ORIENTALISMO

Enciclopedia Italiana (1935)

ORIENTALISMO

Michelangelo GUIDI
Mario GIORDANI
Antonino PAGLIARO
Ettore ROSSI
Giovanni VACCA

. È il complesso degli studi, condotti con uso diretto delle fonti indigene, sulle lingue, letterature, storie, culture e religioni dell'Oriente, dall'Estremo al Vicino (prescindendo in questo dalle manifestazioni dell'ellenismo espresse in greco); o, in alcuni casi, anche di altri paesi, in quanto essi abbiano subito l'influsso orientale, come per es. la Spagna (per quel che concerne la sua vita araba e musulmana) o l'Africa settentrionale, a occidente dell'Egitto, conquistata fin dal sec. VII dagli Arabi, e chiamata da noi un tempo Barberia e in arabo con il nome complessivo di Maghreb, che vuol dire appunto Occidente. Le lingue e civiltà prearabe e libiche dell'Africa settentrionale rientrano anch'esse nell'ambito dell'orientalismo, non solo per le strette relazioni che hanno in seguito legato Arabi e Berberi, ma anche per il nesso che congiunge le lingue camitiche con quelle semitiche, le quali ultime sono oggetto di una parte assai importante degli studî orientali. Per quanto concerne il resto dell'Africa, lo studio dell'Egitto non greco-romano e inoltre le discipline che hanno per oggetto l'Etiopia e paesi limitrofi, sono considerate parte dell'orientalismo; ma le ricerche concernenti altre regioni, anche orientali, dell'Africa stessa, si raggruppano in una disciplina che con il nome di Africanistica tende a distinguersi, anche nell'organizzazione dell'attività scientifica, dalla massa di studî conglobata nel termine vago di orientalismo.

Principali dominî dell'orientalismo possono essere considerati i seguenti, avvertendo che tale consueta classificazione è convenzionale e in parte insufficiente, non considerando alcuni complessi di studî che trascendono i limiti geografici, e non definendone rigorosamente altri: le discipline che studiano lingue, culture e religioni dell'Estremo Oriente, cioè la sinologia, la iamatologia (cioè studio del Giappone) e quelle relative all'Indocina o a paesi a lingua di tipo monosillabico, e collegati all'Estremo Oriente da legami linguistici e culturali, come alcune regioni del Pacifico, o come il Tibet, ecc.; la turcologia, o studio dei popoli turchi (sia nell'Asia centrale, sia nella loro diffusione in Oriente e in Europa), alla quale è strettamente affine lo studio dei Mongoli e altri popoli della stessa famiglia; l'indianistica o indologia, l'iranistica, la caucasologia, l'armenologia; l'ittitologia (con lo studio di altre lingue e civiltà antiche specialmente dell'Asia Minore), strettamente connessa con l'assiriologia, che a sua volta è parte della semitistica: per i rami di questa, tra cui i più importanti sono oltre all'assiriologia, l'arabistica (a cui è strettamente affine l'islamistica) e l'ebraistica, v. semiti; semitiche, lingue e qui appresso; l'egittologia, compreso lo studio della lingua e cultura copta; la berberistica e la camitologia. Lo studio del malese che si riconnette linguisticamènte al ramo polinesiaco fa anche parte, per ragioni di indole culturale, dell'orientalismo.

Ognuna delle unità di studî qui sopra indicate costituisce un campo tanto vasto da non essere più dominabile, nella sua totalità, da un solo studioso: ormai non avviene che un assiriologo possa essere in pari tempo profondo arabista, o che un indianista domini, oltre al sanscrito, tutte le letterature vernacolari, o che un iranista sia ugualmente competente in tutte le manifestazioni della civiltà persiana. D'altra parte quelle grandi unità o loro porzioni possono riunirsi variamente in altri complessi, secondo altri criterî, il linguistico, il religioso, lo storico-culturale, lo storico-artistico; onde maggiore varietà di tipi di attività orientalistica. Così, per dare appena qualche esempio, lo studio dei nessi linguistici camito-semitici, o di altri, unisce campi diversi per altro riguardo; oggetto di considerazione d'insieme sono le letterature cristiane orientali, sebbene siano di varia lingua come la siriaca, la copta, l'etiopica, l'armena, la georgiana, l'araba, e ne nasce una disciplina, lo studio dell'Oriente cristiano (v.), che ha la sua speciale organizzazione; nelle ricerche sull'Islām, che si riassumono con il nome di islamistica (storia delle conquiste, cultura, religione), la cultura araba, la persiana, la turca e altre ancora si uniscono in varî complessi; lo studio del buddhismo collega India e Asia centrale ed Estremo Oriente, e la considerazione di questo insieme è mezzo indispensabile per una visione completa di quel grande fatto religioso. Inoltre tutto l'Oriente vicino è nell'antichità in feconda relazione con il mondo greco-romano; alcune manifestazioni della cultura e della religione dell'occidente, e alcuni tra i più grandi fenomeni religiosi dell'Oriente, il manicheismo, per es., e l'Islām, non si comprendono se non da chi sappia penetrare lo spirito di tale relazione; onde un compito della più alta importanza, comune all'orientalismo e alla filologia classica e bizantina, e che deve essere assolto da specialisti egualmente esperti nei due campi.

Le ricerche degli orientali che nei paesi civili dell'Oriente attendono allo studio della propria cultura da punti di vista analoghi a quelli della scienza europea e con i metodi di questa entrano naturalmente nella storia dell'orientalismo; è ovvio d'altra parte che gli stessi studiosi orientali, in quanto fattori della civiltà dell'Oriente, divengono essi stessi oggetto dell'indagine orientalistica.

Gli antichi, nonostante le loro relazioni con l'Oriente e l'interesse che nutrivano per gli studî riguardo ad esso, non hanno condotto le loro ricerche con quel diretto uso delle fonti indigene che è carattere fondamentale dell'orientalismo (Origene, morto nel 253, e S. Girolamo, morto nel 420, si valsero però dei testi originali nello studio e nell'interpretazione dell'Antico Testamento); onde non si parla qui degli scritti antichi concernenti l'Oriente, benché questi abbiano un'importanza assai notevole come nostre fonti per la conoscenza di alcune parti del mondo orientale.

Solo nel Medioevo cominciò una vera fioritura di studî orientali ma limitata all'ebraico e all'arabo; essa era mossa da scopi sia d'indole religiosa (conversione di ebrei e di musulmani, confutazione di loro libri, missioni in paesi soggetti all'islamismo), sia di carattere scientifico, poiché le versioni arabe rendevano all'Occidente i tesori della scienza greca mentre gli scritti originali di teologi, filosofi, scienziati arabi offrivano ricca materia alla speculazione medievale. Si comprende quindi che l'orientalismo sia fiorito nel Medioevo specialmente in Spagna.

L'età del Rinascimento accentuò l'interesse scientifico, arricchì le biblioteche di manoscritti orientali, perfezionò i mezzi di studio con l'opera di pontefici, di cardinali, di principi e di mecenati, con la collaborazione anche di orientali.

La Riforma protestante, attribuendo valore fondamentale agli studî biblici, portò i suoi teologi a occuparsi moltissimo di ebraico e caldaico (aramaico biblico) e delle lingue semitiche affini che allora si potevano conoscere (siriaco, arabo, etiopico), e ad attendere a ricerche sulle antichità ebraiche. E neppure la Controriforma dimenticò gli studî orientali, ebraici e arabi, che in Italia nel sec. XVII per lo più per opera di ecclesiastici, raggiunsero un grande sviluppo e servirono all'apologia e alle missioni; in Francia, nel sec. XVII l'attività per gli studî arabi e orientali fu notevolissima, e alla fine del secolo stesso, per opera di Italiani, Olandesi, Inglesi e Francesi, l'arabistica raggiunse un alto grado di sviluppo. Inoltre l'Occidente cominciava ad aver notizia più precisa dell'India, della Persia e della Cina; e al principio dell'Ottocento le mirabili scoperte e i lavori di geniali orientalisti rivelavano mondi nuovi. Herder nelle sue Ideen zur Philosophie der Geschichte der Menschheit, così feconde per la cultura europea, dirige l'attenzione di essa verso l'Oriente. I romantici traggono da esso ricca ispirazione e Goethe nella sua universalità ne afferra i profondi valori. Dai fratelli Schlegel viene un impulso efficace per la penetrazione sempre maggiore dell'orientalismo nella cultura; si moltiplicano le vocazioni degli studiosi, si forma un clima di vero entusiasmo per gli studî orientali, che conduce, tra l'altro, alle rivelazioni dell'assiriologia e dell'egittologia. Il progresso delle comunicazioni, la politica europea di conquista coloniale, d'altra parte il sorgere della nuova critica biblica e delle discussioni su di essa, sono altre ragioni di progresso. E la storia di tale progresso nel sec. XIX (su cui v. anche assiriologia; egittologia) è una storia mirabile; e se la voga dell'orientalismo in letteratura, fiamma che arse in Germania, in Francia e altrove, si spegne, gli studî orientali nella seconda metà del sec. XIX, assommando nella loro complessità tutti i motivi che nello sviluppo storico li avevano promossi, divengono indispensabile elemento della cultura, fattore anzi vivissimo della vita moderna.

