PETRUCCI, Pandolfo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 82 (2015)

PETRUCCI, Pandolfo

Michele Camaioni

PETRUCCI, Pandolfo. – Nacque a Siena il 14 febbraio 1452 da Bartolomeo Petrucci. Famiglia di antica e consolidata presenza nella vita economico-politica della città, i Petrucci facevano parte del Monte dei nove, una delle cinque ‘fazioni istituzionalizzate’ che sin dal Medioevo si contendevano il controllo di Siena (Ascheri, 1985; Shaw, 2001, p. 10).

Nel corso del Quattrocento il controllo dei principali organi di governo, il Concistoro e il Consiglio del Popolo, fu detenuto principalmente dai noveschi stessi e dai rappresentanti di altri due Monti, quello dei riformatori e quello del popolo. Tuttavia quando Pandolfo era ancora un bambino, nel 1456, la sua famiglia fu costretta all’esilio a causa della partecipazione del padre a una fallita congiura che intendeva riformare in senso oligarchico il regime senese, notoriamente caratterizzato dall’ampia base di cittadini ‘risieduti’, vale a dire eletti anche per un solo bimestre nel Concistoro e, per questo, detentori del diritto a un seggio a vita nel Consiglio del Popolo. Nella circostanza anche i figli dei congiurati, tra i quali Petrucci e il fratello maggiore Giacoppo, furono ‘ammoniti’, ovvero privati in perpetuo del diritto di ricoprire cariche pubbliche a Siena e nel contado. Scarse sono per il resto le notizie riguardanti l’infanzia e il lungo periodo dell’esilio, trascorso da Petrucci con la sua famiglia a Pisa.

È stato suggerito che proprio l’esser cresciuto al di fuori della propria città natale, in un contesto scarsamente favorevole all’interiorizzazione degli ideali e delle tradizioni politiche senesi, possa aver influito sull’intraprendenza con la quale successivamente Petrucci, pur non alterandone la struttura formale, avrebbe trasformato il governo repubblicano di Siena in una signoria de facto (Shaw, 2000).

Quando nel 1480 la presenza in Toscana dell’esercito guidato dal duca Alfonso di Calabria, figlio del re di Napoli Ferdinando (Ferrante) d’Aragona e vicino alle istanze dei senesi esiliati, permise il rientro in città dei noveschi, Petrucci aveva ormai quasi trent’anni. La sua carriera politica prese avvio da quel momento. Insieme ai fratelli Alessandro e Vittorio e ad altri 18 ammoniti, nel 1481 fu ammesso nel Consiglio del Popolo con il privilegio di risieduto, pur non essendo mai stato eletto in precedenza nel Concistoro. Nel contesto del governo detto del Monte degli aggregati, costituito da membri dei tre Monti principali, nel bimestre maggio-giugno il giovane Petrucci fu priore dello stesso Concistoro. In quel periodo ricoprì inoltre la carica di vicario di Batignano e, grazie alle sue doti politiche, iniziò a godere di una certa considerazione nel Monte dei nove, all’interno del quale occupavano una posizione preminente il padre Bartolomeo e il fratello Giacoppo. Nell’ottobre 1482 prese in moglie Eufrasia Martinozzi.

Ben presto i Petrucci dovettero sperimentare sulla propria pelle il fallimento del governo imposto dal duca di Calabria, costretto a lasciare Siena per contrastare l’avanzata dei Turchi senza aver potuto garantire al nuovo regime la necessaria stabilità. Quando, infatti, nel marzo 1481 il re di Napoli trovò un accordo con Firenze per la restituzione a questa dei luoghi presi nel corso della guerra dei Pazzi (1478-79), furono in molti a Siena a temere che il governo filoaragonese guidato dai noveschi avrebbe infine ceduto alle pressioni di re Ferrante affinché anche Siena restituisse a Firenze le città e i territori acquisiti nel recente conflitto. Nei mesi seguenti e soprattutto al principio dell’estate 1482, nonostante i tentativi di dar vita a un governo capace di maggiore consenso popolare, la tensione in città raggiunse livelli altissimi, sfociando in disordini che portarono Siena sull’orlo della guerra civile. Fu così che il fronte di opposizione all’ala del Monte dei nove guidata dai Petrucci riuscì, infine, a ottenere la condanna all’esilio prima di Giacoppo (giugno 1482) e successivamente di Pandolfo, il quale nel mese di settembre fu ammonito, dichiarato ribelle e privato di ogni onore pubblico per dieci anni insieme a Neri Placidi e ad altri ventisette noveschi.

