OTTENTOTTI

Enciclopedia Italiana (1935)

OTTENTOTTI

Renato BIASUTTI
Carlo TAGLIAVINI

. I coloni olandesi che nel sec. XVII si insediarono per primi intorno al Capo di Buona Speranza diedero questo nomignolo, che pare significasse "balbettante" (cfr. ted. Stottern), alle tribù incontrate sul luogo, a causa dei suoni avulsivi (clicks) usati nel loro linguaggio. Il nome generico o collettivo che esse si dànno è invece Khoin, che significa "uomini": col raddoppiamento Khoi-khoin ("la gente") è anche adoperato dagli etnologi per designare l'intero gruppo. Le forti affinità somatiche e linguistiche con i Boscimani (v.) o San hanno condotto più recentemente a usare anche il nome Khoi-san per l'intero gruppo etnico austro-africano. Al tempo dei primi contatti con gli Europei il territorio principale degli Ottentotti era costituito da quella che doveva divenire la Colonia del Capo, fra l'Orange, il corso inferiore del Vaal e il Great Kei, e dal Gran Nama, l'altipiano che, oltre l'Orange, si stende nell'Africa del Sud-Ovest fra la pianura litoranea e il bacino del Kalahari: una vasta regione di pascoli e di steppe, a clima mite o temperato dall'altitudine, nella quale gli Ottentotti conducevano la vita caratteristica dei pastori, mentre ai Boscimani cacciatori era lasciato il dominio dei più aridi distretti della costa (Namib) e dell'interno (Roggeveld, Kalahari, ecc.). È noto tuttavia che residui Boscimano - Ottentotti si incontrano su un raggio molto più vasto entro il paese dei Negri, e non vi è alcun dubbio che in tempi non molto remoti molta parte dell'attuale regione dei Cafri apparteneva loro. L'espansione bantu verso l'occidente è del resto continuata anche nell'epoca coloniale e ha tolto alle tribù khoisanidi notevoli tratti di territorio. Ma agli Ottentotti è stata specialmente fatale la penetrazione europea.

Dei numerosi gruppi dei quali ci dànno notizia i primi viaggiatori o gli stessi documenti storici ufficiali della Colonia del Capo, come abitanti in questa, e che si calcola ammontassero a 130-200.000 individui (Fritsch), all'inizio del sec. XIX non esisteva più alcuna tribù libera: i resti dei clan originarî, perduto il bestiame e adottata la lingua olandese, formavano il primo e maggiore nucleo della "gente di colore" del Capo al servigio dei Bianchi. I gruppi che resistettero più a lungo furono quelli stanziati sui confini settentrionali della Colonia, cioè i Koranna e i Griqua (qua = suffisso nominale maschile plurale), dei quali esistono ancora degli elementi profondamente alterati dalle miscele con i Bianchi, i Negri o gli stessi Boscimani: ma la maggior parte di questi gruppi settentrionali è andata a formare il popolo dei "Bastardi", cioè i meticci olandesi-ottentotti che nel corso del sec. XIX si sono stabiliti in varî nuclei nella regione del Gran Nama (v. bastaards). D'altra parte, sotto l'incalzante pressione dei coloni bianchi e sotto la guida di meticci intraprendenti, anche alcune tribù libere passarono fra il sec. XVIII e il XIX l'Orange e si stabilirono fra i Nama. Esse portano la designazione collettiva di Gunun o, dal nome di un capo, Orlam; mentre le tribù, che già vi risiedevano, sono raccolte sotto quella di Nama o Namaqua. Anche al N. dell'Orange, tuttavia, e già prima della colonizzazione germanica, per effetto delle guerre reciproche e specialmente della lotta contro gli Herero, cinque tribù erano smembrate e disperse, compresa quella (gli Afrikaner) che sotto la condotta di Jonker e Jan Afrikaner era stata la più bellicosa e temuta. Al tempo dell'occupazione tedesca (1890) non esistevano più di otto tribù libere, quattro autoctone e quattro immigrate dalla colonia del Capo, note di solito con i nomi dati loro dai Boeri: gli Aonin o Gomen (olandese Topnaar), ridotti nella zona costiera a N. di Swakopmund, e i Gaikanan, Kobesin, Karagaikhoin, Haboben, Haikhauan, Amain, Gaminun, nel Namaland (v. africa del sud-ovest). Attualmente, passato un altro mezzo secolo, il numero degli Ottentotti pare si aggiri sui 15.000 individui, la loro compagine sociale e politica si può dire del tutto distrutta e la loro cultura originaria può essere integralmente descritta soltanto in base alle più antiche relazioni.

