Ortopedia

Universo del Corpo (2000)

Ortopedia

Gianfranco Fineschi
Antonio Di Lazzaro

Il termine ortopedia (composto del greco ὀρθός, "dritto", e παῖς, "fanciullo") fu coniato dal chirurgo francese M. Audry, nel 1741, per definire "l'arte medica di prevenire e correggere negli infanti le deformità del corpo". L'ortopedia ha conservato gli scopi insiti nel suo nome anche in epoche successive, ma, con il passare del tempo e specialmente nella seconda metà del 20° secolo, i suoi obiettivi specialistici hanno sconfinato dall'infanzia per coinvolgere tutte le deformità e malattie di ogni età, fino a quelle dell'estrema senilità, e per assimilare inoltre tutte le lesioni traumatiche e post-traumatiche della colonna vertebrale, del bacino e degli arti, vale a dire dell'intero apparato locomotore. Ortopedia e traumatologia dell'apparato locomotore costituiscono pertanto, in epoca attuale, un insieme disciplinare, sia come scienza di base (di ricerca e di didattica) sia in senso applicativo di assistenza e terapia.

Ortopedia e traumatologia

di Gianfranco Fineschi


Nonostante l'etichetta di disciplina specialistica, l'ortopedia affronta e abbraccia una serie di lesioni o abnormità di organo di amplissimo spettro. Un vasto elenco di patologie dell'apparato locomotore, di natura malformativa congenita, infiammatoria, degenerativa, tumorale, traumatica, esige da questa disciplina medica il raggiungimento di tre essenziali obiettivi: la prevenzione, la terapia, la ricostruzione chirurgica. La prevenzione consiste nella formulazione di una diagnosi precoce e nella conseguente programmazione e attuazione di essenziali provvedimenti (apparato-terapia), con l'aggiunta di frequenti consulenze fisiatriche, che in certi casi, sono da cosiderare assolutamente obbligatorie, capaci di arrestare l'evoluzione di una deformità congenita o acquisita, in modo da renderla clinicamente ininfluente, o quasi.

Prendendo come esempio la scoliosi, si può oggi affermare che questa deformità vertebrale, che fino a pochi decenni or sono rappresentava un vero flagello dell'adolescenza, ha visto sempre più diminuire le indicazioni chirurgiche proprio grazie alla messa in opera di provvedimenti preventivi. La terapia consiste nel correggere una deformità incompatibile o nel portare a guarigione una determinata affezione che abbia colpito una qualunque struttura degli organi di movimento, o per lo meno nel ridurne al minimo i conseguenti danni funzionali altrimenti invalidanti. Si tratta, nella grandissima maggioranza dei casi, di una terapia chirurgica. Rientrano, per es., in questa categoria di finalità curative molte deformità congenite o acquisite della colonna vertebrale, del bacino, degli arti, alcune severe malattie infiammatorie delle articolazioni, certe lesioni ossee prevalentemente disendocrine, alcune forme degenerative di articolazioni e tendini, le ernie discali lombari e cervicali, i tumori benigni e maligni dello scheletro e delle parti molli e, infine, numerose e polimorfe lesioni traumatiche (fratture, lussazioni, lacerazioni legamentose, muscolari e tendinee, lesioni da strappo o da taglio di nervi periferici).

La ricostruzione chirurgica costituisce invece un punto programmatico di alta chirurgia specialistica, implicante interventi di lunga durata, da eseguirsi talvolta a tappe più o meno distanziate tra loro. Rientrano in questo ambito la ricostruzione di segmenti scheletrici andati distrutti e non più curabili con la chirurgia conservativa, vuoi per l'inoltrata evoluzione di malattie degenerative (per es. l'artrosi), vuoi per la non permissiva natura della malattia (per es. i tumori maligni), in cui si rendono necessarie estese resezioni o demolizioni e si vuole conservare tuttavia il mantenimento di una certa funzionalità di quel distretto anatomico, anche se più o meno imperfetto rispetto al normale.

