SANTACROCE, Ottavio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 90 (2017)

SANTACROCE, Ottavio

Alexander Koller

– Nacque a Roma l’11 giugno 1542 da Onofrio e dalla sua terza moglie, Vetruria de’ Massimi.

Oltre al futuro nunzio Ottavio, due figli delle prime nozze di Onofrio con Nicolosa Cesi furono destinati a una vita ecclesiastica. Claudia divenne suora a Narni e l’erudito Scipione vescovo. Si presero cura della sua educazione e formazione i cardinali Paolo e Federico Cesi, fratelli di Nicolosa. Nel 1545 Scipione fu nominato vescovo di Cervia, una diocesi tra il 1525 e il 1581 ininterrottamente governata dai Cesi e dai Santacroce. Tra gli altri figli di Onofrio si distinsero Fabio, che morì all’età di 17 anni combattendo a Firenze nel 1529, Giorgio (morto nel 1591), marchese di Oriolo, un altro Fabio (morto nel 1596), generale delle galere pontificie sotto Sisto V, designato come erede universale da Ottavio in punto di morte.

Un lontano parente di Ottavio era Prospero, che rappresentò la S. Sede presso la corte di Ferdinando I e presso la Dieta imperiale come primo titolare della nunziatura di Germania della famiglia Santacroce (dopo Ottavio anche Andrea ricoprì la carica di nunzio presso l’imperatore dal 1696 al 1700). Prima di essere creato cardinale, Prospero svolse missioni diplomatiche per la Curia pontificia anche in Francia e Portogallo. Ottavio lo nominò esecutore testamentario per il lascito romano.

Scipione e Prospero erano già in uno stadio avanzato della carriera ecclesiastica quando Ottavio, all’età di 14 anni, ottenne da Paolo IV una pensione di 500 scudi dalle rendite del convento di S. Maria di Chiaravalle. Studiò giurisprudenza a Bologna, dove gli fu conferito il dottorato in utroque iure nel 1566. Ottenne l’importante ufficio curiale di referendario utriusque signaturae da Pio V, confermato da Gregorio XIII. Il 2 aprile 1573 fu nominato governatore di Fermo, dove intrattenne contatti amichevoli con il cardinale Felice Peretti Montalto, il futuro papa Sisto V. Verso la fine del suo mandato commissionò una cappella in onore della S. Croce e fece aprire una strada che univa la cappella con il litorale. Nel 1576 fu trasferito al governo di Perugia. Una porta della città, che prese il nome di porta Santacroce, fu da lui restaurata. Il culto della croce era per Ottavio un obbligo legato al nome della casata come devozione personale, ma anche una forma per rappresentare la famiglia pubblicamente.

Il 18 luglio 1576 Ottavio fu nominato vescovo di Cervia, come successore del fratellastro Scipione. La consacrazione gli fu impartita nella cattedrale di S. Lorenzo in Perugia dal cardinale Fulvio Della Corgna, vescovo di Albano, assistito da Francesco Bosio, vescovo di Perugia, e Angelo Cesi, vescovo di Todi. Nel 1577 convocò un sinodo diocesano a Cervia.

Nell’estate del 1577 successe a Girolamo Federici come nunzio apostolico a Torino. Un punto centrale della missione riguardava il controllo della situazione in Provenza, dove i possedimenti pontifici ad Avignone e nel contado Venassino erano sottoposti a una continua minaccia da ugonotti e da cattolici anticuriali. L’agenda politica di Santacroce in Savoia fu anche contraddistinta dal conflitto tra il Piemonte e la Francia intorno al Marchesato di Saluzzo e dal tentativo del Ducato di Savoia di recuperare Ginevra. A nome del papa indusse il duca di Savoia a spedire il solito numero di galere a Civitavecchia. Il fulcro della sua attività a Torino era comunque costituito da temi confessionali ed ecclesiastici. La lotta contro il protestantesimo comprendeva sia misure contro i vari gruppi ereticali (tra l’altro i valdesi) sia pratiche per evitare che l’eterodossia potesse raggiungere la penisola dalla Francia, dall’Impero, ma soprattutto da Ginevra. Per combattere gli abusi all’interno della Chiesa e per promuovere l’attuazione dei decreti del Concilio di Trento, ostacolata dai vescovi, agì in stretta collaborazione con i gesuiti. Nel campo ecclesiastico dovette anche affrontare numerosi conflitti giurisdizionali con il governo ducale. Al contrario del suo immediato predecessore, Santacroce sembra essere stato maggiormente disposto a venire a compromessi nella gestione della sua carica.