L'egittologia e l'assiriologia, l'archeologia dell'antico oriente e l'epigrafia, hanno rinnovato infatti la storia antica dei paesi del Mediterraneo, hanno posto su nuove basi l'esegesi e le scienze bibliche, tanta parte della nostra vita culturale. Alcuni dominî della storia religiosa, le indagini, per es., così importanti sullo gnosticismo, sono ravvivate dalle originali ricerche sulle religioni iraniche, come il mazdeismo, e il manicheismo. I valori del cristianesimo s'illuminano di nuova luce, ed alla sua storia gli studî dell'Oriente cristiano dànno preziosi contributi; per la certa conoscenza degli elementi orientali che hanno collaborato all'ellenismo, creatore, per alcuni aspetti, della nostra vita spirituale, il nostro ritorno al passato, il nostro atteggiamento umanistico è più completo, è più consono alla realtà secondo la quale l'eredità dell'antico è giunta fino a noi. Sono sorte e ancora sorgono nuove provincie di studî e interi paesi prima ignoti ci rivelano i loro segreti. La meditazione sui risultati complessivi di tanta mole di ricerche e di scoperte ha profondo influsso sull'attività scientifica: si prospettano possibilità di delineare più ampie sintesi linguistiche, più estesi complessi storico-culturali e storico-artistici; si disegna qualche linea d'insieme nella storia spirituale della grande unità asiatico-europea, sorgono nuovi criterî di apologia. E la somma delle nuove conoscenze la nobiltà che esse conferiscono permettono di foggiare in modo nuovissimo le nostre relazioni con i popoli orientali, che sono un grande problema dell'ora presente, che darà forse carattere alla seconda parte del secolo XX, e non solo nel senso pratico e trito dell'amministrazione coloniale, ma anche in quello ideale e vivo della comprensione spirituale.

A tanta dignità di studî ha corrisposto e corrisponde un vivo interesse di larghe cerchie intellettuali e di governi. Le principali università europee contano cattedre numerose di materie orientali (in Italia, di recente, esse sono purtroppo diminuite). Gli insegnamenti orientalistici dell'università di Roma sono riuniti in una Scuola orientale, che rilascia diplomi e pubblica una sua rivista. Varie nazioni hanno istituito istituti speciali per gl'insegnamenti orientali, alcuni dei quali in paesi d'Oriente o nelle colonie. Il Collegio di Propaganda in Roma fu fondato da Urbano VIII nel 1627; fin dal 1754 sorse a Vienna l'Accademia per lingue orientali, che poi subì varie modificazioni. L'École des Langues orientales vivantes, di Parigi, risale al 1795, al 1887 il Seminar für orientalische Sprachen di Berlino, mentre la School of Oriental Studies di Londra non rimonta che al 1906. L'istituto Lazarev per le Lingue Orientali di Mosca fu fondato nel 1814; dopo la rivoluzione è stato trasformato in Istituto per gli studî orientali. Dal 1920 esiste a Leningrado l'Istituto Orientale A. S. Enukidze, al quale si aggiunge quello di Taškent, destinato specialmente allo studio dell'Oriente russo. Nel 1933 sono state fondate in Spagna le due scuole di studî arabi di Madrid e di Granata, quest'ultima destinata specialmente a chiamare in Spagna la gioventù studiosa musulmana. In Italia l'Istituto superiore orientale di Napoli, fondato dal sacerdote Matteo Ripa col nome di Collegio dei Cinesi (1732), è ancora fiorente. Molti di questi istituti pubblicano periodici e opere a parte. Il Pontificio Istituto orientale di Roma, con scuola, biblioteca e periodico, mira all'unione delle Chiese orientali; cura gli studî biblici il Pontificio Istituto biblico diretto, come il precedente, dai gesuiti, con facoltà e ricchissima biblioteca, e scuola succursale in Palestina. La francese École biblique di Gerusalemme, tenuta dai domenicani, unisce all'insegnamento teorico esercitazioni e studî nei paesi d'Oriente. Alcune grandi nazioni, compresi gli Stati Uniti (ma non ancora l'Italia), hanno costituito in Oriente istituti di archeologia e di studî orientali (la Francia in Egitto, dalla spedizione napoleonica, ha condotto un'opera scientifica attivissima e tra i più importanti istituti orientalistici è appunto l'Institut Français d'Archéologie orientale al Cairo, fondato nel 1881), e hanno organi importantissimi di studio nelle loro colonie. Gli scavi americani, condotti con grandi mezzi, hanno avuto in questi ultimi anni risultati felicissimi.

Organi essenziali per gli studi orientali sono anche le società orientalistiche, tra le quali citiamo la Société asiatique francese, che dal 1823 pubblica il Journal asiatique, una delle più importanti riviste orientalistiche; la Royal Asiatic Society, fondata nel 1823, che ha diramazioni in Asia e pubblica il Journal of the Royal Asiatic Society, dal 1833; la Deutsche morgenländische Gesellschaft fondata nel 1845 in Lipsia e che stampa, dal 1847, la Zeitschrift der deutschen morgenl. Gesell., dal 1857 le Abhandl. für die Kunde des Morgenlandes e dal 1922 la Zatschrift für Indologie und Iranistik e la Zeitschrift für Semitistik.

In America la American Oriental Society ha il suo organo nel Journal of the American Oriental Society. La Società asiatica italiana, fondata nel 1886, ha sede in Firenze, e pubblica dal 1887 il Giornale della Società asiatica italiana. A Roma l'Istituto per l'Oriente, fondato nel 1921, promuove la conoscenza dell'Oriente, soprattutto musulmano, pubblicando la rivista mensile Oriente moderno, e opere di carattere divulgativo, ma ispirate a criterî scientifici. Altre riviste orientalistiche assai importanti sono le seguenti (non si citano qui quelle bibliche): la Rivista degli studi orientali, pubblicata dalla Scuola orientale di Roma; la Wiener Zeitschrift für die Kunde des Morgenlandes di Vienna; il Monde oriental di Upsala; l'Archiv Orientální di Praga; gli Acta Orientalia di Copenaghen; il Muséon di Lovanio; l'American Journal of Semitic Languages di Chicago; la rivista Syria studia specialmente l'archeologia orientale, mentre agli studî islamici e arabi sono dedicate Der Islam, stampato a Berlino; Islamica (di carattere piuttosto filologico) di Lipsia; la Revue des études islamiques, di Parigi; al-Andalus, organo delle scuole arabe di Madrid e di Granata, e che ha speciale riguardo alla cultura araba della Spagna. All'Estremo Oriente è dedicata la rivista T'oung Pao, che si pubblica a Leida. Rivista di natura essenzialmente bibliografica è la tedesca Orientalistische Literaturzeitung. Negli atti delle grandi accademie europee appaiono importantissimi contributi orientalistici, e alcune scuole ed istituti pubblicano loro atti, o raccolte, e lavori a parte. L'università cattolica dei gesuiti di Beirut pubblica regolarmente dei Mélanges, dedicati unicamente agli studî semitici e di archeologia orientale; la rivista araba pubblicata presso la stessa università, al-Machriq "l'Oriente", è importante specialmente per gli studî arabi, che sono oggetto unico della Rivista mensile dell'accademia araba di Damasco. Allo studio scientifico della lingua araba, anche dal punto di vista europeo, attendono le accademie arabe di Damasco (con molti membri europei) e quella del Cairo, che ha iniziato la sua attività nel 1934, con l'assistenza di cinque orientalisti europei.

Semitistica.

Gli studî orientalistici in Europa hanno avuto per primo oggetto alcune tra le lingue e le culture semitiche (v. semiti; semitiche, lingue) e cioè specialmente l'ebraico e l'arabo; e ciò per l'importanza dello studio dell'ebraico per la teologia e l'esegesi, per i contatti immediati tra il mondo mediterraneo e gli Arabi, per i bisogni della polemica contro musulmani ed ebrei, che le conquiste arabe e la diaspora arevano portato in Europa; infine per le missioni in Oriente, promosse specialmente dai grandi ordini religiosi, dai quali appunto furon curati con speciale zelo gli studî di ebraico e di arabo. Nella Spagna poi, ove accanto alla civiltà latina fioriva quella araba, apparve ben presto tutta l'importanza degli studî arabi (e anche ebraici) per scopi non solo apologetici ma anche scientifici, per il ritorno cioè alle fonti greche perdute attraverso le versioni arabe, che furono tradotte in latino, con profonda influenza sulla cultura medievale; come in traduzioni furono resi accessibili scritti originali di filosofi e scienziati arabi.

Ma, come alcuni rami del semitismo, quali l'assiriologia e l'epigrafia, sia fenicia sia aramaica o sud-arabica, non fiorirono che a partire dal secolo XIX, egualmente la comparazione delle singole lingue con metodi rigorosamente scientifici, e lo studio d'insieme circa le sedi, la religione, la cultura, ecc., degli antichi Semiti, rimontano allo stesso tempo, quando cioè ricerche analoghe nel campo indoeuropeo avevano dato frutti mirabili e indirizzato le ricerche negli altri campi. È vero che i primi accenni alla parentela tra arabo ed ebraico, e alla trilitterità delle radici semitiche appaiono già in grammatici ebrei del Medioevo (cfr. ebrei, XIII, p. 364), e che parecchi studiosi dei secoli seguenti avevano diretto l'attenzione alla grammatica comparata; ma essa è condotta con metodo scientifico solo a partire dall'Ottocento con le ricerche dell'Ewald (morto nel 1875), del Lagarde (morto nel 1891), del Nöldeke (morto nel 1930), del Philippi, ecc. Il primo tentativo d'insieme è quello del Wright (morto nel 1889), seguito dallo Zimmern e infine dal Brockelmann, che con il suo Grundriss der vergleich. Grammatik der semit. Sprachen ha dato un'esposizione sistematica di tutta la materia, prevalentemente ordinata ed esposta secondo gli schemi neo-grammatici (v. linguistica), utilizzando la somma delle ricerche particolari di una schiera di semitisti nei varî campi, e anche nei singoli dialetti. Dopo il Brockelmann si hanno nuovi preziosi contributi, specialmente in relazione a scoperte di nuovi testi, soprattutto quelli di Rās Shamrah (v. appresso); sebbene non sembri che la linguistica semitiea si sia ancora rinnovata secondo quanto esige il progresso del metodo moderno, mentre il campo delle lingue semitiche offre possibilità di osservazioni del maggior valore per uagliare e confortare i criterî così interessanti della nuova linguistica.

Per gli studî recenti circa la preistoria dei Semiti, il problema delle loro sedi e i nessi con altri gruppi di lingue, v. semiti; semitiche, lingue. Per la storia degli studî egiziani, assiri, di antico Oriente v. egittologia; assiriologia. Degli studî ebraici quelli concernenti la Bibbia, la storia degli Ebrei, la letteratura talmudica sono trattati alle voci bibbia; ebrei; talmūd. Qui è necessario un cenno su quelli puramente filologici, prescindendo però dall'opera degli antichi, come Origene, S. Girolamo, per i quali oltre le rispettive voci, v. bibbia.