Con riferimento alle distruzioni ossee di natura tumorale, la ricostruzione chirurgica rappresenta uno dei tre pilastri sui quali si fonda il protocollo internazionale eseguito e adottato in tutto il mondo e così riepilogato: chirurgia, chemioterapia, telecobaltoterapia, con variabili associazioni tra ognuna delle tre. Queste ricostruzioni comportano spesso l'impiego di innesti ossei, i quali si distinguono in due varianti: gli innesti autologhi, prelevati da altre parti scheletriche dello stesso individuo; gli innesti omologhi, provenienti dallo scheletro di altro individuo donatore. Questi innesti vengono oggi molto di frequente supportati da mezzi metallici di sostegno e si parla allora di osteosintesi metallica aggiuntiva. Più recentemente ancora sono state introdotte nell'uso corrente le ricostruzioni protesiche (metalliche) di interi settori scheletrici, in casi di tumori maligni che richiedono una radicale asportazione.

Rientrano nell'ambito dell'alta chirurgia numerosi interventi di sostituzione protesica di intere articolazioni, specialmente dell'anca e del ginocchio, andate più o meno distrutte per eventi traumatici, o a seguito di malattie degenerative e infiammatorie (artrosi, artriti) in evoluzione inoltrata e non più suscettibili di altre risorse terapeutiche. Si parla in questi casi di interventi di artroprotesi, vale a dire impianti di articolazioni artificiali. Tali interventi si attuano in due tempi tecnici operatori consecutivi: il primo è l'espianto completo, mediante resezione, dell'articolazione malata; il secondo è l'impianto di una protesi di conformazione molto vicina a quella naturale asportata, e costituita da due componenti, rispettivamente di materiale plastico (polietilene) e di materiale metallico (leghe metalliche), dimostratisi ormai altamente biocompatibili.

Le protesi possono essere impiantate con o senza cemento; la bioingegneria ha permesso queste realizzazioni terapeutiche con risultati eccellenti, impensabili intorno alla metà del 20° secolo. Grazie a questa integrata ricerca scientifica si continuano a introdurre periodicamente manufatti protesici sempre più sofisticati, in senso sia meccanico sia biologico. In tale modo, e dopo controllata sperimentazione, l'implantologia ortopedica attraversa oggi uno dei momenti storici più fertili nel suo evolvere di scienza applicata. Questo è uno dei motivi per i quali l'ortopedia costituisce una branca della medicina in cui l'avvento della tecnologia si è espanso in modo così incisivo da provocare notevoli cambiamenti metodologici in campo chirurgico, pur rimanendo invariato l'originario intento degli obiettivi terapeutici. Le innovazioni tecnologiche hanno avuto decisive conseguenze anche in numerosi territori chirurgici di afferenza traumatica.

Con speciale riferimento alla terapia delle fratture, è da rimarcare innanzitutto l'importante traguardo raggiunto negli ultimi decenni del 20° secolo, consistente nel quasi totale abbandono dell'apparecchio gessato che, nonostante l'utilità terapeutica, comportava notevoli effetti collaterali sgradevoli per il paziente, sia per la durata dell'immobilizzazione sia per il prolungato allettamento. Una gran parte delle fratture si cura e si guarisce, in epoca attuale, con un'immobilizzazione interna del segmento di osso fratturato, il che costituisce il contrario dell'immobilizzazione esterna fatta con fasce gessate. Il procedimento prende il nome di osteosintesi, termine che indica appunto la tecnica di riunire nella giusta sede i frammenti ossei della frattura e fissarveli in maniera da farli consolidare presto fra di loro. La fissazione viene attuata mediante dispositivi metallici, che hanno forma e dimensioni varie a seconda di quanto l'anatomia locale esige, e possono consistere in chiodi, viti, placche, cambre, in leghe metalliche purissime e ben tollerate. In un notevole numero di fratture, che si denominano diafisarie (e cioè lontane dalle articolazioni), l'applicazione di questo strumentario può avvenire senza incisioni chirurgiche nella sede della frattura, e la metodologia prende allora la definizione di osteosintesi endomidollare a cielo coperto.