Costretto nuovamente a lasciare Siena, inizialmente Petrucci si stabilì insieme al fratello Vittorio a Paganico, dove la famiglia deteneva alcune proprietà. In seguito all’occupazione di Monteriggioni da parte di un gruppo di esuli noveschi guidati da Lucio Bellanti, reputò tuttavia più prudente rifugiarsi a Montepulciano. Nel periodo successivo, in particolare finché fu in vita il pontefice Sisto IV che simpatizzava per la causa degli esuli senesi, Petrucci si mosse tra Roma, Viterbo e la Toscana, recandosi probabilmente a Piombino e a Pisa, dove scontava il proprio esilio il fratello Giacoppo. Stando alle fonti, sembra che non prese parte in prima persona alle diverse sortite militari organizzate dagli esuli per rientrare a Siena, se non forse a quella del maggio 1485 in cui fu coinvolto tra gli altri il condottiero romano Giulio Orsini. È certo tuttavia che partecipò all’intenso lavorio diplomatico degli esuli, recandosi a Firenze nell’aprile 1487 e incontrando poi Lorenzo de’ Medici, insieme al fratello Giacoppo, durante l’assedio fiorentino di Sarzana del giugno seguente.

Soprattutto, però, Petrucci si distinse quale protagonista di primo piano dell’impresa del 22 luglio 1487 quando, insieme a pochi suoi compagni, riuscì a penetrare in città all’alba e ad aprire la porta di Fontebranda alla cinquantina di altri noveschi esiliati e ai circa trecento mercenari che attendevano fuori dalle mura. A causa anche del malcontento della cittadinanza e di potenti personalità quali il cardinale Francesco Piccolomini nei confronti del governo guidato dal Monte del popolo, gli esuli incontrarono una scarsa resistenza e riuscirono in breve tempo a prendere possesso del Palazzo della Signoria. I membri del Concistoro dovettero così piegarsi a discutere con i cittadini più influenti una riforma radicale del sistema di governo.

Dal punto di vista istituzionale, al di là dell’approvazione di un esecutivo provvisorio composto da venti membri provenienti da tutti i Monti, la novità principale riguardò la creazione di una nuova Balìa, approvata dal Consiglio del Popolo il 27 luglio e poi rinnovata il 24 ottobre 1487. Di durata inizialmente annuale, fu confermata per altri quattro anni, costituendo la prima di una serie di Balìe quinquennali che, oltre a garantire una maggiore stabilità all’azione di governo, avrebbero costituito l’interlocutore principale di Petrucci negli anni della sua ascesa al vertice del governo di Siena.

In questa prima fase successiva al rientro dei noveschi, il membro più influente della famiglia fu ancora Giacoppo, eletto nella Balìa del luglio 1487 e referente privilegiato dei Medici a Siena, sia ai tempi di Lorenzo sia successivamente del figlio di questi, Piero. Al fianco del fratello, Petrucci maturò in quegli anni una conoscenza ancor più profonda degli uomini e dei meccanismi che regolavano la vita politica senese, accrescendo costantemente il proprio patrimonio personale e la propria rete clientelare grazie a una serie di incarichi non particolarmente prestigiosi, ma determinanti per la sicurezza militare e la stabilità economica della Repubblica, costantemente posta a rischio da un forte indebitamento. Dal 1488 fino a oltre il 1495, quando fu eletto nella Balìa, Petrucci fu membro dei Nove di guardia, magistratura incaricata di vigilare sull’ordine pubblico, e svolse un ruolo sempre più consistente nella Camera del Comune, l’organo deputato a garantire gli approvvigionamenti militari e la retribuzione dei provvisionati della piazza, il presidio militare che controllava la città. La fedeltà dei soldati, come avrebbe rilevato Niccolò Machiavelli, avrebbe costituito un fattore cruciale del sistema di potere personalistico di cui Petrucci andava allora gettando le basi («quelli armati con il tempo gli dierono tanta riputatione, che in poco tempo ne diventò [di Siena] principe», Discorsi, III, VI, 174). Nel momento del rientro a Siena nel 1487, inoltre, Petrucci si era sposato in seconde nozze, con Aurelia Borghesi (o Borghese) figlia di Niccolò, uno degli uomini più autorevoli e colti della città. Dal matrimonio, che contribuì a consolidare la posizione sociale di Petrucci all’interno del Monte dei nove e della società senese nel suo complesso, nacquero quattro figli (Giulio Cesare, nato nel 1489 e morto prematuramente; Borghese, 1490; Alfonso, 1492; Fabio, 1505) e diverse figlie, coinvolte in un’accorta politica matrimoniale che a inizio Cinquecento legò i Petrucci anche alle famiglie Baglioni, Chigi e Vitelli.

