Paesaggio

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2007)

Paesaggio

Paola Gregory e Riccardo Priore

Architettura

di Paola Gregory

Diffusasi tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli Ottanta del 20° sec., l'attenzione al p. e alla sua progettazione (come organizzazione visibile di un territorio ed espressione delle interazioni fra uomo e ambiente) ha registrato nel corso degli anni Novanta un'ulteriore accelerazione, sospinta sia dalle nuove consapevolezze scientifiche sia dallo sviluppo di nuove tecnologie, in particolare quelle informatiche, nonché dalle complesse dinamiche territoriali e urbane, riflesso delle vistose e implicite trasformazioni culturali, sociali, economiche e politiche di fine millennio.

Allo scopo di comprendere la natura dei fenomeni in atto, sempre più caratterizzati dai contesti eterogenei e discontinui, frammentari e ibridi, instabili e indeterminati delle strutture urbane e del territorio antropizzato, e intervenire sui loro cambiamenti, non appare più possibile limitarsi a una lettura statica, settoriale e locale della realtà esistente secondo ambiti chiaramente delimitati; occorre, piuttosto, considerare le dinamiche interrelate ed evolutive che caratterizzano un insieme urbano, territoriale, ambientale (o una sua parte), per ridefinire con ottiche inclusive livelli e modelli di progettazione diversi, capaci di sostituire alle rigide polarità del moderno 'nuove alleanze' fra modalità d'intervento, non più alternative o dicotomiche, ma correlate in una nuova visione sistemica. Tutti i sistemi - scrivevano nel 1979 I. Stengers e I. Prigogine - vivono soltanto per il fatto di essere aperti: "essi presuppongono l'interazione irreversibile con il mondo, la loro stessa esistenza fisica è definita dal divenire al quale partecipano" (La nouvelle alliance, p. 376). Mettendo in crisi ciascun 'paradigma chiuso', gli sviluppi delle scienze - in particolare quelle ecologiche - sostengono lo stesso progetto architettonico, urbano e ambientale nel suo processo di revisione critica e riscrittura dell'artificiale, portando avanti un progressivo ampliamento delle rispettive tematiche e problematiche che, sfocando i tradizionali confini, appaiono sempre più strettamente interrelate.

Lo stesso spazio del progetto diviene un campo d'immanenza continuo, articolato e materializzato da flussi attivi, contrapposti e interdipendenti: un uncertain system in cui appare essenziale indagare e rappresentare i rapporti fra le cose - lo spazio dell'in-between - piuttosto che le cose stesse, la relazione dialettica fra dimensione fisica e dimensione fenomenica, la trasformazione dinamica e il principio di metamorfosi ed evoluzione temporale, l'interscalarità e l'interconnessione messa in opera dall'azione del progetto. Evidenziando il passaggio dagli oggetti alle relazioni, dalla stabilità all'instabilità, dall'essere al divenire, appare evidente la centralità assunta dal p. - nel suo significato ecologico e fenomenologico, fisico e simbolico - come nuovo paradigma del progetto contemporaneo, suggerendo, alla svolta del millennio, un modello in situ e in visu (per ricordare la doppia artialisation di A. Roger, diretta la prima e indiretta la seconda) inclusivo e processuale, mutevole e indeterminato, in grado di comprendere, adattare e integrare architettura e infrastruttura, ecologia e pianificazione, politiche sociali e attività urbane secondo una necessaria e indissolubile sistematicità.

Rispetto a questo orizzonte di riferimento cui sembrano tendere le più innovative e interessanti ricerche progettuali, sostenute dalla diffusione del digitale che ha generato nuove condizioni del progetto, l'architettura del p. - considerata non come disciplina autonoma, complementare all'urbanistica e all'architettura nella tradizione della landscape architecture, quanto come strumento della trasformazione ambientale, strategia flessibile e multifocale del progetto contemporaneo in grado di assorbire l'aleatorietà presente e futura - riveste un ruolo operativo fondamentale che, rispondendo a una modalità d'intervento capace di superare l'abituale distinzione oggetto-sito, figura-sfondo, artificio-natura, investe in maniera complementare e dialogica, dinamica ed evolutiva gli spazi edificati, gli spazi aperti e gli spazi di relazione: sia nelle zone costruite, al fine di ricucire i tessuti funzionalmente e morfologicamente disomogenei delle periferie, per assegnare alle aree dimesse - ma anche devastate da eventi catastrofici - nuovi ruoli urbani e assetti spaziali, per riqualificare i quartieri di edilizia pubblica, per conferire qualità e valore a nuovi interventi; sia nelle sue propaggini estreme, dove assume il ruolo di interrelazione con il territorio, tanto nell'individuazione e creazione di riserve di naturalità da tutelare e preservare, quanto nella riorganizzazione dei margini urbani, in bilico tra una saldatura alla compattezza del loro nucleo e uno stato labile, di frangia semiagricola.

