PALESTRINA

Enciclopedia Italiana (1935)

PALESTRINA (A. T., 24-25-26 bis)

Roberto ALMAGIA
Gioacchino MANCINI
Giovanni COLASANTI

Cittadina del Lazio in provincia di Roma, situata fra 420 e 470 m. di altezza sul versante meridionale del M. Ginestro, sprone dei Monti Prenestini avanzato verso la Campagna Romana; esso è coronato in alto dal minor centro di Castel S. Pietro (m. 752) occupante il sito dell'acropoli di Preneste. La città guarda l'unico passo che, fra i Prenestini e gli Albani, conduce dalla valle del Sacco in quella inferiore del Tevere (Passo dell'Olmata, m. 371), passo percorso da un'antichissima via; da ciò la sua importanza fin dai più remoti tempi storici. Il paese attuale, erede dell'antica Preneste, è di aspetto medievale; le sue strade principali si succedono secondo le isoipse, collegate fra loro da viuzze in ripidissimo pendio o da scale.

Palestrina aveva intorno a 2500 ab. nel 1656, e con lenta ascesa toccava i 4000 alla fine del sec. XVIII, poi subiva, come quasi tutti i luoghi del Lazio, una diminuzione (3530 ab. nel 1816). Rapido fu invece l'incremento successivo: 5320 ab. nel 1853, 6015 nel 1871, 7007 nel 1901. L'emigrazione rallentò in seguito alquanto il ritmo dell'aumento: nel 1921 gli abitanti del comune erano 7427, nel 1931, 8118, dei quali 1/5 sparsi in campagna. Palestrina dista da Roma circa 41 chilometri; ha una stazione ferroviaria sulla linea Roma-Fiuggi e un'altra sulla Roma-Cassino ma quest'ultima ne dista km. 6, e l'abitato è ad essa legato da un magnifico viale rettilineo di olmi detto L'Olmata.

Il comune di Palestrina (kmq. 46,59) è in buona parte coltivato a olivi nella regione collinosa, a vigneti e cereali in piano.

Storia e monumenti. - Antichità. - La città antica giaceva sul pendio del monte, ove sorge la moderna, e la sua arce, come è accennato, s'ergeva sulla vetta, nel luogo stesso ove oggi è Castel S. Pietro.

Un recinto ad opera cosiddetta pelasgica o ciclopica congiungeva la città all'arce e circondava questa con valida difesa. Dell'antichissima costruzione restano tuttora visibili cospicui resti. Lo stesso recinto chiudeva la città primitiva e formava sostruzioni atte a sorreggere i varî ripiani su cui era disposta, secondando la naturale deformazione del monte. Nella parte bassa la difesa era formata da mura in opera quadrata, più tardi dalle altre, tuttora visibili, la cui costruzione fu determinata da un ulteriore ampliamento della città.

La fondazione della città fu attribuita dagli antichi a un nucleo di colonizzatori guidato da Telegono, figlio di Ulisse (Virg., Aen., VII, 678 seg.). Dagli avanzi delle sue vetuste mura, dall'antichità delle iscrizioni della sua necropoli e dalla suppellettile funebre delle tombe si può arguire che essa esisteva già nel sec. VIII a. C., e che era già città importante quando Roma era appena all'inizio della sua vita. I Prenestini vanno annoverati fra i prisci Latini e fecero parte della federazione delle trenta città laziali che avevano a capo Alba Longa. Secondo la tradizione, nell'anno 255 di Roma (499 a. C.) Preneste abbandonò la Lega latina per unirsi ai Romani (Liv., II, 19). Mal sopportando il predominio romano, subito dopo l'invasione dei Galli si ribellò a Roma, iniziando una lunga guerra interrotta da paci, che si protrasse fino alla guerra sannitica e allo scioglimento della Lega latina (338 a. C.). Malgrado questi avvenimenti, Preneste conservò la sua indipendenza, quale civitas foederata con il diritto di asilo e quello di battere moneta. Dopo la guerra sociale nel 90 a. C., Preneste da civitas foederata divenne municipium. Il figlio di Mario il Vecchio, Mario il Giovane, si chiuse in Preneste per difendersi dall'esercito di Silla, ma perduta ogni speranza di salvezza, vi si uccise. Silla s'impadronì della città e, dopo averla spietatamente punita, vi trasferì una colonia di veterani. Divenuta colonia militaris, perdette il grado di municipium, che ottenne di nuovo sotto Tiberio, pur continuandosi a chiamare colonia.

