Orfismo

Dizionario di filosofia (2009)

orfismo


Movimento la cui fondazione è tradizionalmente attribuita al mitico cantore Orfeo. La questione dell’o. è apparsa complessa fin dall’antichità, e sembra che Aristotele esprimesse dubbi perfino sull’esistenza di Orfeo (Sulla filosofia, framm. 7 Ross). Tale circostanza si riflette sulle tendenze della critica moderna, che è passata da una fase di acritica accettazione della tradizione, che vedeva presenze orfiche dappertutto (il cosiddetto panorfismo), a una fase ipercritica (Wilamowitz, Dodds), e infine, recentemente, a una rivalutazione della tradizione. A parte le testimonianze letterarie, quella di Platone in primo luogo, che ha sicuramente recepito dall’o. il dualismo corpo-anima, le testimonianze dirette erano affidate soprattutto alle «laminette orfiche», istruzioni per il viaggio dell’anima nell’aldilà vergate su sottilissime lamine dorate trovate in alcuni sepolcri orfici di Roma, della Magna Grecia, di Creta e della Tessaglia (6°-2° sec. a.C.). Da esse sembrava risultare una dicotomia tra una corrente ascetica, orfico-pitagorica, e una corrente orfico-dionisiaca, che prometteva una beatitudine più materiale. Tuttavia la pubblicazione nel 1978 di tre lamine ossee di Olbia (5° sec. a.C.) ha radicalmente cambiato questo scenario, perché le istanze ‘pitagorico-ascetiche’ in esse rilevabili sono sempre collegate al nome di Dioniso. Questa scoperta restituisce credibilità al mito centrale dell’o., incentrato intorno a questa divinità. Tra i fondamentali concetti della misteriosofia orfica è quello della purificazione (testimoniato, per es., in Platone, Repubblica, II, 364 e), cioè la necessità di riscattare la mescolanza di cose estranee da cui deriva l’impurità: l’anima caduta nel mondo terreno è il segno di questa indebita mistione, che ha causato l’origine stessa dell’uomo sulla Terra. Si ha inoltre una escatologia di condanna per coloro che non si curano di purificarsi (che si concreta sia nelle punizioni dell’Ade sia nella reincarnazione in corpi inferiori attraverso il ciclo delle rinascite) e un’escatologia di premio, che nella testimonianza di Platone consiste in una sorta di ebrietà-estasi eterna nel «banchetto dei puri» (Repubblica, II, 363 c-d). Direttamente connessa con i temi di purificazione ed escatologia è la dottrina della metempsicosi (➔). La condanna orfica del corpo è anch’essa attestata in un noto luogo platonico (Cratilo, 402 b) in cui è stabilita l’equazione σῷμα=σῆμα, che però non è attribuita agli orfici, per i quali tuttavia il corpo sarebbe, se non proprio una tomba, un carcere che da ogni parte cinge l’anima e la tiene in custodia, come si dice nello stesso testo, attribuendo questa posizione «a quelli che sono con Orfeo». In base a questa e altre testimonianze platoniche, ciò che si condanna non è tanto il corpo, quanto la caduta dell’anima in esso, il quale è dunque custodia (φρουρά) nel senso ambivalente del termine. Altro notevole aspetto della religiosità sofica orfica è la speculazione teogonica e cosmogonica, di cui sono figure centrali il Tempo, la Notte primordiale e l’uovo cosmico, nonché l’esoterismo e il carattere iniziatico delle dottrine. Elementi di pensiero orfico si trovano, oltre che in Platone, in Pitagora, Empedocle e Ferecide di Siro e si conserveranno nello gnosticismo e in tutta l’antichità pagana post-classica, fino ai filosofi neoplatonici.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata