Paleoantropologia

Enciclopedia delle scienze sociali (1996)

Paleoantropologia

Fiorenzo Facchini

di Fiorenzo Facchini

Paleoantropologia

1. Introduzione

Dal punto di vista etimologico 'paleoantropologia' (da palaios, antico; antropos, uomo; logos, discorso) significa lo studio dell'uomo antico. Con essa può intendersi l'antropologia dell'uomo fossile o delle epoche passate, comprensiva delle origini della famiglia umana, delle differenziazioni nel tempo, del rapporto con l'ambiente. Questi studi si basano sui reperti scheletrici e su ciò che attesta la presenza e l'attività dell'uomo e delle forme che hanno preceduto e preparato la sua comparsa. Come per l'uomo attuale, anche per quello del passato vanno considerati i rapporti stabiliti con l'ambiente particolarmente attraverso la cultura.

La paleoantropologia potrebbe essere intesa come una paleontologia umana allargata (v. Coppens, 1987).

Effettivamente l'uso dell'espressione paleontologia umana, affermatasi nell'ambiente francese del secolo scorso, appare legato allo studio dei fossili umani considerati nel loro contesto geologico, anche se il primo a usare nel 1853 tale espressione davanti all'Accademia delle scienze di Francia, il Serres, si riferiva alla storia delle razze antiche in generale. Nell'uso che se ne fece in seguito, la paleontologia umana venne a indicare lo studio dell'uomo fossile, come ha notato Hamy (v., 1870) nel suo Précis de Paléontologie humaine. Secondo Hamy la vera paleontologia umana finisce con i monumenti megalitici. Le varie scoperte di fossili umani (La Naulette, Neandertal, Gibilterra, Spy, ecc.) incrementarono gli studi di paleontologia umana. La ricerca delle origini e delle ramificazioni dell'uomo nel passato, e cioè l'aspetto filetico andò caratterizzando la paleontologia umana nell'intento di ricostruire la storia naturale dell'uomo integrando quest'ultimo in una scienza dell'universo e in una evoluzione cosmologica (v. Piveteau, 1957). Più in generale, secondo Leroi-Gourhan (v., 1988) la paleontologia umana studia l'evoluzione del genere Homo. Il suo campo di studio si arresta convenzionalmente con il Neolitico o la prima età dei metalli. Più ampio appare invece quello della paleoantropologia sia nell'oggetto del suo studio, che non si limita agli aspetti filetici, sia nella sua estensione nel tempo.

Così secondo Debetz (v., 1948) il campo di indagine della paleoantropologia si estende dal Paleolitico alle epoche storiche. Anche secondo Thoma (v., 1985) è da intendersi come paleoantropologia "lo studio dei resti fossili degli ominidi fossili e degli uomini subfossili". Secondo questo autore il suo scopo è duplice: la conoscenza dell'evoluzione umana e la conoscenza dell'etnogenesi.

Il termine paleoantropologia viene sempre più inteso in un senso piuttosto ampio, sia nella materia che viene studiata e non si limita agli aspetti puramente morfologici e filetici, sia nella sua estensione nel tempo. Come ha osservato Coppens (v., 1987), "sotto la sua egida si allineano spesso la paleontologia umana, la paleoecologia, che fa a sua volta appello alla paleoclimatologia e alla paleontologia animale e vegetale, ma si allinea anche la preistoria".

Anche secondo Tobias (v. 1992), la paleoantropologia nella sua forma più semplice abbraccia le origini e l'evoluzione degli ominidi e utilizza metodi e intuizioni che provengono da altri campi di studi (archeologia, paleoecologia, paleodemografia, paleoetologia, tafonomia).

È secondo questa accezione piuttosto ampia che intendiamo il termine paleoantropologia. Anche se vi sono ambiti e specializzazioni di ricerca che hanno assunto una propria configurazione disciplinare (come del resto nel caso dell'antropologia), la paleoantropologia può considerarsi una scienza di sintesi nello studio dell'uomo fossile o del passato, di cui considera prioritariamente l'aspetto biologico, ma anche quello culturale, almeno per quanto attiene ai reciproci influssi. Vengono considerati non solo la morfologia e i caratteri metrici dei reperti ossei, ma anche il loro significato dal punto di vista filetico e funzionale e i rapporti stabiliti dall'uomo con l'ambiente naturale mediante la cultura. La paleoantropologia, esplorando l'uomo del passato, offre gli elementi essenziali di cui tenere conto in una interpretazione evolutiva.

