ORGANISMI GENETICAMENTE MODIFICATI

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2007)

Organismi geneticamente modificati

Anna Meldolesi

L'espressione organismi geneticamente modificati (OGM) viene utilizzata, in riferimento all'agricoltura, per indicare le piante il cui patrimonio genetico è stato modificato attraverso gli strumenti dell'ingegneria genetica. Generalmente si tratta di piante in cui sono stati inseriti in modo mirato uno o più geni estranei (transgeni) per produrre proteine che normalmente sono assenti in quella specie e possono conferirle caratteristiche agronomiche o qualitative desiderate. Più raramente il DNA estraneo serve a sopprimere l'azione di un gene endogeno responsabile di caratteristiche indesiderate. Queste piante, che sarebbe più appropriato definire transgeniche, vengono contrapposte alle piante convenzionali che, a dispetto del nome, sono state geneticamente modificate anch'esse attraverso approcci biotecnologici diversi (dal semplice incrocio che comporta lo spostamento di migliaia di geni alla volta tra specie sessualmente compatibili, alla mutagenesi indotta da fattori chimici o fisici che introduce mutazioni casuali in un numero ignoto di geni). Sebbene l'ingegneria genetica possa essere considerata un perfezionamento delle tecniche che l'hanno preceduta, e nonostante non esistano evidenze scientifiche per ritenere che le piante transgeniche nel loro complesso comportino un livello di rischio superiore a quelle convenzionali, per ragioni di carattere storico e culturale si è affermata la consuetudine di distinguere le due categorie di piante e regolamentare gli OGM in modo più severo. Il bilancio dei primi dieci anni di commercializzazione degli OGM, dal 1996 al 2005, è in chiaroscuro. Infatti, lo straordinario successo dei prodotti di prima generazione, in termini di superfici coltivate nel mondo, è stato accompagnato da resistenze politiche e culturali che hanno portato all'approvazione di legislazioni e protocolli internazionali ispirati alla precauzione. Questo approccio normativo, che trova il suo epicentro in Europa, ha aumentato notevolmente i costi per immettere sul mercato le piante transgeniche e i prodotti da esse derivati, rallentando lo sviluppo e la commercializzazione di nuovi OGM. Di conseguenza, il numero di combinazioni genetiche che sono arrivate sul mercato nei primi dieci anni è rimasto limitato. Se si esclude qualche successo su scala ridotta, come la papaya resistente al ring spot virus coltivata alle Hawaii, gli agricoltori hanno potuto godere dei vantaggi associati a due tratti soltanto: la resistenza all'attacco di alcune specie di insetti indotta dai geni Bt originari del batterio Bacillus thuringiensis e la tolleranza ad alcuni erbicidi ad ampio spettro, che consente agli agricoltori di eliminare con maggiore facilità il problema delle infestanti. Questi tratti sono stati espressi in piante che servono a produrre materie prime destinate alla lavorazione industriale o al comparto zootecnico: soia, mais, colza, cotone. Quindi, anche se i consumatori di tutto il mondo possono trovare in vendita moltissimi prodotti alimentari contenenti ingredienti vegetali transgenici o derivati da animali nutriti con mangimi transgenici, nel reparto ortofrutticolo la papaya OGM delle Hawaii resta ancora un'eccezione.