L'antica civitas foederata ebbe il suo senato e quali magistrati supremi due praetores, coadiuvati da aediles. Quale municipio ebbe in luogo del senato l'ordo decurionum, e invece dei pretori i duumviri e il quinquennalis, equivalente al censore. Con l'impero ebbe il collegio degli Augustales, presieduto da un magister. Alla metà del sec. II dell'impero e durante il III, la città fu retta per lo più da un curator civitatis, rappresentante dell'imperatore.

Sul monte di Preneste sorgeva il celebre santuario della Fortuna primigenia, il cui culto antichissimo, pur dopo la vittoria del cristianesimo, rimase tenacemente osservato per tutto il sec. IV. Tuttavia in Preneste si era formata una chiesa cristiana (il primo vescovo ricordato è del 313) che vantava un martire illustre: il giovanetto Agapito (anno 274). La maggioranza della popolazione rimase a lungo fedele al culto pagano, e quando l'imperatore Giuliano tentò di dar nuova vita al paganesimo, i Prenestini gli dedicarono un pubblico monumento (Corp. Inscr. Lat., XIV, 2914). Dopo l'abolizione definitiva del culto pagano per opera di Teodosio il magnifico santuario fu abbandonato. Sulle sue rovine sorse la città medievale.

Il tempio primitivo della Fortuna Primigenia, la cui fondazione risale alle origini stesse della città, fu molto più modesto nelle sue proporzioni di quello che sorse con il grandioso restauro eseguito dopo la devastazione sillana, nel sec. I a. C. La leggenda attribuiva a un tal Numerio Suffucio il prodigioso ritrovamento entro il vivo sasso, nel luogo ove sorse il tempio più antico, delle celebri sortes praenestinae, con lettere misteriose da servire ai responsi (Cicer., De divin., II, 41). Queste sortes ebbero nell'antichita grande credito, specie presso il popolo. Il tempio dell'età postsillana fu così grandioso da occupare quasi tutta l'area della moderna città. Un grande vestibolo in basso dava accesso a un'ampia gradinata che immetteva in un ripiano superiore. Un'altra gradinata raggiungeva un secondo ripiano, e una terza, di forma piramidale, saliva fino all'ultima spianata, che formava la parte più alta dell'edificio, sulla quale, in mezzo a portici sontuosi, s'innalzava il tempio di forma rotonda, con dietro un grandioso emiciclo, corrispondente all'odierno palazzo baronale. Il simulacro della Fortuna Primigenia, cioè generatrice, rappresentava la dea con in seno Giove fanciullo, cui porgeva la mammella. Ufficiavano il santuario i sacerdotes Fortunae Primigeniae, fra i quali alcuni avevano l'ufficio di sortilegi, incaricati di estrarre le sorti. Fra le ricchissime decorazioni di questo tempio va ricordato il celebre musaico, del tempo d'Adriano, rappresentante una magnifica scenografia dell'Egitto, con scene dell'inondazione del Nilo e cacce d'animali. Fu trovato nel sec. XVII in un'aula del piano inferiore del santuario ed è ora conservato nel palazzo baronale dei Barberini. Dalle iscrizioni risulta che in Preneste avevano culto anche Giove Arcano, Apollo e la Mater Matuta.

Il Foro dell'antica Preneste si estendeva avanti al tempio della Fortuna; dopo Silla fu spostato nel luogo circostante all'attuale chiesetta della Madonna dell'Aquila. In esso s'innalzava la curia, con incisi sulle pareti i Fasti municipali dei quali si rinvennero frammenti; attorno stavano le scholae dei collegi, le tabernae dei rivenditori e si ergevano le statue onorarie dei personaggi più illustri di Preneste. In un emiciclo erano affisse le tavole marmoree del noto calendario romano, con importanti didascalie del grammatico Verrio Flacco, del tempo di Augusto. Di questo importante calendario resta in parte il testo relativo ai mesi di gennaio, marzo, aprile e dicembre, conservato nel Museo nazionale romano. Preneste ebbe anche un anfiteatro e un circo, e nei suoi pressi, forse a S. Maria della Villa, vi fu una villa imperiale, fino dai tempi d'Augusto, restaurata e ampliata da Adriano, dalla quale proviene la bella statua di Antinoo della Rotonda del Museo Vaticano.

