Ordinamenti giudiziari e professioni giuridiche

Enciclopedia delle scienze sociali (1996)

Ordinamenti giudiziari e professioni giuridiche

Alessandro Pizzorusso

di Alessandro Pizzorusso

Ordinamenti giudiziari e professioni giuridiche

Le diverse professioni che presuppongono una formazione giuridica

'Professioni giuridiche' sono quelle attività intellettuali che presuppongono in chi le compie una formazione comprendente studi di diritto. Esse consistono nell'esercizio di funzioni giurisdizionali o amministrative, di attività di rappresentanza, assistenza o consulenza legale di persone che siano parti di una controversia, di insegnamento delle discipline giuridiche e di ricerca scientifica nei corrispondenti campi.Le funzioni giurisdizionali sono esercitate da soggetti che normalmente ne sono investiti nella loro qualità di organi dello Stato, oppure in virtù di un accordo delle parti della controversia. In alcuni paesi le funzioni inerenti alla carica di giudice e a quella di pubblico ministero sono assegnate a soggetti legati allo Stato da un rapporto di pubblico impiego, mentre in altri sono assegnate a termine a soggetti che operano come funzionari onorari (elettivi oppure designati in considerazione della loro qualificazione professionale). Nei paesi in cui esiste una magistratura di carriera i suoi componenti costituiscono talora un unico corpo, mentre in altri casi più corpi comprendono separatamente i giudici e i pubblici ministeri, oppure i giudici ordinari e taluni giudici speciali (amministrativi, militari ed eventualmente altri).

Le funzioni di rappresentanza, assistenza e consulenza legale sono per lo più riservate agli iscritti in appositi albi (i quali operano sulla base di un rapporto di lavoro autonomo, stabilito volta per volta con il cliente), ma in alcuni casi sono svolte anche da pubblici impiegati o da funzionari onorari. Quando funzioni di questo tipo (ad esempio quelle di difesa dello Stato) sono affidate a pubblici impiegati, anch'essi possono costituire un corpo simile a quelli sopra menzionati (come, ad esempio, l'avvocatura dello Stato, che opera in molti paesi). In alcuni casi si hanno anche organizzazioni di avvocati che provvedono alla difesa dei non abbienti (legal aid), oppure di particolari interessi pubblici o di enti diversi dallo Stato.Sono generalmente comprese fra le professioni giuridiche anche alcune attività ausiliarie di quelle testé indicate, come quelle proprie degli assistenti (clerks e simili), dei cancellieri (greffiers e simili), dei segretari giudiziari e di altri funzionari o liberi professionisti che in vario modo collaborano con i magistrati e con gli avvocati. Fra questi sono da annoverare anche i periti e gli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, nonché i detectives che cooperano alla difesa degli imputati o delle parti civili nel processo penale.Un ruolo particolare è quello proprio dei notai, i quali, insieme a funzioni di consulenza, esercitano anche poteri pubblici attinenti alla redazione di atti giuridici dotati di una particolare forza probatoria. In senso più lato possono essere considerate come professioni giuridiche anche tutte quelle che implicano l'esercizio di funzioni amministrative (da parte di soggetti pubblici e privati) le quali comportino l'attuazione di leggi e regolamenti.

Sicuramente compresa fra le professioni giuridiche è infine quella del drafter, cioè del consulente del governo o del parlamento che si occupa della redazione dei testi legislativi; ma, in senso lato, tutta l'attività dei funzionari parlamentari e di coloro che analogamente collaborano con i titolari di altri organi costituzionali può essere considerata esercizio di una professione giuridica.L'insegnamento del diritto si pratica, oltre che nelle facoltà di giurisprudenza delle università, in alcuni istituti di istruzione secondaria e in alcune scuole professionali, pubbliche o private. La formazione dei magistrati, degli avvocati, ecc. è talora assegnata ad apposite istituzioni pubbliche, come ad esempio l'École nationale de la magistrature che prepara i nuovi magistrati francesi e cura la formazione permanente di quelli in servizio, ma in molti paesi è affidata quasi esclusivamente all'iniziativa dei singoli o delle rispettive organizzazioni di categoria. In particolare, la formazione dei giuristi inglesi nell'ambito della legal profession ha costituito, soprattutto in passato, una delle differenze principali fra la tradizione giuridica sviluppatasi nell'area della common law e quella continentale.La ricerca scientifica nel campo del diritto si svolge prevalentemente nelle università e negli istituti di ricerca, ma sono frequenti i casi di collaborazione di singoli giuristi con istituzioni pubbliche o private interessate alle applicazioni pratiche dei risultati dell'indagine teorica.

'Ordinamenti giudiziari' sono quei settori degli ordinamenti giuridici degli Stati che disciplinano, sotto il profilo organizzativo, le attività dei giudici, dei pubblici ministeri e dei loro collaboratori; essi sono in vario modo raccordati con gli ordinamenti della professione di avvocato, che assumono per lo più il nome di 'ordinamenti forensi'. Per altro verso gli ordinamenti giudiziari e quelli forensi, ove questi ultimi siano distinti dai primi, si contrappongono - ma anche si raccordano - agli ordinamenti processuali, i quali regolano le attività giudiziarie che debbono essere attuate, dal giudice e dalle parti, per la risoluzione delle concrete controversie. Distinti ordinamenti hanno altresì il notariato e le altre professioni giuridiche sopra ricordate.In questo articolo si esamineranno soprattutto i modelli di ordinamento giudiziario e forense che trovano attuazione nei paesi che forniscono sotto questo profilo gli esempi più interessanti.

L'evoluzione storica dell'ordinamento giudiziario francese

L'evoluzione dell'ordinamento giudiziario francese riveste particolare importanza a causa dell'influenza che le vicende di quel paese esercitarono, soprattutto nel corso del XIX secolo, sugli avvenimenti prodottisi in altri paesi dell'Europa continentale, nonché, fuori d'Europa, nelle aree che in passato sono state soggette al dominio coloniale della Francia o comunque hanno subito l'influenza francese. In virtù di questi sviluppi, infatti, il sistema giudiziario di questo paese è tradizionalmente considerato come il modello tipico dell'area della civil law, anche se in tale ambito, come vedremo, troviamo alcune varianti di questo sistema che presentano un certo rilievo (per area di civil law si intende quella comprendente i paesi le cui tradizioni giuridiche si sono sviluppate sulla base del diritto romano, in contrapposizione all'area di common law, che comprende l'Inghilterra e gli altri paesi che non hanno subito tale influenza: cfr. Atlante di diritto privato comparato, a cura di F. Galgano, Bologna 1992).

Per descrivere le fasi di questa evoluzione non è necessario risalire la storia di Francia oltre il XVIII secolo; occorre però ricordare soprattutto come, durante il periodo in cui questo paese fu governato secondo i canoni della monarchia assoluta, le funzioni giurisdizionali fossero considerate di competenza del sovrano, il quale le esercitava sia personalmente (nelle forme della justice retenue), sia delegandole a organi composti di giuristi (nelle forme della justice déléguée), in regime di indistinzione dei poteri (v. Royer, 1995, pp. 23 ss.).

Giustizia delegata fu così quella amministrata dall'antica curia regis, che nell'esercizio delle funzioni giudiziarie a partire dal XIII secolo assunse la denominazione di parlement e che divenne gradualmente un organo giudiziario permanente composto di giuristi di professione. A partire dal XV secolo, parlamenti provinciali vennero ad aggiungersi a quello di Parigi e la loro struttura si assestò secondo precise regole organizzative, le quali contemplavano, tra l'altro, la vendita delle cariche e la corresponsione ai magistrati di compensi (épices) gravanti sulle parti. Pratiche, queste, che furono oggetto di censure sempre più frequenti nel corso del XVIII secolo, quando, inoltre, i parlamenti si posero in conflitto con il sovrano a causa dei loro orientamenti conservatori che li indussero, tra l'altro, a contrastare le riforme auspicate dagli illuministi.

Motivo di discussione fu in particolare l'esercizio da parte dei parlamenti di poteri sostanzialmente normativi, attraverso l'emanazione degli arrêts de règlement, con i quali enunciavano norme generali e astratte cui si sarebbero attenuti in avvenire nella decisione delle controversie concrete, e mediante le remontrances, con le quali dettavano condizioni per la registrazione degli atti del sovrano (ibid., pp. 58 ss.).

Questo insieme di circostanze fu causa della forte impopolarità di questa magistratura e quindi della sua soppressione all'indomani della Rivoluzione del 1789, a seguito della quale furono istituiti organi giudiziari composti di persone che non esercitavano professionalmente le relative funzioni (l'art. 5 del titolo III della Costituzione del 3 settembre 1791 affermava: "Le pouvoir judiciarie est délégué à des juges élues à temps par le peuple") e un Tribunal de cassation, établi auprès du corps législatif, il cui compito era di assicurare il rispetto da parte dei giudici delle leggi adottate dall'assemblea elettiva: si cercava così di impedire, tra l'altro mediante il référé législatif - con il quale il giudice chiedeva al legislatore l'interpretazione autentica della legge da applicare al caso -, qualunque forma di interpretazione giurisprudenziale della legge (legge del 27 novembre-1° dicembre 1790). La giustizia era così amministrata da juges de paix e da Tribunaux de district, mentre nella materia penale si faceva ricorso alla giuria. Non venivano istituiti giudici d'appello, perché le impugnazioni venivano portate dinanzi a un altro tribunale di pari livello. Anche l'ordine degli avvocati fu abolito e fu istituita la difesa d'ufficio.

Questo assetto, che tendeva a realizzare la formula di Montesquieu secondo la quale i giudici dovevano costituire un potere "en quelque façon nul", cioè esercitabile in modo diffuso e privo di una propria organizzazione che ne facesse un corpo o un'istituzione, ebbe però breve durata e un nuovo ordinamento si venne assestando durante il regime napoleonico su basi molto diverse. L'ordinamento giudiziario che ne derivò ebbe come suo criterio fondamentale la configurazione dei magistrati come funzionari statali, dotati di formazione giuridica ma nominati dall'esecutivo e inquadrati in una carriera analoga a quelle degli altri pubblici dipendenti. I nuovi uffici giudiziari furono i Tribunaux de première instance (competenti anche a giudicare in appello sulle decisioni dei juges de paix) e i Tribunaux d'appel, poi denominati Cours d'appel, mentre il Tribunal de cassation divenne la Cour de cassation, privilegiando il suo ruolo giudiziario su quello originariamente derivantegli dal collegamento col potere legislativo. Per la materia penale si consolidò il ruolo delle corti d'assise e fu ricostituito il pubblico ministero. L'ordine degli avvocati fu ristabilito, ma le sue prerogative furono attenuate dall'attribuzione al procuratore generale di poteri di sorveglianza sull'esercizio della professione forense. La professione fu riorganizzata attraverso l'attribuzione di funzioni distinte agli avocats e agli avoués: ai primi spettava provvedere alla difesa delle parti, agli altri la loro rappresentanza (questa distinzione è stata poi soppressa da una legge del 1971). Il sistema, assestatosi sulla base della legge napoleonica sull'ordinamento giudiziario del 20 aprile 1810, si è tramandato con alcuni adattamenti fino ai giorni nostri ed è stato recepito in molti paesi dell'Europa continentale e nei paesi extraeuropei più esposti all'influenza francese.

Fra le modificazioni più importanti che sono sopravvenute si deve ricordare quella del 1958, che ha istituito i Tribunaux de grande instance in luogo dei Tribunaux de prèmiere instance (la cui giurisdizione era stata estesa già nel 1926 dal livello di arrondissement a quello di département) e i Tribunaux d'instance in luogo dei juges de paix.Solo nel 1906 fu adottato il sistema del concorso per la selezione dei nuovi magistrati, poi modificato nel 1958 con la creazione dell'École nationale de la magistrature, la cui frequenza consente di combinare la selezione dei concorrenti con la preparazione professionale degli 'uditori' (come i neomagistrati sono denominati, sia in Francia che in Italia). Tuttavia al reclutamento mediante concorso si affiancano forme di reclutamento per titoli e di nomina diretta alle funzioni giudiziarie.

Per quanto riguarda la carriera, tentativi di differenziarla da quella propria dei funzionari amministrativi si ebbero soprattutto con l'attribuzione di funzioni consultive a commissioni di avanzamento e poi a un organo denominato Consiglio superiore della magistratura. Tuttavia solo con la riforma costituzionale del 1993 (cui ha fatto seguito la legge organica del 5 febbraio 1994, n. 100), i poteri di quest'organo in materia di nomine dei magistrati sono divenuti più incisivi (cfr. T. Renoux e M. De Villiers, Code constitutionnel, Paris 1994, pp. 509 ss.).Uno statuto distinto è stato sempre proprio degli addetti agli uffici del pubblico ministero (procure e procure generali, istituite presso i vari tribunali e corti), benché essi siano retti da magistrati che formano un unico corpo con quelli addetti agli uffici giudicanti. Questa differenza si traduce in un minor grado di indipendenza, sia dei singoli sostituti nei confronti del capo dell'ufficio, sia delle procure in genere nei confronti del ministro della Giustizia (v. sotto, § 2b).

