MORENA, Ottone

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 76 (2012)

MORENA, Ottone

Lidia Capo

MORENA, Ottone. – Lodigiano, nacque verso il 1100. La sua famiglia, non identificabile prima, è nel secolo XII ai vertici della società cittadina, con giudici, consoli, podestà e milites.

La competenza giuridica e militare mostrata da Ottone nella sua opera, che sembra frutto di una consolidata dimestichezza con tali funzioni, rende verosimile che i Morena appartenessero da tempo all’aristocrazia della città. Le notizie su di lui riguardano la sua attività pubblica e professionale: per il resto risulta solo, da una descrizione di confini, che la famiglia possedeva terre a Fossadolto, nel Lodigiano (Grossi, Le carte della Mensa Vescovile, 100, a. 1163 [il corrispondente Vignati, Codice diplomatico Laudense, II, 12, ha molte omissioni proprio in questa parte]). Oltre ad Acerbo, che fu messo imperiale di Corrado III, Ottone ebbe un altro figlio, Mayfredo, teste in un documento del 1169 (Vignati, II, n. 42 = Grossi, n. 108), e citato nella Cronaca come miles. Nel 1160 Mayfredo fu preso in uno scontro dai Milanesi e nel 1167 fu tra i tiepidi sostenitori lodigiani di Federico I (Güterbock, 1930, pp. 129 e 193 s.; Schmale, 1986, pp. 154, 216).

Morena si sottoscrive sempre come iudex ac missus domni tercii Lotharii imperatoris e dal 1152 anche come messo di Corrado III. Sono titoli connessi con il sistema pubblico imperiale, che conferisce l’autorità sia di giudice sia di messo (vicario permanente del sovrano per la giustizia, in un territorio definito). A tali titoli corrisponde in Morena un’effettiva capacità, formata sulla tradizione giuridica del regno (il corpus longobardo, le norme degli imperatori e re successivi, gli usi e i diritti signorili e feudali), ed espressa attraverso un formulario di lunga storia (alcune formule da lui utilizzate appaiono già in documenti dell’VIII secolo).

Nelle sue carte Morena non mostra novità clamorose, nonostante apprezzi i maestri bolognesi allievi di Irnerio (Güterbock, pp. 59 s.; Schmale, pp. 88-90); però usa un latino migliore (e l’applicazione ai documenti dei frutti di un’educazione liberale è già in sé un primo distacco rispetto all’uso precedente). Inoltre è sensibile alle forme e necessità giuridiche del suo tempo, e attento a definire in modo chiaro, tale da prevenire conflitti, le condizioni particolari dei contratti (Vignati, I, 145, 148, 159 = Grossi, 62, 64, 65, aa. 1152 e 1153). La fedeltà alla tradizione pubblica del Regno e l’attenzione al presente sembrano le chiavi anche della sua attività storiografica e politica, questa forse maggiore di quanto attestato (è plausibile che abbia fatto parte spesso di quei consilia sapientum che cita tante volte nella sua Cronaca).

Lodi (oggi Lodi Vecchio) subiva allora la pressione di Milano, che già nel corso dell’XI secolo aveva combattuto per il controllo delle vie fluviali, essenziali ai suoi commerci. I ceti mercantili e la piccola feudalità – i più danneggiati – cacciarono il vescovo e i grandi vassalli, insensibili al problema, e tentarono la guerra contro Milano. Lodi fu però sconfitta e distrutta (a. 1111), gli abitanti dispersi in borghi e il governo dato al vescovo, aiutato e poi sostituito da un ceto di feudatari e giudici che rimase alla guida di Lodi fin verso la fine del secolo. Il consolato, noto per la prima volta nel 1142 (Vignati, I, 108 = Grossi, 43; tra i testi c’è Ottone Morena, poi console nel 1143: Vignati, I, 111 = Grossi, 45), nacque da un’evoluzione senza forti contrasti e fu tollerato da Milano, per la prudenza del nuovo regime e forse per affinità culturale e sociale (in entrambe le città si riscontra tra i primi consoli l’insolita presenza di giudici e messi imperiali, chiamati a dare garanzia, se non legittimazione, al governo eletto dai cittadini, soprattutto nel suo esercizio della giustizia: un aspetto essenziale per la costruzione dell’autorità pubblica del Comune, ma delicatissimo).