Il successo commerciale

Dal debutto commerciale in poi, l'area globale coltivata con OGM è cresciuta ogni anno con ritmi sostenuti. Secondo i dati del 2005, 8 milioni e mezzo di agricoltori hanno coltivato piante transgeniche in 21 Paesi, su una superficie complessiva di 90 milioni di ettari. La pianta transgenica più diffusa è la soia tollerante agli erbicidi, che ormai risulta più utilizzata della varietà convenzionale. Il peso relativo dei Paesi in via di sviluppo è cresciuto costantemente, fino a rappresentare oltre un terzo del totale, a dimostrazione del fatto che i prodotti dell'ingegneria genetica possono rivelarsi vantaggiosi in contesti economicamente molto diversi, dai latifondi dell'America Meridionale ai piccoli appezzamenti tipici di alcuni Paesi asiatici. L'attenzione crescente per il settore dimostrata dai Paesi emergenti - Cina, India, Argentina, Brasile, Repubblica Sudafricana - rappresenta una tendenza incoraggiante per l'adozione della tecnologia nel resto del mondo. La classifica degli Stati maggiormente impegnati nella coltivazione di piante transgeniche è guidata dagli Stati Uniti, che finora hanno rappresentato il centro propulsore delle agrobiotecnologie, seguiti da Argentina, Brasile, Canada, Cina, Paraguay, India, Repubblica Sudafricana, Uruguay, Australia, Messico, Romania, Filippine, Spagna. Il Paese iberico è l'unico in Europa a coltivare OGM a scopo commerciale su una superficie considerevole, ma dal 2005 anche Portogallo, Germania, Francia e Repubblica Ceca hanno seguito l'esempio su scala ridotta. La fine della moratoria di fatto che aveva bloccato il processo delle autorizzazioni dal 1998 al 2004, dunque, è coincisa con qualche segnale di concreta apertura. Le previsioni globali per il 2010 sono ottimistiche: 15 milioni di agricoltori potrebbero coltivare OGM in 30 Paesi su una superficie che potrebbe arrivare a toccare i 150 milioni di ettari.

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La rapida diffusione degli OGM in tutto il mondo costituisce la prova più evidente dei vantaggi che questi prodotti offrono agli agricoltori, stabilizzando o aumentando la produttività, semplificando il lavoro e consentendo, in alcuni casi, di impiegare il tempo risparmiato occupandosi di una seconda semina. Estrapolando i risultati di tutte le analisi comparabili di tipo economico presenti in letteratura, è stata ricavata una stima dell'impatto economico globale degli OGM a partire dal loro debutto commerciale. Grazie alle piante transgeniche, dal 1996 al 2004, gli agricoltori avrebbero guadagnato 27 miliardi di dollari. Il contributo maggiore viene dalla soia, per la quale non sono stati registrati aumenti di produttività ma una sostanziale diminuzione dei costi di produzione (v. figg. 1 e 2).

L'impatto ambientale

La resistenza agli insetti indotta dai geni Bt consente di proteggere il raccolto riducendo le applicazioni di pesticidi. Le piante tolleranti agli erbicidi ad azione totale, invece, permettono di utilizzare un solo prodotto capace di eliminare tutte le infestanti senza danneggiare le piante di interesse, liberando gli agricoltori dal compito di diserbare meccanicamente il terreno prima della semina e poi di controllare la crescita delle infestanti applicando diversi prodotti ad azione selettiva. Questo può tradursi in una riduzione della quantità di erbicidi applicati, anche se al riguardo esistono dati discordanti. L'impatto ambientale degli OGM, comunque, risulta complessivamente positivo sia per le piante resistenti agli insetti sia per quelle tolleranti agli erbicidi. Il modo più semplice per calcolarlo è quello di paragonare il volume totale dei prodotti agrochimici utilizzati nell'agricoltura convenzionale e transgenica. Ma poiché prodotti fitosanitari diversi hanno caratteristiche di tossicità, mobilità e persistenza diverse, è stato proposto di utilizzare un quoziente di impatto ambientale per ettaro, che viene calcolato per ogni prodotto agrochimico e consente di stimare in modo più approfondito l'impronta ecologica dell'agricoltura transgenica. Con questi due approcci è stato stimato che a partire dal 1996 le piante transgeniche hanno fatto risparmiare 172 milioni di chilogrammi di prodotti agrochimici, alleggerendo la loro impronta ecologica del 14%. I benefici maggiori ancora una volta derivano dalla soia, perché questa è la pianta transgenica più diffusa. La riduzione nel numero di applicazioni di pesticidi comporta anche un ridotto consumo di carburante e in generale dell'energia utilizzata per la coltivazione, perciò anche delle emissioni di gas serra. Inoltre le piante tolleranti agli erbicidi consentono di ridurre gli interventi sul terreno e quindi di aumentare i composti del carbonio che rimangono sequestrati nel suolo. La riduzione complessiva delle emissioni ottenuta grazie agli OGM dal 1996 al 2004 sarebbe equivalente alla rimozione dalla circolazione per un anno di 5 milioni di automobili. Riducendo gli interventi meccanici per il controllo delle infestanti, la tolleranza agli erbicidi consente anche di ridurre l'erosione del suolo. Consentendo un aumento delle rese, in prospettiva gli OGM potranno contribuire a coprire la domanda alimentare di una popolazione mondiale in continua crescita riducendo al minimo la messa a coltura di nuove terre e quindi salvaguardando la conservazione degli ecosistemi naturali rimasti.