Suggerendo delle riflessioni sul vuoto e sulla distanza, su quelle dimensioni liminari dove le cose sfumano e le identità s'intrecciano e si confondono, il progetto dello spazio aperto diviene occasione per realizzare nuovi p. attraverso esperienze capaci di sostituire alla modellistica dell'exemplum la processualità dell'eventum. "Abbiamo imparato - scrive A. Geuze, uno dei grandi interpreti contemporanei della landscape architecture - a vedere il paesaggio non come un fait accompli, bensì come il risultato di forze e iniziative imprevedibili" (cit. in Reed 2005, p. 31): un 'reale in divenire' dunque di cui il progetto evidenzia la moltiplicazione semantica ed esperenziale, il senso di precarietà e immaterialità, la temporalità, il cambiamento e la trasformazione, vale a dire quella circolarità causale di interazioni propria dei sistemi complessi la cui stabilità non costituisce un dato assoluto, quanto piuttosto il risultato di un flusso dinamico di energia all'interno del sistema.

Manifestazione processuale aperta, il progetto non si presenta più come un prodotto finale, concluso ed esaustivo, bensì come un 'dispositivo sensibile' atto a interpretare e rappresentare la crescita e il mutamento, la contingenza e il caso, secondo una strategia di pensiero globale e flessibile: una strategia significativamente emersa per la prima volta nei progetti di B. Tschumi (vincente) e R. Koolhaas (2° classificato) al concorso internazionale (1982) per il Parc de La Villette a Parigi, dove la sintagmatica sconnessione delle componenti del parco in differenti piani funzionali o layers individuavano, nella loro autonoma sovrapposizione, la possibilità di coniugare "la specificità architettonica con l'indeterminatezza programmatica" attraverso un metodo organizzativo antigerarchico, antistrutturale e antiformalista che opera con "disgiunzioni, dislocazioni, decostruzioni" (B. Tschumi, Architecture and disjunction, 1996; trad. it. 2005, p. 171).

Rispetto a questo caposaldo - fondamentale sperimentazione dell'emergente architettura decostruttivista degli anni Ottanta - i progetti più recenti sembrano piuttosto evidenziare la ragnatela mobile di interconnessioni fra i diversi elementi: alla frammentazione, discontinuità e stratificazione subentra la tendenziale ricerca di sistemi integrati basati sulle dinamiche dei luoghi, sui flussi, sui movimenti, per organizzare materiali altamente eterogenei e produrre scenari complessi e interrelati, dove i caratteri d'interazione prevalgono, a diversi livelli, sulle definizioni formali.