Lo studio della filologia ebraica, dopo l'opera della Masora (v.), è curato in Europa dagli Ebrei di Spagna (fino dal sec. X) e della Francia meridionale, e più tardi, quando a partire dal sec. XV il predominio letterario passò agli Ebrei italiani, d'Italia. Nella voce ebrei sono indicati questi preziosi contributi della scienza ebraica. I cristiani che per varî scopi apprendevano l'ebraico, eran scolari di Ebrei o di Ebrei convertiti; la diffusione della conoscenza dell'ebraico tra i cristiani del Medioevo era assai notevole per i bisogni della teologia e dell'esegesi e insieme della polemica contro gli Ebrei. Il famoso decreto promulgato da Clemente V al Concilio di Vienna nel 1311 stabilisce l'insegnamento delle lingue ebraica araba e caldea nelle università di Roma, Parigi, Oxford, Bologna e Salamanca, e già altri papi, come Innocenzo IV, Alessandro IV e Onorio IV, avevano rivolto le loro cure agli studî. I singoli ordini religiosi e specialmente i domenicani istituivano nei loro conventi insegnamenti di ebraico e di altre lingue semitiche. Sarebbe lunghissimo enumerare i moltissimi studiosi di ebraico (Ebrei, Ebrei convertiti e cristiani), fioriti nel Medioevo e nel Rinascimento; basti citare tra gli Ebrei il celebre Eliyyah ha-Lēwī che nel sec. XVI fu maestro d'ebraico a molti studiosi cristiani, Abraham de Balmes da Lecce; Obadia Sforno di Cesena (morto nel 1500), che fu maestro del Reuchlin; Giambattista Eliano o Romano, convertito nel 1551 e morto nel 1589, ricevuto da S. Ignazio nella Compagnia di Gesù, primo professore di ebraico e arabo nel Collegio Romano. In questo periodo la scienza filologica ebraica passa ai cristiani; nel De Rudimentis Hebraicis del Reuchlin si ha ormai il manuale comune di studio, il modello a cui per molto tempo s'ispirano i cristiani che si occupano di grammatica ebraica. Per le tipografie ebraiche v. ebrei; tipografia.

Il fiorire degli studî ebraici in Italia indirizza verso di essa gli stranieri, come già il Reuchlin; Francesco I chiama da Genova il domenicano italiano Agostino Giustiniani, vescovo di Nebbio, che nel 1516 aveva pubblicato a sue spese il Salterio poliglotta, secondo libro con testi arabi edito in Italia; e dopo di lui altri famosi Italiani furono in Francia a diffondere la loro scienza dell'ebraico, tra cui il domenicano Pagnini, morto a Lione nel 1541, autore di una grammatica e di un dizionario ebraico più volte stampati. Lo Stancaro di Mantova insegna l'ebraico in Polonia e in Germania, il Tremellio di Ferrara in Inghilterra, in Germania e in Francia, il Guidacerio, professore sotto Leone X, a Parigi. Per le Bibbie poliglotte v. bibbia. Il rinnovamento degli studî filologici ebraici, ai quali la Riforma diede impulso e ai quali molti stranieri diedero importanti contributi (Buxtorf il vecchio, morto nel 1629, i capi della scuola olandese, cioè lo Schultens, morto nel 1750, e N. W. Schröder morto nel 1798, ecc.) è dovuto al tedesco W. Gesenius (morto nel 1842), autore d'una grammatica e di un dizionario più volte ristampati e ancora largamente usati nei loro rimaneggiamenti, e il già citato Ewald. Il materiale grammaticale e lessicografico è da essi ordinato secondo nuovi criterî scientifici, e la loro scuola è seguita da una schiera di valenti studiosi.

Tra gl'Italiani citiamo S. D. Luzzatto (v.), famoso per i suoi studî esegetici. Negli ultimi anni i progressi son stati assai notevoli: nuova elaborazione del Gesenius, curata dal Bergsträsser, grammatica del Lambert, del Leander e Bauer (v. ebrei, XIII, p. 357) sebbene non scorga ancora quel rinnovamento di metodo linguistico, che ha animato di nuovo spirito gli studî indoeuropei e romanzi.

La prima iscrizione fenicia fu pubblicata nel 1735 (si conoscevano già monete) e dopo fantastici tentativi essa fu quasi correttamente letta dal Barthélemy (morto nel 1795); si moltiplicarono poi le scoperte (il Renan nel 1860 fu a capo di una missione archeologica in Fenicia), anche di numerose iscrizioni puniche e neopuniche. Tutto questo materiale fu studiato da una serie di dotti, tra cui lo stesso Gesenius, poi il Levy (morto nel 1872), P. Schröder, autore d'un manuale fenicio (1869), più tardi il Clermont-Ganneau (morto nel 1923), il Lidzbarski (morto nel 1928), lo Chabot ancora vivente e altri. Gli scavi francesi in Siria hanno scoperto a Rās Shamrah importantissimi testi fenici scritti in carattere alfabetico cuneiforme, studiati e decifrati con grande vantaggio della semitistica dal Virolleaud, dal Dhorme, dal Bauer.

Altri rami dell'archeologia ed epigrafia semitiche (dall'epigrafia semitica si esclude generalmente lo studio delle iscrizioni assiro-babilonesi e quelle arabo-musulmane, mentre vi sono comprese quelle sudarabiche: v. epigrafia e qui appresso) come l'aramaico antico, il nabateo e il palmireno, il saíaitico, il thamudeno ecc. si sono sviluppati rigogliosamente nella seconda metà del secolo scorso e nel nostro per merito di valorosi semitisti, tra cui il Nöldeke, il Clermont-Ganneau, il Baudissin, il Lidzbarski, il Littmann ecc. La parte aramaica della Bibbia è stata studiata parallelamente all'ebraico, per il Targum o versioni in aramaico di Bibbia e Vangeli, e per la parte aramaica del Talmūd v. targum; talmūd. Le scoperte di iscrizioni e di papiri hanno permesso un grande progresso negli studî grammaticali e lessicografici e della cultura aramaica in generale (v. aramei), per merito di molti semitisti, il Sachau (morto nel 1930), il Nöldeke, il Cowley (morto nel 1934) e il Dalman (vivente); il Nöldeke ha tracciato le grammatiche di dialetti aramaici antichi, quale il mandeo, e moderni.

Un Italiano, il Miniscalchi Erizzo (morto nel 1875), con la pubblicazione dell'Evangeliario gerosolimitano promoveva gli studî della letteratura palestinese aramaica, poi curati da molti altri semitisti.

La grande letteratura siriaca così importante per la teologia e la storia del cristianesimo, riceveva grande impulso dalle collezioni di manoscritti che specialmente da monasteri siriaci dell'Egitto giunsero in Europa; il maronita Giuseppe Simone Assemani, con la sua Bibliotheca orientalis, e altri membri della stessa famiglia aprirono la via alla conoscenza scientifica di questa letteratura, che progredì grandemente nel sec. XIX per opera del Quatremère e di altri, e più tardi per il lavoro di valorosissimi siriacisti, tra cui il Nöldeke, il Hoffmann (morto nel 1932), il Wright, il Bickell, il Payne Smith che portò a fine con molti collaboratori il grande Thesaurus siriaco (1879-1901), iniziato dal Quatremère, il Ceriani (morto nel 1907), il Sachau (morto nel 1930), il Guidi (vivente). Della generazione più recente il Nau (morto nel 1933), il Brockelmann, lo Chabot (viventi) e molti altri coltivano alacremente questo campo, che è tra i più fiorenti del semitismo, e interessa vivamente teologi e storici del cristianesimo. All'opera hanno preso e prendono parte distinti dotti orientali, come il Raḥmāni, patriarca siro-cattolico (morto nel 1929), il vivente A. Mingana.

Nella storia degli studî arabi ha un posto importantissimo la Spagna del Medioevo, poiché colà per il contatto tra Oecidente cristiano e cultura araba agivano nella loro pienezza i motivi dell'apologia e insieme dell'interesse scientifico e filosofico. Motivi che s'intrecciano nell'opera della famosa scuola di Toledo che, specialmente per merito del gran cancelliere di Castiglia don Raimondo (morto nel 1150) fece accessibili per la prima volta versioni arabe di opere di scienza e filosofia greca, e opere originali arabe in versioni latine. Tra i principali traduttori sono poi il Gundisalvi, Giovanni di Siviglia, e l'italiano Gherardo da Cremona. Apologia e interesse scientifico animano l'opera di Raimondo Martín (morto nel 1286); e il famoso Raimondo Lullo (morto nel 1315). Questo glorioso periodo dà anche un prezioso ausilio per l'apprendimento dell'arabo, il Vocabulista, diglottario latino-arabo e arabo-latino edito dallo Schiapparelli, falsamente attribuito a Raimondo Martín.

Importantissima per la diffusione della cultura araba è l'opera di Alfonso X el Sabio (v.); la Sicilia sotto i Normanni contribuisee a questo interessante processo culturale, di cui come dell'influenza della cultura araba sulla occidentale, non è qui il luogo di parlare.

