SCOTO, Ottaviano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 91 (2018)

SCOTO , Ottaviano

Franco Pignatti
Laura Daniela Quadrelli

SCOTO (Scotto, Scotti), Ottaviano. – Nato a Monza intorno al 1440, fu il capostipite di una famiglia di tipografi ed editori operanti a Venezia dall’ultimo quarto del XV secolo fino all’inizio del XVII. Il padre Beltramo era un mercante, proprietario di beni situati in contrada Mediovico. Il nome della madre non è noto; si sa invece che ebbe quattro fratelli: Brandino, Antonio, Bernardino e Agamennone.

La famiglia vantava un’antica tradizione mercantile nel traffico delle lane ed era da tempo impegnata nella vita amministrativa cittadina. Noto è soprattutto Balino, fratello di Beltramo, un uomo già facoltoso che si arricchì ulteriormente grazie agli incarichi ricevuti da Filippo Maria Visconti.

Nulla si conosce della vita di Scoto trascorsa nella città d’origine: in particolare non sono documentate alcune notizie offerte dagli storiografi sette-ottocenteschi secondo cui fu letterato (Frisi, 1794, I, p. 251) e a Monza ebbe due figli, Angioletta e Gerolamo, per poi risposarsi a Venezia con Gioseffa Manfredini (Mezzotti, 1839, pp. 41-43). Verosimilmente, negli anni monzesi lavorò nell’azienda di famiglia, da cui apprese il mestiere di mercante ed ereditò la mentalità imprenditoriale che contraddistinse i suoi anni successivi.

Verso il 1475, all’età di circa 35 anni, si trasferì a Venezia e intraprese l’attività di tipografo. Scarse le notizie del suo apprendistato: sembra che inizialmente abbia preso parte alla ditta Compagnia di Venezia di Nicolas Jenson e Johannes de Colonia; certo è che nella sua casa nel confinium di S. Samuele nel 1479 era attiva un’officina tipografica, poiché in quell’anno uscì la prima edizione che porta il suo nome (Indice generale degli incunaboli, I.G.I., n. 2118). Dal 1479 al 1488 dalla tipografia di Scoto vennero licenziate ventinove edizioni. Nella sua officina lavorarono diverse maestranze; nel 1481 direttore di tipografia era Battista de’ Dentis di Bellano sul Lario, lombardo di una certa fama nell’ambito della stampa.

A partire dal 1482 e fino al 1488 all’attività di tipografo si affiancò quella di editore, per la quale Scoto si valse dei torchi di altri tipografi, tra cui soprattutto quelli del bergamasco Boneto Locatello e inoltre di Bartolomeo Zani e Johann Hamman. Le prime edizioni da lui commissionate furono la Legenda aurea di Jacopo da Varazze (I.G.I., n. 5015) e il Mammotrectus super Bibliam del frate Marchesino da Reggio (n. 6150), uscite nel 1482 per i tipi di Andrea Paltasichi. Entrambe le attività subirono un rallentamento nel 1484, con due sole edizioni impresse (nn. 361, 2441), fino al silenzio del 1485, quando si fermarono sia i torchi sia le commissioni editoriali. Nel 1486 l’attività editoriale riprese con un’edizione di s. Agostino, De civitate Dei (n. 974) fatta stampare da Locatello; da questo momento iniziò uno stretto sodalizio tra i due, poiché Locatello stampò la maggior parte delle opere finanziate da Scoto. Nel biennio 1487-88 la produzione editoriale si intensificò rispetto a quella tipografica: Scoto stampò un’edizione nel 1487 (n. 10360) e una nel 1488 (n. 6823); come editore ne finanziò invece cinque nel 1487 (nn. 472, 1065, 2413, 5940, 5943) e cinque l’anno seguente (nn. 2261, 3074, 5058, 5272, 9132).

Dal 1489 fino al 1498, anno della morte, fu solo editore, completando così l’evoluzione del decennio precedente e accentuando la dimensione imprenditoriale del suo lavoro. In totale commissionò 142 edizioni, con punte negli anni 1493 (diciotto), 1497 (diciotto) e 1498 (diciannove). Una sola di queste fu stampata fuori Venezia: nel 1494 a Pavia il tipografo Antonio Carcano impresse a spese di Scoto un manuale medico di Cristoforo Barzizza, seguito dal Liber nonus Almansoris del medico persiano Al-Razi (n. 1406).

