OTTICA

Enciclopedia Italiana - IX Appendice (2015)

OTTICA.

Roberto Pizzoferrato

– Le nanotecnologie in optoelettronica. Sviluppi nei laser. Nanofotonica e manipolazione della luce. Microscopia a super risoluzione. Bibliografia

Nel secondo decennio del 21° sec., l’o. sta mostrando significativi segni di creatività concettuale e applicativa, soprattutto in ambiti con forte carattere interdisciplinare. Questa vitalità deriva dalla concomitanza di più elementi. Da un lato, si osserva il crescente utilizzo delle nanotecnologie per produrre strutture con dimensioni nanometriche, quindi inferiori alla lunghezza d’onda della luce, e creare materiali con proprietà ottiche non esistenti in natura, i cosiddetti metamateriali. Perciò è stato coniato il termine nanofotonica, che descrive lo studio del comportamento della luce su scala nanometrica e dell’interazione della luce con strutture nanometriche. D’altra parte, si hanno le forti richieste applicative di un mercato sempre più diversificato e globale. Infine, il mondo della ricerca scientifica non smette di chiedere strumenti di indagine ottica sempre più avanzati.

Le nanotecnologie in optoelettronica. – Le nanotecnologie e le richieste applicative hanno indubbiamente avuto grande rilevanza nei recenti sviluppi dell’optoelettronica. Questo settore dell’o. studia i processi di conversione della luce in energia elettrica e viceversa. Interessa direttamente campi di applicazioni attualmente di enorme rilevanza: 1) la produzione di energia rinnovabile tramite celle solari fotovoltaiche; 2) il risparmio energetico mediante illuminazione con sorgenti LED (Light Emitting Diode); 3) lo sviluppo di monitor e display per personal computer, apparati televisivi, smartphone ecc; 4) l’utilizzo del laser, sia nel settore delle telecomunicazioni legato alla rete Internet sia in molte altre applicazioni e nella ricerca.

Nelle celle solari, uno dei fattori per l’aumento dell’efficienza di conversione è la riduzione delle perdite per riflessione della luce alla superficie del materiale attivo, ai vari angoli di incidenza. Si consideri, per es., che nelle classiche celle al silicio, dato l’alto indice di rifrazione di questo materiale, si perderebbe circa il 37% della potenza incidente in condizioni reali di utilizzo. Questo problema è tradizionalmente affrontato con metodologie ottiche classiche, quali l’applicazione di rivestimenti antiriflesso basati sull’interferenza ottica oppure con la microstrutturazione della superficie con microprismi o reticoli. Le nanotecnologie stanno offrendo, invece, un approccio completamente nuovo basato sulla realizzazione di strutture regolari su scala nanometrica, fatte con materiali semiconduttori o isolanti. Ciò produce una modulazione controllata dell’indice di rifrazione, in funzione della distanza dalla superficie, che abbatte la riflettività. Per es., vengono depositati bastoncini nanometrici (nanorods) di ossido di titanio, con diametro di circa 20 nm e lunghezza 100 nm, in diversi strati e con diverse inclinazioni rispetto alla superficie. Oppure si creano matrici regolari (array) di nanopilastri verticali di ossido di zinco alti 150 nm e con un diametro di 100 nm, o di nanoconi alti 200 nm e con un diametro alla base di 45 nm. Con tali metodi si sono ottenute riduzioni delle perdite per riflessione su silicio dal valore iniziale del 37% fino al 7%, con minimi dello 0,5% a incidenza normale, sull’intervallo di lunghezze d’onda da 300 a 1100 nm, praticamente tutto lo spettro utile della luce solare. Le celle a film sottile, recentemente introdotte sulla base di nuovi materiali, anche organici e polimerici, offrono il vantaggio di un minore impatto da smaltimento e, soprattutto, la possibilità di realizzare pannelli solari leggeri, flessibili e trasparenti, che possano essere utilizzati sui vetri di finestra o su superfici curve e non rigide. In tali dispositivi, però, si pone il problema di fare assorbire a uno strato molto sottile (anche minore di un micron) tutta la luce incidente che si vuole convertire e di mantenerlo trasparente ad altre lunghezze d’onda. Qui le nanotecnologie stanno fornendo una varietà di soluzioni di manipolazione della luce che coinvolgono processi ottici decisamente innovativi. Una strategia sfrutta il confinamento del campo elettromagnetico su dimensioni minori della lunghezza d’onda prodotto dai plasmoni di superficie, oscillazioni collettive degli elettroni liberi eccitate all’interfaccia metallo-isolante dalla luce incidente. L’effetto incre menta fortemente l’intensità elettromagnetica e quindi l’interazione luce-materia e l’assorbimento. A tale scopo vengono inserite delle nanostrutture o nanoparticelle di metallo, tipicamente oro o argento, con forme precise per creare specifici modi(frequenze) di risonanza plasmonica. È stato calcolato che una nanosfera d’oro con diametro intorno a 50 nm può concentrare l’energia luminosa incidente in un plasmo ne di superficie fortemente localizzato aumentando fino a 100 volte il campo immediatamente circostante. Allo stesso scopo sono state anche sperimentate strutture più complesse, quali file di nanostrisce metalliche allineate perpendicolarmente al loro asse maggiore, basate sull’idea di replicare la comune antenna ricevente televisiva a dipoli (antenna Yagi-Uda) su una scala 100.000 volte inferiore per frequenze elettromagnetiche 100.000 volte più alte. La differenza importante fra le due scale dimensionali è data dall’effetto dei plasmoni di superficie, presenti solo alle frequenze ottiche. Oltre all’incremento diretto dell’assorbimento, le particelle e le strutture disperse hanno l’effetto di diffondere la luce incidente in tutte le direzioni, con riflessioni interne multiple, aumentandone il cammino e l’assorbimento all’interno dello strato attivo, con un meccanismo di intrappolamento della luce (light trapping).

