PAGODA

Enciclopedia Italiana (1935)

PAGODA (dal sanscrito dāgoba, derivato da dhātu-gōpa "luogo ove si conservano reliquie", ovvero dal sanscr. chavagati, attraverso il persiano but-kadah, ovvero il hindustānī putkhoda; cinese t'a; tib. mc'od-rten)

Giovanni Vacca

Monumento sacro dei paesi buddisti. Descritto per la prima volta da Marco Polo (ed. Benedetto, Firenze, 1932, p. 307), il quale parla delle torri d'oro e d'argento, sfolgoranti al sole, che il re della Birmania fece fare per il bene della sua anima. È una delle più singolari forme architettoniche degli edifici buddisti, dall'India all'Asia centrale e al Giappone.

Il nome pagode è giustamente definito da F. Lopes de Castañeda, (Historia del descubrimiento de la India, Anversa 1554, f. 73) come quello di un luogo di devozione e di preghiera. Lo scrittore lo assegna ad alcuni monumenti in rovina in una delle isole Angedive (vicino a Goa), visitate da Vasco da Gama nel settembre 1498. Nel sec. XVI il nome pagoda (ovvero masch. pagode) è stato dato altresì alle statue delle divinità che ornavano la pagoda, ovvero erano contenute in una cella.

In India si adoperano più particolarmente i nomi stūpa, che significa "tumulo" o "mausoleo", luogo ove si conservano reliquie, ovvero caitya "monumento". Alcuni sono stati costruiti per contenere le ceneri di monaci celebrati per santità, o reliquie portate dall'India; altri sono soltanto commemorativi per ricordare qualche fatto o per la salute di chi le eresse, o come rendimento di grazie. Queste costruzioni sorgono spesso accanto a un monastero (sañghārāma), e hanno forme diverse, di un emisfero sopra una base cubica, sormontato da una piramide o da un cono, e da singolari strutture che simboleggiano i cinque elementi, le regioni celesti, varie divinità, ecc.

In Cina assumono spesso forma di torri a un numero dispari di piani, di solito sette o nove, fino a tredici. La famosa pagoda di Nanchino era alta circa 80 m. Generalmente sono torri a base quadrata, esagonale od ottagonale. Le pagode erano spesso erette nelle colline più basse circostanti alle città cinesi per equilibrare gl'influssi studiati dalla geomanzia, e accrescere la prosperità delle città, ecc. Sono talvolta decorate esternamente con terrecotte verniciate a colori vivaci, ovvero con pietre scolpite, ecc. (v. birmania, VII, tavole I-II; cina, X, p. 316 e tav. LXXIV; corea, XI, tav. LVIII; hué, XVIII, p. 583; kōyasan, XX, p. 272; kyōto, XX, tav. XXX; mandalay, XXII, p. 95). (V. tavv. CLIX e CLX).

Bibl.: V. Sangermano, Relazione del Regno Barmano, Roma 1833, p. 131; C. Puini, Enciclopedia sinico-giapponese, Firenze 1877, pp. 64-68; A. Foucher, L'art gréco-boudhique du Gāndhāra, Parigi 1905, pp. 45-98; O. Münsterberg, Chinesische Kunstgeschichte, II, Esslingen 1912; O. Siren, A History of Early Chinese Art, Londra 1930; E. v. Boerschmann, Chinesische Pagoden, Berlino 1931; G. Tucci, Indo-tibetica, I, Roma 1932. Per una bibliogr. di opere cinesi ed europee, W. P. Yetts, in Burlington Mag., L, 1927, pp. 116-131.

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