Ottone Morena doveva essere persona nota a Milano, dove agì per conto del suo vescovo nella contesa che lo opponeva all’abate di S. Pietro a Cerreto (Vignati, I, 126 = Grossi, 54, a. 1148, l’identificazione non è però qui certa; Vignati, I, 122 = Grossi, 50, a. 1147). Già nel 1143 l’arcivescovo di Milano Robaldo aveva dato una sentenza favorevole al vescovo, ma il papa Lucio II l’aveva cassata ed Eugenio III ne aveva chiesto la consegna al vescovo, e poi ai consoli, che secondo questi l’avevano presa (Vignati, I, 118, a. 1146; il documento originale è però tuttora alla Mensa vescovile – Vignati, I, 112 = Grossi, 46 – e non deve essere stato consegnato). La causa per cui Ottone Morena fu scelto dal vescovo come avvocato non era dunque da poco e toccava gli stessi rapporti con il papato della Chiesa e forse del Comune di Milano, oltre che della dirigenza di Lodi sottoposta a Milano. A tale dominio Morena nella sua opera si mostra molto ostile, però nel 1155 era a Tortona assediata dai Pavesi, insieme ai Milanesi andati a riedificarla in spregio all’imperatore (lo dice lui stesso: Güterbock, p. 28; Schmale, p. 60). Il fatto però può essere spiegato anche con la cautela di Lodi, che a lungo cercò di non urtarsi con Milano (Ottone comunque ne parla solo per una tipica preoccupazione di storico: asseverare quanto dice attraverso la propria testimonianza diretta, unica ragione per cui ricordi se stesso nel testo). Milano fu piegata dal Barbarossa nel 1162, ma precedentemente, in assenza dell’imperatore, la stessa Milano aveva distrutto definitivamente Lodi (1158), riedificata poco dopo in un nuovo sito sull’Adda, concesso da Federico.

A Lodi, nell’ottobre 1161, il Barbarossa affidò a Morena la stesura di un documento di un certo rilievo, una cartula concordie che sanciva le condizioni del ritorno nella grazia imperiale di Giovanni, vescovo di Padova (inMon. Germ. Hist., Diplomata, X/2, n. 343, pp. 179-181: il documento fu redatto da Acerbo Morena, su richiesta del padre che lo sottoscrisse). Giovanni era stato sospeso dal concilio di Lodi (1161: Güterbock, p. 140; Schmale, p. 164), non avendo riconosciuto Vittore IV, il papa sostenuto da Federico contro Alessandro III, nello scisma seguito alla morte di Adriano IV (1159). Di tali fatti Ottone scrive nella sua Cronaca usando gli atti del sinodo di Pavia (1160), convocato da Federico per comporre il dissidio, e prende posizione in merito, contestando ad Alessandro, convinto che «non doveva essere giudicato da nessuno lui che doveva giudicare tutti gli altri», di parlare «come se già fosse stato sublimato all’onore apostolico in concordia e senza alcun dissenso » (Güterbock, p. 98; Schmale, p. 126).

La collaborazione tra Ottone e il figlio appare in più documenti, tra il 1153 (Vignati, I, 149 = Grossi, 65), e il 28 marzo 1165 (Vignati, II, 18 = Grossi, 104). Questo è l’ultimo documento in cui Ottone Morena sia riconoscibile con certezza, ma forse si riferiscono a lui anche 4 documenti del 1170 e 1174, tutti relativi al vescovo di Lodi, in cui si cita un Ottone Morena (non è noto alcun omonimo): due atti lodigiani (Vignati, III, p. 706 = Grossi, 110, a. 1170, che dà Ottone tra i giudici testimoni, e Vignati, II, 64 = Grossi, 118, a. 1174, dove tra gli intervenuti c’è «Ottone Morena, giudice e console di Lodi»); e due sentenze milanesi, rese a pochi giorni di distanza da ecclesiastici incaricati dal papa (Vignati, III, p. 652 = Grossi,120, 20 agosto 1174, e Vignati, II, 68 = Grossi, 121, 2 settembre 1174[?]), in cui è presente Otto Murena oMorena, accanto a nomi che ricorrono più volte nelle carte insieme al nostro. Si tratta dunque di un quadro coerente con ciò che sappiamo di lui: la stessa informale citazione di Ottone nei documenti redatti a Milano può dipendere dal suo essere persona ben nota all’ambiente ecclesiastico sia lodigiano sia milanese.