Insieme al fratello Giacoppo, al suocero Niccolò Borghesi (o Borghese) e agli altri noveschi Antonio Bichi e Leonardo Bellanti, inoltre, dal 1491 Petrucci fece parte di una sorta di comitato informale che esercitò un peso determinante sulle scelte di governo della Repubblica negli anni precedenti alla discesa di Carlo VIII e all’avvio del turbolento primo periodo delle guerre d’Italia (1494).

In quel periodo, che fu quello della morte di Lorenzo de’ Medici e di Innocenzo VIII (rispettivamente aprile e luglio 1492), Siena si mantenne fedele alla tradizionale politica di intesa con la Milano di Ludovico Sforza e, su impulso proprio di Petrucci, avviò una serie di progetti (estrazione del ferro a fini militari; ristrutturazione dell’apparato difensivo sotto la direzione dell’architetto militare Francesco di Giorgio Martini) che avrebbero dovuto porre la città nelle condizioni di sostenere un prossimo impegno bellico (Chironi, 1993). Esso si profilò in maniera concreta nel 1494, quando l’espulsione dei Medici da Firenze in concomitanza con l’impresa italiana del re di Francia determinò ripercussioni, tra le quali la ribellione al dominio fiorentino di Pisa e, l’anno seguente, di Montepulciano, che si pose sotto la protezione di Siena. Pur mantenendosi formalmente solidale con Carlo VIII, che era stato accolto a Siena il 2 dicembre 1494 e aveva favorito la riammissione in città dei fuoriusciti, la Repubblica non rinunciò a condurre una politica autonoma nei confronti del nuovo regime fiorentino, anch’esso filofrancese, offrendo sostegno tanto alla causa delle due città ribelli, quanto alle aspirazioni dei Medici di riprendere il controllo di Firenze.

Tuttavia una simile politica non godeva di un consenso assoluto a Siena. Le molteplici opzioni di politica estera offerte da un quadro geopolitico in costante mutamento alimentavano il formarsi all’interno del gruppo dirigente di visioni alternative sulle strategie: se personalità quali Niccolò Borghesi, Lucio e Leonardo Bellanti guardavano con interesse a una possibile alleanza con Venezia e premevano per una più decisa contrapposizione a Firenze, altri noveschi, tra i quali Pandolfo Petrucci, miravano invece a evitare la guerra aperta con la città rivale e a stabilire un’intesa che non pregiudicasse le ambizioni senesi ad accrescere la propria influenza nell’Italia centrale nel medio periodo.