Il caso cinese

La Cina si sta affermando come un Paese leader in campo agrobiotecnologico e ha identificato gli OGM come uno strumento per raggiungere molteplici obiettivi strategici: aumentare le scorte alimentari, accrescere il reddito degli agricoltori, stimolare lo sviluppo sostenibile e rendere il Paese più competitivo sui mercati internazionali. Lo straordinario successo del cotone Bt, che nel 2005 è stato scelto da 7,5 milioni di piccoli coltivatori cinesi, ha confermato il potenziale degli OGM per il gigante asiatico. Si stima che il cotone transgenico consente di ridurre del 67% le applicazioni di pesticidi, aumentando le rese intorno al 10%, lasciando tempo agli agricoltori per dedicarsi ad altre attività e proteggendoli dalle intossicazioni da pesticidi. È stato calcolato che nel 2010 l'abbassamento del prezzo del cotone legato all'impiego di varietà OGM contribuirà a migliorare di oltre un miliardo di dollari la bilancia commerciale del settore tessile nazionale. Le biotecnologie agrarie in Cina possono contare su oltre cento laboratori, che lavorano su un ampio ventaglio di specie vegetali per introdurre una varietà di tratti spesso diversi da quelli su cui si orienta la ricerca privata occidentale. La priorità riguarda gli stress biotici (batteri, virus e funghi) e in seconda battuta quelli abiotici (siccità, salinità), ma è cresciuto l'interesse anche per il miglioramento qualitativo. In generale Pechino ha concentrato gli sforzi sulle specie vegetali, che sono più importanti per i piccoli agricoltori delle regioni rurali, invece che sui prodotti da esportazione. L'attenzione è puntata principalmente sul riso di cui sono state sperimentate molte varietà resistenti a diversi parassiti, tolleranti agli erbicidi, capaci di crescere con quantità limitate di acqua o in terreni salini, mentre è già stato autorizzato l'uso di batteri azotofissatori geneticamente modificati. Alcune varietà di riso transgenico hanno dimostrato vantaggi notevoli per gli agricoltori che le hanno sperimentate nella fase precommerciale, facendo ridurre le applicazioni di pesticidi dell'80%, aumentando le rese del 6% e riducendo gli episodi di avvelenamento tra i lavoratori. In attesa del via libera delle autorità competenti, alcuni economisti cinesi hanno calcolato che nel 2010 il riso transgenico potrebbe portare nelle tasche dei cittadini cinesi oltre 4 miliardi di dollari all'anno, una cifra di gran lunga superiore agli investimenti nazionali in ricerca e sviluppo nel campo delle biotecnologie agrarie. L'impatto economico del riso sarà quattro volte superiore a quello del cotone, in quanto il cereale asiatico contribuisce in maniera di gran lunga maggiore tanto alla produzione agricola quanto all'occupazione. Gli effetti diretti sulle esportazioni, invece, sarebbero lievi, dal momento che il riso è destinato in gran parte al consumo interno. Questo fatto sta a significare che un'eventuale moratoria nei confronti e a danno del riso prodotto in territorio cinese, decisa dall'Europa oppure da qualche Paese asiatico, avrebbe conseguenze trascurabili.

