PALERMO

Enciclopedia dell' Arte Antica (1996)

Vedi PALERMO dell'anno: 1963 - 1996

PALERMO (v. vol. V, p. 870)

R. M. Bonacasa Carra

Gli scavi archeologici nell'area del centro storico cittadino hanno reso di attualità il problema della topografia storica di P. antica. Alle planimetrie note dello Schubring, del Columba e della Tamburello si aggiungono una carta archeologica elaborata da C. A. Di Stefano e G. Mannino e altre due planimetrie curate da O. Belvedere e R. M. Carra, queste ultime relative soprattutto alla situazione topografica dell'area cittadina e delle necropoli in età romana.

Le mura puniche sono state l'unica opera di difesa della città in età romana e bizantina e probabilmente anche fino alla seconda metà del X sec. d.C. Il loro percorso è ancora riconoscibile attraverso i ruderi che sono soprawissuti allo smantellamento della cinta avvenuto in età normanna e aragonese. Inoltre, il tessuto urbano della città moderna conserva ancora il tracciato delle due vie che correvano all'interno dell'opera difensiva. Quest'ultima sorgeva non sul ciglio della collina, ma a una quota più bassa, lungo le scarpate che dominavano il corso dei due fiumi Papireto a Ν e Kemonia a S, seguendo l'andamento delle curve di livello fino a lambire, a E, l'antica linea di costa. Generalmente si ritiene che lungo il tracciato si aprissero quattro porte: a N, a E, a S e a SO. In realtà, più numerosi dovevano essere gli accessi, tra porte e postierle, dislocati nei punti in cui la naturale conformazione del suolo rendeva più agevole la loro difesa mediante la costruzione di torri. Data la presenza di numerose fonti e ruscelli a Ν lungo il Papireto, si ritiene che alcune postierle si aprissero sul fiume, tra cui la Bab Rutah o Porta Rota, nota da un disegno del Di Giovanni.

Il tratto certamente più significativo della cinta muraria di P. antica è quello di NO, lungo il Corso Alberto Amedeo: un secondo tratto, appartenente al lato occidentale della cinta della palaepolis, costituito da due torri che fiancheggiano una porta e da una postierla difesa da una torretta, è stato scoperto di recente in occasione di restauri condotti nelle cinquecentesche sale Duca di Montalto del Palazzo dei Normanni. Per la tecnica tipica delle costruzioni greche (bugnato di fondazione, euthyntèria, anathỳrosis dei blocchi), è stata proposta per l'impianto una datazione al VI sec. a.C., cui sarebbero state aggiunte opere di rinforzo nella prima metà del III sec., anteriori alla conquista romana del 254 a.C.

Sembra ormai accertato che il piano urbanistico della neapolis si basava su un sistema di incroci ortogonali il cui asse portante era costituito dalla Via del Cassaro (attuale Corso Vittorio Emanuele), che univa in linea retta la palaepolis con la porta a mare. L'ampiezza media delle vie secondarie era di 3 m (pari a 6 grandi cubiti punici di 52,18 cm); quella dell'asse portante era probabilmente il doppio (6 m pari c.a a 12 cubiti). Tra le vie secondarie è stata riconosciuta una distanza costante di 52/53 m, in base alla quale si è potuta ipotizzare per gli isolati una larghezza pari a 100 cubiti. L'asse viario principale era coadiuvato nello smaltimento del traffico dalle due vie che correvano lungo il tracciato della cinta muraria, all'interno di questa, e che non possono essere considerate esclusivamente strade di servizio alle mura.

È stata sottolineata l'identità di orientamento che accomuna il piano urbano della neapolis con quello della palaepolis, nonostante manchino le prove di un prolungamento dell'asse portante E-O anche nella palaepolis. Appare probabile, comunque, che le due parti della città siano state pianificate insieme tra la fine del VI e gli inizi del V sec. a.C., rispettando le caratteristiche dei piani per strigas assai diffusi nella Sicilia greca, ma adottati anche in diverse aree del mondo punico e della Fenicia. La presenza di un unico asse viario principale, nonché quella di una cinta muraria interna tra la palaepolis e la neapolis sono infatti caratteri propri dell'urbanistica fenicio-punica.

All'interno della città le aree di maggiore interesse sono quella di Piazza della Vittoria, nella palaepolis, e quelle della cattedrale di Piazza Pretoria-Piazza Bellini nella neapolis. La prima - identificata con l'antico foro cittadino dal Di Giovanni, il quale afferma anche che la grande area fu oggetto per più di un secolo di demolizioni ordinate dai Viceré - è nota per i resti di un muro e di una porta attribuiti al perimetro interno della palaepolis, nonché per la presenza dei resti di tre edifici romani con pavimenti a mosaico, sui quali si impiantò un sepolcreto tardo-romano e in età medievale una grande fossa circolare. Nella stessa area è stata segnalata la presenza di un edificio termale (calidarium con suspensurae all'interno della Caserma dei Carabinieri) al quale potrebbero appartenere anche i lacerti di mosaico di età imperiale scoperti sotto la chiesa della Maddalena. Strutture consistenti di età romana vengono segnalate anche nell'area del Seminario Arcivescovile.

Sempre nell'area della palaepolis, la tradizione vuole che sorgesse la chiesa di Santa Maria dell'Annunziata, detta della Pinta, che sarebbe stata fondata nel punto più elevato della città da Belisario dopo l'assedio del 535, trasformando un vecchio tempio pagano. Distrutta nel 1648-49 per ordine del viceré Cardinal Trivulzio, della chiesa rimane soltanto una pianta schematica nella quale B. Pace ha creduto di riconoscere un nuovo tipo architettonico da lui stesso definito «basilica a portico», che troverebbe confronti in altre chiese della Sicilia orientale e della stessa Roma.