Sono queste tematiche a costituire il fulcro essenziale della filosofia progettuale di A. Geuze/West 8 quando propone una rilettura della città come p. culturale, in cui si frappongono aspetti diversi del layout territoriale. Dai parchi prevalentemente naturalistici, come lo Schelpenproject a Eastern Scheldt, Neeltje Jans (1° tranche 1990-1992), dove residui del cantiere di una diga del fiume Scheldt sono riutilizzati per la formazione di un complesso p. configurato come un grandioso giardino animato, ai grandi progetti urbani, quali il Buckthorn City (1995), ampliamento futuro dell'insediamento di Rotterdam/Den Haag realizzato su un'isola artificiale, e il Borneo Sporenburg (1997) ad Amsterdam, fino agli innumerevoli progetti di piazze, parchi e giardini - fra i più recenti, l'Interpolis Garden a Tilburg (1998), lo Schiphol Airport Garden (1998), il Chiswick Park a Londra (1999), il Buona Vista Park a Singapore (inizio lavori 2002), o ancora la sistemazione paesaggistica temporanea per l'Expo '02 a Yverdon-les-Bains -, l'intero percorso teorico e operativo dei West 8 sembra esprimere a tutti i livelli la vulnerabilità e l'euforia della cultura di massa, formando all'interno della città trame narrative aperte e mutevoli, in cui si fondono e si compenetrano ecologia e infrastruttura, natura e archeologia con modalità dinamiche e spesso giocose. Affiancando agli spunti derivati dalla filosofia della decostruzione una nuova visione ecologista, Geuze sembra interpretare le stesse condizioni morfologiche del suo territorio natio, l'Olanda, che nella totale artificialità del p., risultato di un ingegnoso processo tecnologico, mette definitivamente in crisi i tradizionali limiti tra l'urbano e il naturale, prospettando una costante sovrapposizione e ibridazione di temi, sostenuta da un'interpretazione disincantata dei nuovi modi d'uso del territorio. Analoghi principi d'intervento caratterizzano molte opere di landscape contemporaneo volte a evidenziare la ricerca creativa di strategie temporali e relazionali altamente complesse, in cui acquista un ruolo centrale e vitale l'idea del verde - e in particolare del parco - quale ambito di sperimentazione di modelli inediti di spazio pubblico: sia all'interno delle compagini costruite mediante azioni puntuali, più o meno diffuse, o sistemi organici e ramificati di settore per instaurare relazioni e connettere parti, valorizzare le caratteristiche dei luoghi e incentivare nuovi usi sociali; sia nei margini urbani per ristabilire i nessi fra la casualità delle forme edilizie e la presunta, generica, funzione a 'verde' dello spazio aperto periurbano e territoriale.

A volte può prevalere l'elemento naturale, valorizzato per sé stesso nelle forme di un'autorappresentazione: fra gli altri, il Giardino botanico sul Montjuic a Barcellona (1999), di C. Ferrater, J.L. Canosa e B. Figueras, in cui la dimensione frattale diviene modello conformativo del progetto capace di generare "un'avanzata sintesi tra l'equilibrio ecologico delle piantagioni e l'artificialità del territorio con le sue infrastrutture costruite" (J.M. Muntaner, cit. in Metamorph. Trajectories. 9° Mostra internazionale di architettura, a cura di K.W. Forster, 2004, p. 161), e il Giardino botanico a Bordeaux (2002), di C. Mosbach, i cui differenti p. rivelano attraverso la modellazione del suolo le caratteristiche geomorfologiche di ciascun habitat; il progetto di P. Blaisse e M. Lehner - Inside/Outside per i giardini di Porta Nuova a Milano (2004), importante accesso al centro città, dove la Biblioteca degli Alberi, vero e proprio repertorio vegetale in cui leggere la natura stessa, connette attività diverse per intrecciare architettura e p. e reinventare nuovi ruoli e significati dello spazio pubblico aperto (piazze come parchi - parchi come fatti puramente artificiali - abitazioni e uffici nel parco - parchi come centri culturali); l'Olympic Sculpture Park a Seattle (2001-2006), dove Weiss/Manfredi creano una topografia artificiale per simulare aspetti dei p. naturali; il piano generale elaborato da Alsop Ltd (J. Allen e W. Alsop) per Bradford (2003; intervento previsto fino al 2020), che ridefinisce progressivamente nel tempo la zona centrale sostituendo parti edificate con un'ampia rete di parchi innervati sul territorio; e ancora il progetto vincente al concorso internazionale per il Downsview Park a Toronto (2000) del gruppo Oma/R. Koolhaas, B. Mau Design, Inside/Outside, Oleson/Worland, in cui l'identità della vasta area (una ex base dell'aeronautica militare) è riassunta nello slogan Tree City (la Città degli Alberi), ovvero prima il p. poi l'architettura, nel tentativo di produrre una densità naturalmente permeabile che affidi a una matrice di gruppi arborei l'incipit di valorizzazione e successiva progettazione delle diverse attività - prevedibili e non - nell'area d'intervento.