Queste attestazioni tarde sono importanti per il problema della composizione della Cronaca, uno dei primi testi del genere scritti da un laico cittadino (il termine di confronto più prossimo è quello del genovese Caffaro, creatore degli Annales Januenses, poi autenticati e fatti proseguire dal Comune di Genova: sorte ufficiale di cui non c’è traccia per il lavoro di Ottone). La storia di Ottone Morena (1153- 4 aprile 1168), giunta senza titolo, è un testo cittadino e imperiale insieme: Lodi è il cuore dell’interesse e dell’informazione, ma si inscrive pienamente nel quadro imperiale, così che è Federico il protagonista, seguito nella sua azione anche al di fuori dell’ambito locale (fatto raro nella storiografia comunale del tempo). Nel prologo Ottone si propone di ripercorrere in modo ragionato il cammino dell’affermazione in Lombardia dell’Impero – cioè della giustizia – grazie all’opera del Barbarossa, che ne abbatte i nemici e risolleva gli amici. Il testo presenta dunque un’unità logica e fu scritto solo dopo che l’azione di Federico si dimostrò efficace e durevole: lo provano del resto il riferimento iniziale alle vittorie già ottenute, gli errori o lacune nelle notizie sui primi anni, le allusioni a fatti successivi. Secondo Güterbock, pp. XXIII s., Ottone scrisse dopo la presa di Crema (inizio 1160), per Schmale, p. 8, invece dopo il marzo 1161, quando fu costruito il palazzo imperiale a Lodi, dato per esistente nella descrizione dei confini del nuovo insediamento fatta al 1158 (Güterbock, p. 52; Schmale, pp. 82-84: brano che Güterbock ritiene interpolato da Acerbo, ma senza sicuri appigli nel testo). Ottone Morena si basò comunque su note prese prima – a partire da quando cominciò a sperare che Federico intendesse davvero essere il sovrano destinato a riportare la pace e la giustizia tra i sudditi – e che continuò a prendere dopo: l’esistenza di note del genere è indubbia, data la precisione e la ricchezza di dettagli del racconto, che pure si dimostra scritto sempre a qualche distanza dai fatti. Si ha dunque a che fare con un doppio livello di scrittura, di cui solo quello di base può essere attribuito sempre a Ottone Morena: la Cronaca infatti, pur nascendo da una sua idea politica, non è stata scritta tutta da lui, bensì anche da Acerbo, che all’anno 1162 – vivo il padre – dichiara di «dettarla» (Güterbock, pp. 154 e 159; Schmale, pp. 176 e 180), e poi anche da un altro compilatore, che non si nomina, e scrive probabilmente nella primavera 1168 (cui allude parlando di fatti precedenti), chiudendo con un Deo gratias Amen, quindi in modo del tutto compiuto. L’apporto del terzo scrittore si conclude con il resoconto delle festose accoglienze rese da Lodi al nuovo vescovo, fedele ad Alessandro: fatto che viene a porre il sigillo definitivo sul passaggio – doloroso e forzato, ma giustificato e necessario – della città stessa alla comunità della Lega. I problemi posti dal testo sono dunque più d’uno: distinguere la parte che spetta ad Acerbo Morena, identificare il continuatore e capire come funzioni nel complesso quest’opera passata di mano o scritta a più mani.

