CORSINI, Ottaviano

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 29 (1983)

CORSINI, Ottaviano (Ottavio)

Stefano Andretta

Figlio di Lorenzo di Bernardo e di Marietta Rinuccini, nacque a Firenze il 12 agosto del 1588. Dopo essere stato avviato allo studio delle discipline umanistiche nella città natale, si recò nella università bavarese d'Ingolstadt, dove si addottorò in diritto nell'anno 1606 pubblicando un opuscolo di carattere giuridico di cui non è rimasta alcuna traccia. Al suo ritorno in Italia, dopo aver ereditato una discreta somma di danaro dallo zio Bartolomeo che ben aveva amministrato la fortuna dei Corsini, decise di trasferirsi stabilmente a Roma insieme con il fratello Filippo. Quivi il C., assicuratasi l'amicizia e la protezione dei Barberini, intraprese la carriera della prelatura ottenendo dal pontefice Paolo V la dignità di chierico di Camera apostolica.

Durante la sua permanenza non mancò di frequentare i circoli intellettuali romani e di partecipare agli avvenimenti culturali più significativi: nell'aprile del 1611, quando G. Galilei giunse a Roma per far riconoscere l'esattezza delle sue scoperte, il C. presenziò con monsignor Piero Dini e ad altri prelati fiorentini alla dimostrazione fatta dallo scienziato nei giardini del Quirinale intorno all'esistenza delle macchie solari. Parimenti continuò a coltivare uno spiccato amore per le lettere e le arti soggiornando sovente nella villa di Tivoli del cardinale Alessandro di Este, luogo d'incontro e di conversazioni dotte di poeti e letterati, dove ebbe l'occasione di conoscere Ottavio Rinuccini: questa sua passione si concretò nella composizione del libretto di un melodramma e nella ascrizione all'Accademia della Crusca.

L'acquisizione di una discreta stima negli ambienti curiali e l'appoggio decisivo del cardinale Maffeo Barberini molto contribuirono ad indurre Gregorio XV a nominarlo dapprima vescovo di Tarso (17 marzo 1621) e quindi, nell'aprile, nunzio apostolico in Francia presso Luigi XIII in sostituzione di Guido Bentivoglio.

La nunziatura del C. si presentò sin dall'inizio particolarmente complessa e delicata poiché la recente occupazione militare dei territori della Valtellina e dei Grigioni, messa in atto dal Feria, governatore spagnolo di Milano, aveva notevolmente aumentato gli elementi di attrito tra le Corone di Francia e di Spagna: in un contesto europeo già critico, le vicende valtellinesi costituivano un'ulteriore preoccupazione per il pontefice il cui disegno di restaurazione cattolica rischiava di subire una battuta d'arresto. La principale indicazione della Curia, pur ribadendo la necessità di un'egemonia ispano-pontificia nel corridoio valtellinese e di totale salvaguardia della comunità cattolica dal dominio diretto dei protestanti delle Leghe Grigie, fu quella di "non lasciare niuna cosa intentata per la conservatione della publica quiete" (Päpstliche Instruktionen, p. 209): infatti un conflitto tra le potenze cattoliche avrebbe pregiudicato le speranze del papa nel condurre la lotta all'eresia.

Giunto a Parigi nel maggio del 1621, il C. si trovò ad operare in un ambiente insidioso in cui Luigi XIII, dopo la morte del favorito duca di Luynes, aveva deciso di assumere personalmente la responsabilità di governo senza peraltro riuscire a liberarsi dai condizionamenti dei grandi di Francia e delle fazioni di corte. Durante i primi mesi della sua nunziatura il C. si dedicò ad una tenace opera di convincimento presso il re per distoglierlo dalle pressioni di coloro che avrebbero preferito un intervento francese in Valtellina alla ripresa della campagna militare contro i principi ugonotti della Linguadoca e del Poitou, particolarmente rinvigoriti dalla vittoriosa resistenza all'assedio di Montauban.