La necropoli Prenestina si estendeva a mezzogiorno della città, a destra della via romana, fra le moderne chiese rurali di S. Rocco e di S. Maria; fu ivi iniziata fino dalle origini della città e vi perdurò fino ai tempi imperiali. Le tombe più antiche furono decorate dai cippi a foggia di pigna, di significato simbolico, caratteristici della necropoli prenestina. Da questa provengono la fibula prenestina con iscrizione arcaica, la cista Ficoroni del sec. III a. C., ora nel Museo di Villa Giulia, e la ricca suppellettile della tomba Bernardini del Museo preistorico Pigorini. Un cimitero cristiano all'aperto si estese in località ora detta Quadrelle, con una basilichetta del sec. IV, dedicata alla memoria di S. Agapito.

Medioevo ed età moderna. - Per la sua forte posizione all'ingresso della Valle Latina, il possesso di Palestrina è legato alla sicurezza di Roma; di qui le grandi lotte tra papato e signori feudali per il dominio di questa piazzaforte. Giovanni XIII nel 970 diede Palestrina in feudo a Stefania, senatrice di Roma e quando poi il feudo passò ai Colonnesi si accesero aspri dissidî con la Chiesa. Nel 1297 Bonifacio VIII si propose di farla finita con la molesta fortezza; l'assediò e, tenendo a bada i Colonnesi in un abboccamento a Rieti, la prese e la rase al suolo, rispettando la sola cattedrale. Gli abitanti furono raccolti in una borgata, detta Città papale ai piedi del colle. Ma, dopo l'allontanamento della sede papale da Roma, Stefano Colonna rioccupò Palestrina e la fortificò contro Cola di Rienzo. Dopo circa un altro secolo di turbolenze feudali, il card. Vitelleschi distrusse Palestrina demolendone perfino le chiese; il 20 marzo 1437, con una squadra di 12 capimastri romani, iniziò la demolizione durata 40 giorni. Le campane e i corpi santi vennero trasportati a Corneto. Dopo questa seconda distruzione le relazioni tra Papato e Colonnesi migliorarono e cessarono i contrasti per Palestrina che da Niccolò V (bolla 21 aprile 1447) venne restituita ai Colonna e, nel 1572, eretta a principato in onore di Marcantonio Colonna vincitore di Lepanto.

Nel 1630 il feudo di Palestrina fu venduto ai Barberini che ampliarono e abbellirono la città. Palestrina diede i natali a Giovanni Pierluigi da Palestrina (v.). Per la sua posizione strategica, il 9 maggio 1849 Palestrina venne presa da Garibaldi nella sua azione contro le truppe di Ferdinando II di Borbone.

Nel duomo (S. Agapito) rimane, della costruzione romanica, la parte superiore della facciata e il campanile a due piani, con trifora e cuspide ottagonale. Nel palazzo baronale Colonna-Barberini, che ebbe il suo attuale aspetto nel sec. XVII, quattro sale sono decorate con affreschi attribuiti agli Zuccari. Attigua al palazzo la chiesa di S. Rosalia che ha nell'interno, oltre a quattro sepolcri di membri della famiglia Barberini, il gruppo della Pietà in marmo, discussa opera di Michelangelo. Sull'altura, a Castel S. Pietro, rovine grandiose del castello medievale, e nella chiesa un quadro di Pietro da Cortona.

V. tavv. XXVII e XXVIII.

Bibl.: A. Nibby, Analisi dei dintorni di Roma, 2ª ed., Roma 1848, p. 501 segg.; Maspero, in Gazete archéologique, 1879, p. 77 segg.; Blondel, État actuel des ruines du temple de la Fortune à Préneste, in Mélanges d'archéologie et d'histoire, 1882, p. 185; Fernique, Étude sur Préneste, ville du Latium, in Bulletin de l'École française, 1882, fasc. 17°; R. Delbrück, Hellenistische Bauten im Latium, Strasburgo 1907; V. Magoffin, A study of the topography and history of Preneste, Baltimora 1908; E. Schmidt, Studien zum barberinischen Mosaik, Strasburgo 1929; O. Marucchi, Atti della Pont. Accademia romana d'archeologia, X, p. 147 segg.; id., Guida archeologica della città di Palestrina, Roma 1932.

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