In base allo stile, alla coerenza interna delle parti e a certe cesure nelle notizie che indicherebbero interruzioni nella scrittura del testo, Güterbock, pp. XXII-XXVII, crede che Acerbo Morena inizi dopo l’inverno 1160 (Güterbock, pp. 129 s.; Schmale, p. 154); Schmale, pp. 9 s., ritiene invece che l’apporto di Acerbo abbia inizio un anno dopo, quando si avviò la nuova strategia di Federico che portò alla rapida vittoria su Milano; per entrambi gli editori Acerbo Morena smise (morì solo nel 1167) con la notizia sull’investitura del Regno di Sardegna che il giudice di Arborea ottenne da Federico «per l’intervento dei principi e di non poco denaro» (agosto 1164: Güterbock, p. 176; Schmale, p. 196). Però la mancanza di notizie per gli inverni 1160-61 e 1161-62, già passati quando il testo arriva a parlarne, non può indicare una cesura nella redazione, ma solo un vuoto nelle note che ne sono alla base: evidentemente si ritenne allora che non ci fosse niente da segnalare. E se queste note sono state copiate senza una rielaborazione, è quasi impossibile distinguere i due autori, pur non identici tra loro per interessi, osservazioni e stile (Ottone Morena è rispetto al figlio una testa più politica e dà più spazio alle descrizioni e alle riflessioni; Acerbo Morena è in genere più corretto, ma più sintetico e scarno). La parte di Acerbo potrebbe dunque essere anche più ridotta, e limitarsi al tratto di cui lui stesso si dice autore, che del resto riguarda fatti di cui era stato testimone più diretto del padre, che per questo poté affidargliene la stesura: di là da questo nucleo certo, che copre parte del 1162 e del 1163, l’apporto di Acerbo Morena non ha confini precisabili, sfumando sia all’indietro, dove può aver assunto note precedenti di Ottone, sia in avanti, lungo il 1164, dove ci sono di nuovo notizie puntuali, già abbastanza critiche verso i collaboratori di Federico.

L’ultimo tratto è attribuito da Güterbock, pp. XIV-XVI, a una persona dell’ambiente dei Morena, forse quella cui Acerbo dettò la sua Cronaca; Schmale, pp. 10 s., propende invece per l’ipotesi (scartata da Güterbock) che l’anonimo sia lo stesso Ottone. In effetti la parte finale della Cronaca mostra procedimenti costruttivi, stile e modi di ragionare simili a quelli usati da Ottone all’inizio: somiglianze tanto più rilevanti dato che la tesi politica è così diversa. Il racconto sul passaggio di campo di Lodi è svolto nella stessa maniera libera, più per coerenza interna di argomenti che per serie cronologica, ed è una presentazione a tesi, che descrive retrospettivamente il malgoverno dei procuratori imperiali nel periodo 1164-66 (Güterbock, pp. 177 s.; Schmale, pp. 196-202): una sorta di cahier de doléances, concepito da una mente fortemente giuridica, forse fondato su una memoria scritta da presentare a Federico al suo ritorno in Italia: fatto raccontato al novembre 1166, con l’amarezza della disillusione, perché si scopre allora che i soprusi erano stati compiuti non a sua insaputa, ma al contrario per sua volontà (Güterbock, pp. 180- 181; Schmale, p. 202). Il malgoverno spiega l’allontanamento da Federico della fedelissima Lodi e il suo passaggio alla Lega (che pure avviene solo perché a Lodi è ormai impossibile resistere alla pressione militare di questa) e poi al pontefice Alessandro III. Una costruzione narrativa e una riflessione sui fatti analoghe si ritrovano nell’altrettanto efficace pamphlet scritto da Ottone Morena contro Milano negli anni 1157-58 (Güterbock, pp. 34-46; Schmale, pp. 66-78). Comune è anche un altro tratto, costitutivo della scrittura di Ottone, che è il rilievo dato al momento di riflessione e discussione che precede le azioni e ne fa scelte razionali tra più alternative possibili: un’attitudine che rispecchia certo l’esperienza del giudice e del consigliere cittadino, per il quale ogni decisione, giudiziaria o politica, è il risultato di un’analisi di tutti gli elementi disponibili. Inoltre nell’ultima parte della Cronaca emerge la stessa forte consapevolezza della propria autorità di autore-testimone; in questo senso è sicuramente indicativa l’attestazione personale della pazienza dei Lombardi, che non reagirono ai soprusi dei procuratori finché sperarono giustizia da Federico (Güterbock, p. 180; Schmale, p. 200), o la frase che chiude l’opera, proprio sulla testimonianza dell’autore che «certifica » la gioia e la concordia con cui fu accolto in Lodi il nuovo vescovo (temi del resto in armonia con la prima parte: nel testo Lodi appare sempre unita, e sempre – contro Milano o contro i governatori imperiali – si rilevano con la stessa esattezza giuridica i torti subiti da tutti i ceti sociali). All’identificazione dell’ultimo autore con Ottone non si oppone il cambiamento politico, troppo ben motivato, che è anzi da considerare la ragione che ha comunque spinto chi scrive a riprendere il testo; e nemmeno il fatto che egli non si nomini o non citi la propria paternità nei confronti dei due figli, cose tutte già dette, o anche il fatto che parli con apparente distacco della morte di Acerbo, di cui poco prima ha dato, forse per difenderne la memoria, un ritratto magnifico (Güterbock, pp. 205 s., 208; Schmale, pp. 226- 228, 230).