Le politiche europee

I primi dieci anni di commercializzazione degli OGM sono stati scanditi dalla pubblicazione di un numero crescente di documenti e rapporti scientifici che dimostrano la mancanza di dati sulla nocività di questi prodotti per i consumatori e per l'ambiente: dalla FAO (Food and Agricolture Organization), alla National Academy of Sciences americana, dallémie des sciences francese alla Royal Society britannica, fino alla commissione congiunta dell'Accademia nazionale dei Lincei e dell'Accademia nazionale delle scienze detta dei xl in Italia. Ciò non ha comunque impedito la diffusione di una campagna ostile all'impiego delle biotecnologie in agricoltura. Sin dal 1996 una parte dell'opinione pubblica del vecchio continente ha manifestato una forte ostilità nei confronti degli OGM, motivata in primo luogo dall'avversione verso un modello di agricoltura industrializzata e verso il processo di globalizzazione in corso. Sono stati però i timori per i rischi sanitari e ambientali degli OGM ad allargare la base dei consensi alla campagna, che ha raggiunto il culmine tra il 1998 e il 2000. Non è un caso che il movimento contro gli 'alimenti di Frankenstein', i Frankenfoods, sia partito proprio dal Paese in cui l'opinione pubblica era stata maggiormente provata dall'emergenza dell'encefalopatia spongiforme bovina (BSE). Nel 1998 venne infatti in Gran Bretagna diffusa la notizia secondo cui ratti nutriti con una varietà di patate transgeniche mai entrata in commercio avevano riportato danni all'apparato digerente. La rivelazione venne prontamente smentita dalla comunità scientifica internazionale, ma la campagna ormai era stata avviata. L'anno dopo il dibattito pubblico fu dominato dal caso delle farfalle monarca, una specie la cui sopravvivenza sarebbe stata minacciata dal mais Bt. Studi più approfonditi ben presto hanno dimostrato che gli OGM non costituiscono affatto un pericolo per tali insetti. Ma le polemiche innescate da questi scandali in Europa sono bastati a convincere supermercati e industrie alimentari a boicottare i prodotti transgenici, finché nel giugno 1999 alcuni Paesi membri dell'Unione Europea (Francia, Grecia, Italia, Danimarca e Lussemburgo) si accordarono per proclamare una moratoria di fatto, bloccando le autorizzazioni per nuovi OGM in tutta l'Unione. Fu in questo clima che la Commissione europea decise di avviare un lungo processo di revisione del proprio quadro normativo sugli OGM, già ispirato a un approccio precauzionale, imponendo norme più severe di monitoraggio dei rischi e di etichettatura dei prodotti. Ciò comporto un'ondata di riorganizzazioni industriali che chiuse la stagione delle fusioni e spinse le industrie delle scienze della vita a separare il proprio comparto farmaceutico da quello agrobiotecnologico.

I contraccolpi, dunque, arrivarono anche nei Paesi produttori di OGM, costretti a rallentare la commercializzazione di nuovi prodotti. L'Unione è uscita formalmente dall'impasse nel 2004, mettendo fine alla moratoria di fatto e approvando 17 varietà di mais transgenico da seme nei 25 Paesi membri. La campagna contro gli OGM nel frattempo ha perso gradualmente mordente, ma non si può escludere che l'ostruzionismo europeo possa continuare in altre forme nel breve periodo, per es., attraverso l'emanazione di rigide e severe norme sulla coesistenza con l'agricoltura convenzionale e organica. Uno scenario del genere potrebbe aggravare il contenzioso che gli Stati Uniti e altri Paesi produttori di OGM hanno avviato nel 2003 contro l'Europa in seno all'Organizzazione mondiale del commercio. In mancanza di giustificazioni sanitarie o di tutela ambientale, infatti, le politiche ostili agli OGM possono essere considerate alla stregua di una barriera protezionistica non tariffaria.