In tale contesto, il 16 giugno 1495, Siena concluse con il Regno di Francia un trattato che si rivelò particolarmente vantaggioso per il Monte dei nove, all’interno del quale andava ormai profilandosi una sorta di ‘diarchia militare’ da parte di Petrucci e di Lucio Bellanti (Gattoni, 2010, p. 96). Le divergenze e la rivalità tra i due apparvero evidenti nei mesi seguenti, finché nell’aprile 1496 Bellanti fu esiliato con l’accusa di aver ordito una congiura che prevedeva l’eliminazione di Pandolfo e Giacoppo Petrucci, Neri Placidi, Niccolò Borghesi e diversi altri. In questo clima convulso, la Balìa doveva gestire il prolungato impegno per la difesa di Montepulciano, che esponeva costantemente la Repubblica al rischio di ritorsioni da parte di Firenze. A tal fine, nel maggio 1498 fu inviato a Venezia Antonio da Venafro, il principale consigliere di Petrucci che intanto, con la morte del fratello Giacoppo nel 1497, aveva preso in mano le redini dei destini familiari e si accingeva ormai a conseguire, come gli eventi del 1498-1500 avrebbero reso evidente, un primato quasi incontrastato anche all’interno del gruppo dirigente cittadino. Il primo di questi eventi fu la tregua quinquennale siglata da Siena con la Repubblica di Firenze nel settembre 1498, che sancì il prevalere in seno alla Balìa della linea moderata di Petrucci su quella dei Bellanti e dei suoi oppositori. Tra questi vi era anche il suocero, Niccolò Borghesi, che nel luglio 1500 fu brutalmente assassinato forse proprio su mandato di Petrucci, già sospettato alla fine del 1499 del misterioso omicidio avvenuto a Firenze dell’esiliato Lucio Bellanti.

Nel frattempo, Petrucci aveva conseguito un ulteriore successo diplomatico. In seguito all’entrata di Luigi XII a Milano nell’agosto 1499, che aveva determinato la fuga di Ludovico il Moro, aveva compreso che Siena doveva prendere rapidamente atto della sconfitta del vecchio alleato e avvicinarsi proprio al Regno di Francia, per evitare di restare isolata dinanzi all’aggressiva politica espansionistica che Cesare Borgia, figlio del pontefice Alessandro VI e duca del Valentinois, stava perseguendo nei confronti dei piccoli Stati dell’Italia centrale. Dietro la garanzia del pagamento di un’ingente somma di denaro, riuscì a raggiungere un accordo con Luigi XII. Nello stesso tempo offrì la collaborazione di Siena alla conquista di Piombino da parte del Valentino, suscitando l’allarme di Firenze che, temendo Petrucci volesse prendere diretto possesso della città, il 18 agosto 1501 inviò presso di lui Niccolò Machiavelli. Fu la prima di una serie di legazioni del diplomatico fiorentino presso Pandolfo Petrucci (le altre ebbero luogo nell’aprile 1503, nel luglio 1505 e nel dicembre 1510), da lui poi definito «valentissimo uomo», capace di affidarsi a collaboratori particolarmente validi come Antonio da Venafro, ma anche dissimulatore, «tiranno» e «principe di Siena [che] reggeva lo stato suo più con quelli che gli furno sospetti che con li altri» (Discorsi, II, VI, 19; Principe, XX, 18; XXII, 3).

Nonostante sia Firenze sia Siena fossero legate alla Francia, i rapporti tra le due città furono improntati in questi anni alla diffidenza pure a causa delle iniziative di Petrucci, che non solo offrì la propria collaborazione a Vitellozzo Vitelli, alleato di Borgia, per ottenere la sollevazione di Arezzo (4 giugno 1502), ma sostenne la resistenza di Pisa, fino alla fallita impresa di Bartolomeo d’Alviano del 1505. Nel frattempo, il travolgente successo della campagna militare del Valentino aveva indotto Petrucci a rompere gli indugi e a unirsi al duca di Urbino, agli Orsini, ai Baglioni di Perugia, ai Bentivoglio di Bologna e ai Vitelli di Città di Castello in una confederazione antiborgiana (dieta o congiura di Magione, 24 settembre-8 ottobre 1502). Tuttavia il Valentino, dopo aver teso una trappola e aver eliminato alcuni dei congiurati (strage di Senigallia, 31 dicembre 1502), fu comunque in grado di prendere Perugia e di minacciare seriamente Siena. Soltanto la protezione accordata alla Repubblica da parte di Luigi XII, cui lo stesso Valentino era legato, impedì che le truppe borgiane marciassero verso Siena. Tuttavia, Cesare Borgia chiese e ottenne dalla Balìa l’espulsione di Pandolfo Petrucci, considerato ormai il suo nemico più pericoloso. Questi accettò volontariamente il bando e il 28 gennaio 1503 lasciò Siena insieme ai Baglioni che vi avevano trovato rifugio dopo la caduta di Perugia. Il nuovo esilio di Petrucci, che si diresse stavolta a Lucca, ebbe tuttavia breve durata. Grazie al sostegno diplomatico dei francesi e degli stessi fiorentini, infatti, la Balìa fu presto indotta a votare il suo rientro (29 marzo 1503), che avvenne con grande favore popolare. La morte di Alessandro VI nell’agosto seguente rappresentò un ulteriore scacco per il Valentino, che vedeva cadere le protezioni romane mentre al soglio petrino, dopo il breve pontificato del senese Francesco Piccolomini (Pio III, 22 settembre-18 ottobre 1503), veniva eletto l’ostile Giulio II Della Rovere.