Queste ci mostrano negli Ottentotti, come si è detto già, tipici allevatori di bestiame: il bue, la capra e la pecora a coda grassa. Ogni pratica agricola era del tutto ignota. Era praticata invece assai attivamente la caccia a tutta la numerosa e svariatissima fauna delle steppe, mentre in qualche punto della costa era sviluppata anche la pesca con la lancia: mancavano del resto di qualsiasi mezzo di navigazione e la caccia stessa, per concorde giudizio degli osservatori, era lungi dall'esser condotta con l'ardore e la costanza dei Boscimani. Il latte era in realtà il nutrimento essenziale e più apprezzato, e la dieta era completata dalla carne del bestiame morto (raramente macellato), dalla cacciagione e dalla raccolta di tutto ciò che fosse commestibile, dai frutti e tuberi forniti in larga quantità dalle steppe e dai frutti di vari arbusti, sino alle larve di varî coleotteri, le ninfe delle termiti e le locuste. L'arco (semplice, di dimensioni modeste) con le frecce avvelenate e la lancia erano le armi principali: inoltre il kirrj, un piccolo bastone da getto, e il rakum, un bastone parabotte. Le punte per la lancia o le frecce erano d'osso o di ferro: ma questo metallo, come il rame dei molti braccialetti usati dalle donne, doveva essere ottenuto dalle tribù negre, e lavorato poi alla meglio sul posto.

La metallurgia, come del resto l'arte del vasaio, pure conosciuta, ma poco attiva, convenivano poco alla vita seminomade delle tribù ottentotte, e non appartengono certo al loro primitivo patrimonio culturale. Questo ha piena espressione invece nella lavorazione delle pelli, le quali, a parte i pochi recipienti di terra, di legno o di zucca, fornivano tutte le suppellettili: borse, astucci, sacchi da turcasso, sandali, fasce per le gambe, berretti a punta per le donne e i due pezzi essenziali del vestiario, il doppio grembiule o la fascia per i fianchi e il kaross, l'ampio mantello di pelle di pecora o di gatto selvatico o d'antilope, che nella stagione fresca, indossato col pelo all'interno, copriva tutta la persona. L'ornamento del corpo era piuttosto modesto: cerchi di pelliccia al collo e alle gambe, dischi tagliati nel guscio delle uova di struzzo e cuciti sulla pelle del perizoma, braccialetti di rame o di ferro (ora anche d'ottone), collane di semi, ecc. Frequente la pittura del viso e di uso comunissimo, anche tra gli uomini, la polvere aromatica di buchu, conservata in astucci formati dal guscio di piccole tartarughe. Qualche viaggiatore (P. Kolben, 1719) ci ha lasciato anche il racconto di due particolari mutilazioni compiute dagli Ottentotti a scopo magico sui loro fanciulli. Una di queste consisteva nel taglio di una o due falangi del dito mignolo delle mani, che si praticava talvolta anche sulle fanciulle, e il cui uso sporadico è stato osservato fino al secolo scorso; l'altra era data dalla escissione di un testicolo all'epoca della pubertà. È stata contestata l'esattezza di quest'ultima notizia (A. Sparrmann, G. Fritsch) e si è detto trattarsi soltanto di una specie di incisione della pelle dello scroto analoga a quella in uso tra i Masai. Il monorchismo artificiale è stato però sicuramente constatato fra taluni gruppi camitici e la possibilità che il costume esistesse una volta anche nell'Africa australe non è senz'altro da escludere date le innegabili affinità linguistiche e culturali rilevate fra i Camiti e gli Ottentotti.

Gli elementi comuni delle due aree culturali sono basati principalmente sull'esistenza di una economia prettamente pastorale, mentre nel territorio etnico negro, che divide i Camiti dagli Ottentotti, la presenza dell'agricoltura si associa a una quantità di caratteri di altra origine. Gli stessi animali domestici degli Ottentotti e, in genere, dell'Africa orientale sono di origine asiatica, e la loro diffusione fino al Capo non può essere avvenuta senza l'accompagnamento di determinati oggetti e costumi. Uno di questi è dato dalla capanna emisferica trasportabile, formata da un'intelaiatura di archi paralleli disposti in due serie, normali l'una all'altra, e coperta da stuoie intrecciate: tipo che si ripresenta, per es., tra i Somali. Altri elementi comuni come il forno a terra, il giaciglio a terra, le vesti di pelli, il gusto per la carne cruda e per il sangue, si spiegano agevolmente con la comunanza dell'ambiente arido e della economia pastorale: comune a taluni gruppi camitici è anche l'uso di porre al collo di un malato, a scopo curativo, l'omento di una pecora espressamente sacrificata.