Solo più tardi s'inizia un'opera costante di studî arabi e di edizioni di testi arabi (e non di semplici versioni). Come per l'ebraico anche per l'arabo, papi e principi europei testimoniarono un vivo interesse, specialmente per i motivi religiosi a cui abbiamo accennato. Lo stesso decreto di Clemente V qui sopra citato stabiliva l'insegnamento dell'arabo nelle varie università predette, e gli ordini religiosi curano egualmente l'insegnamento dell'arabo. E numerosi furono i conoscitori di arabo in Italia e in Europa nel Medioevo e nel Rinascimento (tra cui mercanti e viaggiatori), senza che lasciassero traccia notevole nella ricerca scientifica; notevolissima eccezione il medico bellunese Andrea Alpago, morto nella prima metà del sec. XVI. I veri e proprî studî arabi s'iniziano alla fine del Cinquecento e si sviluppano nel Seicento; favoriti dall'arricchimento delle biblioteche, dal favore dei papi e dei sovrani, dall'opera di orientali, dall'istituzione di tipografie arabe. La prima a Fano aveva dato fino dal 1514 il primo libro in caratteri arabi, nel 1516 aveva stampato il salterio poliglotta del Giustiniani (v. qui sopra). A Roma sotto Pio V (1566) fu pubblicata la versione in arabo dei decreti tridentini, fatta dal medesimo gesuita Eliano e stampata nella tipografia del Collegio Romano; qualche anno dopo, ivi stesso, per l'iniziativa del cardinale Ferdinando Medici e il favore di Gregorio XIII sorse la famosa stamperia medicea (preceduta da quelle di Domenico Basa che nel 1585 stampò a Roma un libro arabo di geografia) che sotto la direzione del Raimondi pubblicò opere arabe assai importanti, tra cui i Vangeli (1591), il compendio della geografia di Edrisi (1592), il Canone di medicina d'Avicenna con il compendio di filosofia an-Nagiāh (1593), l'Euclide nella recensione di Nasir ad-dīn aṭ-Tūsī (1594). Il Collegio di Propaganda, così importante per gli studî orientali (v. qui sopra), ebbe la sua tipografia che stampò oltre alla grande Bibbia araba (1671) una notevole opera grammaticale dell'Obicini (1631) e la prima edizione del Prodromus ad refutationem Alcorani del Marracci (1691) che poi fu di nuovo pubblicato a Padova, nel 1698, seguito dal testo del Corano con traduzione latina, ampî commenti desunti dalle fonti arabe e confutazioni. A Padova infatti il cardinale Barbarigo aveva fondato una tipografia e un collegio nel quale insegnò Agapito da Val di Fiemme, autore d'una grammatica araba, i Flores grammaticales del 1687 (mentre il Marracci vissuto a Roma non vi insegnò mai). L'opera del Marracci è notevolissima (pur essendo condotta con criterî che oggi non sapremmo più adottare) ed egli fu tra i pochi profondi conoscitori di fonti musulmane in quell'epoca; anche l'edizione del Corano, preceduta di quattro anni da quella di A. Hinckelmann (Amburgo 1694) ha grande importanza nella storia degli studî arabi, sebbene non sia scevra di gravi difetti.

Il cardinale Federico Borromeo, che dedicò molte cure agli studî orientali, procurò alla Biblioteca Ambrosiana numerosi manoscritti arabi; per il favore del cardinale uscì a Milano nel 1632, in quattro volumi in folio, il celebre Thesaurus Linguae Arabicae di Antonio Giggei (Giggeius) che fu il primo grande dizionario arabo stampato ed è versione latina del celebre al-Qāmūs di al-Fīrūzābādī (v.). Nel 1622 i Francescani fondano in S. Pietro Montorio una scuola di lingue orientali, compresa l'araba, nella quale insegnarono il padre Tommaso Obicini (v. qui sopra), di cui è notevolissima l'edizione versione e commento della grammatica araba, assai diffusa in Oriente, detta Āgiurrumiyyah (v. qui sopra), il padre Domenico Germano da Silesia, autore di un Dittionario della lingua volgare arabica et italiana (Roma 1636), Antonio da Aquila, nella cui grammatica uscita nel 1650 è specialmente trattata la lingua parlata. Nel 1620 erano inoltre apparse in Roma le Institutiones Linguae Arabicae di F. Martelotti, con ampia esposizione sintattica, fino allora trascurata.

Altre nazioni in questo periodo curavano egualmente lo studio dell'arabo; in Francia, ove già il medico Armengaud di Montpellier aveva tradotto opere arabe, abbiamo nel 1538 il misero tentativo di grammatica del Postel. Enrico III fonda nel 1587 una cattedra di arabo e sotto Enrico IV il Savary De Brèves porta i caratteri arabi a Parigi, dove poi sotto Luigi XIII sorge la stamperia di lingue orientali. Le biblioteche si arricchiscono di manoscritti e il d'Herbelot pubblica nel 1697 la famosa Bibliotheca Orientalis, fondata su amplissime letture: essa fu continuata da A. Galland (morto nel 1715), dal 1709 professore di arabo al Collège de France, autore di numerose opere, tra cui la più famosa è la traduzione francese delle Mille e una notte.

In Olanda dalla stamperia di Leida escono opere fondamentali, come la grammatica di Erpenio (1617) e, per cura dello stesso, il testo arabo con la traduzione latina dello storico al-Makīn (1625); il Golio pubblica nel 1653 il suo lessico che per alcuni aspetti è superiore a quello del Giggei, che tuttavia ha il merito di essere il primo. In Inghilterra l'attività del Pocock padre è notevolissima. A questo grande movimento di studî arabi del sec. XVII presero parte, come del resto anche dopo, alcuni dotti orientali, soprattutto maroniti, tra cui Abramo Echellense, più tardi gli Assemani, ecc. In Germania, nel sec. XVIII è notevole l'opera di J. J. Reiske, ellenista e arabista, editore e traduttore degli Annali di Abūl-Fidā' (1754-1788). Il passo decisivo verso la creazione dell'arabistica moderna fu compiuto verso la fine del sec. XVIII e all'inizio del XIX, in Francia, per un complesso di felici circostanze. Luigi XVI nel 1785 istituì i Notices et extraits destinati a far conoscere la materia dei manoscritti orientali della Biblioteca del Re, su cui già si fondava la Bibliotheca Orientalis del d'Herbelot; e all'opera attesero specialmente, per lungo tempo, due grandi orientalisti, il De Sacy e il Quatremère. Il De Sacy è il restauratore degli studî arabi per la sua grammatica, la prima redatta con intenti veramente scientifici (1810; 2ª ed., 1831), e la sua crestomazia, per gl'importantissimi altri lavori, per il suo insegnamento. Il contributo del Quatremère non fu meno importante. La scuola di De Sacy forma i nuovi arabisti europei; il primato con i tre grandi allievi di De Sacy, Freytag (morto nel 1861) autore tra l'altro di un dizionario ancora assai usato, il grandissimo H. L. Fleischer (morto nel 1888), e G. Flügel (morto nel 1870) passa poi alla scuola tedesca.

Il numero degli arabisti del sec. XIX e del XX è grandissimo, e l'arabistica progredisce in modo mirabile; citiamo tra i più notevoli il Reinaud, successore alla cattedra del De Sacy e maestro dell'italiano Amari, e, ancora in Francia, il De Slane, il Barbier de Meynard, H. Dérenbourg (morto nel 1908) maestro del maggiore arabista francese vivente, W. Marçais, i cui lavori più importanti concernono i dialetti arabi (magrebini) che l'arabistica moderna studia alacremente, H. Lammens. In Germania F. Wüstenfeld (morto nel 1899) con la sua attività prodigiosa di editore contribuì ad ampliare gli orizzonti della disciplina; lo Sprenger (morto nel 1893) fu autore d'una famosa biografia di Maometto, W. Ahlwardt (morto nel 1909) con il catalogo dei codici della Biblioteca berlinese ha creato un mirabile strumento di lavoro, E. Sachau, il Nöldeke, maestro insuperato in ogni ramo dell'arabistica e della semistica, J. Wellhausen (morto nel 1918) ugualmente grande storico d'Israele e dell'Arabia antica; e, tra i viventi, A. Fischer, capo della fiorente scuola di Lipsia, C. Brockelmann, autore di una storia della letteratura araba, raccolta preziosa di materiale. In Austria il Hammer v. Purgstall (morto nel 1856) nella sua prodigiosa attività orientalistica comprese l'arabo e pubblicò una storia letteraria araba in 7 enormi volumi, mediocre, come mediocre è il resto della sua produzione araba. Tra gli arabisti austriaci più recenti, sono da citare D. H. Müller (morto nel 1912), e R. Geyer (morto nel 1930), specialista di poesia antica. In Inghilterra, dopo il grande Wright, autore di un rifacimento della grammatica del Caspari (3ª ed. postuma, 1896-98) che è il testo più usato per lo studio della lingua, si possono citare il Howell, autore di una vasta trattazione di una grammatica araba secondo i sistemi nazionali, in cinque volumi (1883-1911), il Lyall e il Bevan, specialisti in antica poesia, e morti ambedue recentemente, tra i viventi il Margoliouth e R. A. Nicholson. L'Olanda ha una splendida tradizione di studî arabi, che nel sec. XIX e nel XX è stata continuata dal Dozy (morto nel 1883), e M. J. De Goeje (morto nel 1909), arabista principe editore di una biblioteca di geografi arabi, direttore della grande edizione dello storico at-Tabarī. Lo Snouck Hurgronje, vivente, che è uno dei fondatori della scienza islamistica, conta pure tra i migliori arabisti. In Danimarca si distinguono F. Buhl (morto nel 1934), e in Svezia K. Zettersteen, in Russia V. Rosen (morto nel 1908) e l'attuale capo della scuola russa, il Kratchkovski (Kračkovskij). In Spagna F. Codera (morto nel 1917), continuatore di alacri arabisti, editore della Bibliotheca arabo-hispana, e J. Ribera (morto nel 1934), hanno fondato una scuola che ha profondamente studiato la Spagna araba, e di cui è ora capo l'Asín Palacios, islamista e storico della mistica. In Italia la grande figura di Michele Amari ha dato sulle fonti arabe i suoi capolavori sulla storia di Sicilia, già studiata dal Di Gregorio (morto nel 1809); il Cusa (morto nel 1893), F. Lasinio (morto nel 1914), B. Lagumina (morto nel 1931), C. Schiaparelli (morto nel 1919) hanno dato preziosi contributi all'arabistica; I. Guidi, vivente, è tra i maggiori arabisti contemporanei e C. A. Nallino imprime un vivo impulso alla scuola italiana, che conta una valente schiera di più giovani. L. Caetani, con i suoi monumentali Annali dell'Islām (che si sono arrestati però al vol. 10°) e con la Chronographia Islamica, è in prima linea tra gli storici dell'Islām. Gli studî che riguardano più specialmente la religione e la cultura islamica (islamistica) sono stati fondati dal Goldziher (morto nel 1921) e del predetto Snouck Hurgronje, la cui opera è stata continuata da C. H. Becker in Germania (morto nel 1933), in Francia da L. Massignon e da H. Lammens, dal Wensinck in Olanda, dal Nallino in Italia. Con l'islamistica e con l'arabistica, più ancora che con la vera e propria iranistica, si ricollegano inoltre gli studî sulla lingua, letteratura e storia della Persia islamica: nei quali entro il sec. XIX e il primo terzo del XX si sono segnalati molti dei già ricordati arabisti, come il Nöldeke e il Rückert, e poi C. Schefer in Francia, P. Horn e H. Ethé in Germania, E. G. Browne in Inghilterra, V. Žukovskij in Russia, e molti altri ancora.