Negli anni seguenti Petrucci sfruttò a proprio vantaggio la favorevole evoluzione del quadro diplomatico, consolidando ulteriormente la propria posizione ai vertici delle magistrature senesi ed esercitando di fatto un potere di natura signorile. Pur senza imporre un vero e proprio mutamento di regime e dovendo ancora fronteggiare alcune congiure (su tutte quella ordita dai Bellanti nel 1508), nel luglio 1507 riuscì a farsi riconoscere dai principali membri della Balìa quale primus inter pares, uno status legittimato negli anni precedenti con la costruzione di un imponente palazzo sulla via dei Pellegrini e con un generoso mecenatismo artistico e architettonico, di cui beneficiarono tra le altre la chiesa di S. Spirito dell’Osservanza domenicana e la chiesa di S. Maria Maddalena fuori Porta Tufi, dedicata alla santa verso la quale Petrucci e altri noveschi nutrivano particolare devozione in quanto nel giorno della sua festa (22 luglio) si era compiuto il loro definitivo ritorno a Siena nel 1487 (Nevola, 2007, pp. 195 ss.; Jackson, in L’ultimo secolo, 2007-2008). Sul fronte esterno, tra il 1507 e il 1508, Petrucci operò un progressivo avvicinamento alla causa spagnola, che avrebbe prodotto i propri frutti nel settembre 1511 con la conclusione di un’alleanza. Favorì inoltre l’adesione di Siena alla Lega antiveneziana di Cambrai e il conseguente invio di un modesto contingente alla battaglia di Agnadello (maggio 1509). Nel biennio seguente, dopo la resa di Pisa ai fiorentini (giugno 1509), giunse infine a risoluzione anche la vertenza per Montepulciano. Determinante fu la mediazione di Giulio II, interessato a scongiurare un conflitto nell’Italia centrale. Il pontefice infatti convinse Petrucci a rinunciare alle pretese su Montepulciano, offrendo in cambio la concessione della porpora cardinalizia a un cittadino senese, che fu individuato in uno dei figli di Petrucci stesso, Alfonso (11 marzo 1511), mentre al maggiore, Borghese, il padre preparò il terreno per una successione informale al vertice del governo di Siena. L’intesa con Giulio II fece inoltre da preludio alla conclusione, nell’agosto 1511, di una lega venticinquennale tra Firenze e Siena.

Pochi mesi dopo, nel febbraio 1512, Petrucci si ritirò a vita privata. Morì a San Quirico d’Orcia, di ritorno dai Bagni di San Filippo dove si era recato per curare l’asma, il 21 maggio 1512, seguito meno di due mesi dopo dalla moglie, Aurelia.

Secondo le disposizioni dettate nel testamento del 2 ottobre 1511, fu sepolto accanto al padre Bartolomeo nella chiesa dell’Osservanza francescana della Capriola, dove riposava il corpo del santo Bernardino degli Albizzeschi. Le solenni cerimonie funebri dedicategli dal Comune per lo spazio di tre giorni, con un ricorso straordinario alle finanze pubbliche e la partecipazione di tutte le componenti della società senese, costituirono la conferma postuma del ruolo di assoluta preminenza che egli – «voglianlo chiamare tiranno o primo cittadino» (F. Vettori, Scritti storici e politici, a cura di E. Niccolini, Bari-Roma 1972, pp. 305-307) – aveva giocato in una delle fasi più complesse e gloriose della storia della Siena repubblicana (Jackson, 2006).

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