Quanto alla sua estensione cronologica la paleoantropologia può includere le forme che hanno preceduto e preparato la ominizzazione e quelle dell'umanità preistorica fino alla prima età dei metalli, lasciando l'uomo protostorico e storico agli studi dell'antropologia storica.

2. sviluppo storico delle ricerche di paleoantropologia

Lo sviluppo delle ricerche in paleoantropologia si lega fondamentalmente a due fattori: le scoperte dei fossili e l'ampliamento e affinamento dei metodi di studio.

1. Le scoperte dei fossili umani. - Sebbene la prima scoperta di un fossile umano risalga al 1833 quando Schmerling annunciava di avere trovato ad Engis nel Belgio resti fossili umani associati a quelli di rinoceronti e iene, e successivamente nel 1837 fosse comunicata da Eduard Lartet la scoperta di una mandibola di scimmia nel giacimento miocenico di Sansan, in Francia, è stato con la scoperta dell'uomo di Neandertal (1856) che si è imposto all'attenzione del mondo scientifico il problema dell'uomo fossile. Intorno ai resti di Neandertal si svilupparono discussioni a non finire, ma intanto altri fossili umani venivano segnalati (La Naulette, Spy), mentre venivano riconsiderati fossili precedentemente trovati (Engis, Gibilterra). Una prova decisiva sull'esistenza dell'uomo fossile si ebbe con la scoperta fatta dal Lartet nel giacimento di La Madeleine, nel 1864, di una lama di avorio con inciso un mammut. Ulteriori orizzonti si aprirono con la scoperta dei pitecantropi di Giava ad opera del Dubois. Dopo una mandibola segnalata nel 1890 fu la volta di una calotta scimmiesca (1891) e di un femore tipicamente umano (1892). La denominazione di Pithecanthropus erectus, coniata dal Dubois nel 1894, lasciava intendere una interpretazione evolutiva: uomo-scimmia, quasi anello di congiunzione, suggerita dal femore sicuramente umano e dalla calotta ancora scimmiesca. Questa denominazione suscitò discussioni e polemiche, soltanto parzialmente acquetatesi con la scoperta del sinantropo di Pechino, segnalato nel 1929 e negli anni seguenti a Chu-Ku-Tien: la sua morfologia richiamava fortemente quella del pitecantropo, pur apparendo più evoluta, ma la documentazione culturale (industrie litiche di vario genere, tracce di fuoco, ecc.) era inequivocabile.

Negli anni trenta e quaranta, mentre a Giava proseguivano le ricerche ad opera di Weidenreich e di von Konigswald, la scoperta delle forme australopitecine dell'Africa doveva portare elementi decisivi relativi al processo dell'ominizzazione, per il quale non si doveva ricercare una contemporaneità nella evoluzione dei diversi apparati. L'acquisizione della stazione eretta ha preceduto lo sviluppo cerebrale in senso umano, come dimostrarono appunto le scoperte degli australopiteci. Questa la felice intuizione di Raymond Dart, il quale esaminando il cranio di un infante fossile trovato in una miniera a Taung, nel Sudafrica, non riferibile a una forma umana, notò, oltre a qualche aspetto umanoide della dentatura, la posizione avanzata del foro occipitale, da cui dedusse che l'infante potesse avere una stazione eretta. Egli ne diede comunicazione al mondo scientifico nel 1925 proponendo per il reperto la denominazione di Australopithecus africanus. In seguito altre numerose scoperte nelle regioni del Sudafrica evidenziarono per il periodo plio-pleistocenico (da 3 a 1 milione di anni fa) la presenza di forme gracili e robuste di australopiteco, il quale era caratterizzato dalla deambulazione bipede e da dimensioni craniche ancora scimmiesche.