Scoto fu attento alla qualità testuale delle sue edizioni, come testimonia la collaborazione con il monaco agostiniano Giovanni Battista Aloisi, che nel 1497 curò per lui un commento ad Aristotele di Alberto di Sassonia (n. 253) e uno di Paolo Veneto nel 1498 (n. 826-A). Negli anni in cui fu prevalentemente editore si dedicò anche al commercio, stringendo rapporti con alcuni librai. Fra il 1484 e il 1488 fece affari con il veneziano Francesco de’ Madi; dal 1494, per agevolare la distribuzione di opere scolastiche presso l’Università di Pavia, concesse al bresciano Maurizio Moretti di gestire in città una sua bottega. Il raggio di vendita dei suoi libri arrivò fino a Valencia, in Spagna, dove rifornì numerosi librai, con i quali però ebbe problemi di pagamento, a tal punto che il 14 agosto 1492 il governo veneziano inviò una missiva al governatore di Valencia chiedendogli di favorire un agente di Ottaviano mandato in Spagna a riscuotere i crediti dovuti. Nel novembre dello stesso anno fu citato in tribunale da Raffaele Regio per aver stampato senza autorizzazione un suo commento a Quintiliano (n. 8317), opera per la quale Regio il 25 settembre 1492 aveva chiesto il privilegio di stampa, confermato poi il 28 novembre. Tuttavia l’edizione di Scoto rimase a lungo la sola disponibile in città.

Tra i pregi delle sue edizioni si collocano le lettere capitali ornate e figurate e le illustrazioni, per le quali Scoto occupa una posizione di precursore: fra i primi libri illustrati in Italia risultano alcuni suoi messali; la Bibbia illustrata stampata per lui da Locatello nel 1489 è invece la prima in Italia di questo tipo (n. 1688). Sperimentò formati minori rispetto a quelli tipici dell’epoca (in folio e in quarto), per rendere il prodotto più economico e maneggevole, anticipando un fenomeno che con il tempo andrà generalizzandosi: sei edizioni sono in ottavo, una in dodicesimo e una in sedicesimo. Fu inoltre uno dei primi a dedicarsi alla stampa della musica: il Missale Romanum del 1481 (n. 6601) è la prima opera in Italia e la seconda in Europa ad avvalersi del sistema della doppia tiratura, con cui veniva stampato prima il rigo, poi le note. La marca tipografica è costituita da un rettangolo nel quale è impresso un cerchio tripartito che ospita le iniziali «O[ctavianus] S[cotus] M[odoetiensis]» ed è sormontato da una croce a due bracci di diversa lunghezza.

Scoto morì a Venezia il 24 dicembre 1498 e fu sepolto nella chiesa di S. Francesco della Vigna. La lastra tombale riporta lo stemma della famiglia Scoto, la marca tipografica e la dicitura «mercator librorum impressorum», unica delle attività con cui Scoto volle essere ricordato.

Eredi furono il fratello Bernardino con due dei figli, Paolo e Ottaviano (altri due rispondevano ai nomi di Ludovico e Girolamo) e due nipoti: Amedeo di Brandino e Giovanni Battista di Antonio. Cinque edizioni con data 22 dicembre 1498 (Incunabula short-title catalogue, ISTC, nn. ia00953000, ib00451000, it00165000, it00244000; I.G.I., n. 827 B) e una 31 dicembre (ISTC, n. it00257000) uscirono con il nome di Ottaviano il Vecchio, con il quale gli eredi continuarono a pubblicare anche per l’anno successivo; la sottoscrizione «Heredes Octaviani Scoti» apparve per la prima volta nella Chirurgia parva di Guy de Chauliac il 27 gennaio 1500 (n. ig00564000).

Nel 1494 Bernardino aveva compiuto un viaggio nei luoghi santi insieme con Pietro Casola e Francesco Trivulzio (se ne conserva la relazione stilata da Casola nell’autografo Milano, Biblioteca Trivulziana, 141; edito Viaggio a Gerusalemme, a cura di G. Porro Lambertenghi, Milano 1855). Aveva già svolto attività come editore a Pavia, servendosi della tipografia di Giovanni Andrea Bosco per la stampa della Tabula consiliorum secundum ordinem ac viam d. Avicenae ordinata del medico Giovanni Matteo Ferrari (4 maggio 1501). Si spense nonagenario a Milano nel 1537.

Giovanni Battista esercitò il commercio di libri. Morì nel 1529 in casa del cugino Amedeo in contrada S. Felice dopo avere testato il 5 marzo, nominando esecutore ed erede universale l’altro cugino Ottaviano di Bernardino. Paolo risulta con la qualifica di libraio in un atto del 23 ottobre 1534, da cui si ricava che a quella data era già morto. Ottaviano si addottorò in filosofia e medicina. Probabilmente si dedicò anch’egli all’attività tipografico-editoriale in seno all’azienda di famiglia, ma è difficile circoscrivere la sua attività a causa della confusione con l’omonimo figlio di Amedeo.