Questa incalzante operazione diplomatica, pur essendo sostenuta da precisi ordini da Roma circa il reperimento dei fondi necessari all'impresa e dalla manifesta solidarietà del principe di Condé e del cardinale di Retz, rischiò d'essere compromessa dalla conclusione degli "articoli" di Milano tra i Grigioni ed il Feria che, legittimando la presenza spagnola nei territori occupati, annullavano i precedenti accordi di Madrid, ove la diplomazia francese aveva strappato la promessa di un immediato ritiro delle truppe spagnole dalla Valtellina. Sforzandosi di mitigare il disappunto che il contenuto provocatorio degli articoli milanesi aveva originato nella corte francese, il C. raddoppiò le istanze al re per rendere prioritaria una sollecita sistemazione dei conflitti interni con i riformati rispetto all'urgenza di controbilanciare l'offensiva ispano-asburgica.

Di lì a poco la costanza del nunzio venne premiata: il 20 marzo 1622 Luigi XIII, ignorando i fautori di una politica conciliante e conformandosi ai desideri della Curia, partì improvvisamente in guerra contro gli ugonotti.

Comunque, scongiurata momentaneamente la possibilità di un intervento francese in Valtellina, la questione era ancora lontana dall'essere risolta: mentre in Francia si continuava a reclamare l'applicazione rigorosa del trattato di Madrid, la diplomazia spagnola coadiuvata dalla S. Sede avanzò la proposta di consegnare i forti della Valtellina in mano di terzi in attesa di una decisione definitiva circa il destino politico e religioso del territorio. In tal senso la convenzione di Aranjuez (3 apr. 1622), sebbene sottoscritta dall'ambasciatore francese, incontrò non pochi ostacoli a corte dove si nutriva il fondato sospetto di trovarsi dinanzi ad un ennesimo inganno spagnolo. Il C., poco incline alla rottura, mantenne in questo frangente un atteggiamento moderato sino a quando fu sollecitato da Roma ad intervenire decisamente al fine di ottenere dal re una rapida ratifica degli accordi di Aranjuez, resasi urgente dopo che nel maggio i Grigioni, con un'iniziativa militare a cui la diplomazia francese non era affatto estranea, si erano ribellati liberando parte dei territori occupati dalle soldatesche nemiche.

I reiterati tentativi di mediazione del nunzio, ivi compreso l'ultimo che consisteva nel proporre come depositario il duca di Lorena, cioè un personaggio che si conosceva come graffito al governo francese, non sortirono alcun effetto positivo ed offrirono la misura del progressivo deterioramento della situazione. Infatti, Luigi XIII firmò il 18 ott. 1622 la pace di Montpellier con gli ugonotti senza curarsi minimamente delle vivaci proteste del C., il quale, in un primo momento, dimostrò con le sue inutili insistenze di non aver ben compreso che il re, in seguito alla vittoriosa reazione dell'arciduca Leopoldo alla ribellione dei Grigioni, aveva deciso di mettere fine alle discordie del regno e di dedicarsi seriamente alla questione valtellinese. Da questo momento l'attività del nunzio divenne frenetica nell'ostacolare i propositi di alleanza con Carlo Emanuele di Savoia e con la Repubblica di Venezia che Luigi XIII, prima ad Avignone e quindi a Lione, aveva dichiaratamente manifestato.

Il C. cercò di rappresentare il punto di vista del papa, che considerava molto pregiudizievole per la pace un atteggiamento minaccioso, scontrandosi ripetutamente in questo con Giovanni Pesaro ambasciatore veneziano a Parigi; invano moltiplicò le iniziative presso la Curia e il nunzio a Madrid per raggiungere un accordo ragionevole, finché di fronte alla stipulazione ufficiale della lega franco-veneta-savoiarda e alla minaccia di un conflitto pericolosamente prossimo ai confini italiani, si fece portatore della proposta della S. Sede di consegnare le piazzeforti valtellinesi al papa Gregorio XV. Il C., ottenuta un'udienza dal re nell'aprile del 1623, presentò le intenzioni pacifiche del pontefice con grande abilità e riuscì a strappare l'assenso francese alla mediazione di Roma.