Nel 1959 nella gola di Olduvai, in Tanzania, una nuova forma di australopiteco più robusto di quelli del Sudafrica, veniva segnalata da Louis e Mary Leakey. Esso risaliva a 1.750.000 anni fa e fu denominato Zinianthropus Boisei, in seguito indicato come Australopithecus Boisei. Da allora si intensificarono le spedizioni nei territori africani della Rift Valley: in Kenya, intorno al Lago Turkana, in Etiopia (Afar, Awash), nel bacino del Lago Baringo e nel Serengeti in Tanzania, nel Malawi, nel Chad. Le ricerche hanno portato alla scoperta di forme australopitecine anche più antiche di quelle note del Sudafrica e di Olduvai. Fra queste l'australopiteco afarense o arcaico (v. Johanson e altri, 1978) - denominato successivamente anche preaustralopiteco da Coppens (v., 1983) - , ritrovato nel 1973 nell'Afar in Etiopia, noto come "Lucy" e risalente a 3,2 milioni di anni fa; esso fu segnalato in seguito a Laetoli in Tanzania e recentemente anche nel Chad; l'Australopithecus aethiopicus (o pre-boisei) (1986) di 2,6 milioni di anni fa (a ovest del Lago Turkana), l'Australopithecus ramidus (o Ardipithecus ramidus: v. White e altri, 1994), in Etiopia, di 4,4 milioni di anni fa, l'Australopithecus anamensis segnalato a Kanapoi e Allia Bai (Kenya) (v. Leakey e altri, 1995) e risalente a 3,5-4,1 milioni di anni fa. Spesso gli stessi territori dischiudevano anche reperti più evoluti, come alcuni reperti di Olduvai (1960, 1963, 1968), e di Koobi Fora a est del Lago Turkana (1974) attribuiti a Homo habilis secondo la denominazione proposta da Leakey, Tobias e Napier nel 1964.

Mentre si moltiplicavano nei territori africani le scoperte delle più antiche forme preumane e umane, in Europa la paleoantropologia si arricchiva di fossili più antichi dei neandertaliani, di cui vengono considerati antenati (per esempio Tautavel, Petralona, Steinheim, Swanscombe, ecc.), e nel Vicino Oriente venivano segnalati reperti di uomini vissuti 90.000-100.000 anni fa con caratteristiche di uomo moderno.Le nuove scoperte portavano a formulare nuove ipotesi di ordine filetico per le diverse forme di ominidi e la loro espansione da un centro africano.

2. Ampliamento e affinamento dei metodi di studio. - Un notevole contributo allo sviluppo della paleoantropologia è venuto dall'ampliamento e dall'affinamento dei metodi di studio. Oltre alle analisi morfologiche delle ossa si è prestato attenzione alle analisi macroscopiche e microscopiche della superficie di abrasione dei denti per lo studio della dieta (paleonutrizione). A questo scopo si è fatto ricorso anche all'analisi degli elementi in traccia presenti nelle ossa (stronzio, zinco, rame, ecc.) la cui quantità varia in relazione a una dieta a base di vegetali o di carne animale. I progressi nella biologia molecolare consentono di analizzare il DNA antico delle ossa, mentre lo studio morfometrico si estende oggi anche agli indicatori di stress funzionale, cioè a caratteristiche lasciate sulle ossa da determinate posizioni del corpo o da attività svolta.

Notevoli apporti alla conoscenza dell'ambiente dell'umanità fossile sono venuti dallo studio del terreno, delle faune, del clima, dall'analisi dei pollini. Tali studi consentono di ricostruire l'ambiente e l'epoca in cui l'uomo è vissuto, mentre la tipologia e le caratteristiche degli oggetti di pietra o di osso fabbricati, e le tracce lasciate dal loro uso consentono di ricavare informazioni sulle tecniche, sulle attività e sullo stile di vita, più in generale sulla cultura dell'uomo preistorico. Anche lo studio dei suoli antropici, frequentati e organizzati dall'uomo, fornisce interessanti osservazioni.Né vanno dimenticati i moderni metodi di datazione dei fossili, utilizzabili per la cronologia, assoluta o relativa, un elemento essenziale per la loro interpretazione, giacché la dimensione temporale è essenziale al processo evolutivo. Oltre ai metodi radiometrici sono largamente impiegati altri metodi, come la termoluminescenza, il paleomagnetismo, la racemizzazione degli aminoacidi.

3. oggetto e metodi di studio della paleoantropologia

Lo studio della paleoantropologia si estende non solo ai resti ossei, ma a tutto ciò che può documentare l'evoluzione, la presenza, le caratteristiche, la vita dell'uomo preistorico. Alcuni elementi rientrano propriamente nella paleoantropologia, altri, come quelli relativi all'inquadramento cronologico e ambientale e allo sviluppo della cultura, sono utilizzati dalla paleoantropologia, ma costituiscono oggetto di specifiche discipline.