Giudici ordinari e giudici speciali

La concezione dell'attività amministrativa come diretta al perseguimento di obiettivi fissati in via generale dalla legge (o addirittura dalla costituzione) è relativamente recente; essa infatti ha potuto svilupparsi una volta chiarita la distinzione concettuale dell'attività amministrativa, da un lato dall'attività normativa, dall'altro dall'attività giurisdizionale. Durante l'ancien régime, infatti, queste distinzioni erano malcerte anche fra i teorici e soprattutto erano difficilmente riscontrabili nella pratica, dal momento che il monarca riuniva in sé tutti i poteri.

In particolare, la distinzione fra amministrazione e legislazione era resa molto difficile dalla concezione del potere normativo del monarca come limitato da un diritto naturale variamente configurato, ma comunque capace di disciplinare la generalità delle fattispecie, nei confronti del quale il diritto legislativo derivante dai decreti regi si collocava in una posizione tendenzialmente subordinata. Analoghi problemi presentava la distinzione fra amministrazione e giurisdizione (cfr. L. Mannori, Diritto amministrativo dal Medioevo al XIX secolo, in Digesto delle discipline pubblicistiche, vol. V, Torino 1990, pp. 178-179 e nota 28).

Indipendentemente dal grado di attuazione concreta che il principio della separazione dei poteri ha ricevuto nei vari paesi dalla Rivoluzione francese in poi, una maggiore consapevolezza della distinzione tra le diverse funzioni sotto il profilo concettuale, quale è stata progressivamente conseguita nel periodo successivo, ha consentito di pervenire a una più chiara determinazione del ruolo dell'amministrazione, distinguendolo da quello proprio della funzione legislativa per il fatto di operare mediante atti concreti, riferibili a fattispecie determinate, anziché destinati a regolare fattispecie astratte (come è proprio invece, almeno di regola, della legge), e da quello proprio della funzione giurisdizionale per il fatto di operare sulla base di indirizzi generali destinati a essere attuati in una generalità di ipotesi, anziché in modo episodico, nei limiti derivanti dall'iniziativa di chi ha promosso un'azione giudiziaria.In questo modo è stato possibile chiarire come l'attività amministrativa si sviluppi sempre in osservanza del 'principio di legalità', e quindi nell'osservanza di norme di legge e sulla base di esse, ma anche come l'impulso a tale attività non provenga soltanto dalle enunciazioni di principio contenute nella legge (ed eventualmente addirittura nella costituzione), ma nasca altresì nell'ambito dell'attività di indirizzo politico, ripartita fra i vari organi costituzionali e amministrativi secondo le diverse regole adottate nei diversi paesi. Si è pervenuti così alla formazione del 'diritto amministrativo', comprendente l'insieme delle regole che disciplinano l'organizzazione amministrativa, cioè i soggetti titolari della funzione amministrativa, e di quelle sulla base delle quali si svolge l'attività amministrativa, che della funzione stessa costituisce l'esercizio.

La diffidenza diffusasi contro l'opera dei giudici, già ricordata sopra, indusse l'Assemblea costituente francese ad adottare la legge del 16-24 agosto 1790, la quale fece divieto ai giudici di interferire in alcun modo con l'esercizio delle funzioni amministrative (art. 13) e al tempo stesso dispose l'abolizione delle giurisdizioni speciali preesistenti (artt. 16 e 17) al fine di eliminare i privilegi che esse comportavano e di attuare così l'eguaglianza di tutti i cittadini.Dato che il divieto fatto ai giudici di interferire nella sfera della pubblica amministrazione veniva a frustrare l'esigenza di garantire il rispetto della legge da parte dell'amministrazione stessa (e quindi a disattendere il principio dello 'Stato di diritto', elaborato nel corso del XIX secolo in Germania e recepito anche in Francia e altrove), si cercò di far fronte all'esigenza di assicurare forme di giustizia amministrativa mediante la previsione di un sistema di ricorsi rivolti all'amministrazione stessa e poi evolutisi (soprattutto a partire dalla riforma francese del 1872) fino ad assumere i caratteri di una giurisdizione separata dalla giurisdizione ordinaria, ma dotata di garanzie tendenzialmente simili.

Le principali tappe di questa evoluzione furono rappresentate dall'attribuzione al Consiglio di Stato della competenza a giudicare sui ricorsi dei privati mediante i quali si deducesse l'illegittimità di un atto amministrativo e dalla regolamentazione di procedure per la risoluzione degli eventuali conflitti fra giudici amministrativi e giudici ordinari. In Francia queste procedure hanno determinato una situazione di prevalenza dei giudici amministrativi, a tutela della cui competenza vigila il Tribunal des conflits, presieduto dal ministro della Giustizia e composto di tre magistrati di cassazione, tre consiglieri di Stato e altri componenti cooptati.

È da ricordare altresì la distinzione dottrinale e giurisprudenziale che fu elaborata, a partire dal famoso arrêt Blanco (Tribunal des conflits, 8 febbraio 1873, in "Dalloz", 73.3.17), per distinguere gli atti di diritto privato della pubblica amministrazione sulla base della devoluzione alla giustizia amministrativa dei ricorsi mediante i quali si deducano vizi dell'azione amministrativa in materia di gestione dei servizi pubblici, salvo i casi di intenzionale ricorso dell'amministrazione a un contratto di diritto privato (cfr. M. Waline, Traité élémentaire de droit administratif, Paris 1952⁶, pp. 59 ss. e 576 ss.). Il sistema della giustizia amministrativa francese è stato poi sviluppato mediante l'istituzione di giudici amministrativi di primo grado e di appello, collocandosi il Consiglio di Stato in una posizione per molti aspetti simile a quella che occupa la Corte di cassazione in relazione alla giurisdizione ordinaria.

Organizzazione gerarchica degli uffici giudiziari e carriera dei magistrati

La magistratura francese è organizzata in modo che i suoi componenti, i quali appartengono tutti a un unico corpo, operano in uno degli uffici giudiziari 'giudicanti' (corti e tribunali) oppure 'requirenti' (procure e procure generali), al quale sono destinati all'atto della prima nomina o sono successivamente trasferiti. A ciascuno di tali uffici è assegnato un certo numero di posti dell'organico ai quali sono collegate determinate funzioni, che in taluni casi sono funzioni specifiche, come quelle di presidente o vicepresidente del tribunale o della corte, di procuratore o procuratore aggiunto, mentre in altri sono quelle generiche di giudice civile o penale, giudice istruttore, giudice minorile, giudice di sorveglianza, sostituto procuratore, ecc.

Tutti i magistrati sono inoltre distinti in quattro categorie denominate 'secondo grado', 'primo gruppo del primo grado', 'secondo gruppo del primo grado' e 'fuori gerarchia' e, all'interno dei gradi, in scaglioni di anzianità. I singoli posti compresi nell'organico dei vari uffici sono riservati ai magistrati di una di queste categorie, i quali possono accedere a posti delle categorie superiori soltanto in seguito a successive promozioni, conseguite sulla base della loro anzianità o per scelta.In questo modo si sviluppa una vera e propria carriera burocratica la quale, pur essendo in prevalenza determinata dall'anzianità, è esposta anche alle decisioni dell'autorità che amministra la magistratura stessa, decisioni mediante le quali il magistrato è promosso, trasferito, ecc. Questa autorità è il ministro della Giustizia e ne deriva (e soprattutto ne derivava in passato) una subordinazione della magistratura all'esecutivo assai pericolosa per la sua indipendenza. Per ovviare a questo inconveniente sono state adottate una serie di misure, che comprendono la nomina per concorso (v. Royer, 1995, pp. 609 ss.), la formazione di un tableau d'avancement e soprattutto la presentazione di una proposta o di un parere da parte del Consiglio superiore della magistratura in relazione ai singoli provvedimenti.

Per quanto riguarda poi i rapporti fra i magistrati all'interno dell'ufficio (cioè la questione dell'indipendenza 'interna', da distinguere dall'indipendenza 'esterna', che si riferisce ai rapporti con gli altri poteri dello Stato) occorre notare che, per gli uffici giudicanti, non sono previste garanzie in ordine all'assegnazione degli affari e alla composizione dei collegi, rimesse l'una e l'altra alla discrezione dei dirigenti; quanto agli uffici requirenti, il principio di opportunità nell'esercizio dell'azione penale (principe de l'opportunité des poursuites, stabilito dall'art. 40 del Codice di procedura penale francese, il cui art. 36 prevede l'invio di instructions écrites de poursuites da parte del ministro al procuratore generale) implica la subordinazione del singolo sostituto alle direttive del procuratore, del procuratore generale e del ministro per quanto riguarda l'esercizio di gran parte delle sue funzioni, salva la libertà di parola del magistrato che esercita le funzioni di pubblico ministero in udienza.

Magistrati professionali e giudici laici; avvocati e notai

Soprattutto con riferimento ai paesi in cui, come in Francia, la funzione giurisdizionale è prevalentemente esercitata da funzionari statali, seppur dotati di uno status professionale particolare, assume notevole importanza la distinzione fra i magistrati di carriera e i 'laici' che esercitano funzioni dello stesso tipo, anche se generalmente di minor rilievo, in qualità di funzionari onorari.

Per i primi l'esercizio delle funzioni giudiziarie costituisce un'attività lavorativa cui essi normalmente si dedicano per tutta la vita, dall'epoca in cui entrano a far parte del corpo dei magistrati fino all'età del collocamento a riposo, e comporta un tipo di professionalità sulla quale incidono per lo più in modo prevalente le esperienze fatte nel corso dell'attività stessa. Questa circostanza favorisce talora la burocratizzazione della funzione e una tendenziale minore recettività alle innovazioni elaborate nell'ambito della ricerca scientifica specificamente rivolta alle materie giuridiche, ovvero derivanti dagli influssi della cultura generale.

Rispetto agli altri pubblici funzionari, tuttavia, i magistrati si distinguono per il fatto di avvalersi di un particolare statuto il quale comporta l'applicazione a essi di una serie di garanzie della loro indipendenza, principale delle quali è l'inamovibilità dalla sede e dalle funzioni.

Sotto questo punto di vista viene considerato anche il modo in cui è regolata la loro responsabilità professionale, la cui disciplina ha avuto una lunga evoluzione nel corso della quale sono state generalmente adottate limitazioni tendenti a sottrarre alle azioni di responsabilità le attività più intrinsecamente proprie della funzione giurisdizionale, quali l'accertamento dei fatti dedotti in giudizio e l'individuazione e l'interpretazione delle norme giuridiche che debbono trovare applicazione in relazione a essi. In base al diritto francese vigente (art. 11-1, dello Statut de la magistrature) i magistrati non sono responsabili altro che delle loro fautes personnelles e tale responsabilità può essere fatta valere soltanto mediante un'azione di rivalsa da parte dello Stato, il quale a sua volta risponde per le attività proprie del service judiciaire soltanto per faute lourde o déni de justice. Più simile a quello vigente per gli altri funzionari è invece il regime della responsabilità disciplinare dei magistrati, che l'ordinamento francese affida attualmente al Consiglio superiore in una composizione particolare (cfr. D. Ludet, Quelle responsabilité pour les magistrats?, in "Pouvoirs", 1995, n. 74, pp. 119 ss.).

I giudici laici, invece, sono per lo più persone la cui preparazione giuridica è soltanto eventuale e comunque non costituisce la ragione principale del loro impiego. Da essi infatti ci si attende, più che le capacità tecniche di un giurista, la capacità di valutare i fatti con buon senso, cioè in modo rispondente alla volontà che in relazione a tali fatti esprimerebbero i cittadini ove avessero modo di pronunciarsi.

Fra le diverse categorie di giudici laici vi sono tuttavia importanti differenze. Il carattere di rappresentanti del popolo è particolarmente rilevante nel caso dei giudici popolari (jurés) che fanno parte delle corti d'assise, ai quali non si richiede tanto una preparazione giuridica, quanto la capacità di apprezzare i fatti; la conoscenza del particolare ambiente cui si riferiscono le controversie da risolvere caratterizza invece gli esperti che fanno parte dei collegi dotati di competenza su settori determinati, come i conseils de prud'hommes competenti in materia commerciale e di lavoro e comprendenti esponenti delle categorie interessate, in quanto tali; invece una più generica capacità di agire secondo equità e buon senso era richiesta dai juges de paix ora soppressi, o dai conciliateurs, istituiti più di recente. A tutte queste categorie si contrappongono poi quelle in cui funzioni giurisdizionali di particolare importanza sono affidate a soggetti scelti in base all'autorità che essi sono in grado di assumere, sia per la loro qualificazione di giuristi, sia per altre attività da essi svolte nell'interesse pubblico, come è ad esempio il caso dei componenti del Conseil constitutionnel.