Gli studî etiopici cominciano in Europa nel sec. XVI (a Roma nel 1548-1549 esce la prima stampa del Nuovo Testamento etiopico), ma solo con il Ludolf, che nel 1661 pubblica la sua grammatica etiopica, e poi il suo Lexicon etiopico-latino, s'inizia lo studio scientifico in questo campo; il grande progresso negli studî etiopici è segnato dalle opere del Dillmann (morto nel 1891) e specialmente dalla sua grammatica e dal suo dizionario. Tra i continuatori del Dillmann sono I. Guidi (che inoltre, con la sua grammatica e il suo dizionario, con le edizioni di testi ha fondato gli studî di filologia amarica), C. Conti Rossini insigne maestro in ogni campo degli studî etiopici e nei camitici; all'estero il Praetorius (morto nel 1927), R. Basset (morto nel 1924), il Cohen, J. Littmann. E. Mittwoch. I primi a decifrare i caratteri e le iscrizioni sud-arabiche, fondandosi appunto sull'alfabeto etiopico, furono il Gesenius e il Rödiger (morto nel 1841); F. Fresnel poi, nel 1845, pubblicò con trascrizione in arabo le iscrizioni copiate nello Yemen dal viaggiatore Arnaud; vennero poi i lavori dell'Osiander e del Praetorius (1872), mentre J. Halévy, che nel 1869-1870 penetrò nel Naǵrān (Yemen), dava molti importanti contributi a questo ramo della semitistica. Il materiale fu assai accresciuto dalle collezioni del Glaser, autore d'importantissime pubblicazioni.

Molti altri studiosi lavorarono in questo campo, e tra questi citiamo il Hommel, autore di una Minaeo-Sabaeische Grammatik (1893), D. H. Müller, H. Dérenbourg, il Rhodokanakis, il Nielsen e, tra gl'Italiani, I. Guidi, autore di un Summarium grammaticae veteris linguae arabicae meridionalis (2ª ed. in arabo e latino, Cairo 1930) e C. Conti Rossini la cui Chrestomathia arabica meridionalis epigraphica, Roma 1931, con un prezioso glossario, è di indispensabile ausilio.

Gli studî copti sono stati iniziati in Europa dal gesuita A. Kircher, che stampò nel 1644 alcune opere grammaticali in modo assai difettoso. Nel sec. XVIII lavorarono in questo campo l'inglese Woide, l'italiano Mingarelli, il copto cattolico Tuki; nel secolo scorso, il Quatremère, il danese Zoega, l'inglese Tattam, l'italiano Peyron, autore di un dizionario pubblicato a Torino nel 1835 e ancora utilmente usato. Il grande progresso degli studî copti rimonta all'ultima metà del secolo XIX, con l'opera di numerosi dotti (tra cui gl'italiani Guidi, Ciasca, Rossi) che pubblicarono testi assai importanti, e con la grammatica dello Stern, (1880) quella dello Steindorff (prima edizione 1896) quella del Mallon. Tra i coptisti più notevoli, oltre ai già nominati, ricordiamo il russo Von Lemm, i tedeschi Erman, Sethe (morto nel 1934), Spiegelberg (morto nel 1930) lo Jünker, il Till e soprattutto l'inglese Crum, il conoscitore più profondo della lingua e letteratura copta, autore di opere importantissime, e di un dizionario in corso di pubblicazione, che segna un progresso definitivo nella lessicografia copta.

India e Iran.

Lo studio delle civiltà dell'Asia fu preceduto dalle notizie più o meno estese e precise che ne diedero, a partire dal Cinquecento, viaggiatori e missionarî portati all'osservazione dai nuovi interessi culturali risvegliati dal Rinascimento. Il mercante fiorentino Filippo Sassetti, che dimorò in India alcuni anni e morì a Goa nel 1588, già in una lettera in data 27 gennaio 1585, diretta a Pier Vittori a Firenze, rilevava la concordanza con l'italiano di alcuni elementi del lessico indiano. Pietro Della Valle, patrizio romano, che ai primi del sec. XVII, seguendo le orme degli ambasciatori e dei mercanti di Venezia, riprese i rapporti dell'Italia con la Persia trascriveva per primo, in una delle sue preziose lettere, alcuni segni dalle iscrizioni cuneiformi di Persepoli e determinava con felice intuizione il senso in cui doveva correre la scrittura.

Nei secoli XVII e XVIII, il progressivo affermarsi del dominio inglese e la propaganda missionaria in India e i più stretti rapporti diplomatici e commerciali inaugurati dalla Persia dei Safawidi con l'Occidente, fornivano motivo a un più vivo interesse culturale dell'Europa, preparando così il terreno a quel vasto lavoro di esplorazione e di comprensione che nel sec. XIX conquisterà anche queste due grandi civiltà alla scienza occidentale.

India. - L'interesse dei missionarî fu naturalmente rivolto al patrimonio religioso e filosofico nell'India. Basti qui ricordare i due gesuiti italiani Giacomo Fenicio (nato a Capua circa il 1558, morto a Cocin il 1632) e il romano Roberto dei Nobili. Quest'ultimo, vissuto in India dal 1606 al 1656, ebbe così profonda conoscenza di testi indiani che riuscì, certo con aiuto indigeno, a comporre in sanscrito una specie di falso veda, l'Esur Vedam, con cui egli si propose di far penetrare concetti cristiani nell'India. Ma anche le creazioni letterarie furono oggetto d'interesse. Il teologo olandese Abraham Roger in appendice alla sua opera De Open-Deure tot het verborgen Heydendom, Leida 1651 (ristampata a cura di W. Caland, L'Aia 1915), ricca di notizie interessanti sul brahmanesimo nell'India meridionale, dava la traduzione delle sentenze di Bhartṛhari; il gesuita francese padre Pons, in una lettera in data 23 novembre 1740, dava notizie abbastanza precise sull'antica letteratura (Lettres Édifiantes et Curieuses écrites des Missions Étrangères, par quelques Missionaires de la Compagnie de Jésus, XXVI [1743], pp. 218-256); il gesuita italiano Marco della Tomba, che dimorò nell'India settentrionale dal 1757 al 1773, non soltanto diede nei suoi scritti notizie sulla letteratura, particolarmente vedica, ma per primo tradusse anche un buon tratto del Rāmāyaîa (A. De Gubernatis, Gli scritti del padre Marco della Tomba, Firenze 1878). Anche alla lingua si volse l'attenzione dei missionarî: il gesuita tedesco Joh. Ernst Hanxleden, vissuto in India dal 1699 al 1732, compose una grammatica sanscrita in lingua latina e un Dictionarium Malabaricum Samscrdamicum Lusitanum, rimasti manoscritti; di cui si servì il carmelitano scalzo Paolino di San Bartolomeo che visse nel Malabar dal 1776 al 1789 e pubblicò in Roma le prime grammatiche sanscrite che fossero stampate in Occidente.

Una più profonda conoscenza del mondo indiano fu imposta per prima agl'Inglesi da esigenze coloniali. Warren Hastings, nominato governatore generale del Bengala nel 1773, fece compilare da dotti indiani esperti di diritto una raccolta di norme giuridiche tradizionali sotto il titolo Vivādārṇavasetu "ponte sull'oceano delle contese"; ma non si trovò chi fosse in grado di tradurla dal sanscrito e fu necessaria la mediazione di una traduzione persiana. Il primo vero conoscitore del sanscrito fu un funzionario dell'East India Company, Charles Wilkins che pubblicò a Londra nel 1785 una traduzione della Bhagavadgītā e nel 1787 una traduzione dell'Hitopadeśa; ma chi diede grande impulso allo studio del mondo indiano fu sir William Jones (1746-1794) giudice a Fort William e fondatore dell'Asiatic Society of Bengala, alla quale si deve oltre alla pubblicazione di periodici di argomento indologico, l'edizione critica dei testi indiani. Jones stesso fu autore di numerose traduzioni, fra cui quella del dramma Šakuntalā di Kalidāsā (Calcutta 1789), e del Libro delle leggi di Manu (Calcutta 1796); fondatore della filologia indiana è da considerare l'ultimo di questa triade di pionieri, H. Thomas Colebrooke (1763-1837). La sua attività d'indagatore investe tutti gli aspetti della cultura indiana, dal diritto alle religioni, dalla lingua dei Veda ai dialetti pracritici, dall'astronomia alla matematica, dagli studî sulla poesia e sulla metrica all'edizione di testi e all'epigrafia. Particolare valore per il tempo in cui vennero composti hanno l'opera sui Veda pubblicata nel 1805 e l'Essay on the philosophy of the Hindus, pubblicato nel 1829.