A spingere l’autore alla ripresa dell’opera non sembra sia stata solo la volontà di giustificare Lodi, ma anche la speranza che si stesse profilando una soluzione nuova al problema di fondo della Lombardia, quello della pace e della giustizia. L’oppressione imperiale, spogliando i Lombardi tutti (Milanesi compresi, anzi prime vittime) della loro libertà (cioè della facoltà di disporre di sé e delle proprie cose: Güterbock, p. 179; Schmale, p. 200), li ha portati a riconoscere di avere in comune i valori essenziali: ne è nata una coscienza di unità che prima non c’era, di cui è frutto la Lega. Questa consente di opporsi con efficacia al Barbarossa, ma è anche la premessa del superamento del precedente antagonismo tra le città: una chance per uscire dall’alternativa, comunque pessima, dell’oppressione da parte del vicino o da parte del potente estraneo. E se il continuatore è stato lo stesso Ottone, e se questi è da identificare con il console del 1174, il suo sforzo di ragionamento dovette convincere i suoi concittadini.

Non però per mezzo della sua Cronaca, che (pur stimata dagli storici moderni per la ricchezza e l’onestà della narrazione, nonostante lo schieramento politico) non sembra aver avuto successo immediato; e anche quello che ha avuto più tardi è passato in gran parte attraverso una riscrittura letteraria che lo ha molto modificato e ne ha abbreviato tutta l’ultima parte. La tradizione è divisa in due rami, uno più fedele all’originale (L), che ha manoscritti piuttosto tardi, e uno con il rimaneggiamento (M), cui appartiene il manoscritto più antico (fine XIII sec.): entrambi discendono comunque da uno stesso manoscritto, il quale non era una copia in buono – forse mai realizzata –, ma piuttosto il testo di lavoro degli autori, segnato da lacune su dettagli, soprattutto di nomi, che evidentemente essi pensavano di poter colmare e poi non hanno colmato. Basandosi sull’età del manoscritto, Jaffé pubblicò per i Mon. Germ. Hist., Scriptores, XVIII, il testo di M, mentre Güterbock, riconoscendo il carattere seriore di M, ha edito quello del ramo L (pur dando a piè di pagina anche quello di M, secondo il manoscritto più antico). Più di recente Schmale, Überlieferung, ha ricostruito in modo diverso i rapporti tra i manoscritti e affermato che il più antico rappresenta non la fase iniziale di M, come pensa Güterbock, bensì l’esito conclusivo di un processo di riscrittura che è andato allontanandosi sempre più dal dettato originale. Lo studio di Schmale è convincente, ma la sua edizione non presenta un numero e una qualità di varianti tali da rendere inutilizzabile la molto più diffusa edizione di Güterbock.