Il rafforzamento della presenza politica e militare dei cattolici nell'Impero costituì un altro aspetto significativo della missione del nunzio. Sotto questo profilo, il C. ottenne senza troppe difficoltà l'appoggio di Luigi XIII all'attribuzione della dignità elettorale al duca Massimiliano di Baviera, mentre assolutamente vani furono i tentativi di coinvolgere la Francia in un'alleanza con la lega cattolica in Germania.

I problemi internazionali non esaurirono però tutte le incombenze del nunzio: in campo religioso, il pontefice intendeva attuare una piena applicazione dei decreti del concilio di Trento, principalmente per ciò che concerneva la moralizzazione e la disciplina del clero, la censura sui libri, la decisa riaffermazione della potestà romana sulle tendenze gallicane esistenti in particolare nei Parlamenti. Il C. s'impegnò in questi compiti senza troppo successo: la sua proposta di formare una commissione di studio per verificare l'esistenza di eventuali incompatibilità tra i decreti conciliari e le costituzioni del regno cadde nel l'indifferenza; al rifiuto d'obbedienza delle carmelitane al breve papale che confermava la loro sottomissione alla giurisdizione di Pierre de Bérulle, capo dell'oratorio di Gesù in Francia, fece intervenire il braccio secolare nei conventi di Bordeaux e Saintes attirandosi l'ostilità di gran parte dell'opinione pubblica; infine, nonostante gli sforzi nell'intessere buoni rapporti con i dottori della Sorbona e con i parlamentari cattolici, fu costretto ad abbandonare le pressioni per far proibire le opere d'impostazione gallicana.

Nell'ultimo scorcio della nunziatura, il periodo di assestamento della politica pontificia seguito all'elezione di Urbano VIII non consentì al C. d'intraprendere iniziative di rilievo se non l'illustrazione argomentata degli articoli proposti dal papa per la risoluzione degli affari di Valtellina, il cui punto più spinoso stava nella concessione del libero passaggio delle armate spagnole dall'Italia ai territori tedeschi. Richiamato da Urbano VIII il 30 dic. 1623, partì da Parigi nella primavera del 1624 senza lasciare un buon ricordo di sé specie presso il cardinale Richelieu, non ancora primo ministro, che non aveva dimenticato la sorda opposizione del C. nel periodo della sua candidatura alla porpora cardinalizia.

Appena giunto a Roma il C. venne incaricato insieme con Benedetto Castelli di sovrintendere una commissione di esperti che aveva il compito di studiare i mezzi più idonei per evitare i guasti prodotti dalle alluvioni del Po e di programmare bonifiche.

Per l'occasione il C. ebbe modo di profittare delle qualificate cognizioni di matematica e d'idraulica del Castelli che si rivelarono fondamentali al momento in cui il C. si decise a redigere un opuscolo idrografico dal titolo Relazione dell'acque del Bolognese e del Ferrarese (che venne poi inserito nel più ampio trattato dello stesso B. Castelli, Della misura dell'acque correnti, Bologna 1660, pp. 156-176). Pur avendo un'impostazione filosofica aristotelica e scolastica, il C. fu ritenuto degno di stima da parte del Galilei e dei suoi seguaci: infatti nei primi mesi del 1625, la Risposta all'Ingoli, l'opera con cui lo scienziato pisano intendeva riaccendere il dibattito in difesa del copernicanesimo negli ambienti scientifici cattolici, venne sicuramente proposta al C. nella speranza di conquistarlo alle teorie eliocentriche.

