'astronomia ed ingannava gli astrologi che su di esse fondavano le loro predizioni. Probabilmente, sulla base dei nuovi dati acquisiti attraverso le sue osservazioni, il D. fu in grado di comporre il suo lunario e di emettere quei pronostici che, come ricordava il Salutati nella lettera a Luigi de' Gianfigliazzi sopra citata, avevano più volte fatto conoscere a Firenze il suo futuro e che, come riferiscono altri suoi contemporanei, si avverarono.

Fonti e Bibl.: Per un'accurata rassegna delle opere, dei manoscritti, delle prime edizioni delle opere del D., rinviamo senz'altro, oltre al Boncompagni cit., alla pubblicazione curata da G. Frizzo citata nel corso della voce. Si vedano inoltre: G. Boccaccio, Genealogie deorum gentilium libri, a cura di V. Romano, Bari 1951, I, l. VIII, c. II, p. 394; l. XV, cc. VI, XIII; II, rispettivamente pp. 762 e 781 s.; F. Villani, Liber de civitatis Florentiae ..., in G. Boffito, cit., pp. 11 ss. secondo il codice Ashb. Laur. n. 942, c. 35r; C. Salutati, Epistolario, a cura di F. Novati, I, Roma 1891, pp. 15-18; Giovanni da Prato, Il paradiso degli Alberti, a cura di A. Wesselofsky, II, Bologna 1867, pp. 99 s.; Zenone da Pistoia, La pietosa fonte, Firenze 1874, pp. 45 s.; C. Landino, Comento sopra la Comedia di Danthe..., Firenze 1481, c. 4r, U. Verini Poetae Fiorentini De illustratione urbis Florentiae, libri tres, Lutetiae 1583, c. 14v; G. de Conti, La bellamano, a cura di I. Corbinelli, Parigi 1595, ff. 78v-82v; M. Poccianti, Catal. scriptorum Florentinorum omnis generis..., Florentiae 1589, pp. 139 s.; B. Baldi, Cronica de' matematici, Urbino 1707, p. 88; G. M. Crescimbeni, Comentari ... intorno alla sua istoria della volgar poesia, III, Roma 1711, p. 80; G. Negri, Storia degli scrittori fiorentini .... Ferrara 1722, p. 444; D. M. Manni, Osservaz. istor. sopra i sigilli antichi de' secoli bassi, Firenze 1743, XIV, pp. 22 s.; XX, pp. 57 s.; G. Mazzucchelli, Gli scrittori d'Italia, I, 1, Brescia 1753, pp. 16 ss.; L. Ximenes, Del vecchio e nuovo gnomone fiorentino e delle osservazioni astronomiche fisiche ed architett. fatte nel verificarne la costruzione, Firenze 1757, pp. LXI-LXII; F. Inghirami, Storia della Toscana, XII, Fiesole 1843, pp. 16, 514; F. Zambrini Le opere volgari a stanipa dei sec. XIII e XIV, Bologna 1884, coll. 1 ss.; App., col. 1; Giorn. di erudiz., a cura di F. Orlando, II, Firenze 1890, p. 5; G. Uzielli, La vita e i tempi di Paolo Dal Pozzo Toscanelli, Roma 1894, pp. 19 ss.; 57, 90 s.; 205, 228, 380, 490, 544 s.; 597; Rara Arithmetica. A Catal. of the arithmetics written before the year MDCI, a cura di D. E. Smith, Boston-London 1908, pp. 435-440; M. Cantor, Vorlesungen über Gesch. der Mathematik, Leipzig 1913, pp. 164 s.; 316; E. Massini, Maestro P. dell'Abbaco dei Ficozzi erroneamente creduto dei Dagomari, in Rass. nazionale, 16 ag. 1919, pp. 215-225; G. Loria, Storia delle matematiche, I, Torino 1929, pp. 407 s.; S. Morpurgo, Supplem. a Le Opere volgari a stampa dei secoli XIII e XIV, Bologna 1929, pp. 46 s.; L. Thorndike, A History of magic and experimental Science, III, New York 1934, pp. 205-222; W. Ruegg, Entstehung, Quellen und Ziel von Salutatis De fato et fortuna, in Rinascimento, V (1954). p. 145; G. Mercati, Ultimi contributi alla storia degli umanisti, I, Traversariana, Città del Vaticano 1939, p. 12; G. Saitta, Il pensiero italiano nell'Umanesimo e nel Rinascimento, Firenze 1961, p. 693; G. Arrighi, L'"Aritmetica ., di Paolo dell'Abbaco e i tempi suoi, in Cultura e scuola, III (1964), pp. 273-276; M. E. Cosenza, Biographical and Bibliographical Dict. of the Italian Humanists, II, Boston 1962, p. 1173; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, pp. 86, 99, 118, 145, 182, 240; II, pp. 34, 453, 477.

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