Orìgene

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Teologo (n. forse Alessandria tra il 183 e il 185 - m. Tiro 253 o 254). Allievo di Clemente ad Alessandria, si dedicò assai giovane all'insegnamento e il vescovo Demetrio gli affidò la preparazione dei catecumeni. A questo momento risale la sua evirazione (donde la perifrasi operazione di O. per indicare questa forma di automutilazione), che può essere conseguenza del desiderio da parte del giovane maestro, che insegnava in una scuola anche femminile, di evitare sospetti, o anche di una interpretazione eccessivamente letterale di Matteo, 19, 12. Dopo un viaggio a Roma (212 circa), O. cercò ad Alessandria una più ampia preparazione filosofica alla scuola di Ammonio Sacca del quale era discepolo anche Plotino; quindi, affidata l'istruzione dei principianti a Eracla, riorganizzò il Didaskalèion alessandrino. Il vescovo Demetrio tentò a più riprese di disciplinare l'attività del Didaskalèion e del suo giovane maestro che aveva acquistato già grande fama: invitato (215) in Palestina a predicare, lui laico, ai già battezzati (pratica contraria agli usi di Alessandria), ricevette (230) nel corso di un altro viaggio in Siria e in Asia Minore l'ordinazione sacerdotale da due vescovi amici (Alessandro di Gerusalemme e Teoctisto di Cesarea). Di ciò si sdegnò Demetrio, che lo depose. O. si stabilì allora a Cesarea di Palestina fondandovi una scuola che continuò poi la sua opera e attraverso la quale il suo influsso restò predominante per tutto il sec. 3° e buona parte del 4°. Nel 250-253 O. fu colpito dalla persecuzione di Decio e morì a seguito delle torture subite. O. fu autore di numerosissimi scritti; Eusebio (come testimonia s. Girolamo) ne avrebbe elencati oltre mille: lavori sul testo biblico, commenti, scritti teologici e polemici, lettere. Ma la vastissima produzione è andata in gran parte perduta. In greco ci sono pervenuti i commenti a Giovanni e Matteo, una ventina di omelie, l'opera (Κατὰ Κέλσου) contro il filosofo pagano Celso, e due scritti, Esortazione al martirio (Εἰς μαρτύριον προτρεπτικός) e Sulla preghiera (Περὶ εὐχῆς). Nella versione latina di Rufino, oltre a numerose omelie, ci resta l'opera maggiore (benché della giovinezza: 212-215 circa), il De principiis (Περὶ ἀρχῶν; frammenti anche della versione di s. Girolamo); ma queste versioni, nate in un ambiente e in circostanze di vivace polemica, presentano passi e interpretazioni dubbie, ponendo gravi problemi di autenticità. O. rappresenta il primo concreto sforzo di organizzare un saldo pensiero filosofico e teologico a partire dalla Scrittura e dalla tradizione ecclesiastica. L'opera catechistica da lui ininterrottamente svolta è testimoniata dalle omelie; l'esegesi scritturale, che si esplicò nell'ingente quantità dei suoi commenti, fa d'O. anzitutto un grande biblista: egli della Sacra Scrittura non volle solo fondare, con l'Esapla (v.), una revisione critico-testuale, ma ben più darne una interpretazione che, al di là della lettera, ne cogliesse il senso e la verità spirituale; di qui tutto l'immenso sforzo esegetico di O. che nel Vecchio Testamento trova i simboli e le prefigurazioni dell'economia del Nuovo Testamento, fondata su Cristo e sulla Chiesa. Egli nelle Sacre Scritture distingue un duplice senso: quello letterale (cui si fermano i semplici credenti) e quello spirituale o mistico cui possono accedere i perfetti, coloro cioè che sanno cogliere il senso spirituale della lettera. Dalla Scrittura muove tutta la speculazione di O. che, se profondamente se ne distacca, ricca com'è di elementi filosofici, sempre vuol ritrovare in quella, coll'esegesi allegorica, il suo fondamento. Il capolavoro speculativo di O., il De principiis (in quattro libri: Dio e gli esseri celesti; il mondo materiale e l'uomo; il libero arbitrio; la Sacra Scrittura), vuole essere un approfondimento dei dati rivelati e trasmessi dalla tradizione ecclesiastica; in tale approfondimento O. mette a frutto tutta la sua ampia cultura filosofica, che mostra la familiarità soprattutto con gli scrittori platonici e neoplatonici, nonché con stoici, gnostici, ecc. O. ha un concetto rigidissimo della piena, assoluta trascendenza di Dio (la "monade"): Dio personale, sommo bene, che, pur essendo creatore, non può venire a contatto con il male e la materia. Dio ha creato direttamente le sostanze spirituali, inizialmente incorporee e dotate di libero arbitrio, poi decadute e rivestitesi di corpo più o meno luminoso od opaco in ragione della minore o maggiore gravità del peccato: di qui la gerarchia degli esseri - di carattere schiettamente platonico - dagli angeli, all'uomo, agli animali, alle piante, ai demoni. L'uomo, composto di anima e corpo, è un essere perfettamente libero, che può scegliere il bene o il male. L'universo, messo in moto da una colpa iniziale, è avviato verso la reintegrazione definitiva, allorché Dio sarà tutto in tutti, contemplato e conosciuto direttamente; negata l'eternità delle pene (ma non la resurrezione), O. ammette in ogni natura razionale la capacità di risalire di grado in grado, fino all'incorporeità definitiva. L'illuminazione delle menti è opera di Gesù in cui coesistono la natura divina del logos e quella umana. Il logos - che è il luogo delle idee, prototipi eterni della realtà - è per O. eterno, è Dio; ma è, per così dire, un Dio di secondo grado, ché il padre solo è αὐτόϑεος. Incarnatosi in Gesù Cristo, il logos conduce gli esseri ragionevoli alla contemplazione e alla conoscenza superiore o "gnosi", che permette la piena comprensione del vero senso delle Scritture.

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