PALIOTTO

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1998)

PALIOTTO

M. Di Berardo

Rivestimento mobile del fronte anteriore dell'altare, rispetto al quale esso costituisce un elemento a sé stante, caratterizzato nel tempo da una progressiva qualificazione del suo aspetto decorativo e dei suoi contenuti iconografici.Attestato nelle fonti medievali di area italiana dal sec. 13° e, nella variante pali, anche in documenti coevi catalani, il termine p. costituisce il diminutivo di pallium (Du Cange, I, 1886, pp. 113-119) - in quanto 'drappo' e, in senso lato, 'copertura' -, risultando tuttavia traslato anche dal lat. palla o palla corporalis (ivi, pp. 110-112), espressione riferita, fino al sec. 12°, a un telo linteo steso sull'altare, di dimensioni tali da comprenderne l'intera superficie, utilizzato per l'appoggio delle oblate. Tale duplice derivazione del termine offre ragione del suo frequente impiego quale sinonimo di vestis altaris, vestis in altari, o anche vestis super altare in rapporto alla consuetudine, documentata già dal sec. 4° (Lib. Pont., I, 1886, p. 171), di ricoprire la mensa con paramenti tessili al momento della celebrazione eucaristica, in segno di decoro e venerazione. Configurazione e caratteristiche tipologiche di simili rivestimenti, ricadenti su ciascun lato dell'altare o almeno lungo i due principali, emergono infatti generalmente in sede di descrizione inventariale, sotto il comune parametro della sontuosità, dell'impiego di filati preziosi - come nel caso del palleum auro textilem offerto da papa Vitaliano (657-672) alla basilica di S. Pietro in Vaticano (Lib. Pont., I, 1886, p. 343) -, quando non addirittura, specie nelle enumerazioni di donativi, della molteplicità (Lib. Pont., I, 1886, p. 432).Per quanto riguarda viceversa il sussistere di una plausibile distinzione fra vari tipi di copertura - la superiore delle quali sarebbe andata comunque fissandosi nell'uso specifico della tovaglia d'altare (lat. mappa, palla altaris, mantile, velum; lat. medievale tobalea, tobalia), già dal sec. 8° ricordata in più esemplari sovrapposti sulla mensa, fino a un massimo di quattro, per evitare l'eventualità di effusioni del vino consacrato -, numerose conferme emergono soprattutto a livello iconografico: così per es. in una miniatura del Genesi di Vienna (Vienna, Öst. Nat. Bibl., theol. gr. 31), dell'inizio del sec. 6°; in una scena con il Sacrificio di Abramo e Melchisedec in S. Vitale a Ravenna, della metà dello stesso secolo, ove a diretto contatto del piano e sotto un telo bianco con bordo frangiato emerge un drappo purpureo, trasparente, con elementi ornamentali clavati; ancora, in un particolare della Bibbia di S. Paolo (Roma, S. Paolo f.l.m., Bibl. dell'abbazia), nel quale un drappo a fitte pieghe avvolge i lati dell'altare, a conferire a quest'ultimo uniformità visiva e rilevanza simbolica.Al progressivo stabilizzarsi della disposizione frontale del rivestimento della mensa, e dunque al suo valore ubicativo, sembrerebbero del resto rimandare, per il sec. 9°, indicazioni come quella del "velum rubeum qui pendet ante altare" (Lib. Pont., II, 1892, p. 13), offerto da Leone III (795-816) alla basilica ostiense, dove, eccezion fatta per la configurazione materica del paramento come tessile, ancora generica, appare tuttavia, a livello terminologico, la definizione categoriale, di fatto, già assimilabile a quella dell'antependium (v.).Di quest'ultimo, nel significato didattico-celebrativo conferito al suo apparato ornamentale, nonché alla specificità del suo impiego - fra cui precipua, dopo il sec. 11°, specie in seguito all'abbandono della celebrazione della messa versus populum e al relativo spostamento dell'altare verso la parte absidale della chiesa, quella di celare e racchiudere in unico insieme gli elementi di sostegno dell'altare nel tipo 'a mensa', o 'a cassa', ovvero di sovrapporsi alla superficie