Tale procedimento si è reso possibile per l'avvento dell'amplificatore d'immagine, cioè di un dispositivo capace di guidare e controllare gran parte dei gesti chirurgici: si tratta di un supporto radiologico basato sul principio dell'intensificazione dell'immagine radioscopica su un video che, riducendo a microdosi innocue le quantità di raggi X emessi dalla sorgente, permette di eseguire interventi chirurgici guidati, controllando sullo schermo televisivo, e non più sul campo chirurgico, l'esecuzione dei gesti che il chirurgo compie, potendoli variare o correggere. Il dispositivo consente, previa una piccolissima incisione chirurgica ben distante dal livello di frattura, di raggiungere strumentalmente la sede anatomica sulla quale si deve operare per riportare i frammenti della frattura nella posizione esatta e per fissarveli stabilmente (esigenza indispensabile per una guarigione perfetta e senza cicatrice cutanea). In molte altre e differenti fratture l'osteosintesi endomidollare non si può invece applicare, e si ricorre allora a una osteosintesi corticale, in cui il mezzo metallico viene applicato sulla superficie corticale dell'osso a cielo aperto, quindi mediante esposizione chirurgica.

Nelle fratture esposte, in cui vi siano contemporanee lacerazioni della pelle, che sono sempre infette o sospettabili di esserlo, l'operazione chirurgica è da evitare perché può diventare causa di complicazioni settiche. Per questo genere di fratture, la moderna tecnologia ha messo a disposizione un procedimento terapeutico che si avvale di una differente metodologia: quella del fissatore esterno, od osteotassi, mediante il quale i frammenti di frattura vengono tra loro gradatamente riavvicinati in modo quasi automatico, mentre viene curata la ferita cutanea che ha determinato l'esposizione dei frammenti ossei. Il metodo consiste nell'introduzione percutanea (cioè attraverso la pelle integra in punti più o meno distanti dalla zona lacerata) di una serie di chiodini o fili metallici, dirigendoli e facendoli penetrare nello spessore dei frammenti ossei da riportare e riallineare nella loro sede anatomica. Poiché questo riallineamento non sarebbe possibile in un solo tempo, il risultato voluto si raggiunge gradatamente, giorno per giorno, mediante micrometriche manovre esercitate, in modo indolore, su un quadro esterno solidarizzato con i fili o i chiodini di presa ossea, disposto in maniera da poter loro imprimere forze di distrazione, di compressione e di rotazione in qualunque piano si renda necessario. L'osteotassi consente di abbandonare il letto di degenza fin dal giorno successivo al montaggio; il paziente stesso apprende come e in che misura attuare le manovre micrometriche, fino a quando la radiografia di controllo dimostrerà che i frammenti ossei della frattura si siano ben riallineati. Il fissatore esterno è ampiamente utilizzato anche per altre patologie, come negli interventi rivolti a riequilibrare una differenza di lunghezza degli arti, cioè una dismetria, nei casi in cui c'è bisogno di allungare l'arto più corto.

L'avvento dell'artroscopia  ha rappresentato un'altra decisiva arma diagnostica e terapeutica in un'estesa gamma di patologie articolari, specialmente del ginocchio e della spalla. Si tratta di un dispositivo a illuminazione, che è utilizzabile per via percutanea (senza incisioni chirurgiche) e che permette al chirurgo di guardare direttamente, e oggi di vedere collettivamente su un video, una lesione e di valutarla. Con una sofisticata serie di strumentazioni, la metodica artroscopica consente non solo una precisa ricognizione diagnostica, ma molto spesso anche il corrispettivo trattamento terapeutico, attuabile tramite l'introduzione nella cavità articolare (sempre senza incisioni chirurgiche) di minuscoli strumenti atti a riparare la lesione e ad asportare, mediante lavaggio con liquidi di infusione, i residui detriti patologici. L'avvento e l'entrata in uso di tutta questa tecnologia ha permesso dunque alla chirurgia ortopedica di conseguire soluzioni terapeutiche impensabili pochi anni addietro. Ma, essendo i campi di applicazione dell'attuale tecnologia (ancora in fase di ulteriore spinta evolutiva) divenuti troppo numerosi per poter ricadere tutti nell'ambito di competenza di un singolo chirurgo, la disciplina ha dovuto in buona parte suddividersi in superspecializzazioni.