Dopo questi pionieri una schiera di studiosi di tutte le nazioni si rivolse all'indagine della civiltà indiana. Due circostanze assai importanti vi diedero grande impulso: il movimento romantico da un lato, la scoperta dell'unità linguistica indoeuropea dall'altro. L'opera dei missionarî e le traduzioni degl'Inglesi, alle quali si aggiunse quella delle Upaniṣad che, fatta da Anquetil Du Perron (Strasburgo 1801-2) su una traduzione persiana, esercitò tanta influenza su Schelling e su Schopenhauer, fornivano sufficiente motivo all'interesse dei romantici, indirizzato verso l'Oriente già dalle Ideen zur Geschichte der Menschheit di Herder. I due fratelli Schlegel che a Parigi avevano avuto modo di apprendere il sanscrito, Friedrich dall'inglese Hamilton e August Wilhelm dal francese Chézy, incanalarono lo studio dell'India nella corrente romantica e, mentre Friedrich nel suo saggio Über die Sprache und Weisheit der Indier, pubblicato nel 1808, traduceva per primo dal sanscrito in tedesco brani dal Rāmāyaṇa, dal Libro delle leggi di Manu, dall'episodio di Šakuntalā del Mahābhārata, August Wilhelm pubblicava il primo volume dell'Indische Bibliothek (1823) con numerosi saggi filologici e nello stesso anno un'edizione, rimasta incompleta del Rāmāyaṇa. Contemporaneamente, Franz Bopp pubblicava il suo famoso saggio Über das Coniugazionsystem der Sanskritsprache in Vergleichung mit jenem der griechischen, lateinischen, persischen und germanischen Sprache, Francoforte sul M. 1816, in cui veniva saldamente posta la parentela indoeuropea, ma veniva anche riconosciuta al sanscrito quella specie di priorità e di preminenza a cui l'entusiasmo dei romantici aveva elevato la civiltà indiana.

I metodi positivi di ricerca portati nello studio della civiltà indiana hanno condotto allo studio sistematico dei varî aspetti di essa e a una ricchezza e varietà di conoscenze da sorpassare le possibilità di un singolo studio. Le opere in sanscrito che F. Adelung registra nel suo Versuch einer Literatur der Sanskritsprache (Pietroburgo 1830) non sono che 350; quelle che appaiono nel Catalogus Catalogorum di Th. Aufrecht (1891-96, 1903) sono molte migliaia. Vi si debbono aggiungere le opere buddhistiche e tutte le altre in linguaggi indiani diversi dal sanscrito.

Ogni dominio ha già una sua fisionomia e una sua storia. Nell'esegesi dei Veda che ebbe come iniziatore Eugène Burnouf due indirizzi si sono prevalentemente affermati; quello rappresentato da Rudolf Roth (1821-1895) nega valore alla tradizione esegetica indigena e ritiene che unica via all'interpretazione sia il confronto di tutti i luoghi affini per forma di parole e contenuto; l'altro indirizzo che ha trovato espressione in particolare nelle Vedische Studien (Stoccarda 1889-1991) di R. Pischel e K. F. Geldner, annette maggior peso ai commentatori antichi. Una posizione intermedia è tenuta da coloro i quali giustamente ritengono che l'interpretazione dei Veda deve essere fatta con tutti i mezzi che si hanno a disposizione, comparazione interna, comparazione con altri testi antichi e particolarmente l'Avestā, commenti indigeni, ecc. Anche la valutazione complessiva della natura dei Veda si è venuta modificando, in quanto il carattere prettamente rituale di essi è stato sempre più affermato, in confronto di coloro che, come il Roth, vedevano in essi i prodotti della lirica religiosa più antica. La mitologia vedica ha dato luogo a studî notevolissimi e a teorie diverse. Nel campo dalla letteratura classica si è lavorato con molta intensità e tutte le opere dalle maggiori (monumento insigne degli studi indologici italiani sono l'edizione e traduzione del Rāmāyaṇa di Gaspare Gorresio), alle minori sono state edite e illustrate. Nel campo del buddhismo, l'indagine si è venuta sempre più allargando dai testi canonici, e fonti non soltanto sanscrite, pāli, pracrite, ma anche cinesi, tibetane e iraniche sono state messe a profitto per fissarne gli sviluppi. Anche lo studio del jainismo, del quale si sono resi benemeriti particolarmente gli studiosi italiani, ha fatto notevoli progressi. Nello studio del pensiero filosofico dalle manifestazioni più antiche della letteratura esegetica dei Veda, riguardo alle quali si è acquistate alte benemerenze P. Deussen, si è proceduto di recente con successo all'indagine della filosofia sistematica. Infine la conoscenza della lingua, oltre che in numerose grammatiche (fra cui da segnalare quella in corso di Jacob Wackernagel) e dizionarî minori, ha avuto un mirabile strumento nel grande Sanscrit-Wörterbuch in 7 volumi, pubblicato per conto dell'Accademia delle scienze di Pietroburgo da Otto Böhtlingk e R. Roth fra il 1832 e il 1875. A integrare questi rapidi cenni, occorrerà ricordare che anche altri aspetti, oltre quello letterario, religioso e filosofico della civiltà indiana sono stati accuratamente indagati: la vita sociale, il diritto, le credenze cosmologiche, le scienze naturali, l'arte sia dell'età storica sia dell'età preariana, la storia attraverso le fonti epigrafiche e numismatiche, sono venute a essere parti non secondarie del vasto dominio dell'indologia. Misura del progresso degli studî si ha nella vastità del piano dell'opera ancora in corso: il Grundriss der indo-arischen Philologie und Altertumskunde (Strasburgo-Berlino), nella quale a partire dal 1897 si vengono pubblicando vaste trattazioni sui varî campi, dovute a insigni studiosi.

Iran. - La conoscenza diretta dell'antico mondo iranico fu preceduta da quella che se ne aveva dalle fonti classiche. Il primo tentativo di accostarsi al mondo zoroastriano attraverso fonti orientali fu quello del dotto inglese Thomas Hyde che nella sua opera Veterum Persarum et Parthorum et Medorum religio, Oxford 1700, mise a profitto fonti arabe e neopersiane. La scoperta e l'interpretazione dell'Avestā e delle iscrizioni cuneiformi da un lato, i più stretti contatti con la Persia moderna dall'altro, spronarono i dotti dell'Occidente a conoscere più direttamente l'antica civiltà iranica la cui parentela genetica conn il mondo occidentale venne spesse volte intuita. Presso i dotti tedeschi nei secoli XVII e XVIII ebbe corso il curioso assioma di una più stretta parentela fra il persiano e il tedesco; ultima espressione ne sono le opere del dotto, non meno che strano, Othmar Frank (1770-1840), Das Licht vom Orient, Norimberga e Lipsia 1808, De Persidis lingua et Genio, Norimberga 1809. La rivelazione all'Occidente dei testi avestici è dovuta al dotto francese Anquetil Du Perron che, sotto la guida di un dotto pārsi, Dastūr Darāb, ne affrontò in India l'interpretazione e al suo ritorno pubblicò una vasta opera in tre volumi dal titolo Zend-Avesta, ouvrage de Zoroastre contenant les Idées theologiques, physiques et morales de ce Législateur, ecc., Parigi 1771. Accertata, dopo vive discussioni, l'autenticità dell'opera, gli studiosi europei hanno fatto oggetto il testo dell'Avestā di attenti studî. La storia dell'esegesi avestica, che ha pure inizio da Eugène Burnouf (Commentaire sur le Yaçna, l'un des livres religieux des Parses, Parigi 1833-35), ha molti punti di contatto con l'esegesi vedica. Infatti i due indirizzi che si sono affermati sono quello che vuol tenere il massimo conto della tradizione esegetica medievale, rappresentato da F. Spiegel, F. Justi e in parte da C. De Harlez, e quello, rappresentato da Benfey, da Roth e da altri, che la respingono in pieno. Ben presto però si fa strada la convinzione che la comparazione interna, la linguistica comparata e lo studio della tradizione, per quel che essa può dare, debbono concorrere all'interpretazione dei testi. Frutto di tale convinzione sono le opere insigni di J. Darmesteter, di cui ricorderemo soltanto Le Zend-Avestā, traduction nouvelle avec commentaire historique et philologique, Parigi 1892-93, e di Chr. Bartholomae di cui, oltre alle magistrali sistemazioni grammaticali, va ricordato l'Altiranisches Wörterbuch (Strasburgo 1904). L'Avestā è stato pubblicato con intendimento critico da K. F. Geldner (Stoccarda 1886-1895). Per merito di C. F. Andreas è stata sollevata l'importante questione della tradizione grafica del testo e molti studiosi hanno contribuito, con vantaggio dell'esegesi, a stabilire la forma avuta da esso nelle redazioni anteriori all'attuale. Attraverso le traduzioni di Darmesteter, Bartholomae, Lommel e di altri i testi canonici dello zoroastrismo sono pervenuti a più larga cerchia e la religione mazdaica è oggetto di attente indagini.

Intanto anche le iscrizioni cuneiformi dell'età degli Achemenidi, già ricordate dagli antichi e rivelate nuovamente all'Occidente da P. della Valle, attraverso un tenace lavorio durato circa un secolo, venivano decifrate. La prima trascrizione di una parte delle iscrizioni di Persepoli fatta da Carsten Niebuhr nel 1765 fornì la base ai primi tentativi di Tychsen, G. F. Grotefend, che riuscì a stabilire il valore di 9 segni, di S. de Sacy, R. Rask; E. Burnouf, sulla base di trascrizioni fatte dal viaggiatore F. E. Schulz d'iscrizioni di Elvend e di Van, riuscì a stabilire il valore di varî segni (Mémoire sur deux inscr. cunéiformes, Parigi 1836) e il carattere dialettale del persiano delle iscrizioni. Si ebbero in seguito altre scoperte di Lassen, Westergaard, Holtzmann, e infine, per merito di sir H. Rawlinson che copiò direttamente e illustrò la grande iscrizione di Dario a Bīsutūn e la pubblicò insieme con tutte le iscrizioni allora note (1846-47), il deciframento delle iscrizioni cuneiformi persiane si poté dire compiuto. Il nuovo materiale venuto in luce particolarmente negli scavi di Susa (Roland G. Kent, The recently published Old Persion Inscriptions, in Journ. of the Amer. Orient. Society, LI, pp. 189-240) e l'elaborazione filologica dei testi hanno consentito di porre in giusta luce il valore delle iscrizioni degli Achemenidi, sia dal punto di vista storico, sia da quello linguistico.