Gli avvocati francesi sono definiti auxiliaires de justice dall'art. 3, 1° comma, della legge professionale del 31 dicembre 1971, n. 1130, e la loro professione è definita liberale et indépendente dal successivo art. 7. Le regole particolari sull'esercizio della professione sono largamente analoghe a quelle vigenti negli altri paesi europei. Gli ordini degli avvocati si occupano della loro disciplina e della tutela dei loro diritti e della loro funzione (v. Mestitz, 1990).

I notai francesi sono definiti a loro volta dalla loro legge professionale come "les officiers publics établis pour recevoir tous les actes et contrats auxquels les parties doivent ou veulent faire donner le caractère d'authenticité attaché aux actes de l'autorité publique et pour en assurer la date, en conserver le depôt, en délivrer des grosses et expéditions" (art. 1, ord. 2 novembre 1945). Anche questi professionisti hanno delle organizzazioni corporative, costituite dalle camere dei notai e dai consigli regionali e dal Consiglio superiore del notariato (decreto del 19 dicembre 1945 e successive modificazioni).

Funzioni del Ministero della Giustizia e del Consiglio superiore della magistratura

In base al modello di ordinamento giudiziario fondato sulla legge napoleonica del 1810, il ministro della Giustizia è titolare di un complesso di funzioni amministrative che riguardano l'organizzazione e il funzionamento degli uffici giudiziari, analoghe a quelle che gli altri ministri esercitano con riferimento al personale degli uffici da essi dipendenti; abbiamo visto come nei confronti dei magistrati questo rapporto possa risultare pregiudizievole per l'indipendenza che è loro costituzionalmente garantita.

Per attenuare le relative difficoltà, fin dal 1883 fu previsto che nell'esercizio di alcune di tali funzioni intervenisse un organo composto di magistrati e denominato 'Consiglio superiore della magistratura' (v. Royer, 1995, pp. 605 ss.). La Costituzione del 1946 dette per la prima volta rango costituzionale a quest'organo prevedendo una composizione mista che lo rendeva più idoneo a realizzare una qualche forma di autogoverno della magistratura. La Costituzione del 1958 accentuò il carattere eteronomo dell'istituzione, fino a quando - con la revisione costituzionale del 1993 - si è avuta un'inversione di tendenza che ha considerevolmente modificato la struttura e le competenze di quest'organo (art. 65 della Costituzione e legge organica del 5 febbraio 1994, n. 100).

Attualmente il Consiglio, che è presieduto dal presidente della Repubblica e ha come vicepresidente il ministro della Giustizia, opera in due composizioni distinte a seconda che debba occuparsi dei magistrati giudicanti o di quelli del pubblico ministero. Nel primo caso esso si compone, oltre che del presidente e del vicepresidente, di cinque magistrati giudicanti, un magistrato requirente, un consigliere di Stato, e tre personalità designate una dal presidente della Repubblica e una da ciascuno dei presidenti delle due Camere. Nel secondo caso la composizione si differenzia soltanto perché è invertito il numero dei componenti che sono magistrati giudicanti con quello dei requirenti e viceversa.Per quanto riguarda le funzioni, con riferimento ai magistrati giudicanti il Consiglio, oltre a operare come consiglio di disciplina (in questo caso presieduto dal primo presidente della Corte di cassazione), effettua proposte per le nomine dei magistrati giudicanti della Corte di cassazione, dei primi presidenti di Corte d'appello e dei presidenti dei tribunali di grande istanza, mentre le altre nomine di magistrati giudicanti richiedono il suo 'parere conforme'. Con riferimento ai magistrati requirenti, invece, dà soltanto pareri, sia per le nomine, a eccezione di quelle cui provvede il Consiglio dei ministri (le quali riguardano i procuratori generali presso la Corte di cassazione e presso le Corti d'appello), sia per le sanzioni disciplinari.A parte le funzioni strumentali all'esercizio di quelle giurisdizionali, al ministro della Giustizia francese, nella sua qualità di guardasigilli, è attribuito un complesso di altre importanti competenze, fra le quali presentano particolare rilievo quelle attinenti alla funzione legislativa, e principalmente quella relativa alla pubblicazione degli atti normativi.

L'evoluzione storica dell'ordinamento giudiziario italiano

L'organizzazione giudiziaria attualmente funzionante in Italia deriva senza soluzioni di continuità da quella che fu istituita nel Regno di Sardegna dopo l'emanazione dello Statuto albertino, nel quadro delle trasformazioni delle istituzioni dello Stato sabaudo che condussero alla realizzazione di una forma di governo fortemente influenzata dal modello francese postnapoleonico.

Gli artt. 68-73 dello Statuto, che si occupavano dell'ordine giudiziario, contenevano pochi e generici principî. In particolare, l'art. 68 stabiliva che "la Giustizia emana dal re ed è amministrata in suo nome dai giudici che egli istituisce", prefigurando così una magistratura composta da funzionari nominati dall'esecutivo (solo nel 1890 fu introdotto il metodo del concorso per la nomina a uditore).

L'art. 69 stabiliva la garanzia dell'inamovibilità, peraltro intesa come limitata al grado e non alla sede, della quale comunque non beneficiavano i pretori, i magistrati del pubblico ministero e i giudici che non avessero raggiunto tre anni di anzianità.

Dopo una serie di provvedimenti parziali, principale dei quali fu il decreto Rattazzi del 13 novembre 1859, n. 3781, questo tipo di organizzazione trovò compiuta disciplina nel primo testo legislativo italiano denominato 'ordinamento giudiziario', che fu il regio decreto del 6 dicembre 1865, n. 2626, nel quale erano recepite le linee fondamentali dell'ordinamento napoleonico di cui alla legge del 20 aprile 1810.

Fra le modificazioni che l'ordinamento italiano subì negli anni successivi è innanzi tutto da ricordare come, a partire dal 1889 si venne sviluppando un sistema di giudici amministrativi separati dalla magistratura ordinaria, che comportò l'abbandono dell'indirizzo unitario voluto con la legge del 20 marzo 1865, n. 2248, all. E.

Nel periodo che seguì, fino all'avvento del fascismo, si ebbero alcune modifiche le quali, senza discostarsi dalla concezione gerarchica e burocratica della funzione giudiziaria, ampliarono le garanzie di indipendenza del giudice e portarono in particolare all'istituzione, presso il Ministero della Giustizia, dapprima di 'commissioni consultive' composte di magistrati e successivamente del Consiglio superiore della magistratura introdotto con la riforma Orlando del 1907. Anche se i criteri di formazione di questi organi erano tali da escludere ogni rappresentanza dei magistrati di grado inferiore, e i loro poteri consultivi non potevano influenzare in modo sensibile la politica giudiziaria del ministro, tali riforme rappresentarono quanto meno un'affermazione di principio dell'indipendenza della magistratura. Questo ciclo si chiuse con il decreto Rodinò del 14 dicembre 1921, n. 1978, che introdusse ulteriori miglioramenti estendendo l'inamovibilità ai pretori e prevedendo l'elettività del Consiglio superiore, del quale erano ora chiamati a far parte anche quattro professori della Facoltà di Giurisprudenza di Roma.

Il regime fascista eliminò queste riforme ma non andò oltre la restaurazione del sistema gerarchico-burocratico; lo stesso decreto Grandi del 30 gennaio 1941, n. 12, che è l'ultima legge generale intitolata 'ordinamento giudiziario', tuttora in buona parte vigente, non introdusse innovazioni di rilievo; per realizzare i propri fini bastò al fascismo selezionare gli uomini da destinare alle cariche più importanti e accrescere i poteri della polizia. Lo scioglimento dell'Associazione dei magistrati, decretato nel 1925, fu un altro provvedimento tipico di questo periodo.

All'indomani della Liberazione, le rivendicazioni che avevano portato alla riforma Orlando furono riproposte e col regio decreto legge del 31 maggio 1946, n. 511 (detto 'legge sulle guarentigie della magistratura'), adottato durante la fase costituzionale transitoria, furono introdotte una serie di modifiche dell'ordinamento Grandi che ripristinavano le garanzie abolite dal fascismo, perfezionandole ed estendendole ai magistrati del pubblico ministero, per la prima volta sottratti alla dipendenza gerarchica dal ministro della Giustizia.

Un più approfondito riesame dei problemi giudiziari fu poi effettuato dall'Assemblea costituente eletta il 2 giugno 1946, la quale inserì nella Costituzione un importante complesso di regole, molte delle quali si ispiravano a una concezione della magistratura assai diversa da quella francese, secondo gli auspici espressi già nel corso del dibattito sviluppatosi prima del fascismo (v., in particolare, Mortara, 1885 e 1890; v. Calamandrei, 1920 e 1921). Questa impostazione teorica rimase peraltro lungamente sulla carta in quanto la Costituzione fu a lungo disapplicata, e anche quando si avviò quel processo di 'disgelo' costituzionale che portò a una sua lenta attuazione (cfr. E. Cheli, Costituzione e sviluppo delle istituzioni in Italia, Bologna 1978, pp. 57 e 85), questa fu realizzata più attraverso l'opera della dottrina e della giurisprudenza che non del legislatore, tanto che ancor oggi non è stato adempiuto a quanto prescriveva la VII disposizione transitoria finale circa la sostituzione dell'ordinamento Grandi con una "nuova legge sull'ordinamento giudiziario" che fosse - a differenza, ovviamente, della precedente - "in conformità con la Costituzione" (v. Consiglio superiore della magistratura, 1992).

Conseguentemente le istituzioni giudiziarie italiane rimasero per molto tempo quelle che erano prima del fascismo e solo poco per volta - sempre fra grandi resistenze, interne ed esterne alla magistratura - alcuni dei nuovi principî cominciarono a penetrare nella legislazione italiana e a essere applicati nella prassi.Le fasi principali della preparazione di questi articoli della Costituzione risultano dalla discussione della relazione che Piero Calamandrei presentò alla Commissione Forti (cui era affidato il compito di effettuare studi preliminari in vista dei lavori dell'Assemblea costituente che stava per essere eletta), cui seguì la predisposizione della parte della relazione della Commissione stessa riguardante l'ordinamento giudiziario (alla quale collaborarono soprattutto, insieme con Calamandrei, i magistrati Emanuele Piga e Gaetano Azzariti e il prof. Achille D. Giannini); dalla discussione delle ulteriori relazioni che lo stesso Calamandrei, Leone e Patricolo presentarono alla competente Sottocommissione dell'Assemblea costituente e alla quale fece seguito la formazione degli articoli del progetto di costituzione; e infine dal dibattito svoltosi dinanzi all'Assemblea stessa dal 20 al 27 novembre 1947, in modo assai affrettato (data l'urgenza di concludere i lavori), nel corso del quale furono apportati soltanto lievi ritocchi al progetto elaborato dalla Commissione dei Settantacinque.

Fra le enunciazioni della Costituzione che hanno avuto maggior rilievo nella sua fase attuativa occupano una posizione di primo piano la previsione del Consiglio superiore della magistratura come "organo di autogoverno", il principio di precostituzione del giudice e la proclamazione della pari dignità della funzione giurisdizionale quale che sia il soggetto chiamato a esercitarla. A questi tre temi dedicheremo qualche cenno nei paragrafi seguenti, non senza avvertire che molte altre regole costituzionali hanno svolto un'importante funzione per la costruzione di quel nuovo ordinamento giudiziario che è rimasto fin qui in gran parte nei libri degli studiosi e nelle sentenze dei giudici: basti ricordare, per tutti, il principio di obbligatorietà dell'azione penale di cui all'art. 112 della Costituzione, che ha giustificato una rivendicazione dell'indipendenza dei magistrati del pubblico ministero molto più forte di quanto sia possibile in ordinamenti che non contengono tale principio.

La Costituzione, pur vietando in astratto le giurisdizioni straordinarie o speciali (art. 102, 2° comma), ha previsto le giurisdizioni (che non possono non dirsi speciali) del Consiglio di Stato, della Corte dei conti e dei tribunali militari, e i giudici a essi collegati; ha inoltre consentito la revisione delle altre giurisdizioni speciali anteriori (VI disposizione transitoria finale); ha previsto infine un'importante Corte costituzionale che rappresenta uno dei più sviluppati modelli europei di giustizia costituzionale (artt. 134-137).

Il ruolo del Consiglio superiore della magistratura

Delle innovazioni introdotte dalla Costituzione a tutela dell'indipendenza del giudice la più rilevante era indubbiamente quella costituita dall'affidamento del compito di provvedere alle più importanti attività amministrative, strumentalmente necessarie per l'esercizio della giurisdizione, a un organo presieduto dal capo dello Stato e composto per due terzi di magistrati, eletti dagli stessi magistrati, e per l'altro terzo di professori di diritto o avvocati, eletti dal Parlamento (artt. 104-107 e 110).