Durante la sua nunziatura di Savoia la Sacra Sindone fu trasferita da Chambéry a Torino. Santacroce descrisse l’arrivo della reliquia nella capitale piemontese il 9 settembre del 1578 con grande afflusso del popolo sabaudo e di pellegrini forestieri.

Intervenne anche nei negoziati per la mediazione del conflitto di Saluzzo (conferenza di Grenoble, agosto 1597; incontro di Montluel, ottobre 1579). Da Roma gli fu dato l’ordine di sensibilizzare Caterina de’ Medici per una restaurazione della pace in Italia in termini generali, senza compromettersi con proposte specifiche riguardanti Saluzzo. Durante un’udienza chiese inoltre alla regina madre francese di impegnarsi con tutti i mezzi affinché Enrico III non si alleasse con Ginevra e il duca d’Alençon non sposasse Elisabetta d’Inghilterra.

Il periodo torinese di Santacroce finì poco tempo dopo la morte del duca Emanuele Filiberto (30 agosto 1580). Passato un breve periodo nell’abbazia dei Ss. Nazario e Celso presso Vercelli, dov’era abate commendatario, ebbe da Roma la notizia che gli era stata affidata la nunziatura presso la corte imperiale, dopo che era corsa la voce di una sua prossima nomina come nunzio a Parigi. I documenti di inizio missione, ovvero l’istruzione, le facoltà e i brevi credenziali, gli furono consegnati a Roma.

Il 24 aprile 1581 si mise in viaggio per recarsi alla sua nuova destinazione. Dopo una sosta a Fiano, nella residenza della famiglia, e un incontro con il granduca Francesco I di Toscana a Pratolino, si fermò alcuni giorni a Bologna per acquistare cavalli e fare altri preparativi per la sua nuova carica. Interruppe il viaggio a Mantova, dove lo ricevette l’arciduchessa Eleonora, prima di salutare Guglielmo Gonzaga a Marmirolo. Attraverso Trento e il passo del Brennero giunse a Innsbruck, dove trattò temi politici e confessionali con il reggente del Tirolo, l’arciduca Ferdinando, e sollecitò suo figlio, il cardinale Andrea d’Austria, a terminare i suoi studi di teologia. Nel capoluogo tirolese la familia del nunzio si divise, la maggior parte dell’entourage del prelato s’imbarcò a Hall per raggiungere Vienna navigando sull’Inn e sul Danubio. Santacroce, accompagnato da poche persone, si recò a cavallo prima ad Augusta, dove fu ospite di Markus e Hans Fugger. Con tappe intermedie a Donauwörth, Ratisbona e Passau arrivò a Vienna il 1° giugno. Approfittò del suo soggiorno di una settimana nella capitale della Bassa Austria e dintorni per incontrare le autorità secolari ed ecclesiastiche e visitare il collegio dei gesuiti con il seminario degli alunni e il convento di Klosterneuburg. Al suo arrivo a Praga il nunzio uscente, Orazio Malaspina, lo informò dello stato dell’Impero, dei Paesi ereditari asburgici e della corte. Il 25 giugno Rodolfo II lo ricevette in prima udienza, accompagnato da Malaspina, che si congedò dall’imperatore per tornare in Curia. Seguirono le prime visite presso l’imperatrice madre Maria, la regina vedova di Francia Elisabetta, l’arciduca Ernesto, l’ambasciatore cattolico Juan de Borja. In quell’occasione furono consegnati i consueti brevi credenziali.

Nella sua istruzione con data 17 aprile erano descritti i punti più importanti da prendere in considerazione nella sua azione presso la corte imperiale. Doveva dunque sollecitare la nomina di un arcivescovo di Esztergom e di un ambasciatore imperiale alla corte di Roma nonché provvedere a far sostituire il rappresentante del vescovo di Bamberga in Carinzia, Johann Hofmann, esponente dei protestanti nell’Austria Interiore, con un cattolico affidabile, fare da mediatore per ripristinare buoni rapporti tra Rodolfo II e il re di Polonia, Stefano Báthory, difendere i diritti feudali dello Stato della Chiesa a Borgo Val di Taro, prendersi cura della formazione e gestione degli alunni dei seminari di Praga e Vienna. Inoltre gli fu ordinato di impedire la consegna e il rinnovo delle regalie da parte di Rodolfo II ai principi ecclesiastici dell’Impero senza la conferma pontificia. Questo perché i vescovi di Bamberga, Brema, Osnabrück, Paderborn e Halberstadt non erano riconosciuti dalla Sede apostolica all’inizio della nunziatura di Santacroce. Per tutte le questioni gli fu raccomandato di concertarsi con il rappresentante ufficiale del re di Spagna.

