Pallavicini

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Famiglia nobile che trae origine dal medesimo ceppo degli Estensi, dei Malaspina, dei marchesi di Massa. Il nome venne alla famiglia da Oberto I (m. 1148), detto Pelavicino (v.), i cui possessi andavano dal Po alla Liguria. Dal figlio, Alberto, detto il Greco, nacque Niccolò (ricordato nel 1154), capostipite dei P. di Genova il fratello primogenito di questo, Guglielmo, diede invece origine ai P. di Lombardia, signori del cosiddetto Stato dei Pallavicini. Fra essi furono: Oberto II (v. Pelavicino) e il figlio di lui Manfredino il Pio (1254-1328) fautore, come tutti i suoi, del partito ghibellino; Donnino, capostipite del ramo piemontese di Stupinigi estinto nel 1557; Uberto (1302 circa - 1378), seguace di Giovanni Visconti; Nicolò (m. 1401); Rolando I il Magnifico (v.). Dai numerosi figli di questi derivano molteplici rami: di Tabiano, di Varano, del Polesine, di Bargone e Busseto, di Cortemaggiore e di Tibello, quasi tutti estinti nel sec. 18º. Nelle lotte tra i Francesi e gli Sforza del sec. 16º, i P. furono parte con gli uni, parte con gli altri. Al ramo di Tibello appartenne il cardinale e storico Pietro Sforza Pallavicino (v.). A rami collaterali appartennero Giuseppe Galeazzo (v.), e il patriota Giorgio Guido Pallavicino Trivulzio (v.). Al ramo di Cortemaggiore appartennero Gian Lodovico (1425-1481) figlio di Rolando I; Manfredo, condottiero sforzesco, mandato a morte dai Francesi per aver partecipato alla congiura del Morone (1521); Sforza, signore di Busseto (1579) e soldato al servizio dell'Impero e di Venezia; e Ferrante Pallavicino (v.) n I P. di Genova: dai figli di Niccolò, Ansaldo, Giovanni e Ogerio (secc. 12º-13º), derivano i molteplici rami della famiglia. Ghibellini, non ebbero tuttavia nei primi secoli della repubblica una posizione pari alle altre maggiori casate genovesi. Nel 1528 le 14 famiglie allora esistenti costituirono "albergo" col proprio nome, e appartennero al Portico Vecchio, cioè all'antica nobiltà. Notevoli: Abraino (secc. 13º-14º), più volte ambasciatore; Nicolò, pure ambasciatore, e membro dell'ufficio di Gazaria (1399); Meliaduce, protettore della Maona di Scio nel 1397; Benedetto, che indusse Gaeta a resistere ad Alfonso d'Aragona e rese così possibile la vittoria genovese di Ponza (1435); Gian Francesco, governatore di Genova per gli Sforza (1476), morto a Cortona nel 1478; Babilano (m. 1488), ricco mercante del Levante, capitano della repubblica a Famagosta (1460), che ebbe parte importante nelle trattative tra Genova e i Turchi dopo la caduta di Costantinopoli; Damiano, detto il Dottore, giurista, ambasciatore, riformatore degli statuti. Nell'età di Andrea Doria emersero: Agostino (v.); Cristoforo (v.); e Vincenzo, ambasciatore genovese alla corte di Parma (1545), che coprì molte cariche fino al 1560. Nelle successive contese civili, che condussero alla riforma del 1576, i P. cercarono di compiere opera conciliatrice, specie con Giambattista (m. 1609). Tobia, ambasciatore in Francia (1560), ricco mecenate, fece costruire il celebre palazzo delle Peschiere; il figlio Orazio (m. 1600), aderì all'anglicanesimo in Inghilterra, e una sua figlia fu ava paterna di O. Cromwell. Uomini d'arme furono Tobia, morto combattendo per gli Estensi (1656); Paolo Gerolamo, capostipite dei conti di Favignana (sec. 17º); Tomaso (m. 1672), capostipite dei napoletani duchi di Castro; Galeotto (m. 1747, di ferite riportate alla difesa di Genova, contro gli Austriaci); Gian Luca (v.) e Gian Carlo (v.). Come diplomatici si segnalarono invece Gian Girolamo, ambasciatore a Madrid (1646-49); Giambattista (1613-1696), ambasciatore a Parigi (1648-58), a Vienna (1662-64), a Madrid (1668-76); Stefano (1608-1687), agente nel 1671-73 a Roma (la figlia sposò G. B. Rospigliosi); Gian Francesco (v.). Come ecclesiastici sono notevoli: i cardinali Antoniotto (1441-1507), Giambattista (1480-1524), Opizio (1632-1700) e Lazzaro (v.); il generale dell'ordine di Monteoliveto (1703-05) Tomaso; l'arcivescovo di Genova Cipriano (1510-86), che partecipò al Concilio di Trento; l'arcivescovo di Palermo Camillo (m. 1644). I P. diedero alla repubblica di Genova cinquantadue senatori e tre dogi biennali: Agostino (v.), Gian Carlo (v.) e Alerame Maria (v). I P., a eccezione di Paolo Gerolamo (1740-1785), non erano di tendenze democratiche, e perciò furono contrarî alla repubblica democratica del 1797, ma si riaccostarono ai Francesi dopo l'annessione di Genova all'Impero napoleonico. Nel 19º sec. si segnalarono Paolo Girolamo (1756-1833), figlio del doge Gian Carlo; Alessandro (v.); Fabio (v.); Camillo (1813-1882), economista e scienziato; Francesco (1810-1878), deputato al parlamento (1853-57), e, del ramo dei P. di Priola, Emilio (v.). La famiglia è ancora fiorente in varî rami, tra i quali uno ungherese.

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