In prospettiva, dunque, si può prevedere una graduale apertura dei Paesi dell'Unione alle biotecnologie agrarie. Nel frattempo l'Agenzia per lo sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) ha indicato il rischio che l'approccio precauzionale europeo possa condizionare le decisioni dei Paesi in via di sviluppo ancora indecisi, privandoli della possibilità di scegliere liberamente quale politica adottare, sulla base di una valutazione di rischi e benefici effettuata su scala locale. Non tutti gli Stati hanno le risorse per dotarsi di infrastrutture di tipo occidentale e garantire l'applicazione di un sistema di controlli calibrato sui rischi potenziali. Inoltre fra i governi africani è diffuso il timore che l'adozione di una politica favorevole agli OGM possa mettere a rischio le esportazioni agricole verso l'Europa. Di certo la campagna contro gli OGM ha avuto in qualche caso conseguenze paradossali, come nel 2002, quando il governo dello Zambia nel mezzo di una grave siccità ha bloccato la distribuzione degli aiuti alimentari inviati dagli Stati Uniti temendo che potessero contenere sementi transgeniche.

Nuovi standard di biosicurezza

I pericoli considerati in relazione agli OGM sono molteplici e possono essere suddivisi in due grandi categorie: i rischi per la salute dei consumatori (tossine, allergeni) e quelli per l'ambiente (flusso genico, ovvero diffusione dei transgeni a specie vegetali affini; effetti indesiderati su specie non target). Ma non esiste ragione di ritenere che gli OGM attualmente in commercio comportino rischi nuovi o maggiori rispetto alle piante convenzionali, di cui vengono continuamente prodotte nuove varietà dotate di nuove combinazioni genetiche. Sono descritti in letteratura, per es., casi di piante convenzionali (sedano, patata), sviluppate attraverso l'incrocio di specie affini, che contenevano livelli preoccupanti di tossine. E sono stati documentati casi di flusso genico in cui combinazioni genetiche nuove, introdotte con le biotecnologie convenzionali, si sono diffuse ad altre varietà sessualmente compatibili.

Eppure le attuali regole discriminano nettamente tra piante prodotte con metodi convenzionali e quelle prodotte con l'ingegneria genetica. È esemplare il caso della soia tollerante agli erbicidi di cui esistono sia varietà transgeniche sia convenzionali: nonostante siano del tutto simili e in linea di principio comportino un livello di rischio analogo, soltanto le prime sono severamente controllate ed etichettate. Come ha riconosciuto nel 2001 la Commissione europea presentando i risultati di 15 anni di ricerche sui rischi degli OGM finanziate con fondi comunitari, probabilmente i prodotti transgenici sono ancora più sicuri di quelli convenzionali, proprio perché sono sottoposti a test aggiuntivi che vanno dal profilo di espressione molecolare della pianta ai test tossicologici su cavie.

Nel breve periodo la distorsione della percezione pubblica del rischio rende improbabile qualunque intervento per correggere questo doppio standard normativo, ma sul lungo termine una revisione dei criteri di valutazione del rischio di piante e alimenti appare inevitabile. Un approccio scientificamente fondato richiederebbe di valutare le singole varietà in base alle rispettive caratteristiche e al contesto agro-ecologico in cui devono essere rilasciate, anziché ai metodi utilizzati per svilupparle. Questo consentirebbe di evitare test inutili su varietà di OGM palesemente innocue e di graduare i controlli sulle altre, fino ad applicare regole molto severe per quelle piante transgeniche che in futuro potrebbero comportare rischi reali. Ciò vale, per es., per le piante che saranno utilizzate come bioreattori per produrre sostanze d'interesse industriale come la plastica oppure farmaci e vaccini. Le promesse di quest'ultimo settore di ricerca, talvolta denominato biopharming, appaiono notevoli, in quanto si abbasserebbero i costi di produzione per le molecole d'interesse terapeutico che non possono essere prodotte per sintesi chimica e si cancellerebbe il rischio di contaminazione con patogeni animali, sempre in agguato quando si utilizzano colture cellulari animali. Ma con ogni probabilità, per evitare mescolanze accidentali con piante che entrano nella catena alimentare, si dovranno scegliere come bioreattori specie non edibili (per es., il tabacco). Queste ultime saranno coltivate in ambienti confinati o saranno dotate di meccanismi molecolari di contenimento tali da garantire un elevato livello di biosicurezza.

