Paleografia

Dizionario di Storia (2011)

paleografia


Disciplina storica che indaga le testimonianze scritte del passato, di qualsiasi tipo ed epoca esse siano, e i contesti socioculturali del loro uso, ricostruisce la storia delle forme grafiche, le decodifica, le data e le localizza mediante lo studio delle tecniche esecutive e il confronto fra diversi esempi. Oggetto dell’indagine paleografica sono anche alcuni aspetti extragrafici delle testimonianze studiate, quali i sistemi abbreviativi, designativi e interpuntivi, i modi di impaginazione dei testi, i modi di impiego delle scritture d’apparato, le tecniche di insegnamento allo scrivere, la diffusione sociale dell’uso della scrittura.

Paleografia greca

La scrittura greca di età classica, testimoniata da epigrafi e da papiri librari e documentari di origine prevalentemente egiziana, è di struttura maiuscola, con forme tendenzialmente geometrizzate. Mentre con i secc. 3°-1° a.C. le scritture documentarie, soprattutto in ambito burocratico e cancelleresco, cominciano a modificarsi per effetto di un pronunciato processo di corsivizzazione dove anche l’uso di legature di lettere fra di loro genera modifiche grafiche strutturali importanti; quelle librarie assumono forme rotondeggianti, spesso di aspetto monumentale, che si tipizzano dando vita, fra il sec. 1° a.C. e il 3° d.C., a stili diversi. Con i secc. 3°-4° d. C. il processo di corsivizzazione, particolarmente vivace in ambito burocratico, provoca la formazione di tipologie grafiche usuali ormai minuscolizzate. In ambito librario si formano tipologie grafiche destinate a durare a lungo nel tempo, come la diffusa maiuscola biblica o le maiuscole ogivali nelle varietà diritta e inclinata. Soltanto con il sec. 9° la minuscola, ormai da gran tempo in uso in ambito documentario, viene adottata anche in ambito librario, a partire da Costantinopoli, e diviene la scrittura normale del libro della cultura bizantina. Fra i secc. 9° e 12° le minuscole greche, diffuse in tutto il territorio dell’impero (dall’Italia meridionale alla Grecia, da Creta a Bisanzio e all’Oriente) subirono forti trasformazioni, che sfociarono nella formazione di molte tipologie particolari, quali la minuscola bouletée, quella niliana (da s. Nilo di Grottaferrata), quella cosiddetta di Anastasio (sec. 10°), lo stile ad «asso di picche» (secc. 10°-12°), quello di Reggio (sec. 12°). Più tardi si affermarono tendenze al calligrafismo (stile della Fettaugenmode) o la diffusione di tipologie arcaizzanti (sec. 13°). La crisi dell’impero bizantino successiva alla conquista di Bisanzio da parte dei crociati (1204) influì negativamente anche sulla produzione manoscritta e sulle tipologie grafiche; cosicché a tipologie originarie di centri di forte tradizione e di alto prestigio si vennero sostituendo corsive di tipo personale, molte delle quali proprie dei dotti di età preumanistica e umanistica, fino ai prodotti grafici del secondo Quattrocento, che fornirono gli esempi per i caratteri greci a stampa di tipo corsivo, che A. Manuzio usò a partire dal 1494 e impose poi come modello in tutto l’Occidente europeo, a partire dalla Francia.