Gli effetti di aumento del campo locale e di intrappolamento della luce possono essere ottenuti contemporaneamente utilizzando i cristalli fotonici (photonic crystals), particolari metamateriali basati su strutture artificiali tridimensionali nelle quali l’indice di rifrazione e l’assorbimento sono modulati periodicamente su scala nanometrica. Come effetto di tale modulazione, la propagazione dei fotoni nel cristallo risulta permessa o proibita a seconda della lunghezza d’onda e della direzione. Inoltre, la luce che si propaga può essere deviata in modi complessi in funzione della lunghezza d’onda λ, ottenendo particolari configurazioni del campo con valori locali molto elevati. L’applicazione di tali strutture all’interno della cella è ancora sperimentale, ma sono già stati riportati aumenti dell’efficienza fino al 30%. Inoltre, si è riusciti a ottimizzare la risposta per certi angoli di incidenza, effetto di notevole interesse per la realizzazione delle finestre fotovoltaiche.

È interessante notare che gli stessi concetti di nanofotonica sono anche utilizzati in quei dispositivi optoelettronici che potremmo definire inversi rispetto al fotovoltaico: le sorgenti luminose a LED, comprese quelle a base di composti organici (Organic-LED, OLED) usate nei display e monitor di ultima generazione. Infatti, dato il principio di reversibilità dei cammini ottici, gli stessi schemi che portano efficacemente la luce a essere assorbita dentro un materiale servono a ottenere l’effetto inverso di portare fuori la luce emessa dal materiale. Per es., nel 2014 è stata aumentata del 60% l’efficienza di un OLED verde tramite una nanocavità plasmonica, formata da antenne metalliche con diametro di 20 nm disposte a reticolo con passo di 200 nm. Questo ha anche cambiato la riflettività della superficie esterna, aumentando il contrasto del 400%.

Va osservato, però, che il grande sviluppo dei LED a luce bianca per illuminazione ambientale e degli OLED nei display televisivi e negli smartphone è soprattutto dovuto ai recenti progressi nelle più convenzionali tecnologie dei materiali legate al mondo dell’elettronica e della sintesi chimica. In questo senso è esemplare il caso della realizzazione del LED blu a base di nitruro di indio e gallio (InGaN) che «ha permesso le sorgenti di luce bianca brillanti e a basso consumo», citando la motivazione del premio Nobel per la fisica del 2014 assegnato a Isamu Akasaki, Hiroshi Amano e Shuji Nakamura per l’invenzione del LED blu efficiente. Sono state infatti necessarie sofisticate tecniche di drogaggio e crescita dei materiali in strati sottili pochi nanometri, le buche quantiche multiple, per ottenere l’emissione di luce blu, quasi 20 anni dopo i LED rossi, gialli e verdi. Questo permette la conversione di elettricità in luce bianca tramite un processo di sintesi additiva dei colori: l’emissione blu è parzialmente assorbita da speciali fosfori che riemettono a lunghezze d’onda maggiore, generando una porzione dello spettro complementare che produce luce bianca. Gli ulteriori processi tecnologici degli ultimi anni hanno portato i LED a luce bianca a un’efficienza luminosa di circa 130 lumen/watt nelle lampade commerciali (300 lumen/watt nei prototipi industriali), da confrontare con i 16 lumen/watt dei convenzionali bulbi a incandescenza e con i 70 lumen/watt delle lampade fluorescenti. Per scopi diversi, la ricerca continua nella direzione di emissioni a lunghezze d’onda sempre minori e già da una decina d’anni, sfruttando nuovi materiali semiconduttori, si sono ottenuti LED ultravioletti. Attualmente si è arrivati a 215 nm con i LED a base di nitruro di boro o nitruro di alluminio.