L'ortopedia odierna continua a mantenere i connotati di base disciplinare dai quali le superspecializzazioni discendono, ma i superspecialisti hanno dovuto diventare cultori in modo essenziale e continuativo di determinati settori di patologie ove maggiormente si richiede e si pretende un'applicazione costante e aggiornata. Le branche superspecialistiche attualmente operanti in via autonoma (anche se ugualmente nel medesimo contesto scientifico e sanitario) sono la chirurgia della mano, la chirurgia del piede, la chirurgia vertebrale, la chirurgia del ginocchio e della spalla in artroscopia, l'ortopedia pediatrica, l'ortopedia oncologica, la traumatologia dello sport, l'implantologia.

Ortopedia pediatrica

di Antonio Di Lazzaro


1.

Definizione e obiettivi

L'etimologia della parola e la prima definizione data da M. Audry nel 18° secolo indicano chiaramente che l'ortopedia nasce come scienza che si occupa delle affezioni dell'infanzia. Attualmente l'ampliamento delle conoscenze genetiche, biologiche e anatomopatologiche, il perfezionamento dei mezzi diagnostici e l'evoluzione delle tecnologie disponibili per scopi terapeutici hanno portato alla creazione di una branca superspecialistica pediatrica che rappresenta un po' un ritorno alle origini. L'ortopedia pediatrica ha ufficialmente una storia recente: nel 1980 è stata fondata la Pediatric orthopedic society of North America, mentre la corrispondente Società italiana di ortopedia e traumatologia pediatrica si è costituita solo nel 1984. Parte integrante della disciplina sono lo studio e il trattamento delle lesioni traumatiche dell'infanzia e dei loro esiti: il settore della traumatologia, inoltre, è in continua espansione per il sempre maggiore coinvolgimento di bambini e adolescenti in incidenti stradali e in infortuni sportivi. Come nell'adulto, alcune patologie investono competenze specifiche di altri specialisti: più frequentemente la collaborazione per la programmazione terapeutica avviene con neurologi e chirurghi plastici.

Se ogni ramo della medicina ha come obiettivi generali la prevenzione e il trattamento delle alterazioni specifiche, in campo pediatrico si deve considerare che tutte le componenti tessutali, in particolare quelle del sistema muscoloscheletrico, subiscono le continue trasformazioni del processo della crescita. Fare opera di prevenzione, mediante una diagnosi precoce e la scelta razionale della terapia più idonea, significa non soltanto bloccare lo sviluppo di una forma morbosa e delle sue immediate ripercussioni locali, ma anche evitare un disturbo (talora un arresto) della crescita e l'evoluzione verso una deformità grave nella vita adulta.

Per es., l'esame clinico alla nascita e l'ecografia delle anche entro il terzo mese di vita in ogni neonato consentono l'identificazione e il trattamento di tutte le forme di lussazione congenita dell'anca, eliminando diagnosi tardive e i danni irreversibili sulla funzione articolare e la deambulazione. L'obiettivo del trattamento è la guarigione delle diverse patologie muscoloscheletriche. In gran parte dei casi è necessaria la terapia chirurgica; tuttavia, come già accennato, la crescita condiziona l'indicazione e il tipo di intervento nonché la scelta del momento migliore per eseguirlo. L'approccio terapeutico deve quindi essere adattato al singolo bambino e al suo specifico problema, come, per es., negli interventi ortopedici effettuati su soggetti che presentano esiti di patologie cerebrali. Le possibilità di scelte alternative o integrative alla chirurgia sono rappresentate dall'uso di apparecchi ortopedici (ortesi, tutori esterni) e dalla fisioterapia. A seconda dei casi, le ortesi sono utilizzate per immobilizzare un arto o una sua parte, per sostenere un distretto articolare paretico o favorire un progressivo recupero funzionale in seguito a trattamento chirurgico o a un trauma, infine per correggere una deformità. Il trattamento riabilitativo ha la massima importanza nelle lesioni neurologiche, nelle miopatie (patologie del tessuto muscolare), nelle patologie infiammatorie croniche delle articolazioni.