1. Il livello strutturale e i rapporti filetici. - Attraverso le rilevazioni morfologiche e metriche vengono osservate le caratteristiche dei vari reperti nel cranio neurale, nella faccia, nelle ossa postcraniali. Le prominenze ossee, la forma della fronte, della volta cranica, dell'occipitale, del naso, del mascellare, della mandibola, le dimensioni del cranio neurale e facciale, i diametri dei segmenti degli arti mettono in evidenza differenze e affinità nello spazio e nel tempo, e fondano le interpretazioni di ordine filetico e quindi le ipotesi sulla derivazione e sulle possibili parentele dei fossili di diversi territori e di diverse epoche, nonché sui tempi e sulle vie migratorie.

Dal punto di vista evolutivo i caratteri che si osservano vengono distinti in plesiomorfi, propri di strutture più antiche e comuni a più linee filetiche, e apomorfi, espressione di tendenze evolutive che caratterizzano una nuova linea filetica. Viene inoltre studiato il possibile significato delle caratteristiche morfologiche e metriche delle ossa e dei denti in relazione all'ambiente climatico, alla dieta e agli stress di vario genere, anche se non tutte le variazioni che si osservano hanno un significato adattativo. Le rilevazioni dimensionali dei diametri dei segmenti degli arti vengono utilizzate per ipotizzare lo stile di vita. Ad esempio, il pilastro lieve del femore viene ritenuto caratteristico di popoli cacciatori e raccoglitori, mentre un pilastro forte e inserzioni assai rilevate nei segmenti degli arti inferiori vengono collegati con la vita degli agricoltori.

Analisi microscopiche eseguite sulla superficie di abrasione dei denti possono informare sulle sostanze o sui corpi con cui siano venuti in contatto. Inoltre la proporzione degli elementi in traccia presenti nelle ossa consente di ipotizzare il regime alimentare. Ad esempio, in base a queste analisi la dieta degli australopiteci robusti viene confermata come dieta prevalentemente a base di vegetali.Le caratteristiche morfologiche e metriche vengono utilizzate anche per la diagnosi dell'età e del sesso, qualora si disponga di serie abbastanza numerose.

2. Lo stato di salute. - Le ossa possono presentare patologie che informano sulle malattie degli uomini preistorici. Ad esempio, è stato segnalato un caso di avitaminosi A in un reperto di Homo erectus a ovest del Lago Turkana (1,5 milioni di anni fa), segni di tumore osseo sono presenti nel femore di pitecantropo eretto (circa 0,7 milioni di anni fa), la carie è ben presente nell'uomo della Rhodesia (intorno a 200.000 anni fa), tracce di un meningioma sono evidenti nel parietale di un infante a Lazaret (130.000 anni fa). Qualora si disponga di serie più numerose, come nel Neolitico e nell'età dei metalli, è possibile determinare anche la frequenza delle manifestazioni patologiche.

3. I segni di attività intenzionale. - Possono ritrovarsi tracce di attività intenzionale nell'organizzazione del territorio (capanne, campi base) e nelle pietre scheggiate con varie tecniche. Oltre alla tipologia dei manufatti (chopper, bifacciali, schegge, punte, lame, ecc.) si cerca di stabilire lo scopo per il quale venivano fabbricati e impiegati; ciò anche attraverso l'analisi della superficie di taglio. Anche le ossa possono presentare tracce di attività intenzionale (tagli o fratture per ricavare il midollo). Qualora si tratti di ossa umane si possono osservare fratture dovute a traumi e casi di cannibalismo, rituale o alimentare.

Talvolta si notano segni di combustione in ossa o focolari, che si fanno frequenti con la domesticazione del fuoco. Tra le attività intenzionali rientrano le raffigurazioni dell'arte mobiliare e parietale che si ritrovano nel Paleolitico superiore, come pure la raccolta di oggetti, specialmente conchiglie, a scopo ornamentale documentata già nel Paleolitico medio con i neandertaliani. Un'attenzione particolare va data ai rituali funerari che vengono intravisti già nel trattamento di crani segnalato nel Paleolitico inferiore e sono documentati dalla pratica della sepoltura negli ultimi 100.000 anni.