Anche i testi medievali sia epigrafici, sia letterarî sono stati fatti particolarmente in questi ultimi decennî oggetto di studio. La conoscenza della dialettologia iranica si è molto avvantaggiata della scoperta di testi buddhistici cristiani e manichei in varî dialetti iranici, fatta nel Turkestān cinese. Numerose monografie, raccolte di testi e grammatiche, sono state infine dedicate ai dialetti moderni. In base a tutti questi elementi, è stato possibile fissare anche nel suo sviluppo storico le linee essenziali della dialettologia iranica.

Nello studio della storia politica dell'Iran gli orientalisti hanno avuto e hanno il prezioso concorso degli storici dell'antichità classica. Le indagini archeologiche fatte da missioni occidentali in varie provincie hanno dato risultati notevolissimi sia dal punto di vista storico sia da quello archeologico. All'indagine dell'età preislamica specialmente dal punto di vista religioso e culturale hanno collaborato con gl'iranisti occidentali i dotti pārsi, depositarî dell'antica tradizione zoroastriana. Invece la Persia islamica, come campo di studio, ha fatto corpo con il mondo musulmano. Stretti legami con l'orientalismo indoiranico ha lo studio della storia della lingua e della cultura armena e quello del tocarico, la lingua indoeuropea i cui testi, in prevalenza buddhistici, sono stati trovati insieme con i testi iranici nel Turkestān cinese.

Turcologia.

Lo studio dei Turchi, per desiderio di conoscere e per necessità pratiche, si afferma fin dal sec. XIII nelle relazioni di viaggiatori (M. Polo, Giovanni da Pian del Carpine, ecc.); ma sin qui non siamo nel campo filologico. Invece agl'inizî del sec. XIV fu compilato il primo dizionario d'un dialetto turco ad uso degli Europei, il Codex Comanicus (parlata dei Comani delle rive settentrionali del Mar Nero), che si conserva nella Marciana a Venezia.

Nei secoli XIV-XV, benché diventino frequenti le notizie di persone che furono prigioniere fra i Turchi (come il bavarese Schiltberger, l'anonimo transilvano di Mühlbach, i vicentini Francesco e Maria Angiolello), non si può parlare ancora di turcologia, e nemmeno nel secolo XVI, copioso di relazioni di viaggiatori, ambasciatori e prigionieri (il fiorentino Cambini, il genovese Menavino, ecc.).

Una cronaca ottomana portata nel sec. XVI da Costantinopoli in Germania fu tradotta e pubblicata negli Annales Sultanorum Otmanidarum del Löwenklau a Francoforte nel 1588. L'interesse per la storia dei Turchi, basato anche sui testi nella loro lingua, andò crescendo e si esplicò in lavori e compilazioni scarsamente documentate (Sansovino); si ebbero ancora traduzioni di storie turche (Bratutti, R. Carli) più o meno attendibili e fedeli. L'importanza assunta dalla potenza dei Turchi ‛osmānlī fece convergere l'attenzione degli studiosi specialmente sulla descrizione dello stato ottomano, sui suoi ordinamenti politici e militari (Ricaut, Marsigli, Guer, Tavernier). Furono compilati nel sec. XVII alcuni dizionarî elementari (Molino, D'Abbaville) e nello stesso secolo si redassero le prime grammatiche di turco ‛osmānlī, del Megiser edita a Lipsia nel 1612, di P. della Valle finita nel 1621 (restò manoscritta), di Du Ryer edita a Parigi nel 1630 e 1634. Il frate G. M. Maggio fu il primo a dare nel 1643 una grammatica del turco del Caucaso. Il Meniński (1623-1698) nel 1680-1687 stampò il Thesaurus linguarum orientalium, in quattro volumi, specialmente dedicato alla lingua turca.

Alla fine del sec. XVIII lo studio della storia e della vita e degli usi dei Turchi si estese a un campo più vasto e fu condotto con intendimenti più dotti; il Deguignes con la Histoire Générale des Huns, des Turcs et des Mogols (voll. 5, Parigi 1756-1758), cercò di compilare una storia generale dei Turchi e dei popoli affini; l'armeno D'Ohsson, Ministro di Svezia a Costantinopoli, nel suo Tableau général de l'Empire ottoman (Parigi 1787), fornì un'opera notevole di informazioni; il veneto G. B. Toderini diede nella Letteratura Turchesca (Venezia 1787) il primo lavoro ampio sulla letteratura dei Turchi ottomani, e l'austriaco J. von Hammer con la Geschichte des Osmanischen Reiches 1ª ediz., 1827-1835) e con le opere sui Tatari della Crimea e sulla poesia ottomana concluse il lavoro di erudizione dei suoi tempi e aprì la via a nuovi studî.

A elevare il metodo scientifico della turcologia e a indirizzare le ricerche speciali contribuirono specialmente il tedesco Böhtlingk, autore di uno studio sulla lingua dei Jakuti (Berlino 1851); i due ungheresi Ármín Vámbéry (1832-1913), che s'interessò delle lingue dell'Asia Centrale e pubblicò il primo monumento della lingua scritta in caratteri uighuri (il Kutadghu Bilik, Innsbruck 1870) e Géza Kuun (morto nel 1907), il quale pubblicò il Codex Comanicus (Budapest 1880); i russi V. V. Radlov (nato a Berlino nel 1837, morto a Pietrogrado nel 1918), autore di importanti ricerche sulla fonetica delle lingue turche del Nord (Lipsia 1882) e di una raccolta in dieci volumi di canti e racconti popolari dei Turchi dell'Asia Centrale (Proben, ecc., Pietroburgo 1866-1904), ecc., Katanov (1862-1922), professore di turco nell'università di Kazan′, Smirnov di Kiev, W. Barthold (1869-1930), il migliore illustratore della storia e dell'etnografia dell'Asia Centrale nel Medioevo, Melioranskij (morto nel 1906), i francesi Pavet de Courteille, autore di pubblicazioni sul turco dell'Asia Centrale, E. Chavannes e Blochet, che trassero profitto anche dallo studio dei testi cinesi. Un nuovo impulso ricevette la turcologia dalla scoperta e dal deciframento fatto nel 1893 dal Thomsen (morto nel 1926) delle iscrizioni turche dell'Orkhon (sec. VIII d. C.). Dopo i congressi di orientalisti di Roma e di Amburgo (1899-1902) si fondò un'Associazione internazionale per lo studio dell'Asia Centrale e dell'Estremo Oriente; furono molto attive la sezione centrale di Pietroburgo e quella di Budapest, che dal 1899 al 1922 pubblicò la Revue Orientale (Keleti Szemle), ricchissimo archivio di studî turchi e uralo-altaici.

Ancora alla fine del secolo XIX e agli inizi del XX fino al 1914 gli studî furono promossi dalle scoperte fatte nel Turkestān cinese o orientale, dal quale i tedeschi A. Grünwedel e A. von Le Coq (morto nel 1930) il russo Kozlov, il francese Pelliot e l'inglese A. Stein portarono molti materiali in lingua turca dei Turchi Uighur dei secoli XII-XIV aventi interesse linguistico e culturale.

Nell'ultimo trentennio gli studi turcologici si sono affermati:

1. nella linguistica, con lavori di Houtsma, K. Foy, C. Brockelmann, W. Bang, von Gabain, F. W. K. Müller, J. Németh, N. K. Dmitrijev, A. Samojlovič, Čōbān-Zādeh, Ašmarin, N. Poppe, A. Sauvageot, J. Deny, P. Pelliot, T. Kowalski, G. Raquette, L. Bonelli. Si studiano i dialetti turchi dell'Europa orientale, dell'Asia Anteriore e Centrale, si pubblicano testi antichi e glossarî. La parentela delle lingue uralo-altaiche continua a essere studiata, ma si propende a considerare a sé il gruppo delle lingue altaiche (turco, mongolo, tunguso), che presentano evidenti affinità.

2. nella storia; etnografia e letteratura dei Turchi con lavori di W. Barthold, J. Marquart, F. Giese, F. Babinger, P. Wittek, Fr. Kraelitz, J. H. Mordtmann, M. Hartmann, J. Rypka, H. W. Duda, G. Jacob, H. Ritter, Th. Menzel, Fr. Taeschner, I. Kúnos, L. Fekete, E. J. W. Gibb, Cl. Huart, J. Deny. Molti lavori sono sparsi nelle riviste; da notare la collezione Türkische Bibliothek, voll. 26, dal 1904 al 1926, e le Mitteilungen z. Osm. Geschichte, I-II, 1921-I926.

In Italia gli studî di turcologia sono stati elevati a grado di scienza per merito di L. Bonelli, che insegna lingua turca nell'Istituto superiore orientale di Napoli dal 1891. La Turchia da un trentennio partecipa all'attività scientifica nel campo della turcologia per opera di Negīb-‛Āṣim, Zekī Velīdī, Veled Čelebī, Köprülü-Zāde Meḥmed Fu‛ād, Kilislī Rif‛at, Rāghib Khulūṣī, Gia‛fer-Ōghlū Aḥmed. L'Istituto di turcologia fondato nel 1924 nell'università di Costantinopoli ha pubblicato due volumi di un'importante rivista intitolata Türkiyāt Meg???mū'asï. Una società per lo studio della storia turca e una società per lo studio della lingua turca sono state fondate ad Angora nel 1931 e nel 1932. Gli studî turcologici continuano a essere molto coltivati in Russia. Nel 1926 si tenne a Baku il I Congresso di turcologia; la relazione del Barthold relativa agli studî storici fu tradotta da P. Wittek per la Zeit. der deutschen Morg. Ges., LXXXIII (1929), sotto il titolo Der heutige Stand und die nāchsten Aufgaben der geschichtlichen Erforschung der Türken.

Sinologia e iamatologia.