Altre volte può emergere l'esigenza di rafforzare la coerenza spaziale e sociale attraverso la creazione di nuove centralità in grado di restituire, con un processo fisico e/o simbolico di densificazione, senso e valore ad aree distrutte, dimesse o marginali: ora tramite la lettura e la rappresentazione della storia, come nelle sensibili interpretazioni del luogo di K. Gustafson - quali Les Jardins de l'Imaginaire a Terrasson-Lavilledieu (1995), o il Giardino del perdono a Beirut (2000-2006) con N. Porter, luogo di riconciliazione e nuova identità libanese del centro devastato da una lunga guerra civile -, nelle poetiche evocazioni del p. circostante di Studio on Site/ H. Hasegawa e T. Mitani - quali il Kaze-no-Oka Park a Nakatsu (1997) e lo Yokohama Portside Park (1998), riproposizione creativa di immagini e caratteristiche proprie della regione -, o nella emersione delle tracce del passato, come nel Sinking Wall dell'Invaliden Park a Berlino (1997) di Ch. Girot o negli allineamenti compositivi del Parc de la Cour du Maroc a Parigi (2003-2006), di M. Corajoud e C. Corajoud con G. Descombes, definiti dal precedente sedime ferroviario; ora attraverso la moltiplicazione di esperienze ricreative e culturali variamente intersecate, sovrapposte e integrate, volte a stimolare una vibrante vita dello spazio aperto, come nella rivitalizzazione del centro di Manchester, oggetto, dopo gli effetti devastanti prodotti nel 1996 da una bomba dell'IRA, di un progetto urbano complessivo di EDAW (J. Averley, D. Cox, P. Garvey, B. Hanway, P. Neal, J. Prior, M. Timpson) teso a trasformare le principali aree pubbliche della città - in particolare la nuova Exchange Square (2000) di M. Schwartz e il rinnovato Piccadilly Gardens (2002) di ARUP ed EDAW - in luoghi ludici e spettacolari, oppure nei molteplici parchi realizzati nella cintura industriale e periferica di Barcellona, prosieguo di quella ricerca sperimentale sui caratteri del vuoto e del verde urbano avviata con il vasto programma di riqualificazione degli anni Ottanta. Qui la concezione del parco come continuazione e metafora della complessità e della cultura urbana stessa ha prodotto spazi caratterizzati da una notevole capacità di manipolare i codici tradizionali con situazioni di cosciente 'soprassenso' nonché di elevati livelli di straniamento e ambiguità perfettamente deliberati, come nelle recenti realizzazioni di E. Miralles (scomparso nel 2000) e B. Tagliabue - il Parc dels Colors a Mollet del Vallès (2001) e il Diagonal Mar Parc (2002) a Barcellona - dove i temi di derivazione decostruzionista si integrano a topografie fittizie, geografiche e sociali, atte nel tempo a fondersi con i molteplici usi presenti e futuri di cui il suolo costituisce una possibile mappa interpretativa e, particolarmente emblematica, nella sistemazione dell'ampia zona costiera destinata a ospitare il Forum Universale delle Culture 2004. In questo caso l'organizzazione di un evento straordinario ha fornito l'occasione - come fu per le Olimpiadi del 1992 - di recuperare un settore strategico e fortemente degradato della città secondo criteri basati sull'interconnessione tra differenti sistemi, all'interno di obiettivi generali propri della sostenibilità e del miglioramento dell'ecosistema urbano. In particolare, il Parco naturale Nord-Est di I. Ábalos e J. Herreros e il Parco litorale Sud-Est dei Foreign Office Architects (FOA, F. Moussavi e A. Zaera-Polo) esplorano l'esigenza di generare p. capaci di includere nei propri dispositivi la complessità culturale acquisita dalle nozioni di naturalezza e spazio pubblico: il primo, ricostruendo un'area caratterizzata da installazioni particolarmente inquinanti, promuove il riciclaggio e la salvaguardia dell'ambiente attraverso la continua interferenza fra 'meccanico' e 'organico' al fine di realizzare uno straordinario spazio pittoresco contemporaneo; il secondo, conformando una superficie topologica altamente differenziata, interpreta e attualizza il modello dinamico delle dune di sabbia (tipiche di molte zone costiere) per innescare una logica coesiva adatta all'ibridazione e integrazione spazio-temporale di distinte funzioni. Come nelle altre opere dei FOA - si ricordino soprattutto lo Yokohama International Port Terminal (1995-2002), che li ha posti all'attenzione internazionale, e il progetto di concorso per il parco-parcheggio della Novartis a Basilea (2003) -, le strategie progettuali che costituiscono il nucleo della proposta sottolineano i valori della continuità, della fluidità e del divenire, dando vita a manipolazioni paesaggistiche capaci di superare l'alternativa artificiale-naturale e di acquisire il tempo come dimensione propria del progetto.