anteriore nel tipo 'a blocco' -, il termine p. costituisce infatti sinonimo, sia dal punto di vista morfologico sia da quello dimensionale.Non altrettanto è invece possibile affermare sotto il profilo dei materiali costitutivi, se non in base a un uso corrente, traslato e parzialmente inesatto del termine stesso, indifferentemente utilizzato, già a partire dal sec. 15°, per opere in metallo, legno, avorio e pietra, da cui, per estensione, esso è poi passato a configurare anche la decorazione fissa del fronte della mensa.In quanto paramento mobile in seta, filaticcio o lino, dipinto o ricamato, il p. era di norma costituito da un tessuto drappeggiato eccedente nelle misure il lato dell'altare - secondo l'uso originario, ma attestato ancora agli inizi del sec. 14° per es. in una miniatura delle Decretali di Innocenzo III con la Celebrazione della messa (Rieti, Bibl. Com. Paroniana, O. II, 1, c. 161v) -, oppure da un pannello dimensionalmente corrispondente al lato anteriore dell'altare stesso.Circa i sistemi utilizzati per consentirne l'adesione a quest'ultimo, mancano - a causa della deperibilità dei materiali - dati sufficienti: la consuetudine, tuttavia, ben documentata per il periodo tardocinquecentesco, di effettuare il montaggio del p. su di un telaio, atto ad assicurarne nello stesso tempo la tensione, rende ipotizzabile anche per l'epoca medievale l'impiego di cornici nella zona inferiore del tessuto, ovvero di ganci di fissaggio applicati sulla faccia interna del paramento, talvolta rivestita da una fodera di protezione.Per quanto concerne invece la strutturazione decorativa del p., non di rado caratterizzata, superiormente, dalla presenza di una frangia o di una fascia dorata, ampia ca. un terzo dell'intera superficie, nonché figurativamente autonoma rispetto al resto dell'ornamentazione, è credibile il codificarsi di un'abitudine rappresentativa interrelata alla tovaglia d'altare - sovente peraltro associata al p. stesso in una dotazione unitaria -, l'orlo anteriore della quale, ricamato o comunque bordato da strisce di seta colorate e recumbente sulla fronte della mensa stessa, avrebbe in parte occultato il completo sviluppo dei motivi ornamentali del paramento sottostante. Perduta la produzione altomedievale dei p. - di cui nelle fonti è tuttavia ampiamente documentato fra i secc. 8°-10° il complesso delle soluzioni figurative in uso -, l'esiguità numerica degli esemplari completi pervenuti dei secc. 12°-13° rende difficile operare una classificazione dei temi e dei partiti decorativi atta a individuarne la pertinenza specifica, la frequenza o l'esclusività.Di fatto, l'adozione di soggetti non necessariamente relati all'iconografia cristiana vetero o neotestamentaria sembrerebbe confermata, ancora all'inizio del sec. 13° e dunque, credibilmente, anche in precedenza, da opere come la serie di pannelli in seta gialla ricamata in oro con rosoni racchiudenti grifi e pappagalli (Assisi, Tesoro Mus. della Basilica di S. Francesco) - ricordati nell'inventario del 1338 come dono dell'imperator Graecorum (Alessandri Pennacchi, 1920) e problematicamente considerati, in sede critica, come pertinenti a un dossale (v.) - o ancora, da manufatti quali per es. il p. in sciamito con trame in seta e oro membranaceo, proveniente dal convento di Lüne, vicino Colonia (Amburgo, Mus. für Kunst und Gewerbe), eseguito in Spagna o in Italia sempre nel sec. 13°, recante leoni affrontati entro rotae inframmezzate da coppie di grifoni alati.Altrettanto diffusa, sempre a livello di soluzioni non ancora di carattere narrativo, appare inoltre la presenza sui p. di motivi ornamentali a galloni applicati, ovvero a bande verticali tessute, come si evince da un esemplare - anch'esso di dubbia destinazione d'uso - con liste a ricamo, fiori e intrecci a catena (Assisi, Tesoro Mus. della Basilica di S. Francesco), ascrivibile a manifatture dell'Italia