Nello sviluppo degli OLED, invece, è stata la febbrile ricerca di nuovi polimeri e composti organici che ha permesso di produrre dispositivi ad ampia gamma cromatica e abbastanza stabili da poter essere utilizzati nei pixel dei display per una sintesi additiva controllata elettronicamente di tutto lo spettro visibile. Ciò ha portato grandi vantaggi, rispetto ai display tradizionali a cristalli liquidi (LCD) retroilluminati da LED, in termini di contrasto luminoso, accuratezza cromatica e angolo di visione. Si sta ora adottando l’inserimento nel materiale organico dei cosiddetti punti quantici (quantum dots), nanoparticelle di materiale semiconduttore con dimensioni così piccole, inferiori a 100 nm, da influenzare il moto degli elettroni attraverso effetti di confinamento quantistico. Di conseguenza, i livelli energetici e le proprietà ottiche sono determinati dalla dimensione e dalla forma, più che dalla natura chimica del materiale. Diventa così possibile ottenere un’emissione luminosa controllata, con grande purezza cromatica e su un possibile spettro molto ampio, nei cosiddetti QLED (Quantum dot LED).

Sviluppi nei laser. – Se la forte crescita delle sorgenti LED è stata essenzialmente mirata ad applicazioni commerciali di larga diffusione, i recenti progressi nel settore dei laser hanno avuto, invece, ricadute soprattutto nel campo delle applicazioni più sofisticate e dell’indagine scientifica. Lo spostamento dell’emissione verso l’ultravioletto è in questo caso reso ancora più complesso da motivi intrinseci alla fisica del laser convenzionale a inversione di popolazione. Attualmente, fra le sorgenti laser di larga diffusione, quella a lunghezza d’onda minore emette a 405 nm. Si tratta di un laser a base di nitruro di gallio (GaN) con struttura a diodo, quindi compatto, miniaturizzabile e pilotato elettricamente, ed è utilizzato nei lettori per dischi Blu-ray, i quali offrono una capacità di immagazzinamento 40 volte superiore a quella del DVD (Digital Versatile Disc). In questa contesto, lunghezze d’onda più corte permetterebbero focalizzazioni su aree minori, per il limite di diffrazione di Abbe, e quindi con densità di informazioni ancora maggiore. Nel 2010, beneficiando anche delle ricadute dalla tecnologia dei LED, si è scesi fino a 330 nm con i laser a diodo di nitruro di gallio e alluminio (AlGaN).

Concettualmente più interessante della rincorsa all’ultravioletto, sono i risultati ottenuti nella progressiva riduzione delle dimensioni della cavità laser fino a valori minori della lunghezza d’onda, una possibilità che pone interessanti problemi di modellazione teorica. La ricerca in questa direzione è iniziata negli anni Ottanta del secolo scorso con la tecnologia dei laser a emissione di superficie a cavità verticale (VCSEL, Vertical-Cavity Surface-Emitting Laser). Questi dispositivi, con dimensioni delle cavità di qualche micron, erano costruiti su wafer di silicio con le tipiche tecniche della microelettronica e si dimostravano ideali per l’accoppiamento diretto delle fibre ottiche. Il passo successivo è stato l’introduzione delle nanotecnologie in laser con cavità intorno al micron basati su microdischi, cristalli fotonici e nanofili. In queste realizzazioni, comunque, era ancora presente una struttura fondata su materiali dielettrici e su differenze di indice di rifrazione per confinare la luce nella cavità laser. Negli ultimi anni, invece, è stato dimostrato l’effetto laser in nanocavità metalliche, con dimensioni intorno a 100 nm, nelle quali il confinamento è realizzato sfruttando la localizzazione del campo prodotta dai plasmoni di superficie. A parte l’indubbio interesse teorico di queste sperimentazioni, ben oltre i confini dell’o. tradizionale, è da considerare che esse mirano ad aumentare la densità e la velocità di elaborazione dei circuiti di optoelettronica integrata, sfruttando la luce, invece dell’elettricità, per le comunicazioni interne al chip. Va osservato che, invece, non è stata ancora realizzata l’attesa miniaturizzazione del laser al silicio, materiale sul quale è nata ed è tuttora fondata la tecnologia dell’elettronica integrata, fino a dimensioni compatibili con l’integrazione su chip, dove troverebbe naturale collocazione.