Dal giugno del 1625 al 1636, con una breve interruzione di un anno, il C. ricoprì la carica di presidente di Romagna e dell'esarcato di Ravenna per volere di Carlo Barberini. Il principale problema che si trovò ad affrontare durante la sua presidenza fu quello dell'ordine pubblico: innanzitutto nella repressione dei tumulti e delle sopraffazioni dei mercenari e del dilagare del banditismo, il cui fenomeno si era particolarmente accentuato dopo il congedo delle truppe pontificie e veneziane che avevano militato in Valtellina; in secondo luogo, nella difficile lotta al contrabbando, piaga che complicava i già critici rapporti con le Comunità locali soggette a pesanti prelievi di grano che veniva continuamente richiesto da Roma.

Nel 1629, con l'intensificarsi del movimento di soldati provocato dall'imminente crisi per la successione del ducato di Mantova, il C., preoccupato dai fermenti esistenti nella penisola, eseguì fedelmente e in assoluta segretezza le disposizioni di Urbano VIII che prevedevano un rafforzamento delle guarnigioni e al tempo stesso, ad onta della dichiarata neutralità pontificia, una benevola connivenza nel permettere agli arruolatori del duca di Mantova e della Repubblica di S. Marco di operare nei territori romagnoli. L'anno seguente organizzò, dopo essersi rifugiato a Pesaro e aver richiesto invano di essere sollevato dall'incarico, un cordone sanitario e dispose la chiusura dei commerci come misure essenziali per evitare la diffusione della peste. Nel 1632, in seguito ad un lungo periodo di scorribande dei vascelli veneziani ai danni di barche destinate al trasporto dei grani, il C. unitamente a Fabio Chigi (il futuro Alessandro VII) fu invitato a far parte di una commissione pontificia preposta alla salvaguardia dei confini del Polesine in una disputa insorta con la Serenissima che mirava ad impadronirsi del porto di Goro. Recatosi perciò a Ferrara e a Comacchio abbandonò poco dopo la missione per motivi di salute e fece ritorno, nel gennaio del 1633, a Ravenna dove venne ascritto alla nobiltà cittadina. Nel 1634 fece apportare delle modifiche alla facciata di S. Giovanni Battista e l'anno dopo fu sovrintendente alla restaurazione degli argini del Reno e alla progettazione di una diga sul Po. Si distinse per la sollecitudine mostrata nell'organizzare i soccorsi alle popolazioni affamate di Ravenna colpite nell'aprile del 1636 da una terribile alluvione, provocata dallo straripamento del Montone.

Lasciò l'incarico di presidente il 30 giugno dello stesso anno, e dopo un breve soggiorno a Firenze fece definitivamente ritorno a Roma. Qui si mise a brigare per ottenere la nomina a cardinale, ma in questi maneggi fu così maldestro da alienarsi l'antico favore dei Barberini.

Morì a Roma il 30 luglio 1641. Fu sepolto nella chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini e in sua memoria fu eretto un busto scolpito dall'Algardi.

Il libretto del melodramma L'Aretusa (ilcui testo è integralmente pubblicato in A. Solerti, Gli albori del melodramma, III,Milano 1904, pp. 349-384) fu iniziato dal C. il 26 dic. 1619 e venne dedicato al cardinal Borghese: l'opera, musicata da Filippo Vitali, fu rappresentata per la prima volta l'8 febbr. 1620 nella casa dello stesso C. in occasione dei festeggiamenti del carnevale. Per la verità L'Aretusa, composta frettolosamente e con uno stile lezioso ed elaborato, non offre spunti molto originali nell'ispirazione poetica, anche se costituì il secondo esempio di melodramma di argomento profano di cui si abbia notizia dopo La morte di Orfeo di Alessandro Mattei e di Stefano Landi (1619).