La prevalenza nel Consiglio dei membri eletti dai magistrati veniva infatti a fare di tale organo un vero e proprio rappresentante del potere giudiziario, così da conferire a quest'ultimo un ambito di autonomia corrispondente ai poteri amministrativi e disciplinari conferiti al Consiglio, mentre la partecipazione a esso del capo dello Stato e dei membri eletti dal Parlamento ne faceva altresì un organo di raccordo fra la magistratura e gli altri poteri dello Stato.

Per l'uno e per l'altro aspetto, quindi, l'istituzione di un Consiglio superiore così composto veniva a dare alla magistratura il rango di un vero e proprio 'potere dello Stato', suscettibile di contrapporsi agli altri e capace di rompere quella dipendenza dall'esecutivo che nel periodo anteriore era stata consentita soprattutto dall'attribuzione al ministro della Giustizia dei compiti inerenti all'amministrazione del personale giudiziario.

L'attuazione delle norme relative al Consiglio - al pari di molte altre fra quelle contenute nella nuova Costituzione - avvenne però tra molte difficoltà e con notevole ritardo. Non solo, infatti, passarono ben dieci anni prima che il Parlamento approvasse la legge destinata a renderne possibile la concreta istituzione, ma tale legge (24 marzo 1958, n. 195) fu altresì redatta in termini tali da stravolgere le indicazioni espresse dalle disposizioni costituzionali al fine di rendere possibile, almeno in certa misura, la conservazione del rapporto di dipendenza della magistratura dal ministro della Giustizia che aveva caratterizzato il periodo anteriore.

Gradualmente tuttavia le maggiori anomalie della legge del 1958 poterono essere rimosse: la sentenza della Corte costituzionale n. 168 del 1963 (in "Foro italiano", 1964, I, col. 3) dichiarò incostituzionale l'art. 11 della legge nella parte in cui riservava al ministro l'iniziativa per le deliberazioni del Consiglio, mentre il sistema di elezione della componente togata fu ripetutamente modificato finché, con le leggi del 22 dicembre 1975, n. 695, del 3 gennaio 1981, n. 1, e del 12 aprile 1990, n. 74, si giunse ad adottare un sistema di elezione di tipo proporzionale, in base al quale i componenti togati sono eletti a scrutinio di lista nell'ambito di quattro collegi territoriali (determinati mediante accorpamento per sorteggio delle varie corti d'appello) per l'elezione di diciotto magistrati di merito, e di un collegio nazionale per l'elezione di due magistrati di cassazione in servizio presso la Corte suprema.

Altri inconvenienti derivanti dalla legge del 1958 furono rimossi, o quanto meno attenuati, attraverso la prassi adottata dal Consiglio stesso che, soprattutto nel corso della sua terza legislatura (1968-1972), e poi a partire dalla quinta (1977-1981), esercitò le sue funzioni in modo molto attivo, così da valorizzare il proprio ruolo costituzionale e difendere abbastanza efficacemente l'indipendenza del potere giudiziario e dei singoli magistrati. Durante la quinta e la sesta legislatura, in particolare, il Consiglio si è trovato a svolgere un ruolo particolarmente delicato, sia nello stimolare l'azione dei magistrati impegnati nella lotta contro il terrorismo, la mafia e la corruzione politica e amministrativa, sia nel difendere i magistrati stessi dagli attacchi di quanti vedevano i loro interessi in vario modo minacciati dalle iniziative giudiziarie. Durante la settima e l'ottava, infine, il Consiglio ha dovuto affrontare una situazione resa particolarmente difficile dagli attacchi politici e giornalistici rivolti contro la magistratura e dal fatto di doversi occupare, senza disporre di mezzi veramente efficaci, di situazioni come quelle degli uffici giudiziari di Palermo, di Napoli e di Reggio Calabria.

Il nucleo principale dei compiti del Consiglio superiore è costituito dalle funzioni di 'amministrazione della giurisdizione', cioè da un complesso di funzioni amministrative ma strumentali all'esercizio delle funzioni giurisdizionali; accanto a esse il Consiglio esercita anche funzioni a carattere normativo e giurisdizionale: giurisdizionali sono i poteri disciplinari esercitati dall'apposita sezione; normativi sono i poteri inerenti alla redazione del regolamento interno del Consiglio e del regolamento sul tirocinio degli uditori, nonché quelli esercitati dal Consiglio per disciplinare la propria attività e l'attività amministrativa dei consigli giudiziari e degli organi giudiziari veri e propri, e riconducibili alla potestà regolamentare di organizzazione. Inoltre il Consiglio viene richiesto di esprimere il proprio parere in relazione ai progetti di legge concernenti i problemi della giustizia.

Le funzioni di amministrazione della giurisdizione possono distinguersi a loro volta in tre gruppi comprendenti rispettivamente le funzioni relative all'organizzazione del Consiglio stesso, quelle riguardanti lo status dei magistrati e quelle relative ai rapporti fra il potere giudiziario e gli altri poteri dello Stato. Le funzioni relative all'organizzazione del Consiglio consistono principalmente nella verifica dei titoli di ammissione dei suoi componenti, nell'elezione del vicepresidente, nella formazione delle commissioni che costituiscono articolazioni interne del Consiglio stesso, ecc. Le funzioni relative allo status dei magistrati sono quelle individuate nell'art. 105 della Costituzione e concernenti le assunzioni, le assegnazioni, i trasferimenti e le promozioni; l'art. 107, 1° comma, stabilisce altresì che il Consiglio deliberi gli eventuali provvedimenti di dispensa o sospensione dal servizio o di destinazione ad altre sedi o funzioni, mentre l'art. 106, 3° comma, prevede che il Consiglio deliberi sull'eventuale nomina a consigliere di cassazione di professori universitari di diritto o di avvocati. L'art. 10 della legge del 24 marzo 1958, n. 195, ha previsto inoltre che il Consiglio deliberi sulle nomine e revoche dei magistrati onorari, nonché degli esperti destinati a far parte delle sezioni specializzate, consentendo, per quando riguarda i conciliatori e gli esperti, la delega dei poteri ai presidenti di Corte d'appello. Altra fondamentale funzione del Consiglio consiste nell'approvazione delle 'tabelle' relative all'assegnazione dei magistrati alle sezioni e alla distribuzione degli affari tra i vari componenti degli organi giudiziari e nel rispondere ai quesiti e ai reclami che gli vengono presentati dai magistrati o anche da altri soggetti pubblici o privati.

La necessità di far fronte ai molti gravi problemi, spesso non risolti da una legislazione sempre più caotica, ha indotto il Consiglio a esercitare talora le proprie funzioni in modo assai impegnato, onde supplire a ogni costo alle carenze organizzative mediante quegli interventi che apparivano indispensabili. Questa linea di condotta ha però attirato su di esso frequenti accuse di 'politicizzazione', che sembrano in realtà giocare su un equivoco (talora probabilmente intenzionale) derivante dalla molteplicità di significati che il termine 'politica' ha nella nostra lingua. Al pari di qualunque soggetto che debba gestire un'azienda (anche se quella comprendente gli uffici giudiziari è sotto molti aspetti un'azienda molto particolare), anche il Consiglio superiore deve necessariamente stabilire degli indirizzi cui uniformare l'attività amministrativa sua e degli organi che da lui dipendono. Ciò significa avere una policy, cioè un complesso di criteri orientativi, ma non significa affatto interferire con le politics, cioè con la politica partitica (come la terminologia inglese esprime molto più chiaramente della nostra).

È da segnalare che organi dotati di competenze simili a quelle del Consiglio superiore della magistratura sono stati istituiti, indipendentemente da una previsione costituzionale, anche per le principali giurisdizioni speciali. Per i giudici amministrativi questo ruolo è stato affidato al Consiglio di presidenza della magistratura amministrativa (artt. 7 ss. della legge del 27 aprile 1982, n. 186); per i giudici contabili al Consiglio di presidenza della Corte dei conti (art. 10 della legge 13 aprile 1988, n. 117); per i giudici militari al Consiglio della magistratura militare (legge del 30 dicembre 1988, n. 561, e decreto presidenziale del 24 marzo 1989, n. 158); per i giudici tributari al Consiglio di presidenza della giustizia tributaria (artt. 17 ss. del decreto legislativo del 31 dicembre 1992, n. 545).

Nell'ordinamento anteriore il ministro della Giustizia era il responsabile del funzionamento delle istituzioni giudiziarie e in particolare dell'attività di repressione dei reati: di conseguenza egli aveva poteri di direzione nei confronti degli uffici del pubblico ministero e mezzi per influire almeno indirettamente, attraverso l'esercizio delle funzioni di amministrazione della giurisdizione, anche sugli organi giudicanti.

A queste funzioni specificamente relative al funzionamento della giustizia si aggiungevano quelle inerenti al suo ruolo di guardasigilli, fra le quali particolarmente importanti erano (e tuttora sono) i poteri inerenti alla pubblicazione degli atti normativi, all'attività di consulenza giuridica e di predisposizione dei disegni di legge e altre competenze diverse.

L'intrinseco collegamento che il ministro della Giustizia realizzava allora fra potere esecutivo e potere giudiziario, a tutto vantaggio del primo, era poi perfezionato dalla struttura organizzativa del ministero, il cui personale era composto principalmente di magistrati, funzionari di cancelleria, ecc., collocati fuori ruolo e comandati a prestare servizio nei suoi uffici amministrativi. La Costituzione repubblicana aveva chiaramente inteso modificare tale assetto quando, quasi in deroga alle proclamazioni dell'indipendenza della magistratura contenute negli artt. 101, 104, 108, ecc., aveva previsto che al ministro della Giustizia spettasse soltanto - a parte gli altri suoi compiti di carattere generale - di esercitare l'azione disciplinare nei confronti dei magistrati (art. 107, 2° comma) e di assicurare "l'organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia" (art. 110).Da ciò sarebbe dovuto derivare un sostanziale ridimensionamento delle funzioni esercitate dal ministro nei confronti dell'attività giudiziaria, riducendole alla vigilanza e all'iniziativa dei provvedimenti del Consiglio superiore o di altri organi giudiziari, e una riorganizzazione degli uffici ministeriali con personale amministrativo, data l'evidente inopportunità della stabile presenza in essi dei magistrati in quanto tali.

Le cose sono andate invece in modo assai diverso, e il ridimensionamento dei poteri del ministro è avvenuto soltanto in parte e con grande difficoltà, data l'accanita resistenza che l'attuazione dei principî costituzionali in questo settore dell'ordinamento ha costantemente incontrato; inoltre i magistrati ministeriali sono rimasti al loro posto e vi si trovano tuttora.

Il principio di precostituzione del giudice

Altra indicazione di grande rilievo per la determinazione dell'assetto della magistratura è quella che deriva dal principio di precostituzione stabilito dall'art. 25, 1° comma, della Costituzione, per il quale "nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge" (cfr., anche per ulteriori riferimenti, R. Romboli, in Il principio..., 1993, pp. 28 ss.).

Dopo che in passato questo principio - accolto, tra l'altro, nell'art. 72 dello Statuto albertino - era stato prevalentemente inteso come sinonimo del divieto di istituzione di giudici straordinari, l'intuizione del nesso che esso presenta col principio di irretroattività per quanto concerne le norme regolatrici della competenza giurisdizionale, già presente nelle proposte avanzate da Piero Calamandrei in vista della redazione della nuova Costituzione, consentì alla Corte costituzionale, a partire dalla sentenza n. 88 del 1962 (in "Foro italiano", 1962, I, col. 1217), di adottarne una più penetrante interpretazione che ne ha arricchito la portata ben al di là di quella dell'art. 102, 2° comma, della Costituzione, che rinnova il divieto di istituire "giudici straordinari o speciali".

Questa portata è stata delineata osservando che l'art. 25, 1° comma, della Costituzione esprime due precetti distinti: da un lato esso istituisce una riserva assoluta di legge in materia di competenza del giudice e conseguentemente vieta che la competenza stessa possa essere determinata in base a fonti secondarie o ad atti non legislativi, salva naturalmente l'opera di interpretazione delle disposizioni normative ai fini della loro applicazione alle concrete situazioni mediante atti non discrezionali; dall'altro lato esso determina, almeno in parte, quale debba essere il contenuto delle norme legislative destinate a regolare la competenza giurisdizionale e prescrive che esse debbano consentire di individuare il giudice competente con riferimento alla situazione esistente anteriormente al fatto da giudicare, escludendo per contro che la determinazione del giudice possa avvenire ex post.

Nel suo primo aspetto il principio costituzionale comporta l'illegittimità di qualunque disposizione o norma legislativa la quale demandi la determinazione del giudice competente a un'autorità diversa dal legislatore, sia essa un giudice, un organo del pubblico ministero o (a maggior ragione) un organo amministrativo o politico o una parte privata (si ritiene però ammissibile che deroghe alla competenza derivino dall'accordo delle parti ove si tratti di giudizi relativi a diritti disponibili). Naturalmente ciò non significa che il giudice non possa compiere tutte le operazioni interpretative necessarie per l'applicazione delle norme sulla competenza, a condizione che ciò non comporti l'esercizio di poteri discrezionali.

