DELLA TORRE, Pagano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 37 (1989)

DELLA TORRE, Pagano

Flavia De Vitt

Nacque in Lombardia da Caverna, fratello dei signore di Milano Napoleone detto Napo, e di Raimondo patriarca di Aquileia, e da Orsina Mondelli ' presumibilmente dopo la metà del sec. XIII. Dopo che suo zio Napoleone perse la signoria di Milano (1277) anch'egli, come la maggior parte dei parenti, si rifugiò nel patriarcato d'Aquileia, governato dallo zio Raimondo Della Torre. Questi favorì la carriera ecclesiastica del D., che nel 1282 era scolastico presso la corte papale ad Orvieto, nel 1290 tesoriere del potente capitolo della basilica aquileiese di cui, nel 1296, divenne decano. Morti Raimondo (1299) ed il successore Pietro Gerra (1301), il capitolo quasi all'unanimità elesse il D. patriarca. Egli si rivolse allora a Bonifacio VIII per ottenere la conferma dell'elezione. Si recò a tale scopo a Roma, ma non ebbe successo: il papa infatti, che già in precedenza aveva avocato alla Sede pontificia la nomina dei patriarchi, particolarmente importante e delicata poiché essi erano i capisaldi della parte guelfa nell'Italia settentrionale, nominò Ottobono de' Razzi, e assegnò al D. la sede vescovile di Padova (1302).

Qui il presule partecipò intensamente sia alla vita spirituale della città, sia alle sue vicende temporali, aspetto - quest'ultimo - particolarmente sottolineato dalla storiografia. Nel 1309 guidò le truppe padovane contro i Veneziani e, nel 1312, contro i veronesi; due anni più tardi organizzò la difesa della città, minacciata da Cangrande Della Scala. Poco prima, durante la sommossa popolare. che doveva portare al governo i da Carrara, insieme con il podestà aveva cercato inutilmente di sedare i tumulti e frenare le violenze.

Come cancelliere dell'università, il D. era profondamente inserito nella vita culturale di Padova. A lui legato, il professore di logica Pace da Gemona iniziò a scrivere un poema storico, rimasto incompiuto (1302-1304), che esaltava il ritorno dei Torriani a Milano, avvenuto nel 1302. Albertino Mussato, dietro, incoraggiamento del D., che insieme con il rettore dell'università lo aveva incoronato poeta per la tragedia Ecerinis (1315),scrisse De gestis Italicorum post mortem Henrici VII Caesaris, che dedicò allo stesso vescovo. Una decina d'anni più tardi al D., divenuto ormai patriarca di Aquileia, il Mussato avrebbe dedicato anche il dialogo filosofico-morale De lite inter naturam et fortunam. Infine, tra le iniziative di carattere religioso del D. vanno ricordati l'incoraggiamento dato alla nascita di un monastero femminile di convertite (1304);la difesa dell'esercizio della cura d'anime da parte del clero secolare, contro le intromissioni di quello regolare; la riedificazione di una parte del palazzo episcopale (1309);la rivendicazione dell'importanza della sua diocesi nel sinodo. provinciale del 1307,quando il patriarca d'Aquileia, venendo meno alla tradizione, gli aveva negato il secondo posto.

Nel 1309 il D. si 'recò a Milano per comporre il dissidio sorto fra i membri della sua famiglia, alcuni dei quali furono costretti a seguirlo in esilio a Padova. Nel 1318, alla morte del patriarca Cassone Della Torre, il D. fu incaricato da Giovanni XXII di portarsi nella sede aquileiese come vicario, per amministrarla sia nell'ambito temporale sia in quello spirituale. La decisione del papa si mostrò oculata, non solo per la consumata esperienza politica ed il temperamento energico del D., ma anche per i vasti appoggi che questi aveva in Friuli. Il D. portò con sé ad Aquileia buona parte dei collaboratori padovani e, un anno dopo, ricevette da Giovanni XXII la nomina a patriarca.

Forse alla corte del presule all'inizio degli anni Venti c'era anche Pace da Gemona, ma non certo Dante, il cui preteso soggiorno in Friuli è pura leggenda. Ben presto il patriarca dovette intervenire nelle lotte fra i nobili: nel 1320 da Cividale accorse a Udine per difendere Ettore e Federico Savorgnan, che sarebbero divenuti due dei suoi più fedeli collaboratori.

Un altro problema, che avrebbe travagliato tutto il governo del D., era l'insufficienza delle finanze (mentre la Curia avignonese insisteva affinché fossero saldati i debiti contratti con essa dal patriarca e dal suo predecessore, per la concessione del beneficio): problema che determinò vistosi indebitamenti con alcuni privati e fu aggravato dalla spedizione di truppe friulane guidate dallo stesso D. in Lombardia (1323-1326), come contributo alla guerra delle forze guelfe contro i Visconti. Il conflitto, che costrinse il patriarca, sublegato papale, a rimanere lontano dal suo Stato, ebbe esito sfavorevole per la parte pontificia; ne derivò, dopo il 1324, una nuova migrazione in Friuli di lombardi, fra cui altri Torriani, che insieme con molti membri della stessa fàmiglia godettero dell'accentuato nepotismo del D.: questi, infatti, assegnava ai propri conterranei la maggior parte delle cariche più prestigiose.

Nonostante la lunga assenza del patriarca per la guerra antiviscontea, è stato rilevato che per il Friuli questi anni furono caratterizzati da una certa tranquillità interna e dalla prosperità. A tale stato di sostanziale pace concorsero l'accordo con Enrico conte di Gorizia nel 1319 e, dopo il 1323, la politica della sua vedova Beatrice, che governò saggiamente per il figlio minorenne; ma certo un'importanza rilevante va attribuita alla familia patriarcale, esperta ed omogenea.

Dopo il ritorno dalla Lombardia, pur continuando ad essere afflitto dalle difficoltà finanziarie e dai debiti con la Curia, per i quali fu anche colpito dalla scomunica, il D. governò con lungimiranza, provvedendo alla fortificazione del Friuli, accrescendo il potere del Parlamento, che riuniva spesso, ed infine attuando una dinamica politica economica: promosse lo sviluppo della città di Udine, favorì l'estrazione mineraria in Carnia (1328), tutelò i mercanti tedeschi (1331), concesse una fiera a Monfalcone (1332). Non mancarono gli insuccessi: le città istriane di Pola e Valle passarono a Venezia (1331-32). Gli affari temporali limitarono l'attività pastorale del D., senza dubbio più principe che vescovo, e non solo (o non tanto) per necessità, quanto, piuttosto, per vocazione. Tuttavia nel 1329 egli riformò nelle finanze e nella disciplina il capitolo di Verona (che dipendeva non dal vescovo della stessa città, ma dal patriarca di Aquileia); nel 1331, sensibile alle istanze della religiosità popolare, istituì una commissione per l'esame dei fatti miracolosi attribuiti al francescano Odorico da Pordenone, morto poco prima e già venerato come santo; per lui il patriarca fece costruire una bella arca gotica, opera di Fil. De Sanctis (1331-32), conservata dal 1930 nella chiesa della Madonna del Carmine a Udine.

Il D. morì in età avanzata nel 1332 a Udine; il suo corpo fu trasportato ad Aquileia e qui sepolto nella cappella di famiglia, all'interno della basilica.

Dei D. ci resta il ritratto nella moneta coniata nel patriarcato di Aquileia durante il suo governo.

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