Come accennato, oltre che dai criteri generali le scelte diagnostiche e terapeutiche sono condizionate anche dal fatto che determinate affezioni compaiono prevalentemente o esclusivamente in fasi diverse dello sviluppo: è significativo dunque differenziare le più importanti patologie ortopediche dell'infanzia in relazione al periodo in cui si manifestano.

2.

Patologie ortopediche del primo anno di vita

Il primo anno di vita è il periodo nel quale il tasso di crescita è maggiore e quindi più grandi risultano le modificazioni dovute allo sviluppo: nell'arco di dodici mesi, mediamente, il peso corporeo si triplica, l'altezza aumenta del 50% e il perimetro cranico più del 30%. In questo periodo le patologie congenite sono le più importanti e numerose: il conseguimento dei migliori risultati, con la precocità della diagnosi e del trattamento, è favorito dall'intensità dell'accrescimento e dalla grande plasticità delle strutture osteocartilaginee.

Queste patologie possono essere stabili, soggette alle sole variazioni della normale crescita ossea (deformità congenite dello scheletro), oppure evolutive, quando la sede scheletrica si sviluppa in modo anormale nella forma e nella struttura (malattie congenite dello scheletro). La displasia congenita dell'anca (difetto di sviluppo dell'articolazione che varia dal semplice ritardo di ossificazione alla perdita completa del rapporto articolare) e il piede torto congenito (deviazioni variamente associate nell'assetto del piede che non consentono i normali punti di appoggio al suolo), le deformità più frequenti in assoluto, dimostrano come, con una diagnosi tempestiva e un trattamento adeguato, sia possibile ottenere una piena normalizzazione della funzione articolare nei distretti interessati. In ogni patologia congenita è importante verificare la possibile esistenza di malformazioni associate in altre regioni dello scheletro o in organi e apparati diversi: per es. una deformità vertebrale può associarsi a una malformazione renale, cardiaca o del midollo spinale.

Altri obiettivi dell'ortopedia nel primo anno sono l'inquadramento e il trattamento iniziale di patologie su base neurologica: le paralisi cerebrali infantili (quadri patologici diversi che sono l'esito di un'affezione cerebrale che si verifica in gravidanza, al momento della nascita o nel primo e secondo anno) e le paralisi ostetriche dell'arto superiore (per trauma da stiramento di rami nervosi del plesso brachiale durante l'espletamento del parto). La terapia riabilitativa e l'eventuale uso di apparecchi ortopedici costituiscono in questo periodo la base del trattamento, attuato comunque in stretta collaborazione con specialisti neurologi e fisioterapisti.

Nei casi di paralisi ostetrica totale (nel territorio di tutte le radici nervose che innervano l'arto superiore), può essere indicata una revisione microchirurgica precoce (4°-5° mese) delle lesioni dei tronchi del plesso brachiale e delle radici nervose cervicali. Nei primi 2 mesi di vita possono verificarsi con particolare frequenza le artriti (infezioni articolari) settiche del lattante: una diagnosi pronta e una immediata terapia antibiotica, associata ad artrocentesi (puntura evacuativa) del versamento articolare oppure, se necessario, a pulizia chirurgica dell'articolazione, servono a prevenire gravi danni permanenti. Questi riguardano tanto la funzione motoria (in specie di anca, ginocchio e spalla), per distruzione dei capi articolari, quanto la crescita ossea per lesione delle cartilagini di accrescimento.

3.