Nel suo secondo aspetto il principio comporta invece che le norme regolatrici della competenza debbano venir congegnate in modo che la determinazione del giudice competente possa essere realizzata con riferimento alla situazione normativa preesistente al fatto da giudicare, escludendosi che su di essa possa influire qualunque decisione presa a posteriori.

Questa concezione del principio del giudice naturale ha ricevuto importanti conferme sul piano dell'indagine scientifica e nel corso dell'evoluzione giurisprudenziale, ma due problemi soprattutto sono tuttora in qualche misura aperti: si tratta del problema concernente la riferibilità del principio del giudice naturale all'ufficio giudiziario oppure alla persona fisica dei componenti l'organo giudicante, e del problema dell'identificazione o meno della 'naturalità' del giudice con la sua 'precostituzione'.

Quanto al primo problema, nonostante l'orientamento che ritiene che il principio riferibile al giudice-persona fisica sia nettamente prevalente fra i commentatori, notevoli resistenze sono state opposte a esso dalla giurisprudenza costituzionale e comune, evidentemente preoccupata che si rendesse troppo macchinosa l'individuazione del giudice e la formazione dei collegi. La soluzione più corretta appare quella adottata dal legislatore con la previsione dell'inserimento nelle tabelle biennali di criteri per l'assegnazione degli affari e per la sostituzione dei giudici impediti, la cui osservanza assicura la precostituzione del giudice inteso appunto come persona fisica o complesso di persone fisiche.

Quanto al secondo problema, è invece specialmente la dottrina processual-penalistica che ha cercato di accreditare un'interpretazione dell'art. 25, 1° comma, della Costituzione, in base alla quale esso sarebbe destinato a tutelare non soltanto la precostituzione del giudice, ma anche altri valori costituzionali come l'imparzialità, l'idoneità, la specializzazione del giudice, ecc.; poiché tuttavia questi valori sono in realtà già protetti da altre disposizioni della Costituzione, questo preteso ampliamento della portata del principio rischia di indebolire quello che invece sembra essere il suo nucleo essenziale, e ciò trova riscontro in talune incertezze della giurisprudenza.

L'importanza dell'affermazione costituzionale del principio di precostituzione deriva in particolare dalla circostanza che ammettere un legittimo interesse delle parti a rivendicare l'immutabilità del giudice significa riconoscere che il principio pluralistico, per il quale è legittima la professione di idee e opinioni diverse, si applica anche ai magistrati nell'esercizio delle loro funzioni, quanto meno nella misura in cui tali idee e opinioni possono influenzare l'attività interpretativa del giudice. Naturalmente ciò non significa affermare che ciascun singolo magistrato debba esercitare le proprie funzioni in modo assolutamente libero, ma significa riconoscere che, entro i limiti derivanti dalle regole tecniche che la disciplinano, l'interpretazione della legge da parte del giudice non deve essere limitata da verità assolute che non facciano parte del comando giuridico stabilito dalla legge.

Lo status professionale dei magistrati e quello degli avvocati e dei notai

L'altra indicazione costituzionale che più radicalmente si presentava in contrasto con la disciplina anteriore era quella contenuta nell'art. 107, 3° comma, secondo il quale "i magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni": questa disposizione comportava infatti, se non addirittura una totale ristrutturazione dei rapporti fra gli organi giudiziari, al fine di porli tutti sullo stesso piano dal punto di vista organizzativo e funzionale, quanto meno un'incisiva revisione della disciplina dello status professionale dei magistrati.

Una lunga serie di interventi legislativi ha in effetti modificato l'assetto previsto dall'ordinamento giudiziario del 1941, dapprima per eliminare gli otto 'gradi' in cui i magistrati (e i corrispondenti posti dell'organico) erano divisi, sostituendoli però con una divisione in quattro 'funzioni' che hanno un'analoga portata pratica; poi per abolire i vari tipi di concorsi che consentivano la progressione nella carriera, sostituendoli con giudizi di idoneità fondati sul principio che la progressione dev'essere assicurata in base all'anzianità senza demerito; infine per consentire la progressione 'a ruoli aperti', che permette agli idonei di assumere una posizione superiore (con il relativo trattamento economico) pur senza esercitarne effettivamente le funzioni (cioè conservando le funzioni precedenti).

Questo complesso di misure però, spesso adottate per effetto di pressioni di carattere sindacale, ha sconvolto la vecchia carriera senza tuttavia sostituirla con un sistema razionale che eliminasse gli inconvenienti del sistema gerarchico-burocratico in nome dei nuovi principî costituzionali. Conseguentemente, i difetti del vecchio sistema sono stati evitati soltanto in parte e nuovi problemi si sono posti, in particolare per effetto della realizzazione di un nuovo tipo di carriera che passa, piuttosto che per i concorsi, per l'assunzione di funzioni extragiudiziarie e di quelle di dirigente degli uffici.

L'equiparazione così introdotta fra tutti i magistrati, quanto alle prospettive di carriera economica, non è stata però accompagnata da rimedi capaci di assicurare un adeguato livello di professionalità. Ciò ha determinato non lievi inconvenienti, i principali dei quali sono l'impossibilità di garantire la preparazione tecnica dei magistrati (non potendosi ritenere sufficiente ai fini dell'esercizio delle funzioni giudiziarie di qualunque livello il superamento degli esami universitari e del concorso per uditore) e l'attribuzione al Consiglio superiore di un potere almeno teoricamente amplissimo nell'assegnazione degli uffici direttivi e, in genere, dei posti più importanti.La responsabilità disciplinare dei magistrati è tuttora in attesa di una tipizzazione degli illeciti, inutilmente richiesta dagli stessi magistrati, e viene conseguentemente stabilita dalla sezione disciplinare del Consiglio, spesso sulla base di una giurisprudenza pretoria. Grandi dibattiti sono stati dedicati invece, in Parlamento e nel paese, al tema della responsabilità professionale, che ha costituito l'oggetto di un referendum abrogativo spregiudicatamente gestito da una classe politica che stava per essere travolta dalla sua stessa corruzione e poi è stato regolato da una legge che, nel confermare la responsabilità del magistrato per colpa o diniego di giustizia, non ha potuto però non escludere ogni responsabilità per l'attività di interpretazione di norme di diritto e di valutazione del fatto e delle prove (legge del 13 aprile 1988, n. 117).

Gli esercenti la professione forense si dividono in quattro categorie a seconda che siano iscritti nel registro dei praticanti, nell'albo dei procuratori, in quello degli avvocati o nell'albo speciale per il patrocinio dinanzi alla Corte di cassazione e alle altre giurisdizioni superiori.

I praticanti procuratori sono laureati in giurisprudenza che abbiano ottenuto l'iscrizione nell'apposito registro con conseguente abilitazione (dopo un anno dall'iscrizione) all'esercizio professionale dinanzi alle preture del distretto in cui è compresa la loro residenza.

L'iscrizione nell'albo dei procuratori - che si consegue a seguito di un apposito esame - conferisce il diritto di esercitare la professione davanti a tutti gli uffici giudiziari del distretto in cui è compreso l'ordine circondariale presso il quale si è iscritti, nonché davanti al tribunale amministrativo regionale competente sul distretto medesimo.

L'iscrizione nell'albo degli avvocati - che si consegue a seguito del superamento di un ulteriore esame oppure per anzianità - dà invece diritto di esercitare la professione davanti a tutte le Corti d'appello, i tribunali e le preture della Repubblica e alle giurisdizioni speciali non qualificabili come 'superiori'.Gli avvocati iscritti all'albo speciale tenuto dal Consiglio nazionale forense - per anzianità - possono altresì esercitare la professione dinanzi alla Corte di cassazione, al Consiglio di Stato, alla Corte dei conti in sede giurisdizionale, al Tribunale superiore delle acque pubbliche e alla Corte costituzionale.

La tenuta degli albi spetta ai consigli dell'ordine; quella dell'albo speciale al Consiglio nazionale forense, il quale è altresì competente a decidere sui ricorsi avverso le decisioni dei consigli locali.

L'attività professionale degli avvocati e dei procuratori dà luogo a un rapporto di lavoro autonomo con i loro clienti, che ha come suo presupposto, ove si tratti di prestazioni giudiziali, l'atto di procura col quale viene conferito lo jus postulandi, mentre, ove si tratti di prestazioni stragiudiziali, ha come presupposto il conferimento dell'incarico, che è normalmente verbale. Nei giudizi penali, tuttavia, l'incarico al difensore può essere conferito anche con dichiarazione orale verbalizzata nell'interrogatorio, oppure può derivare dalla nomina come difensore d'ufficio da parte del giudice o del pubblico ministero.

Gli avvocati e procuratori sono soggetti all'osservanza di un complesso di regole disciplinari, in parte stabilite dalla legge e in parte derivanti dalla deontologia professionale formatasi in base alle tradizioni della categoria. Il controllo dell'osservanza di tali norme è demandato ai consigli dell'ordine. Il Consiglio nazionale forense esercita il potere disciplinare sui componenti dei consigli locali e giudica sui ricorsi contro le loro decisioni.

I consigli dell'ordine esercitano inoltre un complesso di competenze relative alla determinazione dei compensi spettanti agli avvocati e ai procuratori per la loro attività. Il Consiglio nazionale forense determina periodicamente le tariffe professionali fissando i massimi e i minimi delle singole voci. Le tariffe così determinate sono soggette ad approvazione da parte del ministro della Giustizia e, una volta approvate, sono vincolanti per il giudice che deve provvedere alla liquidazione delle spese e degli onorari.

La Cassa nazionale di previdenza e assistenza per gli avvocati e i procuratori si occupa della previdenza e assistenza degli iscritti agli albi.Generalmente inadeguate sono ritenute le norme destinate ad attuare l'assistenza giudiziaria che lo Stato dovrebbe assicurare ai 'non abbienti' in applicazione dell'art. 24, 3° comma, della Costituzione.Norme speciali riguardano il patrocinio dello Stato (ed eventualmente di altri enti pubblici), che è demandato a un'apposita istituzione, denominata Avvocatura dello Stato e composta di funzionari operanti alle dipendenze della presidenza del Consiglio dei ministri, anche se con un certo grado di autonomia. L'Avvocatura dello Stato ha ope legis lo jus postulandi per qualunque amministrazione statale e per gli altri soggetti equiparati e quindi non ha bisogno di essere investita di volta in volta dei singoli affari con apposito atto di procura. Gli avvocati dello Stato sono assunti a seguito di un concorso riservato a funzionari statali con qualificazione giuridica e il loro status professionale è per molti aspetti simile a quello dei magistrati.

L'ordinamento professionale dei notai (cfr., per maggiori indicazioni, V. Varano, Notaio e notariato, in Enciclopedia giuridica, vol. XXI, Roma 1990) è quello di una libera professione, nonostante essi esercitino pubbliche funzioni (analoghe a quelle che abbiamo visto a proposito dei notai francesi), occupino posti stabiliti in un organico, siano qualificabili (a vari fini) come pubblici ufficiali e svolgano attività dotate di rilevanza pubblicistica (e siano inoltre soggetti a controlli del tutto simili a quelli propri dei pubblici funzionari).

I notai operano nell'ambito dei distretti notarili, la cui circoscrizione corrisponde a quella del tribunale. In ciascun distretto si forma un collegio notarile, comprendente tutti i notai in esso radicati, e da esso è eletto un consiglio notarile. In sede nazionale operano il Consiglio nazionale del notariato, per la tutela degli interessi della categoria, e la Cassa del notariato, che ha funzioni previdenziali e assistenziali. La sorveglianza sui notai è di competenza dei procuratori generali presso le Corti d'appello, dei procuratori della Repubblica e del ministro della Giustizia.

L'ordinamento giudiziario tedesco

Rispetto a quelli vigenti negli altri paesi dell'Europa continentale, con i quali condivide i principî generali in materia di indipendenza del giudice, vincoli all'osservanza della legge, ecc., l'ordinamento giudiziario tedesco presenta una serie di particolarità dovute al carattere federale dello Stato e all'attribuzione ai Länder della maggior parte delle competenze amministrative in materia di giustizia (peraltro in gran parte regolate dalla legge federale, in base ai principî costituzionali): ciò comporta, ad esempio, che il reclutamento dei magistrati professionali avvenga nell'ambito dei Länder stessi, sulla base di una procedura di selezione di candidati i quali abbiano superato, dopo la frequenza dei corsi universitari, un doppio esame comune ad altre professioni giuridiche (tra le quali l'avvocatura), e che l'ulteriore carriera si sviluppi all'interno del Land e sia gestita dal suo ministro della Giustizia. Solo le nomine alle giurisdizioni federali, che rappresentano l'ultimo grado della gerarchia delle impugnazioni, sono gestite dal Parlamento federale (v. Cappelletti, 1957; v. Pederzoli, 1992).