L'ingegneria genetica presenta diversi vantaggi rispetto alle biotecnologie convenzionali, perché consente di ridurre i tempi di sviluppo delle nuove varietà e consente di accedere a un pool genico più ampio dove cercare il tratto desiderato; inoltre in futuro potrebbe anche permettere interventi di precisione estrema. La crescente attenzione pubblica per i rischi alimentari e ambientali, infatti, ha dato impulso alla ricerca di strategie per minimizzare anche i rischi più remoti. L'espressione dei transgeni potrebbe essere regolata da promotori inducibili, capaci di attivare la produzione delle proteine estranee solo nei tessuti vegetali che richiedono la loro presenza e solo in risposta a determinati stimoli. Per limitare il flusso genico, inoltre, sono state proposte diverse tecniche di contenimento genico che si trovano a diversi stadi di sperimentazione. Sono già state prodotte piante che non producono polline e si sta esplorando la possibilità di inserire i transgeni nel DNA dei cloroplasti anziché in quello del nucleo cellulare, perché generalmente il polline non contiene questi organelli. Un'altra possibilità è dotare la pianta di una sorta di interruttore molecolare che, in seguito a uno stimolo esterno, può rendere sterili i semi. Tra le altre ipotesi c'è quella di rendere le colture geneticamente incompatibili con le piante selvatiche affini, o di modificare lo sviluppo dei fiori in modo che possano autofecondarsi senza aprirsi, oppure di fare in modo che il transgene sia rimosso dal genoma della pianta prima della fioritura.

L'ingegneria genetica di precisione, inoltre, cercherà di dirigere l'inserzione dei transgeni in punti noti del genoma per ridurre al massimo le interferenze con i geni della pianta ricevente. In qualche caso l'obiettivo ultimo potrebbe essere quello di evitare del tutto il trasferimento di DNA estraneo, optando per modifiche mirate dei geni endogeni o degli elementi che ne regolano l'espressione. Il sequenziamento del genoma di un numero crescente di specie vegetali permetterà di capire su quali geni endogeni occorre intervenire per potenziare un certo carattere e, se questo non è possibile, aiuterà a trovare i transgeni utili allo scopo in piante affini a quella di interesse, in modo da evitare i trasferimenti genici tra specie lontane dal punto di vista evolutivo.

La percezione pubblica

Dopo alcuni anni di diffusa ostilità, recentemente i sondaggi più autorevoli condotti agli inizi del 21° sec. negli Stati membri dell'Unione Europea hanno rilevato una crescente apertura nei confronti degli OGM.