Una dimensione che caratterizza, in particolare, tutti i progetti improntati su una tematica ecologico-ambientale, espressa in termini di riconversione delle aree degradate e inquinate e di recupero della qualità per lo sviluppo biosostenibile ed ecocompatibile delle potenzialità di un sito. Può essere declinata secondo la linea degli ambientalisti tedeschi, progettisti di parchi territoriali e urbani all'interno di un riconosciuto progetto di salvaguardia di più ampi territori, come nel caso dell'IBA Emscher Park dove, nel periodo 1989-1999, sono stati avviati o realizzati circa un centinaio di progetti per riconvertire, nella parte più devastata della Ruhr, aree industriali dismesse in spazi verdi pubblici - tra gli altri si ricordi il Landschaftspark Duisburg-Nord (2002) di P. Latz, vera e propria vetrina dell'IBA, dove le rovine industriali, emergenze fantastiche e allegoriche del passato, descrivono la cultura dei luoghi e ne determinano lo sviluppo futuro insieme alla naturale proliferazione di piante native o esotiche che colonizzeranno il parco - oppure essere interpretata come matrice intrinseca del progetto per contemplare "dispositivi che catturando, miniaturizzando ed esacerbando i fenomeni naturali, fabbrichino - senza imitarle - quelle stesse forme" (M. Desvigne, C. Dalnoky, Trasformazioni indotte, in Lotus international, 1995, 87, p. 110).

Così, nei lavori dei due paesaggisti francesi emerge, accanto all'idea di una sequenza di stadi-progetto indicativi di un processo d'occupazione evolutivo e flessibile, il concetto archetipico di paesaggio intermedio come nelle sistemazioni della Penisola di Greenwich a Londra (parzialmente realizzata nel 1997-2000) e del lungofiume Garonne a Bordeaux (2003; intervento previsto fino al 2034) dove la texture di un precedente stato atemporale rappresenta il momento dal quale è possibile rigenerare i cicli naturali di costruzione del p. stesso; mentre nell'opera di G. Clément, anch'egli francese, diviene centrale una visione etica ed estetica della realtà che, stringendo in un unico ragionamento p. ed ecologia, giardino e ambiente, si estrinseca nei principi essenziali del giardino in movimento (Le jardin en mouvement, 1991), del giardino planetario (Clément 1999) e del Terzo paesaggio (Clément 2004) capaci di favorire, nel rispetto del dinamismo e delle diversità della natura, un criterio di economia teso ad "assecondare il più possibile e ostacolare il meno possibile" le energie in gioco (Clément, cit. in Roger 2001, 77). Posto all'attenzione internazionale con il progetto del Parco André-Citroën a Parigi (su concorso del 1985), il noto paesaggista francese, autore di libri-manifesto di grande incisività, ha affiancato nel Parc Henri Matisse a Lille (2000) il tema della crescita e metamorfosi della vegetazione alla lettura diacronica del suolo: qui, a ricordo di un passato geologico e biologico, la ricostruzione di un frammento di foresta primaria europea inviolata, innalzata su un podio artificiale che domina il parco, diviene l'emblema di una naturalità originaria scomparsa, che esprime la sua propria autonoma libertà e indipendenza dalle manipolazioni umane.