meridionale del sec. 13°, o come testimoniano largamente, durante tutto il 14°, le raffigurazioni di p. in miniature analoghe a quella di un antifonario del Maestro delle Effigi domenicane (Firenze, Orsanmichele, c. 28r) o in scene come quella del Miracolo di Bolsena nel reliquiario a smalti del 1337-1338 di Ugolino di Vieri (Orvieto, duomo).Sostanzialmente connotato da un forte intento dogmaticodidascalico risulta comunque per tutto il sec. 13° l'apparato figurativo del paliotto. Fra i soggetti più frequenti ricorre Cristo in maestà entro una mandorla raffigurato tra simboli degli evangelisti e figure di santi campiti entro ampie riquadrature o sotto arcate, come per es. in un p. a ricami in oro e argento su seta purpurea (Bruxelles, Mus. Royaux d'Art et d'Histoire), di produzione renana, riconducibile agli anni 1201-1213 e proveniente da Rupertsberg, presso Bingen, e in un esemplare in tela grezza con ricami in lino e filato di seta (Helmstedt, St. Marienberg), del 1250 ca., eseguito per il monastero di Heiningen, ascrivibile a manifatture della Bassa Sassonia.Ancora più isolati gli elementi della composizione emergono in un p. con ricami in perle d'acqua dolce, perline colorate, coralli e piastrine in metallo dorato (Halberstadt, Domschatz), della seconda metà del sec. 13°, nel quale - come poi in un più tardo esemplare del sec. 14° in damasco rosso di seta con applicazioni in vetro dorato, nero e turchese e pietre semipreziose incastonate (Hannover, Kestner-Mus.) - la complessità della tecnica esecutiva, caratteristica delle manifatture tedesche e spagnole del sec. 13°, supplisce all'adozione di patterns ornamentali più elaborati.Comune appare anche la rappresentazione della Vergine in trono, fiancheggiata per es. dagli arcangeli Michele e Gabriele nel c.d. p. Grandson (Berna, Bernisches Historisches Mus.), della fine del sec. 12° o degli inizi del 13°, forse riconducibile a una maestranza greca operante in Occidente contesa in sede critica tra l'Italia meridionale e Venezia; il medesimo soggetto, compreso, nel caso specifico, fra due scene con l'Annunciazione e l'Adorazione dei Magi, si trova in un p. (Vienna, Öst. Mus. für angewandte Kunst), databile tra il 1239 e il 1269, eseguito nel monastero delle Benedettine di Göss, in Stiria, insieme ad altri paramenti liturgici, in uno stile monumentale e composto dalle finalità moraleggianti, cui la qualità della seta, l'omogeneità cromatico-tonale dei filati e l'ispirazione orientaleggiante degli ornati conferiscono originalità assoluta.Sempre a una produzione d'Oltralpe, verosimilmente tedesca, è inoltre collegabile un p. in lino e oro laminato (Anagni, Tesoro del Duomo), del sec. 13°, con il Crocifisso raffigurato sullo sfondo di girali vegetali contenenti medaglioni con apostoli e profeti, in cui singolarmente anticipatrice delle tendenze successive appare l'originalità dell'iconografia.Caratteristiche della produzione tessile destinata all'altare risultano infatti nel sec. 14° - parallelamente alla grande diffusione e al livello raggiunto dal ricamo nelle regioni dell'Europa centrale - la grande varietà tematica e la libertà compositiva dei soggetti, dei quali entrano a far parte cicli narrativi, completi o ridotti, scene agiografiche o singole immagini campite entro partizioni architettoniche o elaborate bordure.Esemplificativi di una fase transitoria rispetto agli esiti di tale processo evolutivo risultano tuttavia sia un p. (Monaco, Bayer. Nationalmus.), del 1300 ca., nel quale sono rappresentati i re Magi e la Vergine con il Bambino all'interno di campi circolari, la cui ribadita presenza osta al raggiungimento di una compiuta spazialità, sia un paramento (Vienna, Öst. Mus. für angewandte Kunst), ascrivibile agli anni 1320-1340, dono del vescovo Federico di Leibnitz alla cattedrale di Salisburgo, nel quale venti scene dell'Infanzia e della Passione di Cristo risultano