Patologie ortopediche della seconda e terza infanzia

Nell'arco di tempo fra il 2° anno e il periodo prepuberale (10°-11° anno) possono manifestarsi forme cliniche tardive di malattie congenite dello scheletro e malattie da alterazioni genetiche, fra le quali le diverse forme di distrofie muscolari (progressiva degenerazione del tessuto muscolare). Meno frequenti che nel lattante, ma non meno potenzialmente dannose, sono le infezioni articolari e dell'osso (osteomieliti), cui si aggiungono le più rare forme tubercolari, in particolare del rachide (spondiliti). Nell'età infantile è frequente la comparsa di lesioni similtumorali dell'osso, nella maggior parte dei casi con aspetto cistico (cisti ossea semplice, cisti aneurismatica, granuloma eosinofilo, difetto fibroso corticale), così definite per la tendenza a simulare strutturalmente e clinicamente il comportamento tumorale. Costanti, peraltro, sono l'assenza di caratteri di malignità anatomopatologica e la prognosi favorevole con trattamento idoneo.

In questa fascia di età risulta importante la sorveglianza dell'evoluzione di alcuni tipi di scoliosi (congenite, infantili e giovanili), delle dismetrie o eterometrie (differenze di lunghezza) e delle deviazioni assiali (in fuori, valgismo; in dentro, varismo; difetti ossei di torsione), sia congenite sia acquisite, degli arti inferiori. Controllo periodico e scelta di una terapia adeguata, che sia fisica, con ortesi, o chirurgica (per es. nelle dismetrie maggiori, sopra i 10 cm, un primo allungamento chirurgico dell'osso è attuabile fra gli 8 e i 10 anni), prevengono la comparsa di gravi deformità negli anni successivi. In modo analogo, diagnosi e trattamento in fase iniziale del morbo di Perthes significano prevenzione di un'artrosi dell'anca dell'adulto. Questa patologia della testa del femore, di cui l'80% dei casi compare fra i 4 e i 9 anni, è la più importante e conosciuta fra le osteocondrosi, caratterizzate da un disturbo della crescita ossea e cartilaginea di epifisi (le parti estreme, sedi del rapporto articolare, di un osso lungo), apofisi (sporgenze ossee, zone di inserzione di tendini e legamenti) e ossa brevi, dovuto a un apporto vascolare alterato, ma transitorio, senza una eziologia accertata. In tutti i casi l'evoluzione avviene spontaneamente verso il ripristino della struttura ossea normale, ma nell'anca è importante evitare che, a causa della deformità dell'epifisi femorale, si alteri la congruenza con la cavità del bacino (cotile o acetabolo).

4.

Patologie ortopediche della pubertà e dell'adolescenza

La scoliosi dell'adolescente costituisce la grande maggioranza delle scoliosi idiopatiche (senza una causa riconosciuta), le quali sono circa i tre quarti di tutte le forme di scoliosi vera (deviazione della colonna vertebrale sul piano frontale, in presenza di modificazioni della struttura delle vertebre che causano rigidità della curva e condizionano un'evoluzione peggiorativa). L'opera di educazione e prevenzione sanitaria ha determinato, con la diagnosi e il trattamento nelle fasi iniziali di sviluppo della curva, una drastica limitazione dell'indicazione chirurgica nelle scoliosi dell'adolescente rispetto al passato. Le stesse considerazioni si applicano alle più rare cifosi (curva del rachide a convessità posteriore sul piano sagittale) idiopatiche, in particolare per la forma osteocondrosica (morbo di Scheuermann), dove è l'alterazione della crescita longitudinale delle vertebre a provocare l'aggravamento e la rigidità della curva.

L'epifisiolisi dell'anca è una patologia che compare sempre nella fase di massima crescita (cioè quella che precede e accompagna lo sviluppo puberale). È caratterizzata da uno scivolamento, acuto o lentamente progressivo, della testa del femore rispetto al collo, in genere in basso e posteriormente, per cedimento strutturale della cartilagine di accrescimento. La terapia, sempre chirurgica, ha lo scopo di bloccare o correggere, secondo i casi, lo scivolamento ripristinando una funzione articolare normale e, ove possibile, consentendo la prosecuzione della crescita ossea. Il ginocchio è la sede tipica e l'adolescenza l'età di maggiore incidenza (60% dei casi) dell'osteocondrite dissecante, in cui un frammento di cartilagine articolare e dell'osso immediatamente sottostante (osso subcondrale) tende a distaccarsi parzialmente o completamente, costituendo un corpo libero all'interno dell'articolazione. Nessuna fra le ipotesi eziologiche è stata sicuramente confermata; la terapia è chirurgica, in molti casi con l'uso della tecnica artroscopica, con buoni risultati sulla funzione del ginocchio.