Sono questi principi di ecoprogettazione uniti alla profonda conoscenza dell'arte moderna e contemporanea a caratterizzare le opere di G. Hargreaves, uno dei più grandi paesaggisti americani, i cui parchi urbani e territoriali costituiscono altrettanti p. messi in movimento, indeterminati e aperti per quanto apparentemente completi nei dettagli del progetto. Sovrapponendo alla tradizione della scultura minimalista l'influenza delle scienze e, in particolare, dell'ecologia, come chiara consapevolezza ecosistemica delle infinite interrelazioni messe in gioco dai processi naturali-culturali, i parchi più recenti dello studio Hargreaves Associates, come l'Eastbank Riverfront a Portland, Oregon (su progetto del 1994), il Guadalupe River Park a San José, California (1998), il Waterfront a Louisville, Kentucky (1999) e il Crissy Field a San Francisco (2001), realizzati attorno a nuclei urbani su aree abbandonate o sottoutilizzate, o il Parque do Tejo y Trancão per l'Expo '98 di Lisbona e il parco per i giochi olimpici del 2000 Homebush Bay, a Sydney, costruiti in occasione di eventi eccezionali per bonificare aree, anche su interramenti di scorie o di macerie, sono straordinari esempi d'integrazione 'a mescolanza omogenea' fra etica ecologica e forma scultorea, mosaici di condizioni ambientali in continua trasformazione. Il progetto perciò "non si preoccupa di trovare regole di composizione (campo chiuso), ma regole di catalisi (campo aperto) allo scopo di promuovere e ordinare complesse interazioni" (R. Vaccarino, I paesaggi ri-fatti, in Lotus international, 1995, 87, p. 87) come nel programma Fresh Kills lifescape a Staten Island, New York (2001-2005) di J. Corner/Field Operations, dove la stessa denominazione sottolinea la ricerca di una complessità 'autorganizzativa' del progetto in grado di conformare l'opera all'influsso delle informazioni nel tempo: una organizzazione 'morbida', instabile nella sua dialettica fra continuità e discontinuità, natura e artificio, capace di ricomprendere al proprio interno il groviglio di reti spaziali, biologiche e sociali di cui il parco costituisce una nuova formazione.

Trasformare si riferisce alla forma in evoluzione: una forma che innesca un particolare processo, interagisce con esso, ne tiene conto, lo influenza; una forma aperta e processuale dunque, espressione della consapevolezza del carattere sistemico del p. di cui l'intervento costituisce solo un frammento, una singola materializzazione inclusiva e proliferante. Sembra questo il significato profondo, a volte evidente a volte celato, della dimensione paesaggistica contemporanea: una dimensione che attraversa simultaneamente diverse sfere progettuali (architettura, ingegneria, pianificazione, landscape urbanism, landscape architecture, land art, environmental art ecc.) per rivelare una nuova struttura intrinseca dell'opera che sembra emergere dalla medesima superficie della Terra, dalle sue ragioni costitutive. Così l'architettura stessa, coadiuvata dalla tecnologia, può divenire, con le parole di K. Kuma, espressione di un giardinaggio digitale proteso a costruire giardini piuttosto che edifici, ovvero parti inscindibili di una totalità capaci di promuovere nuove forme urbane e di costituire, nel futuro, l'interfaccia fra uomo e natura: quella interfaccia che segna la frontiera impercettibile del nostro giardino planetario il cui valore, al di là dell'accezione strettamente ecologica, risiede proprio nel suo dinamismo e nella metamorfosi continua della sua struttura, nella intrinseca diversità, eterogeneità e pluralità con cui abbraccia la complessità del vivente.

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Normativa giuridica

di Riccardo Priore

Le prime misure pubbliche riguardanti il p. sono state concepite nel 19o sec., segnatamente negli Stati Uniti e in Europa, nel quadro di politiche e strumenti dedicati alla protezione delle risorse naturali e dei beni culturali. Il più antico riferimento giuridico al p. si trova in una normativa danese del 1805 concernente le riserve forestali.