Quale appare da L, il latino usato dagli autori, con poche differenze, è una lingua viva ed efficace, che comunica in modo capillare con un volgare italiano non giunto ancora a maturità letteraria, di cui un latino come questo può ancora essere considerato la forma scritta; una lingua senza eccessive pretese, non rivolta a una élite di intenditori, ma più regolare, e come tale anche più comprensibile. Dietro questo latino, che permette a Ottone di dire con chiarezza, e a volte con vera forza, quello che pensa in merito a temi che considera essenziali, c’è una scuola tradizionale (grammatiche, Bibbia, Sallustio), forse ecclesiastica, forse già prima disponibile ai laici, ma certo seguita con una maggiore convinzione della sua utilità. Tale continuità rinnovata da altre motivazioni è l’indicazione di maggior interesse che emerge da tutta la produzione di Ottone, dimostrativa di un processo di crescita interna della società cittadina che senza passaggi bruschi, attingendo alle fonti tradizionali, pone le basi di fecondi e originali sviluppi, nel momento in cui uomini che per secoli si erano lasciati rappresentare da altri si rendono conto di potersi esprimere direttamente e si procurano i mezzi per farlo.

Della data e del luogo di morte di Morena non si ha alcuna notizia.

Fonti e Bibl.: Ottonis Morenae et continuatorum Historia Frederici I, a cura di F. Güterbock, in Mon. Germ. Hist., Scriptores rerum Germanicarum, n.s., VII, Berlin 1930; Ottonis Morenae eiusdemque continuatorum Libellus de rebus a Frederico imperatore gestis, a cura di F.J. Schmale, in Italische Quellen über die Taten kaiser Friedrichs I. in Italien und der Brief über den Kreuzzug Kaiser Friedrichs I., Darmstadt 1986, pp. 1-239 (Ausgewälte Quellen zur deutschen Geschichte des Mittelalters, XVIIa); Friderici I. Diplomata inde ab a. MCLVIII. usque ad a. MCLXVII., a cura di H. Appelt, in Mon. Germ. Hist., Diplomata regum et imperatorum Germaniae, X/2, Hannover 1979, n. 343, pp. 179-181; C. Vignati, Codice diplomatico Laudense, Milano 1879-85 (Bibliotheca Historica Italica, cura et studio Societatis Longobardicae historiae studiis promovendis, 2-4); A. Grossi, Le Carte della Mensa vescovile di Lodi (883-1200), in Codice diplomatico della Lombardia medievale (secc. VIII-XII), a cura di M. Ansani, http://cdlm. unipv.it; A. Caretta - L. Samarati, Lodi. Profilo di storia comunale, Milano 1958, pp. 81-119; G.L. Barni, La posizione giuridica di Lodi nel contrasto tra Comuni e Impero, in Archivio storico lodigiano, s. 2, VI (1958), pp. 119-128; O. Capitani, Motivi e momenti di storiografia medioevale italiana: secc. V-XIV, in Nuove questioni di storia medioevale,Milano 1964, pp. 729-800: 768- 770; A. Caretta, Magistrature e classi a Lodi nel sec. XII, in Popolo e Stato in Italia nell’età di Federico Barbarossa. Alessandria e la Lega Lombarda, XXXIII Congresso storico subalpino per la celebrazione dell’VIII centenario della fondazione di Alessandria, Alessandria... 1963, Torino 1970, pp. 469-476; R. Manselli, Milano e la Lega Lombarda, in I problemi della civiltà comunale, Atti del Congresso storico internazionale per l’VIII centenario della prima Lega Lombarda, (Bergamo... 1967), a cura di C.D. Fonseca, Milano 1971, pp. 9-21; O. Engels, Federico Barbarossa nel giudizio dei suoi contemporanei, in Federico Barbarossa nel dibattito storiografico in Italia e in Germania, a cura di R. Manselli - J. Riedmann (Annali dell’Istituto storico italo-germanico, 10), Bologna 1982, pp. 45-81; F.J. Schmale, Überlieferung und Text des «Libellus» des Otto Morena und seiner Fortsetzer, in Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters, XL (1985), 2, pp. 438-459; F. Opll, Friedrich Barbarossa und die Stadt Lodi. Stadtentwicklung im Spannungsfeld zwischen Reich und Städtebündnis, in Kommunale Bündnisse Oberitaliens und Oberdeutschlands im Vergleich, a cura di H. Maurer, Sigmaringen 1987, pp. 63-96; L. Capo, Federico Barbarossa nelle cronache italiane contemporanee, in Federico I Barbarossa e l’Italia, Atti del Convegno, Roma..., in Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medioevo e Archivio muratoriano XCVI (1990), pp. 303-345: 325-330.