Le capanne ottentotte erano disposte a cerchio intorno al kraal del bestiame: mezzo secolo fa gl'insediamenti erano invece già di forma irregolare e ora, per la maggior parte dei gruppi, le stesse capanne emisferiche vengono sostituite da abitazioni improvvisate con le casse di legno o di latta abbandonate dai Bianchi.

L'organizzazione sociale era una volta assai forte: i piccoli gruppi, per lo più poco numerosi, riconoscevano l'autorità di un "capitano", la cui dignità era ereditaria e l'autorità, in generale poco oppressiva, indiscussa. La famiglia era patriarcale, ma la donna godeva di una certa considerazione e libertà: era padrona assoluta nella capanna, della quale poteva interdire l'accesso anche al marito, e le era riconosciuta una parte importante nell'economia domestica. Era la donna che montava e disfaceva la capanna, e, contro l'uso vigente fra i Negri, le spettava anche il lavoro della mungitura. La morale sessuale viene descritta come assai buona: oggi è il contrario, benché il cristianesimo abbia dovunque sostituito l'antico animismo e il culto degli eroi nazionali (Tsui-xoab "l'antenato"). Le notizie raccolte sulle loro credenze religiose sono poco sicure e, ormai, incontrollabili: pare che ne facesse parte anche la venerazione di un insetto, quale si incontra nei Boscimani. Per la sepoltura s'usava l'inumazione rannicchiata in fosse a nicchia. Degli Ottentotti è stata rilevata l'indole bonaria e socievole: amano tuttora assai la musica (arco musicale o gora, tamburo, piffero) e la danza. Il livello intellettuale non si deve giudicare troppo basso, e ne è prova anche la rapidità con la quale hanno adottato oggetti e costumi europei, e non solo quelli che si sono più facilmente diffusi dovunque, come il tabacco e gli alcoolici, ma anche le vesti e le armi europee e lo stesso modo di vita dei coloni boeri. Gli Ottentotti dànno, per es., un forte contingente alla professione dei carrettieri. Ma la loro parabola storica si può dire compiuta e il ricordo della loro antica vita è affidato ormai quasi unicamente al patrimonio novellistico e favolistico che, come di solito, ha palesato la maggior forza di resistenza. Di esso ha dato un'interessante raccolta L. Schultze. Sarebbe utile anche un'indagine diretta a collegare la cultura ottentotta con quella di taluni strati archeologici più recenti della regione del Capo, per es. con il contenuto dei cumuli di rifiuti della zona costiera meridionale che vengono di solito attribuiti ai "Strandloopers", una frazione costiera degli Ottentotti coloniali, o con le più recenti industrie di superficie, in modo da lumeggiare possibilmenie i rapporti culturali degli Ottentotti con i primitivi del sud, i Boscimani, e con le posteriori correnti civili provenienti dal nord.

Lingue. - Dal punto di vista glottologico, si distingue l'ottentotto propriamente detto (lingua dei Khoi-Khoin) dal più ampio gruppo linguistico ottentotto-boscimano. L'ottentotto propriamente detto comprende alcune varietà dialettali, la principale delle quali è il nama, parlato nella Colonia del Capo; i dialetti kora (meglio t'kora) e del Capo sono ora presso che completamente estinti.