Le cinque giurisdizioni federali, previste dalla Costituzione, sono il Bundesgerichtshof, competente in materia civile e penale, il Bundesverwaltungsgericht, competente in materia amministrativa, il Bundesfinanzhof, competente in materia tributaria, il Bundesarbeitsgericht, competente in materia di controversie del lavoro, e il Bundessozialgericht, competente in materia sociale (art. 95 della Costituzione).

Un importante complesso di funzioni è poi assegnato al Bundesverfassungsgericht con sede in Karlsruhe, che costituisce una delle più complete giurisdizioni costituzionali di tipo europeo; esso può essere adito, in sede di controllo della costituzionalità delle leggi, sia in via principale, su ricorso del Bund, di un Land, di un terzo dei componenti del Bundestag o di altri soggetti - ivi compresi i semplici cittadini, mediante la Verfassungsbeschwerde -, sia in via incidentale a seguito di rimessione della questione da parte di un giudice che debba applicare la legge da lui ritenuta incostituzionale. Tale organo esercita inoltre altre importanti competenze, fra cui quelle sulla costituzionalità dei partiti politici, sulla perdita dei diritti fondamentali da parte di chi ne abbia abusato e sulle accuse contro il presidente federale o contro i giudici (artt. 93, 94 e 100 della Costituzione e legge del 12 marzo 1951 e successive modificazioni).

L'ordinamento giudiziario spagnolo

A differenza dei sistemi giudiziari fin qui esaminati, quello fondato sulla Costituzione spagnola del 1978 accoglie senza riserve il principio di unità della giurisdizione (art. 117, 5° comma), cui deroga soltanto - astrazion fatta dalla giurisdizione costituzionale - per consentire la conservazione entro stretti limiti di una giurisdizione militare. Il principio di unità della giurisdizione è attuato, in particolare, mediante l'istituzione, presso i tribunali dei vari gradi, di sezioni del contenzioso amministrativo e di sezioni sociali, che si affiancano alle altre specializzazioni più comuni.Nonostante l'art. 149, 1° comma, n. 5 della Costituzione attribuisca allo Stato competenza esclusiva in materia giudiziaria, l'art. 152, 2° comma, prevede che anche le Comunità autonome possano assumere un complesso di compiti relativi a questa materia e che l'organizzazione giudiziaria operante nell'ambito di una Comunità autonoma trovi il suo vertice in un Tribunal superior de justicia operante nell'ambito di essa. Ciò tuttavia senza pregiudizio della competenza del Tribunal supremo, unico per tutta la Spagna e previsto dall'art. 123 della Costituzione (v. Andres Ibañez e Movilla Alvarez, 1986, pp. 237 ss.; v. Diez-Picazo, 1991, pp. 87 ss.). Il contemperamento dei due principî nell'attuazione pratica ha dato luogo a qualche difficoltà.Lo statuto dei magistrati spagnoli, cui sono attribuite garanzie costituzionali assai ampie (cfr. J.L. Requejo Pagés, Jurisdición e independencia judicial, Madrid 1989; J. Montero Aroca, Independencia y responsabilidad del juez, Madrid 1990), è quello proprio dei pubblici funzionari; esso è qualificato, in particolare, dall'accoglimento del principio di precostituzione del giudice e dall'attribuzione al Consejo general del poder judicial delle funzioni occorrenti per l'organizzazione degli uffici giudiziari.

Il principio di precostituzione, del quale si è parlato a proposito dell'Italia, è formulato in termini rigorosi dall'art. 24, 2° comma, della Costituzione ed è interpretato con coerenza dalla dottrina e dalla giurisprudenza spagnole (cfr. J. Burgos Ladrón de Guevara, El juez ordinario predeterminado por la ley, Madrid 1990; A. de la Oliva Santos, Los verdaderos tribunales en España: legalidad y derecho al juez predeterminado por la ley, Madrid 1992; I. Diez-Picazo Gimenez, in Il principio..., 1993, pp. 104 ss.); il Consejo general del poder judicial è stato previsto nella Costituzione con poteri adeguati alla sua funzione di organo di autogoverno, ma sono sorti problemi interpretativi in relazione alle regole che stabiliscono la sua composizione. In base all'art. 122 della Costituzione, esso è presieduto dal presidente del Tribunal supremo ed è composto di venti consiglieri, nominati dal re per un periodo di cinque anni. Di essi, dodici devono essere scelti fra i magistrati, mentre otto sono avvocati o altri giuristi di reconocida competencia e con più di quindici anni di esercizio professionale, quattro eletti dal Congreso de los diputados e quattro dal Senato, a maggioranza di tre quinti dei componenti. Secondo l'interpretazione accolta nella legge organica provvisoria, che nel 1980 aveva dato per la prima volta attuazione alla norma costituzionale (sulla quale cfr. C. Rodríguez Aguillera, Legge organica sul Consiglio generale del potere giudiziario in Spagna, Firenze 1982), i dodici componenti magistrati avrebbero dovuto venire eletti da tutti i magistrati, in conformità al modello italiano. In occasione dell'adozione della legge organica del 1985, invece, è stata data una diversa interpretazione del testo costituzionale, secondo la quale i dodici componenti 'togati' debbono essere eletti anch'essi dai due rami del Parlamento: questa soluzione ha superato il vaglio del Tribunal constitucional, che però non ha mancato di esprimere riserve (sentenza n. 108/1986; sull'argomento v. Andres Ibañez e Movilla Alvarez, 1986, pp. 75 ss.; cfr. M.J. Terol Becerra, El Consejo general del poder judicial, Madrid 1990, pp. 73 ss.). È indubbio che l'adozione di questa soluzione ha considerevolmente attenuato l'idoneità del Consejo a garantire l'indipendenza della magistratura nei confronti del potere politico.

È inoltre da segnalare che l'ordinamento giudiziario spagnolo (legge organica del 1° luglio 1985, artt. 301 ss.) prevede che alla copertura dei posti dell'organico si provveda in parte con i vincitori di concorso ovvero con juecez e magistrados già in servizio, e in parte con juristas de reconocida competencia.

L'ordinamento spagnolo configura il pubblico ministero come un'istituzione distinta dalla magistratura. L'art. 124 della Costituzione prevede che la sua organizzazione si ispiri al principio dell'unità di indirizzo e della dipendenza gerarchica, ferma restando l'osservanza del principio di legalità e di imparzialità, ma demanda la nomina del capo del pubblico ministero (fiscal general del Estado) al potere esecutivo, pur se con l'obbligo di sentire il parere del Consejo general del poder judicial. Il pubblico ministero, tuttavia, non ha il monopolio dell'azione penale, che può essere promossa anche dai privati.

La giurisdizione costituzionale spagnola, imperniata sul Tribunal constitucional, è una delle più complete, quanto alle sue competenze, e delle più funzionali sul piano dell'azione pratica. Essa è regolata dagli artt. 159 ss. della Costituzione e dalla legge organica del 3 ottobre 1979 (e successive modificazioni). 6. I nuovi ordinamenti dei paesi dell'Europa dell'Est.Durante il regime sovietico l'ordinamento giudiziario e forense dell'URSS e degli altri paesi dell'Europa orientale governati secondo i principî del marxismo-leninismo si era venuto nettamente differenziando, tanto che i comparatisti avevano individuato in essi un sistema giuridico distinto dalla civil law e dalla common law, comunemente denominato soviet law (v. David e Jauffret-Spinosi, 1992¹⁰, pp. 127 ss.; cfr. G. Ajani, Fonti e modelli nel diritto dell'Europa orientale, Trento 1993, e Il modello post-socialista, Torino 1995): il regime giudiziario, fondato sul più netto rifiuto del principio della separazione dei poteri e sulla subordinazione dell'attività giudiziaria al controllo politico, costituiva una delle caratteristiche salienti di tale sistema.In base all'ordinamento vigente nell'URSS tutti i titolari di funzioni giudiziarie erano eletti a termine - dai soviet competenti oppure da assemblee di cittadini - sia che si trattasse di giudici professionali, sia di assessori popolari, ed erano altresì revocabili da parte dei loro elettori (art. 152, 5° comma, della Costituzione sovietica del 1977; art. 95 della Costituzione tedesco-orientale del 1968, modificata nel 1974; ecc.). Ciò consentiva di configurare una responsabilità politica dei giudici, analoga a quella degli altri organi dello Stato (cfr. G. Crespi Reghizzi, in La Costituzione sovietica del 1977, di P. Biscaretti e G. Crespi Reghizzi, Milano 1979, pp. 230 ss.). Particolare importanza assumeva in questo sistema l'istituto della procura, cui spettavano poteri di sorveglianza sull'applicazione della legge a tutti i livelli (art. 164 della Costituzione sovietica; artt. 97-98 della Costituzione tedesco-orientale). Il procuratore generale dell'URSS, in particolare, era a capo di tutta una rete di organi decentrati, operanti anche presso gli organi giudiziari appartenenti agli Stati membri della federazione, i quali erano svincolati da ogni altro rapporto gerarchico e dipendevano esclusivamente da lui (art. 168 della Costituzione sovietica). Per contro, questo sistema svalutava il ruolo dell'avvocato, il cui compito era bensì quello di assistere le parti private, ma sulla base di un incarico conferitogli dai giudici e non da queste. Gli ordinamenti degli altri paesi socialisti si allineavano a queste indicazioni, conciliandole peraltro talvolta con le tradizioni preesistenti, per cui, ad esempio, si avevano casi di magistrature professionali di tipo francese, seppur ovviamente assistite da garanzie di indipendenza molto ridotte.Il crollo del sistema sovietico ha portato all'adozione di ordinamenti variamente imitati da quelli occidentali, sul cui concreto funzionamento si hanno fin qui notizie troppo incomplete per poter stabilire quale ne sia la reale portata (cfr. S. Bartole, Riforme costituzionali nell'Europa centro-orientale, Bologna 1993, pp. 186 ss.; M. Mazza, Le garanzie del potere giudiziario nell'evoluzione degli ordinamenti ex socialisti, in "Rivista di diritto processuale", 1995, L, pp. 540 ss.; cfr. anche le rubriche contenute nella "East European constitutional review", pubblicata a cura del Center for the study of constitutionalism in Eastern Europe dell'Università di Chicago e quelle curate da P. Gelard sulla "Revue française de droit constitutionnel").

Nelle Costituzioni adottate dopo la svolta del 1989 troviamo enunciazioni dell'indipendenza della magistratura analoghe a quelle contenute nelle Costituzioni dei paesi dell'Europa occidentale (cfr. gli artt. 117 ss., Cost. bulgara del 1991; gli artt. 115 ss., Cost. croata del 1990; gli artt. 81 ss., Cost. della Repubblica ceca del 1992; gli artt. 146 ss., Cost. estone del 1992; gli artt. 83 ss., Cost. lettone del 1922, richiamata in vigore nel 1993; gli artt. 109 ss., Cost. lituana del 1992; gli artt. 98 ss., Cost. macedone del 1991; gli artt. 62 ss., Cost. polacca del 1992; gli artt. 123 ss., Cost. romena del 1991; gli artt. 118 ss., Cost. russa del 1993; gli artt. 141 ss., Cost. slovacca del 1992; gli artt. 125 ss., Cost. slovena del 1991; gli artt. 50 ss., Cost. ungherese del 1972, modificata nel 1989); la Costituzione bulgara giunge anzi a prevedere la formazione di un bilancio separato per il potere giudiziario (art. 117, 3° comma). La Costituzione russa, che ha carattere federale, prevede la competenza della Federazione in materia di ordinamento giudiziario e di disciplina della procuratura (art. 71, lett. o) e la competenza congiunta della Federazione e degli enti territoriali autonomi in materia di ausiliari degli organi giudiziari, avvocatura e notariato (art. 72, lett. l).

Alcune di queste Costituzioni prevedono esplicitamente la partecipazione di giudici popolari all'attività delle Corti d'assise, o con formule più generiche, rinviando in ogni caso alla legge per la determinazione dei casi e delle forme (art. 123, Cost. bulgara; art. 118, Cost. croata; art. 94, 3° comma, Cost. della Repubblica ceca; art. 85, Cost. lettone; art. 59, Cost. polacca; art. 123, 4° comma, Cost. russa; art. 142, 2° comma, Cost. slovacca; art. 128, Cost. slovena; art. 46, Cost. ungherese).È pure prevista l'attribuzione a una Corte suprema dei poteri di vertice del sistema delle giurisdizioni, per lo più in termini simili a quelli delle Costituzioni occidentali (art. 124, Cost. bulgara; art. 116, 1° comma, Cost. croata; artt. 91 e 92, Cost. della Repubblica ceca; art. 101, Cost. macedone; art. 56, Cost. polacca; art. 125, Cost. romena; art. 126, Cost. russa; art. 143, Cost. slovacca; art. 127, Cost. slovena; art. 45, Cost. ungherese). La Costituzione bulgara (art. 125) e quella della Repubblica ceca (art. 91), peraltro, prevedono anche l'esistenza di una Corte suprema amministrativa. La Costituzione russa prevede invece che a fianco della Corte suprema esista una Corte arbitrale superiore con competenza in materia economica (art. 127). La Costituzione estone prevede che la Corte suprema operi anche come corte costituzionale (art. 149, 3° comma). La Costituzione ungherese stabilisce l'efficacia vincolante dei precedenti fissati dalla Corte suprema (art. 47). La Costituzione russa ha conservato dall'ordinamento anteriore il potere degli organi giudiziari supremi di emanare "circolari esplicative in materia di prassi giudiziaria" (artt. 126 e 127).