ancora inquadrate e sovrapposte all'interno di tre ordini di medaglioni polilobati.Articolato sulla base di un impianto gerarchico e spaziale tradizionale - codificatosi, già nel sec. 13°, nella produzione di antependia o dossali lignei - appare invece il p. in seta bianca (Pisa, Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo) donato dal vescovo Giovanni di Nicosia alla cattedrale di Pisa nel 1325, in cui il tema centrale dell'Incoronazione della Vergine si trova circondato da un doppio ordine di scene relative alla Vita di Cristo e della Vergine inserite in una serie di piccoli scomparti laterali.All'ampia fortuna avuta dalla narrazione evangelica nell'iconografia dei p. del Trecento, centralizzata sul tema della Passione di Cristo - presente per es. in alcuni frammenti di un'opera in opus anglicanum (Londra, British Mus.), della prima metà del sec. 14°, forse di destinazione papale o, ancora, in un esemplare in opus romanum su seta (Sens, Trésor de la Cathédrale), del 1300 ca. - o su quello della Crocifissione, soggetto ricorrente sia in un lavoro con le figure di trentasei santi a mezzobusto (Halberstadt, Domschatz) sia in un p. con fondo di velluto rosso e figure su tela ricamate e applicate (Berna, Bernisches Historisches Mus.), della seconda metà del sec. 14°, fa da effettivo riscontro solo la frequenza delle raffigurazioni a soggetto agiografico. In esse i singoli episodi si succedono spesso senza interruzione e talvolta all'interno di compilazioni tematiche molto articolate, così come mostra un p. con Storie di s. Martino di Tours (Bruxelles, Mus. Royaux d'Art et d'Histoire), contornate da episodi relati a Sulpicio Severo, Gregorio di Tours e ai grandi cronisti dell'epoca, riconducibile a manifatture di Touraine o di Liegi della metà del 14° secolo.Del valore attribuito alla scansione architettonica del campo figurativo, sulla scia delle soluzioni spaziali dei media pittorici, rende invece conto una serie di p. - caratteristici peraltro dei risultati ottenuti dal ricamo in seta e dalla tecnica della c.d. pittura ad ago, specie in Austria, Boemia e Francia - nei quali si passa dall'adozione di duplici ordini di arcate, inquadranti episodi o singole figure, come già nel caso di un p. di manifattura umbro-laziale della fine del sec. 13° (Anagni, Tesoro del Duomo), alla raffigurazione di originali partizioni di tipo turriforme tra le singole scene - come nell'esemplare (Berna, Bernisches Historisches Mus.), donato tra 1340 e 1350 dal duca Alberto II d'Austria (m. nel 1358) al monastero di Königsfelden -, all'inserimento di immagini di santi entro esili archeggiature gotiche, per es. nel p. proveniente da S. Maria di Pirna (Meissen, Albrechtsburg) ascrivibile a laboratori boemi e databile intorno al 1360.Il segno di una conseguita maturità tecnico-stilistica negli intenti ornamentali e didascalici appare infine chiaramente in alcuni lavori della produzione manifatturiera a ricamo di area italiana del sec. 14°, testimoniata dalla molteplicità delle scuole locali, tra cui, emergente, quella fiorentina.Ne sono esempio, a conferma del continuo scambio tra ambito pittorico e tessile, sia un p. (Firenze, Palazzo Pitti, Mus. degli Argenti), proveniente da S. Maria Novella e firmato da Jacopo di Cambio nel 1336, all'interno del quale lo stesso tema dell'Incoronazione, accompagnato da figure di santi e apostoli, mostra un'autonoma articolazione dei motivi naturalistici e dei soggetti religiosi, specie sotto il profilo narrativo, sia un p. (Manresa, Mus. Històric de la Seu), anch'esso in opus florentinum, donato per l'altare maggiore della cattedrale di Manresa da Ramon Saera (m. nel 1357) e firmato da Geri di Lapo, nel quale la resa formale dei soggetti rappresentati, ancora inerenti alla Passione di Cristo, denuncia, nella sua eccezionalità, una compiuta capacità esecutiva.

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