All'inizio del 20° sec. l'attenzione delle pubbliche autorità per il p. si è progressivamente sviluppata fino al punto di considerarlo oggetto meritevole di tutela costituzionale: la Costituzione della Repubblica di Weimar del 1919 e quella del Brasile del 1937 ne sono un esempio. Nella seconda metà del secolo, sei Stati europei hanno inserito un riferimento al p. nei propri testi fondamentali: è il caso delle Costituzioni, in vigore, dell'Italia, della Germania, di Malta, del Portogallo, della Slovacchia e della Svizzera. La considerazione per il p. a livello legislativo si è gradualmente rafforzata in Europa dalla seconda metà degli anni Ottanta, e ha subito un'accelerazione sotto l'influenza dei principi affermati nella Convenzione europea sul paesaggio del 20 ottobre 2000, adottata sotto gli auspici del Consiglio d'Europa. Noto anche come Convenzione di Firenze, questo documento internazionale è interamente ed esclusivamente dedicato al p., che viene riconosciuto nelle sue disposizioni quale componente essenziale dell'ambiente di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro patrimonio comune culturale e naturale, e fondamento della loro identità. Considerata l'importanza economica, sociale, culturale e ambientale attribuita al p., l'obiettivo principale della convenzione è quello di promuoverne la salvaguardia, la gestione e la valorizzazione in ogni parte nel territorio degli Stati che vi aderiscono: questi si impegnano a riconoscere il p. quale bene giuridico indipendentemente dal suo valore specifico, in vista della sua tutela o valorizzazione sulla totalità del proprio territorio nazionale, in funzione di valori democraticamente stabiliti sulla base delle aspirazioni espresse dalle popolazioni. Dopo aver definito il p. "una […] parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni", la Convenzione europea sul paesaggio vincola gli Stati contraenti ad adottare una specifica politica del paesaggio. In applicazione di tale politica gli Stati devono attuare misure particolari finalizzate alla salvaguardia, gestione e valorizzazione del p., coinvolgendo direttamente le popolazioni che, a questo scopo, devono essere adeguatamente educate e sensibilizzate. In tale prospettiva, nel riferirsi ai principi di sussidiarietà e di autonomia locale, la stessa convenzione promuove il decentramento democratico dei pubblici poteri a livello territoriale.

Oltre che nella convenzione citata, il p. è menzionato anche in altri trattati internazionali. Ciò avviene limitatamente al concetto di ambiente, ovvero in riferimento al patrimonio culturale e naturale: è il caso della Convenzione di Lugano, del 26 giugno 1993, sulla responsabilità civile per danni risultanti da attività pericolose per l'ambiente, della Convenzione di Århus, del 25 giugno 1998, sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale, e della Convenzione di Parigi, del 16 nov. 1972, riguardante la protezione sul piano mondiale del patrimonio culturale e naturale.

Il p. non costituisce oggetto di specifiche normative o politiche a livello comunitario. Si trovano, tuttavia, riferimenti importanti al p. in diversi strumenti ufficiali dell'Unione Europea, in particolare, nei regolamenti relativi al sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e del Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia, al miglioramento dell'efficacia delle strutture agricole, alla compatibilità dei metodi di produzione agricola con le esigenze dell'ambiente e la preservazione dello spazio naturale; nello Schema di sviluppo dello spazio europeo; nel Sesto programma di azione per l'ambiente, nella direttiva sulla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna; nelle direttive sulla valutazione di impatto ambientale per progetti, piani e programmi; in altri testi relativi all'ambiente urbano, alle foreste, alle zone costiere e al suolo; in alcune applicazioni di strumenti finanziari e iniziative comunitarie. Inoltre, la Comunità europea può aderire alla Convenzione europea sul paesaggio del Consiglio d'Europa.

Per quanto riguarda il diritto italiano, l'art. 9, 2° co. della Costituzione del 1947 dispone che la Repubblica "tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione". L'interpretazione di questo articolo ha dato luogo a diverse teorie sulla reale portata dei termini utilizzati. Chiamata a chiarire tali termini, la Corte costituzionale - forse influenzata dalla teoria che identifica il p. con la forma del Paese - ha superato la visione che tende a identificare la nozione di p. con quella di bellezze naturali. Pur riconducendo il p. a valori puramente estetico-culturali, la Corte ha infatti affermato che il p. comprende ogni elemento naturale e umano che contribuisce alla forma esteriore del territorio. Rispetto alla questione delle competenze istituzionali, dopo aver affermato che la medesima zona di territorio può formare oggetto di provvedimenti normativi relativi al p., ovvero concernenti l'urbanistica, la Corte ha precisato che la tutela del p. costituisce un compito dell'intero apparato della Repubblica nelle sue diverse articolazioni e in primo luogo dello Stato, oltre che delle Regioni e degli enti locali. Questi chiarimenti hanno contribuito a compensare alcune lacune evidenziate dal processo interpretativo della Costituzione. In effetti, quest'ultima, dopo aver menzionato all'art. 9 la tutela del p. tra i principi fondamentali dell'ordinamento, non specifica all'art. 117 quali siano i titolari delle competenze legislative in materia. Si ritiene che tale mancanza abbia reso più difficile la ripartizione delle funzioni pubbliche in questo sensibile settore, con conseguenze spesso nefaste nell'ambito del processo decisionale, sia legislativo sia amministrativo.