La direzione dell’impresa Eredi di Ottaviano Scoto fu assunta da Amedeo. Il 20 novembre 1500 ottenne un privilegio di stampa per la pubblicazione di alcune opere, tra cui il Contines Rhasis (cioè l’opera del medico, filosofo e alchimista Al-Razi) e i Problemi di Aristotele. Per effetto del privilegio i Signori della notte ordinarono a Bernardino Benali di non imprimere l’opera di Al-Razi, che uscì per gli Scoto nelle stampe di Locatello il 1° maggio 1506. I Problemata di Aristotele in latino uscirono il 30 luglio 1501. Sotto la direzione di Amedeo fino al 1510 l’attività fu editoriale, dal 1513 anche tipografica e da quell’anno furono coinvolti nella ditta altri soci.

Con la dicitura Eredi di Ottaviano Scoto, uscirono circa 120 edizioni fino al 1539 e tra il 1513 e il 1534 oltre 180 in società con altri tipografi o editori, i cui nomi però di regola non figurano nelle sottoscrizioni, dove è presente la formula «Impensa heredum Octaviani Scoti ac sociorum», mentre sono indicati i tipografi, il che indica che l’iniziativa e la gestione editoriale era degli Scoto e i soci erano coinvolti a livello finanziario. Negli anni della sua direzione Amedeo proseguì l’indirizzo del fondatore, imprimendo opere di teologia, filosofia, medicina, destinate a un mercato sicuro e qualificato. Con atto del 25 giugno 1507 entrò a far parte di una società tipografica con i fratelli Battista e Silvestro Torti, Lucantonio Giunti, Giorgio Arrivabene e Antonio Moretto. La società avrebbe dovuto stampare in prevalenza opere giuridiche in folio con la marca «Per Baptistam de Tortis»; durò cinque anni e utilizzò quattro torchi, forniti, pare, due dai Torti e due da Arrivabene. Probabilmente perché avevano messo a disposizione l’attrezzatura, le quote sociali furono di 1/4 per ciascuno dei Torti e per Arrivabene e 1/4 per Giunta, Scoto e Moretto insieme. Nel 1514 Amedeo e il libraio Niccolò di Raffaele entrarono in società con Ottaviano Petrucci di Fossombrone per aiutarlo nella stampa di opere musicali, per le quali Petrucci aveva ottenuto un privilegio ventennale, prorogato il 26 giugno 1514 per altri cinque anni. L’impresa richiedeva grandi capitali e mezzi tecnici adeguati, che Petrucci non possedeva, e furono messi a disposizione da Amedeo e Niccolò di Raffaele, i cui nomi, però, non figurarono nelle sottoscrizioni. Nel 1519 Amedeo vantava crediti per 48 ducati d’oro verso Vincenzo di Feliciano da Foligno e Vincenzo di Teodoro Da Meno di Monza per merci di vario genere che i debitori avevano acquistato da lui. Il 14 giugno 1522 comperò terreni e case a Cappelletta presso Noale.

Amedeo morì a Venezia nel 1535.

Proseguirono l’attività Ottaviano di Bernardino con il fratello Girolamo, Francesco di Paolo e i due figli che Amedeo aveva avuto da Elisabetta Storla, Brandino e Ottaviano. Fino al 1538 Ottaviano di Bernardino stampò in un primo momento in proprio, in prevalenza opere musicali, e di filosofia aristotelica. Poi si associò il fratello Girolamo. Come editore si servì della tipografia dei Nicolini da Sabbio. Allargò la sua attività a Roma, dove nel 1536 possedeva una bottega a cui spedì caratteri tipografici. Continuò a risiedere a Venezia, ma possedeva beni immobili anche a Milano e a Monza. I figli di Amedeo, Brandino e Ottaviano, sottoscrissero 22 edizioni note tra il 1539 e il 1544 talvolta anche come tipografi, ma più frequentemente come editori. Ottaviano ebbe una produzione da solo tra il 1533 e il 1555, con 95 titoli; nei colofoni tese a qualificarsi indicando la paternità con formule del tipo «apud Octavianum Scotum d. Amadei f.» o «per Octavianum Scotum quondam d. Amedei». Con la dicitura Eredi di Ottaviano Scoto, gli Scoto parteciparono alla Compagnia della Corona, fondata il 18 aprile 1539 e rinnovata il 10 novembre 1550, per l’impressione di testi giuridici, insieme con gli eredi di Lucantonio Giunti, gli eredi di Gabriele Giolito e Federico Torresano. Le marche dei soci circondano nei frontespizi l’insegna della Corona. Pubblicarono servendosi di altri tipografi nel 1543-57 e nel 1563. Il figlio di Paolo, Francesco, ebbe officina sua, in confinium di S. Salvatore, all’insegna del Grifone. Continuò la produzione di opere filosofiche secondo la tradizione familiare, ma poiché non risultano stampe con il suo nome, si deve concludere che lavorò in società con altri e per ragioni contrattuali rinunciò a farlo figurare nelle sottoscrizioni.