Questi studi sono affrontati con specifiche metodologie nella preistoria e nella paletnologia, ma la connessione tra le attività umane e gli uomini che le hanno realizzate, come pure il significato che la cultura ha potuto avere in ordine alla evoluzione delle popolazioni e ai loro rapporti, interessa strettamente la paleoantropologia. Un approccio globale, paleoantropologico e preistorico, potrebbe costituire l'ambito specifico di una paleoantropologia culturale, nella quale potrebbero rientrare vari campi di interesse, quali i rapporti tra fonti di sussistenza, economia, gli aspetti morfo-funzionali e demografici dei gruppi umani; culture, insediamenti e dimensioni del gruppo; organizzazione dell'attività socioeconomica; dimensioni e ruoli dell'aggregato familiare e del gruppo umano più largo; diffusione, trasformazione ed estinzione delle culture, soprattutto di quelle che segnano un trapasso di epoca, nel rapporto con l'ambiente; diffusione delle culture in rapporto con le migrazioni umane (v. Facchini, 1992).

4. Inquadramento cronologico e ambientale. - Per l'evoluzione il tempo rappresenta una dimensione essenziale. Di conseguenza per riconoscere a un reperto un significato evolutivo è fondamentale la sua collocazione cronologica. Essa è possibile mediante i metodi radiometrici che sfruttano il decadimento di sostanze radioattive (ricordiamo per le epoche più antiche degli ominidi il metodo K/Ar e per le epoche più recenti il C14) e altri metodi (paleomagnetismo, termoluminescenza, ESR, ecc.). Anche le correlazioni stratigrafiche, faunistiche e floristiche possono essere utili per stabilire l'epoca a cui risale un deposito preistorico. Di largo impiego l'analisi dei pollini che consente di ricostruire l'ambiente vegetale dell'epoca in cui si è formato il deposito contenente resti scheletrici. Dalle piante si risale al clima (temperatura, umidità).

Questi studi, che si avvalgono di metodologie proprie della paleoclimatologia, della paleontologia stratigrafica e della palinologia, vengono utilizzati nell'ecologia preistorica, ma sono presupposti indispensabili per la paleoantropologia.

4. vedute e problemi attuali della paleoantropologia

Nell'evoluzione umana vengono comunemente riconosciute le seguenti fasi: australopiteco, Homo habilis, Homo erectus e Homo sapiens. La loro delimitazione è convenzionale e utilizza la nomenclatura binaria (genere e specie) in uso in campo zoologico. Si tratta ovviamente di raggruppamenti individuati su base morfologica, che presuppongono comunque una continuità genetica.La fase delle australopitecine è considerata preparatoria della ominizzazione, cioè della comparsa dell'uomo. Si ritiene che si siano sviluppate da ominoidei del Terziario, ancora non bene identificati, ricollegabili al kenyapiteco di 14-15 milioni di anni fa. Comunemente gli australopiteci vengono classificati nelle specie: afarensis, africanus, robustus, Boisei. Le recenti scoperte allargano lo scenario, perché si sono aggiunti, come già ricordato, l'Australopithecus aethiopicus (o preboisei) a ovest del Lago Turkana, l'Australopithecus ramidus (o Ardipithecus ramidus dell'Etiopia) e l'Australopithecus anamensis, di Allia Bai e Kanapoi nel Kenya.

La struttura bipede delle australopitecine ha preparato la forma umana che si avrà con un aumento cerebrale e con manifestazioni che attestano uno psichismo umano, cioè con la cultura. Il valore di capacità cranica denominato da Keith e Vallois "Rubicone cerebrale", viene indicato intorno a 700-800 cc. Le più antiche manifestazioni della cultura sono rappresentate dall'industria su ciottolo (Olduvaiano) e dalla organizzazione del territorio praticate da Homo habilis, il cui inizio potrebbe risalire a 2-2,5 milioni di anni fa sulla base di vari reperti rinvenuti nelle stesse aree degli australopiteci (Tanzania, Kenya, Etiopia, Sudafrica, Malawi). Tale fase viene riconosciuta fino a circa 1,6 milioni di anni fa.I problemi che si pongono riguardo agli australopiteci e a Homo habilis non sono pochi. Essi riguardano sia l'identificazione delle forme di Homo habilis, specialmente di quelle di piccole dimensioni, sia il loro rapporto con le australopitecine. Infatti alcuni reperti di Homo habilis, specialmente a motivo della capacità cranica, sarebbero da escludere da tale livello e da riferirsi piuttosto ad australopiteci. Recentemente è stato proposto di distinguere nelle forme di Homo habilis quelle più cerebralizzate (Homo rudolfensis o habilis sensu stricto) del Kenya da quelle meno cerebralizzate di Olduvai (v. Wood, 1992).