Il primo testo legislativo a interessarsi in maniera specifica di p. fu emanato allo scopo di conservare la pineta di Ravenna (l. 16 luglio 1905 nr. 411). Sviluppatasi in collegamento con la disciplina relativa alla tutela del patrimonio storico-artistico, fino alla fine del 20° sec. la legislazione italiana in materia di p. è stata integrata in testi diversi, segnatamente la l. 29 giugno 1939 nr. 1497, relativa alla protezione delle bellezze naturali, e la l. 8 ag. 1985 nr. 431; quest'ultima, nota come legge Galasso, conteneva disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale. L'impianto normativo di questi documenti attribuiva notevole importanza allo strumento del vincolo: di natura amministrativa, nel caso della legge del 1939, previo accertamento del notevole interesse pubblico di aree o beni determinati; di natura legislativa, nel caso di quella del 1985, rispetto a intere tipologie territoriali puntualmente individuate dalla legge. Occorre tuttavia rilevare che mentre la l. 1497 privilegiava lo strumento del vincolo allo scopo di conservare immobili e località isolatamente considerate a presidio di un particolare pregio paesaggistico, la legge Galasso era ispirata a criteri di integralità e globalità in un'ottica gestionale e dinamica; pur facendo diretto affidamento al vincolo, tale legge ha infatti rinforzato i poteri di pianificazione delle Regioni in materia di p. ai fini della sua tutela e della sua valorizzazione. A seguito di una serie di riforme legislative introdotte alla fine degli anni Sessanta, anche la disciplina urbanistica, segnatamente la l. 17 ag. 1942 nr. 1150 (Legge urbanistica), riferendosi al piano regolatore generale comunale, prescrive specifici vincoli da osservare nelle zone a carattere paesaggistico; la stessa legge dispone che la tutela del p. costituisce una finalità idonea a consentire l'introduzione di modifiche al piano regolatore da parte dell'autorità competente.

Un riordino generale della legislazione in materia di p. è stato operato nel 1999 attraverso la compilazione del Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali (d. legisl. 29 ott. 1999 nr. 490). Rispetto alla normativa previgente questo documento non ha comportato innovazioni significative. Alcune novità sono state invece introdotte dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, d. legisl. 22 genn. 2004 nr. 42, (v. beni culturali), noto come Codice Urbani. Tale normativa appare ispirata ai principi della citata Convenzione europea sul paesaggio del 2000. Pur confermando nelle sue linee essenziali l'impostazione della legislazione che sostituisce, nella terza parte, relativa ai beni paesaggistici, il Codice dei beni culturali e del paesaggio contiene infatti disposizioni le quali si riferiscono espressamente: alla definizione del termine paesaggio; alla necessità di predisporre politiche paesaggistiche di tutela e di valorizzazione (considerate, queste ultime, più modalità d'intervento che ambiti di competenza) da parte dello Stato e delle Regioni; all'estensione della pianificazione paesaggistica delle Regioni all'intero territorio regionale con un valore descrittivo, prescrittivo e propositivo; all'esigenza di predisporre obiettivi di qualità paesaggistica in vista della tutela o valorizzazione del p. a livello regionale; al principio della concertazione istituzionale e la partecipazione dei soggetti interessati e delle associazioni costituite per la tutela degli interessi diffusi nei procedimenti di approvazione dei piani paesaggistici. A seguito dell'atto di ratifica della Convenzione europea sul paesaggio da parte del Parlamento nel corso del 2005 (contenuto nella l. 9 genn. 2006 nr. 14), la normativa italiana riguardante il p. potrebbe in futuro essere riesaminata dal legislatore allo scopo di verificarne la piena compatibilità rispetto alle regole europee vigenti.

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