Alcune delle Costituzioni in esame prevedono altresì l'istituzione di un organo, variamente denominato e composto, cui spettano funzioni del tipo di quelle di un consiglio superiore della magistratura: così la Costituzione bulgara (artt. 129, 130 e 133), la Costituzione croata (art. 121), la Costituzione lituana (art. 112), la Costituzione macedone (artt. 104 e 105), la Costituzione polacca (art. 60, 3° comma), la Costituzione romena (artt. 124, 132 e 133) e la Costituzione slovena (art. 131). Invece, secondo la Costituzione russa, i giudici della Corte costituzionale, della Corte suprema federale e della Corte arbitrale superiore sono nominati dal Consiglio federale (che è la camera rappresentativa degli enti territoriali autonomi) su proposta del presidente federale (art. 128). Secondo la Costituzione estone (art. 150), il presidente della Corte suprema è nominato dal presidente della Repubblica, su proposta del Parlamento, i membri della Corte suprema dal Parlamento, su proposta del presidente della Corte suprema, e gli altri giudici dal presidente della Repubblica su proposta della Corte suprema. Una regola parzialmente simile è adottata anche dall'art. 48 della Costituzione ungherese. Un intervento del Parlamento nel procedimento di nomina dei giudici (o quanto meno dei giudici della Corte suprema) è previsto anche dalle Costituzioni lettone (art. 84), lituana (art. 112), slovacca (art. 145) e slovena (art. 130). In quest'ultimo caso, peraltro, il Parlamento nomina i giudici su proposta del Consiglio giudiziario (art. 130).Altre norme costituzionali riguardano il regime delle immunità (inamovibilità, ecc.) - che in qualche caso assumono caratteri simili a quelli delle immunità parlamentari (art. 132, Cost. bulgara; art. 119, Cost. croata; art. 114, Cost. lituana; art. 100, 2° comma, Cost. macedone) - e talora anche quello delle incompatibilità (art. 82, 3° comma, Cost. della Repubblica ceca; art. 147, 3° comma, Cost. estone; art. 113, Cost. lituana; art. 100, 3° e 4° comma, Cost. macedone; art. 124, 2° comma, Cost. romena; art. 134, 2° comma, Cost. slovena). Particolari limiti alla perseguibilità penale dei magistrati sono stabiliti dall'art. 153 della Costituzione estone, la quale richiede un'iniziativa della Corte suprema col consenso del presidente della Repubblica, e, nel caso del presidente della Corte suprema, un'iniziativa del ministro della Giustizia approvata dalla maggioranza del Parlamento. Per i giudici della Corte suprema lituana è invece prevista una procedura di impeachment, sulla quale decide il Parlamento (art. 116, Cost. lituana).

Per quanto riguarda il pubblico ministero, la Costituzione russa prevede per la procuratura un'organizzazione simile a quella che essa aveva nell'URSS (art. 129), mentre la Costituzione polacca (art. 64) e quella romena (art. 131, 1° comma) prevedono esplicitamente la sua dipendenza dal ministro della Giustizia, la Costituzione bulgara (art. 126, 2° comma), quella romena (art. 131, 1° comma) e quella ungherese (art. 53) ne prevedono l'organizzazione gerarchica, e la Costituzione macedone (art. 106), quella slovacca (art. 150) e quella ungherese (art. 52) prevedono l'elezione da parte del Parlamento di un procuratore generale nazionale, variamente denominato. Altre Costituzioni rinviano alla legge per quanto riguarda la sua disciplina o si limitano a indicarne sommariamente le funzioni (art. 151, Cost. estone; art. 118, Cost. lituana; artt. 135 e 136, Cost. slovena). Anche al procuratore generale di Macedonia è accordata un'immunità che può essere rimossa solo dal Parlamento (art. 107, Cost. macedone).

Gran parte di queste Costituzioni prevedono il funzionamento di una corte costituzionale variamente composta e dotata di funzioni diversamente delimitate: artt. 147 ss., Cost. bulgara; artt. 122 ss., Cost. croata; artt. 83 ss., Cost. della Repubblica ceca; artt. 102 ss., Cost. lituana; artt. 108 ss., Cost. macedone; art. 33-A, Cost. polacca (il tribunale costituzionale polacco tuttavia era già stato previsto dalla legge del 29 aprile 1985). Solo la Costituzione estone conferisce il potere di controllare la costituzionalità delle leggi alla Corte suprema (artt. 149, 3° comma, e 152). Una Corte costituzionale federale e varie Corti costituzionali statali funzionavano già in Jugoslavia.

Non sono frequenti, in questi testi, le disposizioni relative all'avvocatura (cfr., tuttavia, gli artt. 122 e 134, Cost. bulgara; l'art. 151, Cost. estone; l'art. 63, 2° comma, Cost. polacca; l'art. 137, 1° comma, Cost. slovena). Quest'ultima si occupa anche dei notai, rinviando alla legge per la disciplina della loro professione (art. 137, 2° comma).(I testi costituzionali qui citati sono stati consultati nella traduzione inglese pubblicata in Council of Europe Press, The rebirth of democracy, Strasbourg 1995, a eccezione di quello della Costituzione russa, per il quale si è utilizzata la traduzione italiana pubblicata, a cura di L. Paleari, in "Bollettino di informazioni costituzionali e parlamentari", 1993, pp. 203 ss.).

7. L'ordinamento giudiziario nei paesi di common law

L'ordinamento giudiziario inglese

Nei paesi di common law la posizione costituzionale del potere giudiziario è generalmente molto più solida di quanto non sia negli Stati del continente europeo, sia che ciò derivi da una secolare tradizione (pur in assenza di vere garanzie giuridiche) come in Inghilterra, sia che ciò consegua all'accoglimento del principio della separazione dei poteri nella sua versione più rigida, come negli Stati Uniti.

Nel primo caso l'autorità dei giudici si fonda sul carattere particolarmente compatto della società, che forma nel suo seno una sorta di casta cui affida le funzioni giudiziarie: l'aspetto quasi miracoloso della vicenda sta nella capacità che cionondimeno questi giuristi hanno fin qui dimostrato di saper conservare intorno alla propria attività un grado di consenso di tutte le classi sociali che permette loro di operare con indipendenza e con un alto livello di professionalità.

Negli Stati Uniti, dove invece il potere giudiziario è assistito da una serie di garanzie stabilite dalla Costituzione del 1787 e integrate da usi e convenzioni, la sua forza sta nella flessibilità del sistema che consente, più di quanto probabilmente avvenga in qualunque altro paese del mondo, la circolazione dei singoli giuristi fra le diverse professioni giudiziarie, nonché tra il foro, la politica e l'amministrazione (v. Hazard e Taruffo, 1993; v. Dondi, 1993).

Sia in Inghilterra che negli Stati Uniti, inoltre, troviamo sostanzialmente realizzato il principio dell'unità della giurisdizione. Se infatti anche in questi paesi esistono numerosi organi amministrativi o politici riconducibili alla nozione di giudice speciale, è tuttavia innegabile che nessuno di essi si presenta come una vera e propria alternativa rispetto alla magistratura ordinaria come avviene, soprattutto per la giurisdizione amministrativa, nei paesi di civil law; inoltre nessun organo giudiziario corrisponde così perfettamente alla nozione di 'corte suprema' come la Supreme Court of the United States, cui qualunque caso giudiziario che presenti una certa importanza può essere portato in modo relativamente rapido e con la pratica certezza di ottenere un responso di livello adeguato, sia sotto il profilo tecnico, sia sotto il profilo politico-costituzionale, senza tuttavia che l'opera della Corte risulti ostacolata dalla massa dei ricorsi (cfr. P. Bellet e A. Tunc, La Cour judiciaire suprème, Paris 1978; D.M. Provine, Case selection in the American Supreme Court, Chicago 1980; S. Estreicher e J. Sexton, Redefining the Supreme Court's role, New Haven, Conn., 1986; J.A. Jolowicz, Managing over-loads in appellate Courts: western countries, in Justice and efficiency, a cura di W. Wedekind, Deventer 1989, pp. 71 ss.; H.W. Perry jr., Deciding to decide. Agenda setting in the United States Supreme Court, Cambridge, Mass., 1991). Alla Corte è infatti consentito scartare quei ricorsi che le appaiono privi di rilievo politico-costituzionale: quando ciò avviene, la decisione impugnata rimane confermata, senza tuttavia che si formi un precedente riferibile alla corte stessa (cfr. P. Linzer, The meaning of certiorari denials, in "Columbia law review", 1979, CXXIX, pp. 1227 ss.; E. Silvestri, Access to the Courts of last resort: a comparative over-view, in "Civil justice quarterly", 1986, V, pp. 304 ss.; sulla disciplina delle vie di ricorso alla Corte suprema cfr. U. Mattei, L'imperialismo del writ of certiorari: il tramonto della giurisdizione obbligatoria nella U.S. Supreme Court, in "Rivista di diritto civile", 1990, XXXVI, parte I, pp. 131 ss.).

L'organizzazione giudiziaria inglese (v. Jackson e Spencer, 1989⁸) presenta caratteri molto particolari, in parte legati alla conservazione di istituti del passato, che per lo più si adeguano ai tempi nuovi pur senza cambiare le vecchie forme. Fra le differenze che maggiormente distinguono il sistema inglese da quelli dei paesi dell'Europa continentale va segnalato innanzi tutto il tipo di formazione professionale che i giudici ricevono, che è comune a quello degli avvocati e risulta più dall'addestramento professionale (v. sotto, § 7c) che non dagli studi universitari compiuti (ma la formazione universitaria ha avuto un forte recupero nel corso dell'ultimo secolo).

La giurisdizione civile - cui spetta normalmente decidere anche questioni che nei paesi di civil law sarebbero di competenza dei giudici amministrativi - è esercitata in Inghilterra (non considerando la Scozia e l'Irlanda del Nord che hanno sistemi giudiziari propri, anch'essi però soggetti alla giurisdizione di ultima istanza della House of lords) dalle County Courts, operanti capillarmente sul territorio, e dalla High Court che, insieme con la Court of appeal, forma la Supreme Court of judicature. Le prime giudicano sulle controversie di minor valore, tranne che in alcune materie speciali; la seconda opera in tre sezioni (denominate rispettivamente Queen's bench division, Chancery division e Family division), le quali siedono a Londra e in altre sedi (ma in talune solo temporaneamente). È da notare che circa il 95% del lavoro viene svolto dalle County Courts.Contro le decisioni di primo grado è dato ricorso alla Civil division della Court of appeal (presieduta dal master of the rolls), che siede a Londra. Contro le decisioni di secondo grado è ammesso un ulteriore ricorso alla House of lords, ma tale ricorso viene esaminato soltanto se viene accordato il permesso (leave) di ricorrere da parte del giudice che ha pronunciato la decisione impugnata oppure, su ricorso contro il suo diniego, dalla stessa House of lords in sede di esame preliminare. Praticamente, gli interventi della House of lords sono troppo rari per assumere una forte incidenza sulla giurisprudenza, la quale risulta principalmente dall'attività della Court of appeal e della High Court (per le quali il principio del rispetto del precedente vale rigidamente anche in senso orizzontale, cioè nei confronti dei propri precedenti, oltre che verticale).

La giurisdizione penale è esercitata in primo grado dalle Magistrates' Courts, a struttura monocratica o collegiale, i cui titolari possono pronunciare direttamente il giudizio oppure rinviarlo a una Crown Court comprendente una giuria, la cui decisione è impugnabile davanti alla Criminal division della Court of appeal (ciò avviene tuttavia soltanto in una minima percentuale di casi). Le decisioni rese dai magistrates sono soggette a ricorso alla Crown Court (senza giuria) per motivi di fatto e di diritto e quelle rese da quest'ultima sono ulteriormente ricorribili alla Divisional Court della Queen's bench division, per soli motivi di diritto. Contro le decisioni rese in grado di appello, sia dalla Divisional Court della Queen's bench division, sia dalla Criminal division della Court of appeal, è ammesso ricorso, subordinatamente a leave, alla House of lords. Non esiste un pubblico ministero di tipo continentale, ma il Crown prosecutor service gestisce al livello dibattimentale le azioni penali promosse dalla polizia.