Anche la connessione di Homo habilis con le forme precedenti è problematica. Alcuni lo ricongiungono ad australopiteco arcaico (o afarense), altri ad australopiteco africano o a forme più antiche da cui sarebbero derivati sia australopiteco afarense che Homo habilis. Infatti alcuni reperti frammentari del genere Homo, segnalati da Coppens (v., 1983) a Kanapoi (Kenya) e Hadar (Etiopia) per un'epoca molto antica (rispettivamente 4 e 3,5 milioni di anni fa), potrebbero suggerire una evoluzione per lungo tempo parallela di australopiteco e Homo.

Altro problema rimane la comparsa della forma umana che molti autori fanno coincidere con Homo habilis a motivo del maggiore sviluppo cerebrale, rispetto agli australopiteci (l'endocranio presenta anche le impronte delle aree di Broca e Wernicke relative al linguaggio articolato), e dello psichismo dimostrato dalla lavorazione intenzionale della selce (industria su ciottolo: chopper e chopping tools) e dell'organizzazione del territorio (capanne). Non mancano però studiosi che pensano diversamente.

Alla fase di Homo habilis segue quella di Homo erectus che viene riconosciuta in qualche reperto risalente a 1,6-1,5 milioni di anni fa, sempre nell'Africa orientale. La maggiore capacità cranica, alcune sovrastrutture ossee (come la sporgenza sopraorbitaria e occipitale), le industrie litiche bifacciali o su scheggia caratterizzano Homo erectus. A questa fase viene fatta risalire l'espansione dell'umanità dalla culla africana nel continente eurasiatico, anche se non si può escludere una migrazione nella fase precedente.

Portandosi in Asia e in Europa Homo erectus ha seguito evoluzioni in parte parallele, in parte diverse. Altrettanto può dirsi per le industrie litiche. Ad esempio, l'acheuleano (Paleolitico inferiore) che si ritrova in Africa e in Europa non è presente in Asia. Per quanto si riferisce all'Europa, mentre in passato sono state ipotizzate due linee filetiche, una preneandertaliana e un'altra prae-sapiens, attualmente si ritiene che le forme di Homo erectus abbiano portato ai neandertaliani, una forma di Homo sapiens caratteristica del territorio europeo che verso la fine dell'ultimo interglaciale (Riss-Wurm) si spinse nel Vicino Oriente (secondo Vandermeersch), ma non si ritrova nell'Est asiatico e nell'Africa. Le forme neandertaliane tipiche si osservano tra 80.000 e 35.000 anni fa. Un tempo furono anche considerate intermedie tra le forme più antiche e quelle moderne. Attualmente si ritiene che esse rappresentino una specializzazione di Homo erectus che si è estinta 35.000 anni fa senza lasciare discendenza.

La forma moderna (Homo sapiens sapiens), che appare largamente diffusa a partire da 35-30.000 anni fa nei vari continenti, pare sia arrivata in Europa dal Vicino Oriente dove è attestata da reperti di 90.000 anni fa (a Skhul e Qafzeh). Essi a loro volta vengono ricollegati a forme provenienti dall'Africa orientale. L'origine della forma umana moderna nei diversi continenti rimane però un problema ancora insoluto. Due ipotesi si fronteggiano: a) l'uomo moderno, che si ritrova nei diversi continenti a partire da 35.000 anni fa, è di origine africana e si sarebbe portato nelle altre regioni intorno a 100.000 anni fa sostituendo le forme precedenti che vi si trovavano. Potrebbe esserci stata qualche mescolanza, ma non tale da modificarlo sensibilmente; b) l'uomo moderno si è evoluto nelle varie regioni da forme di Homo erectus che vi preesistevano. La prima ipotesi si accorderebbe meglio con i dati della biologia molecolare che suggeriscono una derivazione delle popolazioni moderne da un ceppo africano migrato in Europa e Asia intorno a 150.000 anni fa (v. Brauer e Smith, 1992).

5. evoluzione e cultura

Se l'evoluzione biologica è la chiave che spiega la formazione e i cambiamenti della specie umana nel tempo, la cultura rappresenta la vera ragione del successo evolutivo dell'uomo. Essa può essere considerata "la dimensione adattativa" della specie umana (v. Montagu, 1967). Se l'uomo è sopravvissuto rispetto agli australopiteci (che l'hanno preceduto e in parte hanno visto i suoi primi passi), nella competizione con l'ambiente fisico e con i predatori della savana, è stato in forza della cultura che gli altri non avevano. Per questi motivi la cultura, pur essendo nelle sue manifestazioni oggetto di studio della preistoria e della paletnologia, non può essere ignorata dalla paleoantropologia.