La maggioranza del campione di Eurobarometro 2005, infatti, afferma di avere fiducia negli effetti positivi che l'ingegneria genetica (65%) e l'agricoltura high-tech (66%) avranno sulla vita nei prossimi 20 anni. Tuttavia resiste una parte consistente della popolazione (37%) che si dice assolutamente contraria alle piante transgeniche, indipendentemente dalla severità dei controlli effettuati. Secondo alcuni studi l'impopolarità degli OGM sarebbe legata a timori relativi ai rischi alimentari prima che ambientali, ma anche alla percezione di una scarsa utilità e di una bassa accettabilità morale di questi prodotti che sarebbero ritenuti 'innaturali'. Altre indagini mettono in evidenza preoccupazioni sull'equità delle agrobiotecnologie, in particolar modo la presunta asimmetria con cui rischi e benefici sarebbero distribuiti in segmenti diversi della società, e una scarsa fiducia nei confronti della capacità delle istituzioni di difendere il benessere collettivo resistendo alle pressioni economiche. I sociologi non sono arrivati a conclusioni unanimi sul rapporto che esiste tra la quantità di conoscenze di cui si dispone e il grado di sostegno per le moderne biotecnologie agricole, ma tutte le ricerche rivelano una carenza di informazioni e il desiderio diffuso di colmarla. Sulla distorsione della percezione pubblica del rischio di cui soffrono i prodotti dell'ingegneria genetica ha certamente un peso il fatto che i pericoli che appaiono invisibili tendono a generare maggiore ansia rispetto ai pericoli concreti e visibili. Questo tratto psicologico, però, non spiega il diverso atteggiamento registrato dai sondaggi per le applicazioni mediche e alimentari delle biotecnologie, né la diversa sensibilità dimostrata dai cittadini europei rispetto a quelli statunitensi. Certamente la percezione delle biotecnologie agrarie è influenzata dal fatto che, mentre la necessità di sviluppare nuove cure è facilmente comprensibile per chiunque, in Occidente non tutti si rendono conto dell'importanza della ricerca e dell'innovazione in campo agricolo. Il cibo, inoltre, soprattutto in alcuni Paesi europei, riveste una rilevanza culturale e persino d'identità nazionale; ciò contribuisce ad aumentare il divario esistente tra Europa e Stati Uniti, insieme a una molteplicità di altri fattori storici, politici e culturali.

L'ingresso delle biotecnologie sulla scena americana è avvenuto in maniera più graduale, senza interventi normativi straordinari, in una cultura tradizionalmente favorevole alle innovazioni tecnologiche, che ha sempre sostenuto gli investimenti in ricerca e sviluppo e le sinergie tra scienza e mercato. Gli OGM, inoltre, hanno potuto contare sul sostegno di istituzioni che godono della fiducia dell'opinione pubblica, come la Food and Drug Administration. Queste condizioni non si sono verificate sulla sponda opposta dell'Atlantico: pur se può essere considerata la culla delle biotecnologie agrarie perché ha ospitato alcuni esperimenti cruciali negli anni Ottanta, l'Europa non ha dimostrato pari capacità di pianificazione strategica, incontrando seri problemi nel tentativo di armonizzare gli approcci dei diversi Stati membri all'interno di un sistema politico comunitario ancora in via di costruzione. Nel vecchio continente le biotecnologie agrarie non hanno potuto contare su un modello di sviluppo economico condiviso, né su istituzioni che godessero di altrettanta autorevolezza, anzi hanno scontato il peso degli insuccessi nella gestione degli scandali alimentari del passato. Mentre negli Stati Uniti gli OGM sono stati accolti come uno strumento utile per risolvere il problema del calo dei redditi agricoli e sostenere le esportazioni, in Europa sono stati vissuti come una minaccia dalle associazioni di categoria preoccupate per la concorrenza internazionale in un momento di riforma delle politiche agricole comunitarie e di ridimensionamento dei sussidi.

La mancanza di spazi estesi occupati da ecosistemi selvatici tipica dell'Europa, inoltre, potrebbe aver favorito una percezione delle campagne come aree naturali da preservare, portando a identificare gli OGM con il processo di industrializzazione dell'agricoltura già in corso. La campagna mediatica europea, infine, è stata più sbilanciata a favore degli oppositori delle biotecnologie agrarie. Le strategie di marketing delle industrie produttrici, però, non hanno tenuto in sufficiente considerazione le differenze esistenti tra le due sponde dell'Atlantico.

