PAOLINO di Bordeaux, vescovo di Nola, santo

Enciclopedia Italiana (1935)

PAOLINO di Bordeaux, vescovo di Nola, santo (Meropius Pontius Paulinus)

Mario Niccoli

Nato a Bordeaux verso il 353-354 da nobilissima famiglia della Gallia romana, studiò ivi sotto il retore Ausonio a cui fu legato da affettuosa amicizia. Giovanissimo entrò nella carriera pubblica, favorito certo dall'influenza del suo maestro alla corte di Valentiniano II. Giunto presto al grado di senatore e forse a quello di consul suffectus (per l'anno 378), fu inviato nel 379 a governare la Campania, e stabilitosi a Nola conobbe allora i luoghi consacrati alla memoria di quel S. Felice, il cui culto ebbe poi tanta parte nella vita spirituale di P. Tornato in Aquitania, durante un viaggio in Spagna conobbe e sposò Terasia che condusse con sé in Aquitania; ivi assistette sia agli avvenimenti che portarono sul trono Massimo, sia alle polemiche religiose connesse con Priscilliano, le quali, certo con notevole esagerazione ma non del tutto arbitrariamente, come i più pensano, sono state messe in relazione con la sua formazione spirituale. Verso il 389 P. si battezzò e presto decise, in pieno accordo con la moglie Terasia, di ritirarsi completamente dal mondo, distribuendo in opere di beneficenza le sue ricchezze. Il vecchio maestro Ausonio cercò invano di stornarlo da tale proposito, e le epistole poetiche scambiate fra Ausonio e P. in questa circostanza sono fra le più significative opere di costui. Ordinato prete a Barcellona (393-395), P. si stabilì con sua moglie (i due avevano interrotto ogni rapporto coniugale) a Nola dedicandosi completamente al culto di S. Felice. La città, che dal 409 volle a suo vescovo Paolino, divenne da allora come un faro di pietà, a cui si rivolse pressoché tutto il mondo cristiano attratto dalla fama dei due santi sposi e dei miracoli di S. Felice. P. morì il 22 giugno 431. Il suo corpo, deposto nella basilica di S. Felice, fu in seguito traslato a Roma nella chiesa di S. Bartolomeo all'Isola e di qui, nel 1908, nella cattedrale di Nola dove tuttora si venera.

A parte poche opere perdute (fra le quali largamente attestato è un panegirico di Teodosio) e un certo numero di opere dubbie, l'opera letteraria di P. consta di un copioso epistolario e di una raccolta di poesie (edite a cura di G. Hartel, in Corpus Scriptorum ecclesiasticorum latinorum, XXIX [Epistolae], XXX [Carmina], Vienna 1894). Le lettere sono 52 (l'edizione del Hartel ne registra 51, ma in realtà la XXV è seguita da una XXV*). Di esse la XXXIV è un'omilia intitolata De gazophylacio. De avaritia fugienda et de elemosinis erogandis. Le lettere XLVI e XLVII, dirette a Rufino d'Aquileia, sono probabilmente apocrife. Le lettere appartengono cronologicamente soprattutto al periodo 394-404 e sono in gran parte indirizzate a vescovi o amici della Gallia: Delfino e Amando di Bordeaux, Esuperio di Tolosa, Simplicio di Vienna, Alitio di Cahors, Diogeniano d'Albi, Dinamio d'Angoulême, Venerando di Clermont, Pegaso di Périgueux, Victricio di Rouen. A Sulpicio Severo, carissimo fra gli amici, sono indirizzate le lettere I, V, XI, XXII-XXIV, XXVII-XXXI. Fra i corrispondenti fuori della Gallia sono da segnalare S. Agostino (lettere IV, VI, XLV, L), Alipio di Tagaste, Pammachio. Particolare importanza ha la lettera di S. Agostino a P. (Epistolae, CLXXXVI) per metterlo in guardia contro Pelagio, già in relazione con P., e contro i discepoli di quello coi quali P. manteneva ancora rapporti. Per quanto i contemporanei abbiano considerato P. come eccellente epistolografo (in epistolari studio prope Tullium representans, afferma di lui S. Girolamo), le sue lettere appaiono letterariamente appesantite dall'abuso di citazioni bibliche e di fiori retorici, inobliabile reminiscenza, questi ultimi, dell'insegnamento di Ausonio. Maggiore considerazione ha avuto la sua opera poetica (in tutto 33 poesie) che oltre alla citata corrispondenza con Ausonio (carmi X, XI) comprende la serie dei carmi (XII-XVI, XVIII-XXI, XXIII, XXVI-XXIX) scritti fra il 395 e il 407 in occasione degli anniversarî della morte di S. Felice (detti natalicia dalla "nascita" alla vita eterna); la parafrasi poetica dei salmi I, II, CXXXVI (carmi VII, VIII, IX), una parafrasi evangelica in onore di S. Giovanni Battista (carme VI), un epitalamio in occasione delle nozze di Giuliano d'Eclano (carme XXV), un Propempticon a Niceta di Remesiana (carme XVII), una Consolatio a Pneumatio e Fidelis in occasione della morte del loro figlio Celso. Tutte queste poesie, senza segnalarsi per particolarissimi pregi poetici, hanno fortemente contribuito, con quelle di Prudenzio, alla creazione di una letteratura poetica cristiana. Come le epistole, esse rivelano in P. un cuore tenero e affettuoso, un'anima profondamente nutrita di pietà, seppure non vibrante per ricchezza di motivi spirituali, una concezione del cristianesimo e della vita religiosa improntata al più sereno, spesso quasi semplicistico, ottimismo.

Bibl.: Oltre le notizie dedicate a P. in tutte le storie letterarie (particolarmente ampia quella in U. Moricca, Storia della letteratura latina cristiana, II, ii, Torino 1928, pp. 966-1101, con ampia bibliografia) si citano fra gli studî più notevoli o più recenti: A. Buse, P. Bischof von N., Ratisbona 1856; F. Lagrange Histoire de S. P. de N., 2ª ed., Parigi 1882; A. Baudrillart, S. P., ivi 1905; M. Peuch. De Paulini nolani Ausoniique epistolarum commercio, ivi 1887; P. Reinelt, Studien über die Briefe des h. P. v. N., Brelasvia 1903; J. Brochet, La correspondance de St. P. de N. et de Sulpice-Sévère, Parigi 1906; E. Ch. Babut, Paulin de Nole, Sulpice Sévère et Saint Martin de Tours, recherches de chronologie, in Annales du Midi, XX (1908); id., P. de N. et Priscillen, in Revue d'histoire et de littérature religieuse, I (1920), pp. 37 segg., 252 segg.; U. Moricca, Il "votum" di Sulpicio Severo e di S. Paolino di Nola, in Didaskaleion, III (1925), pp. 89-96; L. Allevi, S. Paolino di Nola e il tramonto della civiltà antica, in La Scuola cattolica, XVII (1931), pp. 161-175; A. H. Chase, The metrical lives of St Martin of Tours by Paulinus and Fortunatus, in Harvard studies of classical Philology, 1932, pp. 51-76.