La cultura, intesa come particolare attitudine dell'uomo di fronte alla natura e ai suoi simili, caratterizzata dalla progettualità e dalla simbolizzazione, è una costante dell'uomo a partire dagli albori dell'umanità. Per parte nostra abbiamo proposto la seguente definizione di cultura: il modo con cui l'uomo si rapporta intenzionalmente con l'ambiente ed esprime il proprio mondo interiore con la simbolizzazione e modelli di comportamento collettivo che sono trasmessi nello spazio e nel tempo, anche in modo extraparentale (v. Facchini, 1992). Il rapporto cosciente con l'ambiente porta l'uomo a modificarlo in modo progettuale, mentre le espressioni della sua interiorità caratterizzano le risposte alle esigenze di ordine biologico (nutrizione, riproduzione, protezione, ecc.) arricchendole di nuovi contenuti, anche extrabiologici, e pongono l'uomo in relazione con i suoi simili attraverso le differenti forme di comunicazione simbolica.

Capacità culturali possono essere riconosciute fin dalle lontane origini dell'uomo che da molti autori vengono individuate in Homo habilis, un ominide capace di scheggiare in modo non stereotipo la selce, di organizzare il territorio, di esprimersi forse con il linguaggio articolato. Queste capacità si accrebbero con il tempo, come attestato dalle manifestazioni culturali di Homo erectus e sapiens.

Espressioni della cultura che rivelano l'attitudine creativa, simbolica e sociale dell'uomo preistorico possono riconoscersi nella tecnologia litica e abitativa, nel linguaggio, nella vita sociale (aggregato familiare, organizzazione economico-sociale), nel senso religioso (trattamento di crani e sepolture), nel senso estetico e nell'arte, nella domesticazione del fuoco. Questi comportamenti esprimono uno psichismo umano: proprio per questo essi sono da ritenersi in correlazione tra loro, anche se non tutti si ritrovano contemporaneamente, con le medesime espressioni, nella documentazione preistorica relativa ai diversi livelli evolutivi.

Se l'attitudine alla cultura, al di là delle sue realizzazioni, è da ritenersi una costante nell'uomo (preistorico e attuale) sono anche da riconoscersi delle discontinuità o innovazioni rappresentate da atteggiamenti nuovi di fronte all'ambiente e alla natura. Può cambiare infatti il modo di rapportarsi con l'ambiente e può modificarsi la percezione che l'uomo ha di sé e della realtà nella simbolizzazione e nella vita sociale. Nel corso della storia evolutiva sono avvenute alcune innovazioni importanti nelle tecniche di lavorazione della selce (acheuleana, levalloisiana, lamellare), come pure con la domesticazione del fuoco, il culto dei morti, l'arte parietale e mobiliare, l'agricoltura, l'allevamento e la ceramica.

Le modificazioni delle culture che si osservano nel tempo esprimono spesso una evoluzione da forme più semplici a forme più complesse. Si tratta di una evoluzione che non ha seguito i ritmi e i tempi della evoluzione biologica, ma che ha realizzato attitudini via via più progredite nel controllo e nell'adattamento all'ambiente, nella vita e nell'organizzazione sociale sempre più complessa, spesso sotto la spinta di fattori ambientali (cambiamenti climatici) e sociali (aumento demografico, competizione tra gruppi, ecc.). Sono state sottolineate analogie tra l'evoluzione di una cultura e l'evoluzione di una popolazione: tra mutazioni genetiche e innovazioni culturali, tra mescolanze di culture e incroci di popolazioni, tra isolamento biologico e isolamento culturale. Ma sono evidenti le differenze, perché le innovazioni culturali si formano, si accumulano e si trasmettono in modo molto più rapido di quanto si verifica nell'evoluzione biologica. In ogni caso il complesso delle innovazioni culturali e il loro successo non può valutarsi in termini di fitness biologica, ma di sviluppo della cultura, la quale include l'aspetto adattativo ma non si esaurisce nell'adattamento all'ambiente.

(V. anche Evoluzione culturale umana, processi della; Neolitica, rivoluzione).

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