Caratteristiche principali della fonetica dell'ottentotto sono: a) La presenza dei cosiddetti suoni avulsivi; questi suoni, che si trovano anche nel boscimano e in poche altre lingue africane, sono chiamati dai linguisti inglesi clicks, dai tedeschi Schnalze, Schnalzlaute, dai francesi cliquements. Il nome di avulsivi venne loro dato da Raoul de la Grasserie e fu adottato da parecchi linguisti, fra i quali A. Trombetti; essi sono prodotti non con l'inspirazione, come si crede ancora da parecchi, ma con un succiamento (che Meinhof e Jespersen chiamano Saugbewegung, cioè "moto di succiamento"). Il nama possiede quattro avulsivi: un avulsivo dentale, un avulsivo cerebrale o cacuminale, un avulsivo laterale ed uno comunemente detto palatale (ma realmente alveolare), Questi suoni avulsivi, che nelle nostre lingue si trovano solo eccezionalmente (per es. in Italia nel t* con cui i cocchieri incitano i cavalli), nel nama occupano solamente la posizione iniziale e possono trovarsi unicamente dinnanzi a vocali e alle cinque consonanti g, h, k, kh, n. Essi sono stati espressi graficamente in modi differentissimi: molto diffusa è la grafia analfabetica del Lepsius (¡, !, /, //), specialmente con i mutamenti proposti da J. G. Kroenlein e usati nei numerosi lavori di questo profondo conoscitore del nama (/ per l'avulsivo dentale, ≠ per il cosiddetto palatale,! per il cerebrale e // per il laterale). K. Meinhof, che in un primo tempo aveva adottato i segni analfabetici Lepsius-Kroenlein, nei suoi più recenti lavori usa i segni alfabetici corrispondenti ai non avulsivi, con un triangolo sovrapposto o con il piccolo triangolo a lato. Questa grafia è stata raccomandata anche dalla Conferenza di Copenaghen dell'aprile 1925. Nella trascrizione fonetica dell'Anthropos si scrivono con le stesse lettere delle corrispondenti non avulsive, ma capovolte. b) L'alternanza fra sorde e sonore. c) L'alternanza fra esplosive e fricative. d) La presenza d'una apofonia vocalica (Ablaut), il cui valore non è però ben chiaro. e) La presenza dei toni (sconosciuti alle lingue della famiglia camitica, ma non ignoti a parecchie lingue africane). Il nama conosce tre toni: alto, medio e basso.

Nella morfologia vanno rilevati: a) Il complicato sistema delle forme suffisse dei pronomi personali. Questi suffissi pronominali hanno forme diverse, non solo secondo le tre persone, ma secondo i tre generi (maschile, femminile, comune), i tre numeri (singolare, duale e plurale) e i due casi (soggettivo e oggettivo), per es. ao-ta "uomo io", ao-c "uomo tu" (soggetto), ao-ca "uomo tu" (oggetto), ao-kho "uomini voi due", ao-kha "uomini essi", ao-ta "donna io" (soggetto), ao-te "donna io" (oggetto), ao-m "donne noi due", ecc. b) La presenza di tre generi (maschile, femminile e comune). Il genere è distinto da suffissi, per es. khoe-b "l'uomo", khoe-s "la donna", khoe-'i "un uomo, una persona" (senza osservazione del sesso). c) La relativa semplicità del sistema casuale: si distingue un caso soggettivo (nominativo), un oggettivo (accusativo) e un istrumentale; l'uso di quest'ultimo caso è molto ristretto. Il dativo non è distinto dall'oggettivo, ma il verbo riceve il suffisso -ba. Il genitivo si esprime con la semplice collocazione BA (possessore, cosa posseduta), per es. //gũ-b /'on-s "del padre il nome".

La presenza degli avulsivi tanto nell'ottentotto quanto nel boscimano (boscimani, VII, pp. 542-43) fece supporre già da molto tempo un nesso genealogico fra ottentotto e boscimano, il quale fu negato solamente da F. Müller (ma sostenuto da T. Hahn, W. H. J. Bleek, G. H. Schils, W. Planert, A. Trombetti, ecc.). Si venne così costituendo un gruppo ottentotto-boscimano (detto Khoin dal Drexel), al quale si aggiunse nel 1910, per merito di A. Trombetti, il wa-sandawi, parlato nella regione dei Grandi Laghi, in un territorio vicino a quello occupato dai parlanti le lingue nilotiche, ma lontanissimo da quello degli Ottentotti e Boscimani. La parentela del wa-sandawi (o sandawe) con l'ottentotto-boscimano, rivelata dal Trombetti, fu più tardi confermata da O. Dempwolff. Il fatto di trovare una lingua genealogicamente affine all'ottentotto in una zona così lontana fece accrescere le probabilità di un rapporto fra l'ottentotto ed altre lingue dell'Africa, che non fossero le vicine bantu. Nel 1850 J. W. Appleyard, nel libro The Kafir Language, immaginava un'affinità ottentotto-egiziana, fondata però su fragilissime basi; nel 1851 il Bleek, nella dissertazione De nominum generibus linguarum Apricae Australis, ecc., stabilì la connessione dell'ottentotto con le lingue camitiche, sulla base della presenza del genere e di alcuni suffissi di terza persona. R. Lepsius, nella introduzione alla sua Nubische Grammatik (Berlino 1880), e già prima in altri scritti, ammette la parentela dell'ottentotto col camitico e rileva le concordanze maggiori con le lingue cuscitiche e specialmente col begia.