Le neoplasie primitive più importanti dell'osso compaiono nell'età dello sviluppo, con maggiore frequenza nel secondo decennio, come avviene per le forme maligne: sarcoma osteogenico e sarcoma di Ewing. Il trattamento è oggi basato sulla chemioterapia (secondo schemi standardizzati) preoperatoria, sul successivo intervento chirurgico, eseguito con criteri di radicalità, su cicli successivi di chemioterapia, integrati in alcuni casi di sarcoma di Ewing da applicazioni di telecobaltoterapia. Questi protocolli terapeutici hanno consentito un miglioramento significativo della prognosi e della qualità di vita. Le forme tumorali benigne più comuni (osteoma osteoide, osteoblastoma, osteocondroma o esostosi cartilaginea, condroma) vengono normalmente risolte dall'intervento chirurgico di asportazione. Prima del termine dell'accrescimento scheletrico viene programmato talora il trattamento chirurgico di alcune patologie diagnosticate e trattate in precedenza con metodi incruenti: le differenze di lunghezza minori (dai 3 ai 10 cm) degli arti inferiori (in cui l'allungamento osseo si ottiene con l'utilizzazione dei fissatori esterni), le deviazioni assiali degli arti inferiori, alcuni esiti di paralisi cerebrali infantili, i difetti di allineamento dell'apparato estensore del ginocchio.

5.

Traumatologia pediatrica

L'osso in accrescimento è una struttura in continua modificazione, più elastico di quello dell'adulto, con un periostio (membrana di tessuto connettivo che lo avvolge del tutto, salvo le superfici articolari) più spesso, robusto e biologicamente più attivo. Le ossa lunghe del bambino inoltre presentano fra l'epifisi e la metafisi (zona di transizione verso la parte centrale tubulare, la diafisi) le cartilagini di accrescimento, responsabili della crescita. Queste differenze, tanto più marcate quanto più giovane è l'età, determinano la comparsa di tipi di frattura specifici dell'infanzia. Le fratture a legno verde, dove l'osso si frattura nelle parti sottoposte a trazione e si schiaccia in quelle soggette a compressione mantenendo una parziale continuità (comportandosi appunto come un legno verde), e le deformità plastiche, in cui l'osso si incurva per microfratture non rilevabili radiograficamente, sono dovute alla grande elasticità ossea.

Solamente nel periodo della crescita possono verificarsi i distacchi epifisari, in cui la linea di frattura attraversa in tutto o in parte la cartilagine di accrescimento. La particolare struttura della regione epifisaria (nucleo osseo circondato da tessuto cartilagineo) fa sì che nei traumi distorsivi, almeno fino alla pubertà, raramente avvengano lussazioni (perdita dei rapporti articolari) o rotture dei legamenti, mentre si verificano più facilmente fratture dei nuclei ossei epifisari. La resistenza e lo spessore del periostio rendono più difficile la sua interruzione completa, e spiegano da un lato la grande frequenza di infrazioni e di fratture incomplete e/o con scarso spostamento dei segmenti ossei, dall'altro la rarità delle fratture a più frammenti (comminute).