I primi cultori occidentali della lingua e letteratura cinese sono stati senza dubbio, nei primi secoli dell'era volgare, i monaci buddhisti indiani e dell'Asia Centrale. Essi però, con la sparizione del buddhismo in India, non insegnarono mai il cinese in India, ma furono, e in Cina soltanto, traduttori e compilatori di glossarî e scrittori originali. Di guisa che l'opera loro giova oggi bensì agli studiosi europei, ma, nell'India stessa, gli studi sinologici sono stati iniziati oggi soltanto nelle nuove università fondate dagli Europei. Gli Europei giunti in Cina nel sec. XIII seppero senza dubbio parlare il cinese; alcuni anche probabilmente seppero scriverlo; ma non è rimasta alcuna traccia delle loro fatiche. Lo studio della lingua e della letteratura cinese cominciò nel Giappone, tra i missionarî gesuiti che accompagnarono e seguirono S. Francesco Saverio nel 1549. Essi però non riuscirono a superare le difficoltà dell'apprendimento dei caratteri cinesi, e adoperarono prevalentemente trascrizioni in caratteri latini della lingua parlata. S. Francesco Saverio aveva però vista la necessità dello studio della letteratura cinese. Il suo programma, iniziato dal suo confratello Michele Ruggeri, napoletano, dal 1578 al 1588, fu compiuto soltanto dal padre Matteo Ricci (1582-1610), il quale dev'essere considerato il primo sinologo europeo. A lui seguirono senza interruzione i suoi allievi e confratelli, fra cui primeggiano nel sec. XVII gl'italiani G. Aleni da Brescia, L. Buglio e P. Intorcetta siciliani, M. Martini da Trento, A. Vagnoni piemontese, ecc. Ad essi seguono il belga Verbiest, il tedesco A. Schall, ecc. È dovuta ancora a un francescano italiano, il padre Basilio Brollo, la compilazione di un dizionario molto adoperato nel sec. XVIII, e finalmente stampato in Parigi (senza citare il nome dell'autore) dal Des Guignes, nel 1812.

I gesuiti francesi approfondirono questi studî nel sec. XVIII; a uno di essi, il P. Prémare, si deve la Notitia Linguae Sinicae, la prima grammatica scientifica della lingua cinese. Sono ancora da ricordare il P. Gaubil, storico ed astronomo, il P. Amyot, il P. De Mailla, ecc.

Al principio del sec. XIX per la prima volta in Europa l'insegnamento del cinese fu professato a Parigi al Collège de France. Il primo titolare di questo insegnamento, A. Rémusat, dimostrò come anche in Europa lo studio del cinese era possibile. Il suo successore S. Julien approfondì gli studî della sintassi cinese, e insegnò a tradurre con precisione e rigore. La scuola francese si è venuta sviluppando da allora in poi, e si può considerare ancor oggi la prima in Europa. Basti perciò ricordare il nome di E. Chavannes. Le Memorie dell'Accademia delle scienze di Parigi, il Journal Asiatique, il T'oung Pao pubblicato a Leida, il Bulletin de l'École française d'Extrême Orient, dimostrano l'attività dei sinologi francesi.

In Inghilterra lo studio della sinologia è iniziato dai missionarî protestanti. Primo tra essi R. Morrison, col suo monumentale dizionario (1817-1822); seguono la prima completa traduzione dei classici confuciani di J. Legge, le Notes on Chinese Literature di A. Wylie, ecc. Il corpo consolare britannico ha dato valenti sinologi; tra essi primeggia H. A. Giles, il decano dei sinologi europei, professore all'università di Cambridge, autore del più completo dizionario cinese-inglese esistente. Fra i periodici inglesi dedicati alla sinologia primeggiano il Chinese Repository, l'Asiatic Journal di Londra, il Journal of the China branch of the R. A. S., il Bulletin of the School of Oriental Studies di Londra, ecc.

In Italia gli studî sinologici s'iniziano in Firenze con la fondazione delle cattedre del R. Istituto di studî superiori di A. Severini e C. Puini (1863). In Roma l'insegnamento del cinese è iniziato all'università da C. Valenziani nel 1877. L'istituto superiore orientale di Napoli ha dato un contributo poco rilevante alla sinologia, per la vicende del suo ordinamento. Tra i missionarî italiani in Cina va ricordato il padre A. Zottoli, autore del Cursus Literaturae sinicae, Shanghai 1878-1883, opera monumentale in cinque volumi.

In Germania gli studi sinologici si sono sviluppati specialmente nella seconda metà del sec. XIX, e si sono estesi con la fondazione della Scuola orientale dell'università di Berlino e con la fondazione di istituti speciali ad Amburgo, Lipsia, Francoforte, ecc. In Olanda gli studî sinologici iniziati dapprima nelle colonie olandesi, a Batavia, hanno avuto un considerevole sviluppo nell'università di Leida, specie per opera di G. Schlegel, J. M. De Groot, e con una recente fondazione dell'Istituto sinologico diretto da J. L. Duyvendak. Altre cattedre importanti sono state recentemente fondate nielle università di Bruxelles, Göteborg, ecc.

In Russia i missionarî ortodossi del sec. XVIII iniziarono in Pechino una seria scuola filologica. Basta ricordare tra essi i nomi del P. Giacinto Bičurin, dell'archimandrita Palladio, ecc. Notevoli le pubblicazioni dell'università di Pietroburgo, dell'istituto orientale di Vladivostok, ece. Nell'U.R.S.S., dopo un periodo di stasi, gli studî sinologici sono ora coltivati a Mosca e altrove.

Negli Stati Uniti uno dei primi sinologi fu S. W. Williams, autore di uno dei migliori dizionarî cinesi-inglesi. Nel sec. XX gli studî sinologici hanno assunto un considerevole sviluppo.

È stato chiamato con il nome (oggi poco usato) di iamatologia lo studio della lingua e letteratura giapponese, da un nome poetico Yamato, dato anticamente al Giappone. Dopo gli sforzi dei gesuiti del sec. XVI e XVII, e gli studî degli Olandesi del sec. XVIII, lo studio del giapponese si estese in Europa nella seconda metà del sec. XIX, per opera di W. Hoffmann in Olanda, di E. Satow, B. Chamberlain, L. Hepburn in Inghilterra, di H. Rosny in Francia, di A. Severini, C. Puini, C. Valenziani, L. Nocentini in Italia.

L'imponente produzione scientifica giapponese moderna rende necessario in Europa uno studio più completo dell'attività letteraria di questo popolo.

Lo studio del siamese, dell'annamita, del coreano, iniziato dai missionarî del see. XVIII, è stato sviluppato scientificamente dagli Europei nel sec. XIX. Così si dica del mongolo, del manciù, del tibetano, delle lingue minori della Cina del Sud, Lolo, Moso, ecc., per i quali si vedano gli articoli speciali.

Bibl.: In generale: G. Dugat, Histoire des Orientalistes de l'Europe du XIIe au XIXe siècle, Parigi 1868-1870; A. De Gubernatis, Matériaux pour servir à l'histoire des études orientales en Italie, Parigi 1876; Gli studi orientali in Italia negli ultimi cinquant'anni, in Rivista degli studi orientali, V; A. Heyne, Orientalisches Datenbuch, Lipsia 1912.

Semitistica: G. Gabrieli, Manuale di bibl. musulmana, Roma 1916; C. A. Nallino, Le fonti arabe manoscritte dell'opera di L. Marracci sul Corano, Roma 1932; G. Gabrieli, Gli studi orientali e gli ordini religiosi in Italia, Roma 1931.

Filologia indoiranica: E. Windisch, Geschichte der Sanskrit-Philologie und ind. Altertumskunde, I-II, Strasburgo-Berlino-Lipsia 1927-20 (Grundriss der indo-arischen Philologie und Altertumskunde, I, i b), la trattazione è stata interrotta dalla morte dell'autore, tre capitoli della parte 3ª sono stati pubblicati postumi, in Abhdlg. für die Kunde des Morgenlandes, XV, n. 3; H. Oldenberg, Vedaforschung, Stoccarda 1902; L. Renou, Les maîtres de la Philologie védique, Parigi 1928; S. Lévi, La transformation des études sanscrites au cours du XIXe siècle, in Rev. des idées, I, pp. 897-917; W. Wüst, Indisch, in Geschichte der indogerm. Sprachwiss., IV, i (Grundriss der indogermanischen Sprach- und Altertumskunde), Berlino e Lipsia 1929; K. F. Geldner, Avesta-Litteratur, in Grundriss der iranischen Philologie, II, Strasburgo 1896-1904, p. 40 segg.; F. H. Weissbach, Die Altperisschen Inschriften, ibid., p. 64 segg.; H. Reichelt, Iranisch, in Geschichte der indogerm. Sprachwiss., IV, 2, p. 1 segg.; G. Messina, Le scoperte del Turkestan orientale, in La civiltà cattolica, LXXXIII, ii (1932), p. 237 segg.

Turcologia: Fr. Babinger, Die türkischen Studien in Europa bis zum Auftreten Joseph von Purgstalls, in Die Welt des Islams, VII (1919), pp. 103-109; Th. Menzel, Der erste Türkologische Kongress in Baku, in Der Islam, XIII (1927); id., Das heutige Russland und die Orientalistik, ibid., XVI-XVII (1927-28); M. Dostojevskij, W. Barthold. Versuch einer Charakteristik, in Die Welt des Islam, XII, iii (1931); E. Rossi, sguardo generale alla storia degli studi turchi in Italia, in Il Messaggero degli Italiani, di Costantinopoli, del 19 ottobre 1933 (testo turco nella Yeni Türk Mecmuasï, di Costantinopoli, 1933-34, nn. 16-17).

Estremo Oriente: Bibliografie complete degli orientalisti che hanno studiato le lingue dell'Estremo Oriente sono quelle di H. Cordier, Bibliotheca Sinica, Parigi 1904-1908, con supp. fino al 1924; id., Bibliotheca Indo-sinica, Parigi 1916; id., Bibliotheca Japonica, Parigi 1917; A. Wenckstern, Japanese Bibliography, Londra 1905, continuata da O. Nachod, 1926-30. Per l'Italia si veda L. Nocentini, Sinology in Italy, in Journ. of the Ch. Branch of the R. A. S., 1885, pp. 155-172; G. Vacca, Gli studi sull'Asia Orientale, in Riv. di studi orientali, V (1913-27).