Paleografia latina

Analogamente a quella greca (e alle altre scritture italiche, come quella etrusca, da cui deriva direttamente) la scrittura latina si sviluppa per un lungo periodo (secc. 7° a.C.-3° d.C.) unicamente in forme di tipo maiuscolo. Le testimonianze possedute sono epigrafiche fino al sec. 1° a.C., poi anche librarie e documentarie su papiro. Nell’uso documentario si sviluppa assai presto una corsiva fortemente dissociata nell’esecuzione a sgraffio e progressivamente sempre più corrente nell’esecuzione a inchiostro su papiro, su legno, su ostrakon; ve ne sono molti esempi nei graffiti murali pompeiani, nelle tavolette cerate, nei papiri documentari. Nell’uso librario si impongono tipizzazioni, ora più o meno formali, di una capitale detta rustica, caratterizzata da forme allungate, tratteggio contrastante, presenza di tratti di complemento alla fine delle aste discendenti, che dura in uso fino alla prima metà del sec. 6°. La forte diffusione sociale della scrittura e l’estesa produzione documentaria privata e pubblica concorrono a produrre fra il 2° e il 3° sec. la formazione, nell’Africa settentrionale occidentale, di tipizzazioni minuscole sia corsive che posate, che a poco a poco si diffondono largamente nell’uso e sostituiscono le tipologie capitali, rimaste relegate ai livelli più formali: documenti della cancelleria imperiale e codici di lusso destinati all’aristocrazia paganeggiante. Fra i secc. 4° e 5°, sempre in Africa (grande laboratorio grafico del mondo mediterraneo prima della conquista araba), nasce un’altra tipologia scrittoria, adottata soprattutto nella produzione libraria cristiana, l’onciale, caratterizzata da forme tondeggianti imitanti quelle della maiuscola biblica greca. Onciale, minuscola (col nome di semionciale) e corsiva nuova (cioè minuscola corsiva, dove le numerose legature determinano rilevanti mutamenti nella morfologia delle lettere) passano dalla tarda Antichità all’Alto Medioevo, periodo in cui le diverse regioni europee, nelle quali la diffusione dello scritto si era enormemente ridotta, danno vita a tipizzazioni grafiche locali: le insulari in Irlanda e in Inghilterra, la merovingica in Francia, la visigotica in Spagna, la beneventana nell’Italia meridionale longobarda, prevalentemente basate su processi di trasformazione in senso formale della corsiva nuova. Con l’età carolingia, tra la fine del sec. 8° e gli inizi del sec. 9°, si elabora in Francia una nuova tipizzazione minuscola basata sulla semionciale, che, anche per lo scarso numero di abbreviazioni e legazioni, ha i pregi della semplicità e della chiarezza del disegno delle lettere e perciò anche della leggibilità: è la minuscola carolina, corrispondente ai nostri caratteri a stampa, che si diffonde rapidamente nel corso del sec. 9° a tutti i territori appartenenti al Sacro romano impero e poi anche all’Inghilterra (secc. 10°-11°), alla Spagna della riconquista cristiana e all’Italia meridionale longobarda invasa dai normanni (sec. 11°); a Roma e nell’Italia centrale se ne conosce fra i secc. 10° e 12° una particolare tipizzazione detta romanesca. Fra i secc. 11° e 12° lo stile della minuscola carolina viene fortemente modificato da tecniche esecutive nuove, che ne accentuano il contrasto di tratteggio, la compattezza di esecuzione sul rigo, la fittezza delle righe nella pagina: nasce così la minuscola gotica (o littera textualis), sentita dai contemporanei come littera moderna, che nel sec. 13° diventa in tutta l’Europa la scrittura dei libri della cultura universitario-scolastica, attraverso differenti tipizzazioni locali, tra le quali in Italia la littera bononiensis. La sempre maggiore diffusione dell’uso dello scrivere, anche fra i laici e nelle lingue volgari, e la crescita della produzione documentaria provocano contemporaneamente anche la formazione di nuove corsive che sostituiscono dappertutto l’arcaica corsiva nuova; in Italia si affermano la minuscola cancelleresca o notarile e la fitta mercantesca, adoperate anche in ambito librario. Fra i secc. 14° e 15° le critiche rivolte dai protoumanisti italiani alla cultura scritta di età gotica provocarono con Petrarca e C. Salutati il ritorno a forme grafiche sempre più simili alla minuscola carolina, che sfociò, fra gli ultimi anni del sec. 14° e i primi anni del sec. 15°, nella formazione di una nuova minuscola di uso librario, che della antica carolina costituisce una fedele imitazione e che viene denominata umanistica o antiqua; come il suo modello, è anch’essa posata, tondeggiante, diritta, praticamente priva di legamenti fra lettere e di abbreviazioni; nella seconda metà del sec. 15° se ne diffonde una tipizzazione più grande, più tonda, pesante e rigida (antiqua tonda). Accanto alla umanistica posata si affermano in ambito documentario tipi di corsive fortemente influenzati dall’antiqua, che si definiscono genericamente umanistiche corsive. Adottate anche in altri Paesi europei, accanto alle gotiche e alle corsive «bastarde» tradizionali, le tipologie grafiche umanistiche costituirono nella seconda metà del sec. 15° i modelli dei caratteri romano tondo e corsivo italico della stampa, rimanendo in uso anche nella produzione tipografica successiva.

Paleografia ebraica

L’originaria scrittura ebraica è di tipo fenicio; ne rimangono prevalentemente testimonianze lapidarie, su ostraka e, più tardivamente, su monete. A partire dal sec. 5° a.C. fu affiancata dai caratteri in uso per l’aramaico, detti quadrati o assiri (introdotti secondo la tradizione dai reduci della cattività babilonese), che la sostituirono progressivamente fino a soppiantarla nel sec. 2° d.C. La documentazione più rilevante di epoca antica sulla scrittura quadrata è data dai rotoli del Mar Morto (sec. 3° a.C.-70 d.C.); molto più raro e di diversa natura il materiale disponibile fino al sec. 9°. Da questa epoca in avanti il materiale documentario è in prevalenza costituito da manoscritti cartacei e pergamenacei. In epoca medievale la dispersione degli ebrei nel mondo ha dato origine a diverse tradizioni locali, riconducibili, secondo classificazioni piuttosto schematiche, a gruppi principali come il sefardita (di area originariamente spagnola), l’italiano, il provenzale, l’ashkenazita (originariamente tedesco, quindi dell’Europa Orientale), il greco, l’orientale (o di area islamica), lo yemenita, il persiano. In ogni gruppo geografico si distinguono tre tipi di scrittura; quadrata, corsiva e semicorsiva (o intermedia); sono inoltre riconoscibili evoluzioni stilistiche temporali, divisioni in sottogruppi e commistioni di stili. L’introduzione della stampa (che usò inizialmente vari modelli, con la prevalenza dei tipi quadrato e semicorsivo spagnolo) comportò il progressivo abbandono del semicorsivo. Il tipo quadrato permane tra l’altro in tradizioni specializzate e ritualizzate di copia di rotoli biblici pergamenacei.

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