Nel processo di guarigione delle fratture l'intensa attività biologica del periostio, con l'aumentato apporto ematico, causa la formazione di un callo osseo più abbondante e in tempi più brevi che nell'adulto. La consolidazione avviene quindi tanto più rapidamente quanto più giovane è il bambino: una frattura ostetrica (che si verifica al momento del parto) della clavicola consolida in 15 giorni, contro una media di 40 giorni della stessa frattura dell'adulto. Nei primi 10 anni di vita, in particolare, l'attività metabolica che accompagna la formazione del callo osseo può provocare una stimolazione della cartilagine di accrescimento. Nelle ossa lunghe si determina in tal modo un aumento di lunghezza, in genere non superiore a 1,5 cm, rispetto all'osso omologo sano. Questa eterometria negli arti inferiori può creare uno squilibrio del bacino e della colonna vertebrale. La crescita ossea e le modificazioni biologiche che a essa sono connesse risultano responsabili del rimodellamento nella sede della frattura: angolazioni e disassamenti laterali residui dei frammenti ossei, entro certi limiti, si riducono progressivamente fino alla ricostituzione della normale anatomia. Il rimodellamento non avviene nei casi di consolidazione con rotazione di un frammento rispetto all'altro; è maggiore nei bambini più piccoli e quanto più la frattura è vicina alla cartilagine di accrescimento.

Il trattamento delle fratture in età pediatrica, in relazione agli aspetti descritti, presenta caratteristiche particolari. In molti casi, a differenza dell'adulto, la riduzione dello spostamento dei frammenti ossei viene eseguita in modo incruento, con l'aiuto dei mezzi radiologici (amplificatore di immagine radioscopica), e la stabilizzazione è affidata all'apparecchio gessato. La possibilità di ulteriore correzione dovuta al rimodellamento osseo non rende necessaria in tutti i casi una riduzione perfetta, anche se questa resta l'obiettivo da perseguire. L'intervento chirurgico è attuato nelle fratture dei nuclei ossei epifisari, per ottenere una ricostruzione anatomica della superficie articolare e in alcune fratture non riducibili o con riduzione instabile. Nelle fratture esposte si ricorre, come nell'adulto, all'uso dei fissatori esterni che stabilizzano i segmenti ossei, rendendo possibile il trattamento delle lesioni cutanee, muscolari, vascolari e nervose eventualmente presenti. Il ricorso ai mezzi di sintesi metallici per la fissazione dei frammenti di frattura (osteosintesi) è generalmente limitato a quanto indispensabile per una buona riduzione, senza eliminare la necessità dell'apparecchio gessato.

La riabilitazione dopo la fine del trattamento, chirurgico e non, di una frattura in età pediatrica avviene di norma senza particolari problemi: la rapidità del recupero funzionale spontaneo è tale che nella grande maggioranza dei casi il fisioterapista non deve intervenire. Nell'adolescente le lesioni traumatiche, come le strutture scheletriche, divengono sempre più simili a quelle dell'adulto: sono più frequenti le lesioni legamentose del ginocchio e della tibiotarsica (caviglia), anche per la maggiore partecipazione giovanile in attività sportive agonistiche. Fra i più recenti progressi in traumatologia vi è il trattamento della rottura del legamento crociato anteriore del ginocchio nel giovane: oggi è possibile eseguire gli stessi interventi di sostituzione tendinea utilizzati nell'adulto, anche in presenza di cartilagini di accrescimento attive, senza alcuna ripercussione sulla crescita.

Bibliografia

G. Canepa, A. Pelizza, V. Pietrogrande, Le malattie dello scheletro in età evolutiva, Padova, Piccin-Nuova libraria, 1987.

N. De Sanctis, Ortopedia e traumatologia pediatrica, Bologna, Gaggi, 1996.

A. Dimeglio, La croissance, Montpellier, Sauramps Medical, 19922 (trad. it. L'accrescimento in ortopedia, Napoli, Cuzzolin, 1994).

A. Mancini, C. Morlacchi, Clinica ortopedica. Manuale-Atlante, Padova, Piccin-Nuova libraria, 19872.

C.A. Rockwood jr., K.E. Wilkins, J.H. Beaty, Fractures in children, Philadelphia, Lippincott-Raven, 19964.

M.O. Tachdjian, Pediatric orthopedics, Philadelphia, Saunders, 19902.

CATEGORIE
TAG

Apparato locomotore

Distrofie muscolari

Colonna vertebrale

Midollo spinale

Arto superiore