Lo sviluppo recente nel settore dei laser non è andato solo nella direzione dell’applicazione ad altri dispositivi, bensì anche in quella mirata a costruire strumenti per la ricerca più avanzata, com’è il caso dei progressi compiuti nel laser ad elettroni liberi (FEL, Free Electron Laser). Questo è un laser non convenzionale, in quanto non si basa sul la tipica eccitazione di un mezzo attivo, con inversione di popolazione fra livelli energetici, bensì sull’emissione di radiazione elettromagnetica da parte di elettroni liberi accelerati nel vuoto. L’effetto, previsto dalla teoria classica dell’elettromagnetismo e storicamente chiamato radiazione di frenamento o di sincrotrone, è alla base dei tradizionali tubi per produrre raggi X. Nel FEL, un fascio di elettroni prodotto da un acceleratore di particelle, a velocità prossima a quella della luce, entra in una zona in cui una speciale disposizione alternata di magneti gli imprime un moto ondulato lungo una curva piana. La radiazione emessa a causa dell’accelerazione trasversale di questo moto è ad ampio spettro di frequenza e incoerente, tuttavia essa interagisce con gli stessi elettroni, modificandone il moto: alcuni perdono energia, mentre altri la aumentano, così che si raggiunge una particolare distribuzione spaziale, con gli elettroni che si raccolgono in pacchetti distinti (microbunches) ed emettono in fase fra di loro. La radiazione, quindi, cresce in intensità e diventa coerente e collimata, come quella di un laser, e se ne può controllare la lunghezza d’onda agendo sull’energia degli elettroni o sul campo dei magneti. La necessità di un acceleratore di particelle, di vuoto spinto lungo il moto degli elettroni e di grandi correnti elettriche per i magneti rende molto complesso e costoso un FEL. Perciò ce ne sono poco più di una ventina al mondo e fra questi, in Italia si ha il Compact FEL presso l’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) di Frascati e il FERMI presso il sincrotrone Elettra di Trieste. A fronte della sua complessità e costo, il FEL può emettere radiazione intensa e coerente su uno spettro elettromagnetico di enorme ampiezza, dalle microonde ai raggi X duri, ossia con lunghezze d’onda dall’angstrom ai millimetri. Questo fa del FEL una sorgente senza precedenti e con immense possibilità per la spettroscopia e lo studio della materia. In particolare, la lunghezza d’onda subnanometrica dei raggi X permette la microscopia coerente diffrattiva con un’eccezionale risoluzione spaziale e consente di ottenere immagini definite della struttura 3D di molecole organiche complesse, per es. proteine. Inoltre, la radiazione è emessa in forma di un treno di impulsi ultracorti, il che permette l’analisi dinamica dei processi chimici e biologici, consentendo il ‘fermo immagine’ di atomi e molecole in movimento. I primi FEL furono messi a punto negli anni Ottanta del secolo scorso, ma i progressi tecnici degli ultimi dieci anni ne hanno enormemente potenziato le capacità. Per es., nel 2011 è entrato in funzione il FEL SACLA (Spring-8 Angstrom Compact free electron LAser), in Giappone, che ha portato il limite inferiore dei raggi X fino a 0,6 angstrom, mentre LCLS (Linac Coherent Light Source), a Stanford (Stati Uniti), ha raggiunto la potenza di picco di circa 20 terawatt, e la durata dell’impulso è stata ridotta al valore record di 3 femtosecondi. Durate così brevi evitano che le delicate molecole organiche si distruggano sotto l’impulso prima di diffondere i dannosi fotoni X da cui sono colpite. In tal modo, sono state ottenute per la prima volta al mondo immagini ai raggi X di batteri vivi, mentre l’alta intensità del fascio è stata utilizzata per visualizzare la struttura di alcune proteine che si presentano solo in forma di un singolo sottilissimo strato. Queste immagini presentano l’incredibile risoluzione spaziale di soli 0,8 nm.