Nell'area della neapolis - secondo il Di Giovanni, che riporta le parole di Idrisi - si troverebbe il sito della cattedrale paleocristiana di P., che sarebbe da identificare lungo il Cassaro (l'asse viario principale EO), dove sorgeva la moschea o ğāmi' e dove più tardi venne costruita la cattedrale normanna. Proprio nella piazza della cattedrale nel 1875 furono scoperti «avanzi architettonici di un tempio antico» insieme a frammenti di iscrizioni, ceramiche, vetri e monete di bronzo; il che ha fatto supporre una continuità di frequentazione del sito almeno dall'età tardoantica alla normanna; il suo perfetto inserimento nel tessuto urbano fa supporre che fosse un'area pubblica già in età precedente.

È opinione di molti che anche l'area di Piazza Pretoria-Piazza Bellini avesse destinazione pubblica; da essa proviene tra l'altro un'iscrizione onoraria del II sec. d.C. (CIL, X, 7295).

Non sembra attestata un'espansione fuori dalle mura; fanno eccezione le aree destinate alle installazioni portuali - la cui frequentazione già in età preromana è provata dai rinvenimenti di Piazza Marina e dello Steri - e le ville suburbane di età imperiale e tardoantica riconosciute nel Piano di S. Erasmo, alla Zisa e nelle contrade di Passo di Rigano e di Luparello di Baida.

A SO, fuori della cinta della palaepolis, si estendeva la necropoli punica, della quale fanno parte anche ottantacinque tombe a camera scoperte nel 1980 insieme ad altre tombe terragne a incinerazione e a inumazione databili in base ai corredi recuperati tra la prima metà del VI sec. e gli inizi del III sec. a.C. Le tombe arcaiche sono di dimensioni modeste con ingresso a N-NO preceduto da una breve rampa e contengono una sola deposizione o dentro un sarcofago monolitico di arenaria o dentro un loculo scavato nel pavimento della camera. Le tombe tardoarcaiche differiscono dalle precedenti per la maggiore ampiezza del vano sepolcrale e per la presenza di un dròmos a gradini. Le tombe di età classica sono notevolmente più ampie, precedute sempre da un lungo dròmos a gradini, accolgono fino a tre sarcofagi e presentano diverse deposizioni sia a inumazione, entro i sarcofagi, sia a incinerazione entro anfore di tipo punico o brocche di fabbricazione locale.

P. vanta anche una serie di complessi catacombali che testimoniano la presenza di una comunità cristiana organizzata almeno fin dal IV secolo. Panhormus è ricordata infatti nelle Epistulae di Gregorio Magno (1, 72; IX, 29) tra le sedi vescovili siciliane come la città più importante della Sicilia occidentale tanto da essere posta a capo dei possedimenti della Chiesa in questa parte dell'isola.

La necropoli del Transpapireto si estendeva sulla riva sinistra del fiume, a poche decine di metri dalle mura urbiche e si sviluppava in direzione N-NE sfruttando la balza rocciosa a ridosso della depressione di Denisinni. Qui si trova la più vasta catacomba di P., quella di Porta d'Ossuna, scoperta nel 1785. Ha uno sviluppo di 54 m in senso O-E e di 31 m in senso N-S. È caratterizzata da un vestibolo provvisto di mensa per i refrigeria e comunicante col corridoio principale O-E dal quale traggono origine tre corridoi secondari orientati N-S. Nelle pareti si aprono numerosi arcosoli polisomi e cubicoli trapezoidali e rettangolari. Al sistema del Transpapireto appartengono anche alcune gallerie che si estendono a E sotto il convento delle Suore Cappuccine, dove fu recuperata in situ l'iscrizione della piccola Maurica (CIL, X, 7333), nonché un vano ipogeico, unico elemento superstite di altre gallerie andate distrutte che segnavano il limite meridionale della necropoli interessando un'emergenza rocciosa prospiciente sull'antico letto del Papireto.

A S della città, lungo il corso del Kemonia, si trovava una serie di ipogei sepolcrali che sfruttavano in parte grotte naturali scavate nei secoli dalle acque del fiume. Note al Di Giovanni e da lui stesso elencate secondo una sequenza topografica da O a E (Sant'Ermete, Santa Maria de Crypta, San Michele, San Calogero de Thermis, Ss. Quadraginta Martyrum, San Pancrazio e Santa Parasceve), di queste cripte non si conosce l'esatta ubicazione, fatta eccezione per San Michele che si estende sotto la chiesa omonima. Il piccolo ipogeo comprende due vani comunicanti, ottenuti in momenti diversi. Nel vano principale si trovano arcosoli polisomi alle pareti, alcune formae sul pavimento e un sedile di roccia a semicerchio addossato alla parete orientale. È stato supposto che questo sedile, unitamente a tre nicchie ricavate nella stessa parete potessero servire per i refrigeria.

Un altro ipogeo, a pianta poligonale, con accesso da SO, che sfruttò le cavità di quattro sili frumentarì di età romana, si trova a SE nei pressi della chiesa di Sant'Antonino, in un'area periferica; è probabile che esso fosse in relazione con qualche insediamento del suburbio.

A NE della città, nell'area compresa tra le vie Roma e Cavour e la Piazza Tredici Vittime, è stato localizzato un cimitero sub divo ritenuto di età bizantina, dal momento che proprio da quest'area proviene anche il noto epitaffio di Petrus Alexandrinus (CIL, X, 7330), morto a Palermo nel 602. Gli esiti di recenti scavi condotti nei pressi della Piazza Tredici Vittime hanno dimostrato anche la presenza di una necropoli araba, nonché di resti dell'abitato arabo e medievale distrutti dall'impianto della cinta muraria cinquecentesca.

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