Questo ravvicinamento, quantunque possa parere strano, sarebbe sostenuto anche dal fatto che gli Ottentotti, in epoche antiche, abitavano in una zona molto più settentrionale, fin verso lo Zambesi, in una regione dunque non molto lontana dal territorio abitato dai Cusciti. La connessione camitico-ottentotta non è stata però riconosciuta da parecchi linguisti (v. camitiche, lingue).

A. Trombetti ammette una parentela col camitico e specialmente col cuscitico, ma nelle sue pubblicazioni dall'Unità di origine del linguaggio (1905) al saggio su I numerali (1909-12) non include l'ottentotto-boscimano nel camio-semitico, facendone invece un gruppo a parte. Solo negli Elementi di glottologia (1923), p. 44, include l'ottentotto-boscimano insieme col sandawe, mbulunge, e ufiomi in un gruppo camitico meridionale. La connessione dell'ottentotto col camitico è accettata anche da Karl Meinhof, il quale, nel suo libro Die Sprachen der Hamiten, include anche il nama fra le lingue camitiche; però, siccome per il Meinhof il boscimano rappresenta una delle più antiche lingue autoctone dell'Africa, egli separa, contro i risultati della maggior parte degli studî africanistici, l'ottentotto dal boscimano, e, non potendo negare alcuni evidenti rapporti fra queste due lingue, li spiega come mutamenti seriori dovuti agli influssi esercitati dai Boscimani sopra la popolazione camitica degli Ottentotti, venuta a stabilirsi sul loro territorio e priva d'ogni rapporto con le altre popolazioni camitiche. A. Drexel, Die Gliederung der afrikanischen Sprachen (Vienna 1925), p. 94 segg., ammette la parentela ottentotto-boscimana, ma nega un rapporto genealogico col camitico; per lui il nama sarebbe una lingua affine al boscimano, ma camitizzata, cioè trasformata dalle successive migrazioni dei Camiti. Si è già visto infine come il Trombetti concili le due teorie (nesso ottentotto-boscimano e nesso ottentotto-camitico) includendo l'ottentotto-boscimano nel camitico meridionale; questo anche in armonia con la sua tesi monogenistica. Tuttavia probabilmente il Trombetti si avvicinava più al vero nei suoi primi lavori, giacché il nesso ottentotto-camitico, pur essendo molto probabile linguisticamente e storicamente, non è stato ancora completamente provato.

Bibl.: Etnologia: Th. Hahn, Die Nama-Hottentotten, in Globus, XII, Braunschweig 1867; G. Fritsch, Die Eingeborenen Südafrikas, Breslavia 1872 (con bibl. e atlante); G. M'Call Theal, History of South Africa, voll. 6, Londra 1888-1902; G. W. Stow, The Native Races of South Africa, Londra 1905; L. Schultze, Aus Namaland und Kalahari, Jena 1907. - Per le lingue: J. C. Wallmann, Die Formenlehre der Namaquasprache, Berlino 1857; W. H. J. Bleek, A comparative grammar of South African Languages, Londra-Capetown 1869; Th. Hahn, Die Sprache der Nama, Lipsia 1870; J. G. Kroenlein, Wortschatz der Khoi-Khoin, Berlino 1889 (importante); G. H. Schils, Grammaire complète de la langue des Namas, Lovanio 1891 (esposizione ampia e chiara); id., Dictionnaire étymologique de la langue des Namas, Lovanio 1894 (la parte etimologica è priva di valore); W. Planert, Handbuch der Nama-Sprache, Berlino 1905; C. Meinhof, Lehrbuch der Nama Sprache, Berlino 1909; id., Die Sprachen der Hamiten, Amburgo 1912, pp. 210-25; A. Trombetti, Saggi di glottologia generale comparata, I: I pronomi personali, Bologna 1908, pp. 12-28; id., La lingua degli Ottentotti e la lingua dei Wa Sandawi, Bologna 1910; id., Nama "tarakhoisa" - Ku-nama "dar-ki-sa", Bologna 1911; W. Planert, Über die Sprache der Hottentotten und Buschmänner, Berlino 1905 (Mitt. des Seminars f. orient. Sprachen, VIII [1905], Abt. II, 104-176); O. Dempfwolff, Die Sandawe, Amburgo 1916 (spec. p. 69 segg.).

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