Il sistema giudiziario inglese non prevede alcun tipo di controllo di costituzionalità delle leggi. Al pari di tutti gli altri europei, i cittadini britannici possono tuttavia ricorrere alla Corte europea dei diritti dell'uomo, con sede in Strasburgo, a tutela dei diritti fondamentali garantiti loro dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950.Per quanto riguarda infine la giustizia amministrativa è da notare che in Inghilterra, e negli altri paesi prevalentemente influenzati dalla tradizione giuridica britannica, fu lungamente seguito un indirizzo opposto a quello affermatosi in Europa, e le controversie determinate da comportamenti di funzionari pubblici ritenuti lesivi di diritti dei cittadini furono risolte dai giudici con gli stessi criteri impiegati per risolvere tutte le altre; soltanto in un'epoca più vicina a noi si cominciarono a istituire speciali autorità, dotate di poteri qualificabili come giurisdizionali (o anche giurisdizionali), per risolvere talune categorie di questioni siffatte (cfr. E. Balboni, Amministrazione giustiziale, Padova 1986; G.F. Ferrari, Giustizia amministrativa in diritto comparato, in Digesto delle discipline pubblicistiche, vol. VII, Torino 1991, pp. 567 ss.; M. D'Alberti, Diritto amministrativo comparato, Bologna 1992, pp. 10 ss.; R. Caranta, Judicial review, in Digesto delle discipline pubblicistiche, vol. IX, Torino 1994, pp. 53 ss.).Questa differenza reale - cui si aggiunsero forse anche taluni malintesi - indusse il giurista britannico Albert Venn Dicey a sostenere, suscitando grande eco nella dottrina e nella giurisprudenza, che l'ordinamento inglese e quelli da esso derivati non comprendevano un settore qualificabile come 'diritto amministrativo', come facevano invece l'ordinamento francese e gli altri a esso assimilabili (cfr. A.V. Dicey, An introduction to the study of the law of the Constitution, 1885, London 1959¹⁰, pp. 328 ss., 475 ss., 493 ss.; S. Cassese, Albert Venn Dicey e il diritto amministrativo, in "Quaderni fiorentini", 1990, n. 19, pp. 5 ss., ove sono analizzate le modifiche apportate alle successive edizioni dell'opera di Dicey in relazione a questo problema e le ragioni dell'inesattezza delle sue posizioni iniziali). In seguito, però, l'evoluzione legislativa e giurisprudenziale e una migliore conoscenza delle cose indussero lo stesso Dicey a modificare la sua impostazione e nessuno dubita ormai che anche negli ordinamenti dei paesi di common law si abbia un diritto amministrativo, pur se disciplinato da regole in parte diverse da quelle seguite nei paesi di civil law (cfr. C. Harlow e R. Rawlings, Law and administration, London 1984, pp. 11 ss.; S. Flogaitis, Administrative law et droit administratif, Paris 1986; S. Cassese, Le basi del diritto amministrativo, Torino 1989, pp. 39 ss.).

L'ordinamento giudiziario degli Stati Uniti d'America

L'ordinamento giudiziario degli Stati Uniti risulta da distinte organizzazioni comprendenti i giudici federali e i giudici dei cinquanta Stati membri. La grande maggioranza degli affari giudiziari si svolge davanti a questi ultimi, il cui assetto varia da uno Stato all'altro e la cui giurisprudenza contribuisce alla formazione della common law, la quale risulta essenzialmente dalla giurisprudenza delle corti statali (Erie vs. Tompkins, 304 U.S. 64, 1933; cfr. P. Hay e R.D. Rotunda, The United States federal system: legal integration in the American experience, Milano 1982), anche se la Corte Suprema federale esercita un'importante funzione unificatrice di tutto il diritto degli Stati Uniti e sviluppa a sua volta una common law quanto meno su certe materie (per ulteriori riferimenti v. Mattei, 1992, pp. 185 ss.).

Nonostante ciò, vi è una certa uniformità tra le Costituzioni degli Stati nel riconoscere al potere giudiziario un ruolo simile a quello che esso ha a livello federale e nel prevedere un sistema di giudici di pace e di trial courts che giudicano in primo grado, un sistema di giudici di appello e una Corte Suprema statale. I giudici di pace, derivanti dalla tradizione inglese, sono per lo più eletti a termine e non sono necessariamente dei giuristi; la loro competenza civile e penale è spesso limitata ai casi di minor rilievo. Per i casi più importanti sono previsti altri giudici, che generalmente assumono il nome di Municipal Courts e di County Courts, sono dotati di maggiore qualificazione professionale e talora comprendono magistrati specializzati per particolari tipi di affari. Le County Courts operano frequentemente con l'intervento di una giuria. Varia è anche l'organizzazione dei giudici di appello, le cui decisioni sono spesso definitive. Vi è poi la Corte Suprema dello Stato (che non sempre assume questa denominazione), cui spetta solitamente decidere questioni di solo diritto e in particolare le questioni di carattere costituzionale.

I giudici federali degli Stati Uniti sono quelli previsti dall'art. III della Costituzione del 1787 (e perciò detti constitutional courts) e altri che sono stati istituti con legge federale in base all'art. I, sez. 8, comma 9 (federal courts). I primi sono costituiti dalle U.S. District Courts, dalle U.S. Courts of appeal e dalla Supreme Court of the United States, con competenza su varie materie specificamente indicate, le quali riguardano le controversie interstatali o fra Stati e Federazione o riguardanti Stati esteri, quelle decise da una Corte Suprema statale che involgono una substantial federal question, e le cause civili arising under the Constitution, laws and treaties of the United States, eccedenti un certo limite di valore, in alcuni casi con possibilità di adire direttamente la Corte Suprema (art. III, sez. 1, della Costituzione). Le federal courts hanno invece competenze in materia fiscale, militare, ecc.I giudici federali sono nominati dal presidente con il consenso del Senato (art. II, sez. 2) e durano in carica a vita (during good behaviour: art. III, sez. 1), salvo impeachment (art. I, sez. 2, claus. 5; sez. 3, clauss. 6 e 7). Essi hanno diritto a uno stipendio non suscettibile di riduzione (art. III, sez. 1).Non è il caso di illustrare qui in dettaglio il ruolo del potere giudiziario negli Stati Uniti: basterà ricordare come il suo concreto funzionamento realizzi il principio della separazione dei poteri in modo probabilmente più efficace di quanto sia mai avvenuto in qualsiasi altro paese, suscitando a suo tempo l'ammirata sorpresa di Tocqueville. In particolare si deve inoltre ricordare, per la sua eccezionale importanza, il sistema americano di judicial review of legislation, introdotto in via giurisprudenziale con la famosa decisione Marbury vs. Madison, 1 Cranch 137, 1803, in virtù del quale qualunque giudice può disapplicare con effetti soltanto inter partes una legge che egli ritenga incompatibile con una regola costituzionale (v. Cappelletti, 1968, pp. 49 ss.; v. Favoreu, 1992).

L'ordinamento dell'avvocatura nei paesi di common law

Gli ordinamenti della professione forense che troviamo in opera nei paesi appartenenti all'area della common law si differenziano da quelli vigenti nei paesi di civil law meno di quanto avvenga per l'organizzazione giudiziaria. Le differenze maggiori dipendono infatti più dai principî processuali adottati che non dalla posizione costituzionale attribuita al giudice o al pubblico ministero. Ci limiteremo qui a segnalare alcune particolarità dell'ordinamento inglese e di quello statunitense, i quali costituiscono i modelli più spesso seguiti anche negli altri paesi appartenenti a quest'area.

La professione legale inglese è caratterizzata dalla distinzione fra barristers e solicitors, che fondamentalmente corrisponde a quella italiana fra procuratori e avvocati o ad altre simili. Tuttavia, mentre per lo più nell'Europa continentale tali distinzioni sono state abbandonate o comunque hanno perduto gran parte della loro funzione, quella in esame, benché assai ridimensionata dal Courts and legal services act del 1990, è ancora ben radicata nella pratica inglese.In base a essa barristers e solicitors hanno un diverso status e un diverso ruolo: per quel che riguarda lo status, i primi sono gli iscritti ai quattro Inns of court, che sono organizzazioni private di tipo corporativo, cui spetta accordare l'abilitazione all'esercizio della professione ed esercitare il controllo disciplinare sui propri membri. A questo scopo dal 1987 funziona il Bar council che ha sostituito il preesistente Senate of the Inns of Court and the Bar nel compito di nominare eventuali Disciplinary tribunals per decidere su eventuali illeciti dei barristers segnalati dalla Professional conduct committee, che è una commissione del Senate. Le decisioni adottate possono costituire oggetto di ricorso dinanzi al giudice, il quale però in questo caso agisce come un organo della corporazione, in qualità di visitor.I solicitors sono invece qualificati come officers of the court in seguito alla loro iscrizione nell'albo tenuto dal master of the rolls, a seguito del superamento di un esame organizzato dalla Law society e dopo un periodo di pratica. La loro attività è regolata da norme emanate dal Council of the Law society, d'intesa con il master of the rolls, e un Solicitors disciplinary tribunal, nominato da quest'ultimo, decide sugli eventuali illeciti disciplinari. Le decisioni sono appellabili dinanzi alla High Court.

Quanto al ruolo, fino al Courts and legal services act del 1990 la differenza di funzioni derivava dal fatto che i barristers si limitavano a svolgere la difesa delle parti dinanzi alle giurisdizioni superiori, mentre i solicitors adempivano a tutte le altre attività necessarie per la rappresentanza e la difesa dei loro clienti (i quali avevano rapporti solo con essi e non direttamente con i barristers), oltre che a una serie di altre funzioni loro specificamente proprie (tra le quali i trasferimenti immobiliari realizzati mediante conveyance). La legge del 1990 ha eliminato la regola dell'esclusività delle funzioni degli uni o degli altri e ha ammesso anche i solicitors alle nomine giudiziarie, ma ha lasciato sussistere la diversa organizzazione delle due corporazioni (cfr. M.D. Stalteri, Il Courts and legal services act 1990: una nuova organizzazione per le professioni legali e la giustizia in Inghilterra, in "Rivista di diritto civile", 1991, XXXVII, parte I, pp. 383 ss.; F. Cassella, La riforma dei legal services nel Regno Unito, in "Diritto e società", 1993, pp. 267 ss.).

Negli Stati Uniti la differenza fra barristers e solicitors non esiste e gli avvocati sono ammessi a esercitare la professione dopo un corso di studi universitari di diritto e dopo un esame organizzato dall'ordine professionale. L'esercizio della professione è disciplinato principalmente dalla legislazione degli Stati, poiché il diritto federale disciplina soltanto l'attività forense svolta dinanzi ai giudici federali, ma sono tenute in considerazione anche le regole processuali stabilite dagli organi giurisdizionali (rules of Court) e i codici di etica professionale, che variano da uno Stato all'altro, ma generalmente si rifanno alle Rules of professional conduct elaborate dall'American Bar Association, l'importantissima associazione degli avvocati degli Stati Uniti.

È da notare che anche i rappresentanti dell'accusa nel processo penale, quale che sia il loro status, si considerano sotto ogni profilo come avvocati, vincolati al rispetto delle stesse regole deontologiche. Il sistema processuale americano si ispira infatti in modo assai rigoroso, anche per quanto riguarda il processo penale, al principio di parità delle parti e normalmente esclude che il giudice possa agire d'ufficio. Conseguentemente l'avvocato viene a fruire di importanti poteri di iniziativa processuale, ad esempio per quanto riguarda l'acquisizione delle prove, anche quando opera per conto di una parte privata.

Regole di common law disciplinano il rapporto di mandato fra avvocato e cliente; la difesa tecnica generalmente non è obbligatoria, ma la difesa personale è difficilmente realizzabile tranne che per le piccole liti.Sia in Inghilterra che negli Stati Uniti, l'elevato costo delle difese ha determinato un notevole sviluppo delle attività di legal aid, le quali realizzano forme di assistenza giudiziaria per quanti non possono permettersi di pagare un avvocato.Caratteristica degli Stati Uniti è inoltre l'organizzazione di studi professionali associati di dimensioni mastodontiche, in ciascuno dei quali lavorano talora centinaia di persone. In contrasto con la deontologia europea, è ammesso il patto di quota lite e non è vietato il procacciamento dei clienti mediante avvisi pubblicitari. Ma è da segnalare altresì il fenomeno delle public interest law firms, variamente finanziate, che si occupano della cura di interessi collettivi (cfr. M. Cappelletti, Governmental and private advocates for the public interest in civil litigation, in "Michigan law revue", 1975, pp. 75 ss.). (V. anche Giurisprudenza; Giustizia, accesso alla; Magistrati; Magistratura; Processo; Sistemi giuridici comparati).

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