Le prossime generazioni di OGM

I prodotti di prima generazione presentano caratteristiche utili in primo luogo per gli agricoltori. In futuro però dovrebbero arrivare sul mercato anche prodotti progettati per rispondere alle esigenze dei consumatori, per es. eliminando la presenza di sostanze endogene allergeniche o tossiche, oppure aumentando la concentrazione di sostanze utili dal punto di vista nutrizionale, come vitamine e minerali. Su un totale di oltre 10.000 sperimentazioni su campo condotte negli Stati Uniti fino al 2004, il 18% ha riguardato piante modificate per migliorare la qualità degli alimenti. Nel 1997 ha ottenuto il via libera alla commercializzazione negli Stati Uniti una varietà di soia ad alto contenuto di acido oleico, particolarmente adatta per rendere l'olio di soia stabile alle alte temperature, ma la sua diffusione ha risentito del clima di diffidenza nei confronti degli OGM. Nuovi prodotti a elevato valore dietetico-nutrizionale aspettano di entrare sul mercato in un momento più propizio, tra questi compaiono soia e colza arricchite con acidi grassi omega 3. Il prodotto più noto è certamente il riso arricchito di provitamina A, sviluppato da un istituto di ricerca svizzero per alleviare una delle carenze alimentari più diffuse nei Paesi in via di sviluppo, che uccide o priva della vista centinaia di migliaia di bambini ogni anno. Diversi laboratori di Filippine, Vietnam, India, Bangladesh, Cina e Indonesia lavorano per produrre varietà locali di questo riso dai chicchi dorati, noto come golden rice, e nel 2005 un'industria privata ha annunciato di aver sviluppato a scopo non profit un secondo prototipo, dotato di un contenuto di provitamina A, 20 volte più elevato rispetto al primo. Un altro filone di ricerca in forte accelerazione è la produzione di piante resistenti alla siccità. Se i buoni risultati ottenuti su soia, riso e mais nelle sperimentazioni in serra e in campo fossero confermati e replicati nelle varietà tropicali, allora l'Africa avrebbe uno strumento utile per combattere le crisi alimentari che la affliggono ciclicamente per la scarsità di precipitazioni e potrebbe avviare un processo simile alla Rivoluzione verde che negli anni Sessanta e Settanta del 20° sec. ha trasformato l'agricoltura asiatica. Gli ostacoli maggiori verso un impiego delle biotecnologie a favore dei Paesi più poveri non sembrano risiedere nei diritti di proprietà intellettuale, quanto nella scarsità dei finanziamenti pubblici per la ricerca agricola e nell'approccio precauzionale delle politiche internazionali.

Altri filoni di ricerca sono così proiettati nel futuro da apparire fantascientifici. Invece di accontentarsi di spostare singoli geni o gruppi ridotti di geni che collaborano alla creazione di piccole reti metaboliche, alcuni gruppi di ricerca inseguono l'obiettivo di trasferire caratteri complessi che richiedono il coordinamento dell'attività di decine di geni. Per aumentare la produttività di piante, che rivestono un ruolo fondamentale per l'alimentazione umana, sarebbe necessario riuscire a replicare l'efficiente macchinario fotosintetico tipico del mais nel grano o nel riso. Ma c'è anche chi lavora per piegare la biologia alle istanze di equità globale, in modo che le varietà di sementi ibride più sofisticate diventino finalmente accessibili anche per gli agricoltori più poveri. Lo sviluppo degli ibridi ha contribuito all'aumento globale delle rese, perché le piante ottenute dall'incrocio di due linee pure diverse hanno prestazioni agronomiche superiori a quelle delle piante parentali. Per sfruttare questo fenomeno detto vigore dell'ibrido, però, occorre acquistare ogni anno i semi prodotti per incrocio dalle compagnie sementiere. Se invece si semina parte del raccolto dell'anno precedente, come fanno gli agricoltori poveri dei Paesi in via di sviluppo, le rese degli ibridi subiscono una flessione, diversamente da quanto accade con le linee pure.

Una soluzione potrebbe risiedere nella riproduzione asessuata, che consente a centinaia di specie vegetali di produrre semi geneticamente identici alla pianta madre. Se fosse possibile trasferire questo carattere alle specie di rilevanza agronomica che ne sono prive, non solo si ridurrebbero tempi e costi per lo sviluppo e la produzione di nuovi ibridi, ma gli agricoltori potrebbero finalmente riciclare i semi senza penalizzare le rese.

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