Fonti e Bibl.: Per il rilevante carteggio ufficiale e privato del C., nunzio in Francia e presidente di Romagna, oltre al materiale esistente nella Bibl. Corsiniana a cui non è stato possibile accedere, v. in partic.: Arch. Segr. Vaticano, Nunz. Francia, 57-61, 63; Bibl. Apost. Vaticana Barber. lat. 5889-5892, 6094, 6148, 8054-8058: 9134-9141; Ibid., Fondo Ottob., 3219; Arch. di Stato di Firenze, Carte Strozziane, cod. CLX. Per il carteggio durante la missione di commissario ai confini con il Chigi vedi: Bibl. Apost. Vat., Barb. lat. 5995, 7655. Vedi ancora: Lettres, instructions diplom. et papiers d'Etat du cardinal Richelieu, a cura di M. Avenel, I, Paris 1853, pp. 728, 786 s.; VII, ibid. 1871, p. 453; Päpstliche Instruktionen betreffend Veltlin aus der Zeit Papst Gregor's XV., a cura di J. A. von Sprecher, in Archiv für Schweizerische Geschichte, XII (1858), pp. 194-220; V. Forcella, Iscriz. delle chiese... di Roma, XI,Roma 1876, p. 28; Recueil des instructions générales aux nonces ordinaires de France de 1624 à1634, a cura di A. Leman, Lille-Paris 1919, ad Indicem; G. Galilei, Opere (edizione nazionale), V, p. 82; XIII, pp. 186, 218, 227, 234, 239 s., 242, 261, 264, 268, 271 s.; XIX, p. 612; Corresp. du cardinal Pierre de Bérulle, a cura di J. Dagens, II, Paris-Louvain 1937, pp. 224-230, 233, 254 s., 277-280, 287 s., 290-296, 355-357, 410-412; Correspondance du nonce Giov. Fr. Guidi di Bagno, a cura di B. de Meester, I, Bruxelles-Rome 1938, pp. 25, 95, 126 s., 293 s., 316, 336, 370, 439; F. Testi, Lettere, a cura di M. L. Doglio, Bari 1967, 1, pp. 23, 402; II, pp. 696, 732; G. B. Nani, Historia della Repubblica veneta, I,Venezia 1776, pp. 568 s.; V. Siri, Memorie recondite, V,Lione 1679, pp. 331-596 passim; S. Pasolini, Lustri ravennati, Forlì 1684, pp. 91, 95-97, 103, 107, 122, 124, 126-28, 130; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, p. 440; P. Uccellini, Diz. stor. di Ravenna, Ravenna 1855, p. 121; L. Passerini, Geneal. e stcria della famiglia Corsini, Firenze 1858, Pp- 142-144; M. Houssaye, Le pére de Bérulle et l'Oratoire de Jésus, II,Paris 1874, pp. 358, 362, 381, 383-392; B. Zeller, Richelieu et les ministres de Louis XIII de 1621 à 1624, Paris 1880, passim; S. Bernicoli, Governi di Ravenna e di Romagna..., Ravenna 1898, pp. 77 s.; H. Biaudet, Les nonciatures apostol. permanentes jusqu'en 1648, Helsingfors 1910, p. 262; L. Tonelli, Il teatro ital. dalle origini ai giorni nostri, Milano 1924, p. 261; R. Quazza, La guerra per la success. di Mantova e del Monferrato, I,Mantova 1926, p. 443; L. von Pastor, Storia dei Papi, XIII, Roma 1931, ad Indicem; F. Clementi, Il carnevale romano, Città di Castello 1939, p. 422; P. Orzi Smeriglio, I Corsini a Roma e le origini della Bibl. Corsiniana, in Rend. dell'Acc. naz. dei Lincei, classe di scienze mor., stor. e filol., s. 8, XIII (1958), pp. 298304; V. Corsini, ICorsini, Varese 1960, pp. 30 s.; G. Lutz, Kardinal Giovanni Francesco Guidi di Bagno, Tübingen 1971, pp. 48, 376 s., 421 s.; G. Moroni, Diz. di erudiz. stor.-eccl., XVII, p. 280; P. Gauchat, Hierarchia catholica, IV,Monasterii 1935, p. 328; Dict. d'Hist. et de Géogr. Eccl., XIII, col. 918.

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