Un altro aspetto dei laser i cui i recenti progressi tecnici stanno fornendo eccezionali risultati scientifici è quello degli impulsi ultracorti. Il principio, introdotto nei primi anni del nuovo millennio, si basa sulla forte focalizzazione di un impulso laser infrarosso su un gas raro contenuto in una cella. Si produce un plasma che genera armoniche a lunghezze d’onda molto corte, che si mettono in fase fra di loro per effetti non lineari di interazione luce-materia. Ne deriva un treno di impulsi ultracorti nella regione dell’estremo ultravioletto. Affinando le tecniche ottiche per selezionare il singolo impulso, nel 2012 è stata raggiunta l’incredibile durata di 67 attosecondi (1 as=10−18 s). Può dare l’idea di una tale durata, considerare che la luce, che in 1 s percorre circa la distanza Terra-Luna, in 1 as percorre solo 3 angstrom (10−10 m). Impulsi del genere sono formati da poco più che una sola oscillazione del campo elettromagnetico. Essi permettono di studiare direttamente la dinamica, non solo delle reazioni molecolari, ma addirittura dei moti elettronici nell’atomo, considerato che l’elettrone, nella rappresentazione corpuscolare come particella, ‘impiega’ circa 150 as per compiere un’orbita atomica. Per es., con una tecnica stroboscopica, è stata ‘filmata’ la rimozione di un elettrone da un atomo, il suo allontanamento e la collisione con un altro atomo.

Nanofotonica e manipolazione della luce. – Nel decennio scorso, un grande lavoro teorico e alcuni risultati sperimentali avevano fatto intravedere eccezionali sviluppi nella manipolazione della luce, basandosi sulle proprietà ottiche dei metamateriali. In particolare, la conferma sperimentale di un indice di rifrazione negativo aveva acceso le speranze di ottenere, a breve, applicazioni estremamente innovative. Fra queste, notevole è il mantello dell’invisibilità, che dovrebbe rendere del tutto trasparente, invisibile, un oggetto posto al suo interno, facendo curvare perfettamente la luce intorno a esso. Analogamente, la superlente dovrebbe, da sola e per contatto con l’oggetto, fornirne immagini a una risoluzione superiore a quella imposta dal limite di diffrazione di Abbe. Dieci anni dopo, appare chiaro che le difficoltà nella fabbricazione di complesse geometrie 3D su scala nanometrica hanno impedito dei veri progressi sperimentali in questi campi. Probabilmente, la prima generazione di dispositivi basati sui metamateriali apparirà dai loro equivalenti bidimensionali: le metasuperfici. In due dimensioni, infatti, i problemi tecnologici e teorici sembrano più adeguati alle reali capacità finora sviluppate, come confermato da una serie più omogenea e sistematica di studi e risultati preliminari. Per es., è stato realizzato un mantello dell’invisibilità 2D, a tappeto, operante nello spettro visibile, che nasconde ogni eventuale asperità della superficie, per ora su scala molto ridotta, facendola apparire comunque piana. Parallelamente è nato un vivace campo di teorie e modelli della propagazione luminosa, l’ottica trasformazionale, che tratta la variazione dell’indice di rifrazione nei metamateriali in modo equivalente alla curvatura della geometria dello spaziotempo prodotta dalla gravità.

Microscopia a super risoluzione. – Anche nel campo dell’ottica delle immagini, riscontriamo che importanti risultati scientifici stanno derivando da avanzamenti tecnici e metodologici applicati alla microscopia a super risoluzione nel visibile, volta a superare il limite diffrattivo degli strumenti convenzionali. Questo settore ha recentemente visto notevoli progressi rispetto allo SNOM (Scanning Near-fieldOptical Microscopy), il primo microscopio a super risoluzione sviluppato alla fine del 20° sec., e nel 2014 è stato assegnato il premio Nobel per la chimica ai tre scienziati (Eric Betzig, Stefan Hell, William Moerner) che hanno separatamente sviluppato tre metodi per «portare la microscopia nelle nanodimensioni», permettendo ai ricercatori «di studiare delle cellule vive nei più fini dettagli molecolari». Uno dei metodi usa due raggi laser, il primo per eccitare le molecole fluorescenti del campione e il secondo per ‘spegnerne’ la fluorescenza, e sfrutta effetti non lineari per ridurre l’area di fluorescenza residua a dimensioni sotto il limite diffrattivo. Le altre due tecniche sono basate sull’elaborazione digitale e statistica di diverse immagini sovrapposte della fluorescenza emessa dal campione. Considerando che ogni singola molecola non può che effettuare una brusca transizione ‘digitale’ da uno stato acceso a uno spento, l’analisi delle immagini consente la super localizzazione delle molecole. Con queste tecniche si può raggiungere attualmente una risoluzione spaziale di circa 20 nm, con risoluzione temporale inferiore al secondo. Diventa possibile, per es., avere un’immagine della distribuzione delle proteine in una cellula viva e del loro spostamento in seguito a uno stimolo.

Bibliografia: S.L. Chuang, Physics of photonic devices, New York 20092; S.V. Gaponenko, Introduction to nanophotonics,Cambridge 2010; F.J. Duarte, Tunable laser optics, New York 20152.

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