Durante la sua breve nunziatura imperiale si concretizzò l’intenzione dell’imperatrice madre di ritirarsi in Spagna nonostante la precaria salute di Rodolfo II. Prime voci di questa sua volontà di tornare in patria correvano già nel 1577, immediatamente dopo la morte di Massimiliano II. Orazio Malaspina e Santacroce cercarono di ostacolare l’intento dell’imperatrice, dato che Maria era considerata una figura chiave per garantire una politica strettamente cattolica e difendere gli interessi della Curia romana nell’Impero e alla corte. Nella primavera del 1581, quando Santacroce entrò in carica come nunzio presso la corte imperiale, la decisione della monarca era comunque già considerata irreversibile. Egli riuscì però a convincere Maria ad ammonire per iscritto suo figlio prima della partenza, affidandogli la protezione della Chiesa e della religione cattolica sulla base di un memoriale del nunzio, stilato in spagnolo.

Santacroce osservò anche da vicino il fallimento di un progetto matrimoniale asburgico. Dopo la morte dell’arciduchessa Anna, quarta moglie di Filippo II, il re di Spagna prese la decisione di sposare la propria cugina e sorella della defunta Anna, l’arciduchessa Elisabetta, già moglie di Carlo IX di Francia, che nel 1574 da vedova era tornata alla corte imperiale. Tuttavia, l’unione tra Filippo ed Elisabetta non si realizzò dato che l’arciduchessa era determinata a ritirarsi a Vienna in un convento da fondare, per realizzare un voto che la vincolava. Come il nunzio scrisse a Roma, Elisabetta fu sottoposta a forti pressioni da parte dei parenti più stretti (l’imperatrice Maria, l’imperatore Rodolfo II e l’arciduca Ernesto) e dai confessori imperiali, che tentarono di far valere le tre ragioni principali per le quali la regina vedova di Francia avrebbe dovuto cedere e accettare l’offerta di Filippo: il proprio prestigio, l’effetto positivo per i rapporti tra i due rami della casa d’Austria, di recente raffreddatisi in seguito all’intervento dell’arciduca Mattia nei Paesi Bassi, e l’obbligo verso Dio e il cristianesimo.

Nella primavera del 1581 Santacroce si fece dare dal vescovo di Vienna un resoconto sulla situazione confessionale nella sua diocesi. L’usanza di seppellire i protestanti in luoghi sacri (chiese, cimiteri) cattolici fu severamente condannata dal nunzio che chiese all’arciduca Ernesto, luogotenente imperiale della Bassa Austria, e ai consiglieri dell’imperatore Siegmund Vieheuser, Wratislaw Pernstein e Johann Trautson di provvedere a mettere fine a questa prassi.

In carica presso la corte imperiale da appena due mesi, Santacroce si ammalò gravemente. Nella sua lettera indirizzata al cardinale Tolomeo Gallio del 13 agosto il nunzio scrive di una «terzanella». Dopo essersi confessato diede le sue ultime disposizioni il 1° settembre. Fu designato erede universale dei beni mobili e immobili il fratello Fabio, fatta eccezione per il palazzo romano in Platea de Pranca, che fu assegnato al fratello Giorgio. Nominò esecutori testamentari il cardinale Prospero Santacroce per il lascito romano e l’amico e confidente Pompeo Vizani per quello praghese. Secondo le sue ultime volontà fu sepolto nella cattedrale di Praga.

Morì a Praga il 3 settembre 1581.

Il 5 settembre ebbe luogo la tumulazione nella cappella di S. Anna della cattedrale S. Vito di Praga, preceduta da un lungo corteo funebre attraverso il centro della città e dal rito religioso nella cattedrale, cui parteciparono rappresentanti di spicco della corte imperiale e del clero e tutti gli ambasciatori presenti. Accanto al giudizio del gesuita Johann Vivarius, espresso nella sua orazione funebre tenuta durante la funzione, sono state tramandate altre opinioni contemporanee sul diplomatico della Curia. Torquato Tasso, che lo aveva conosciuto di persona, lo caratterizza nel suo dialogo Il Messaggiero come «prudentissimo e gentilissimo prelato, et che sostiene si alta professione con somma autorità e splendore, et con esempio di virtù, e di religion singolare» (1858).

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