Dei successori di Amedeo, Girolamo di Bernardino fu quello che continuò l’attività con maggior successo. Nato a Venezia verso il 1505, il suo catalogo conta oltre 800 titoli tra il 1539 e il 1573, quasi esclusivamente libri di filosofia aristotelica e di musica (questi ultimi circa la metà del totale). Uno dei suoi primi atti fu la richiesta nel 1536 del privilegio per la stampa di un’edizione commentata da Marcantonio Zimara di Averroè. Tese a evidenziare la continuità con il fondatore della ditta adottando le marche che erano state di Ottaviano il Vecchio lasciando le sigle che vi erano comprese: «O. S. M.» (Octavianus Scotus Modoetiensis) o «S. O. S» (Signum Octaviani Scoti). Usò anche la marca del Grifone, il che prova la società con il cugino Francesco. La produzione di Girolamo proseguì i filoni tradizionali della casa editrice: filosofia (Aristotele con i commenti), teologia, letteratura (autori greci, latini, volgari) e musica. Per le stampe musicali egli si affermò come lo stampatore più autorevole sulla piazza accanto all’oriundo francese Antonio Gardane: circa la metà delle opere che stampò erano libri di musica. Fu anche compositore: tra il 1541 e il 1542 pubblicò raccolte di Madrigali a due, a Tre e a Quattro voci, con ristampe anche ampliate, e nel 1571 Canzoni alla napolitana a tre voci.

Morì a Venezia il 23 settembre 1573 senza avere avuto prole dalla moglie Cesarea Sinistri. Nel testamento, datato 8 agosto 1569, lasciò erede universale il nipote Melchiorre, figlio di Ludovico di Bernardino.

Appena un mese dopo la morte di Girolamo a nome degli eredi Scoto fu presentata la domanda di privilegio di stampa per Il secondo libro de madrigali a cinque voci di Alessandro Striggio, che uscì entro l’anno insieme con il Secondo libro de madrigali a sei voci con indicazione «Erede di Girolamo Scoto». Melchiorre proseguì l’attività fino al 1600 con questa sottoscrizione; il suo nome non appare mai. Nel 1590 strinse la Società dell’Aquila con Giovanni Varisco, gli eredi di Melchiorre Sessa e gli eredi di Damiano Zenaro per la stampa di testi giuridici. Costoro erano usciti nel 1587 per dissensi con gli altri membri di una società costituitasi nel 1574 per gli stessi scopi e con la stessa denominazione. Adottarono lo stesso emblema raffigurante un’aquila, con ai quattro angoli le marche dei soci. Per la tipografia di Girolamo Polo fecero imprimere fino al 1599 ventitré titoli. Nel 1591 Melchiorre ereditò i beni della zia Cesarea Sinistri, mentre egli rinunciò alla sua parte dell’eredità del padre Ludovico a favore dei fratelli Baldassarre, Ottaviano e Bernardino. Morì nello scorcio del secolo.

Gli successe il figlio naturale Baldassarre, che stampò in società con altri specialmente libri a carattere religioso continuando a utilizzare la dicitura «Erede di Girolamo Scoto». Morì in una villa presso Padova il 3 ottobre 1615 senza figli.

Nel 1622 il libraio bresciano Bartolomeo Fontana acquistò dagli eredi di Melchiorre il magazzino librario e gli utensili della tipografia, il che significa la chiusura definitiva dell’attività tipografica. L’inventario comprende più di mille edizioni per un totale di circa 13.000 volumi.

Un Giovanni Maria Scoto fu attivo come tipografo a Napoli dal 1557 al 1566 con 35 edizioni; a Roma fece stampare per i tipi di Antonio Blado, con data 1° agosto 1552, Il rimedio delle podagre dello spagnolo Andrés Laguna, medico di Carlo V, fatto appositamente tradurre: dalla sottoscrizione «Ad istantia di m. Gio. Maria Scotto d’Amadio f.» risulta essere figlio di Amedeo. Il volume presenta una dedica di Giovanni Maria al viceré di Napoli Pedro de Toledo, evidente prodromica al trasferimento a Napoli. Dopo la cessazione dell’attività, probabilmente Giovanni Maria fece ritorno a Venezia prestando i suoi servizi nell’azienda di famiglia. Girolamo nel suo testamento (1573) defalcò 200 ducati dalla cifra di cui egli era debitore, ma nel 15 ottobre 1578 risulta ancora indebitato con gli eredi di Girolamo, che diedero mandato a un procuratore a Napoli per recuperare il credito.

Non ha invece rapporti di parentela il Gualtiero Scoto, di origine fiamminga, attivo come tipografo ed editore a Venezia tra il 1550 e il 1575. Sua principale realizzazione sono le Opere di Pietro Bembo impresse in società con il connazionale Nicolas De Stoop, mercante e letterato, nel 1550-1553 (una ristampa nel 1575).

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